Posts written by Mr.Sandman

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    Helena era l’unica persona a cui potesse rivolgersi e questo non gli faceva fare i salti di gioia.
    Nonostante negli ultimi tempi le cose fossero un po’ migliorate tra loro – ovvero erano arrivati ad avere conversazioni semi civili – conosceva fin troppo bene la ragazza per sapere di star per addentrarsi in una zona rischiosa.
    Ma Helena era stata la sua unica ragazza ed era quindi l’unica che potesse dargli un parere. Un parere su di lui e su cosa fosse andato storto tra di loro.
    E sì, aveva un motivo ben preciso per cui voleva saperlo. Probabilmente questo le avrebbe dato il diritto di prenderlo in giro o fare battutine acide, ma non aveva molta altra scelta, se si teneva conto che erano solo due le ragazze con cui parlava al castello e l’altra era il soggetto primario della conversazione: di certo non avrebbe potuto rivolgersi a lei.
    Dunque, lottando contro il proprio orgoglio, era riuscito a fare recapitare un bigliettino, scritto in fretta e furia, ad Helena, chiedendole di incontrarsi nei pressi del lago.
    Il fatto che l’altra avesse accettato fu una sorpresa, trovarla ad aspettarlo al luogo prestabilito, puntuale, lo fu ancora di più
    “Simpatica come sempre” rispose così al suo saluto o quello che voleva essere tale.
    Sedette accanto a lei, guardandola con fin troppa serietà, una cosa che notò lei stessa. Reid scrollò le spalle ed allungò una mano verso di lei.
    “Dai, dammi una sigaretta. Me la devi dopo aver riso di me al corso di smaterializzazione”
    Quel maledetto corso... era stato umiliante. Di solito riusciva bene quasi in tutto, ma smaterializzarsi... a quanto pareva non faceva per lui. Ed ovviamente quella simpaticona di Helena aveva riso, quando Reid aveva perso l’orecchio dopo essersi spaccato.
    Certo, dal suo punto di vista la situazione doveva essere stata esilarante, e dopotutto non era stato in pericolo di vita. L’orecchio era stato anche rimesso a posto, come se niente fosse successo. Ma Reid non si era divertito affatto dal canto suo.
    “Mi sorprende che tu abbia accettato di vedermi, devi essere davvero di buon umore, per i tuoi standard”
    E se non lo aveva ancora insultato doveva essere così.
    “O forse eri terribilmente annoiata. Non hai nessuno da tormentare?” forse la stava punzecchiando troppo, doveva tenersela buona per quello che stava per venire “Comunque... volevo semplicemente farti delle domande. Su di noi. Niente di che, non preoccuparti, non verrò strisciando chiedendoti di riprovarci o cose simili. Voglio solo sapere cosa è andato storto. Ho... fatto qualcosa di sbagliato?”
  2. .
    “Beh scusa, mi scrivi che è questione di vita o di morte, vieni fino in Scozia per parlarmi faccia a faccia, cosa avrei dovuto pensare?!”
    Sapeva di essere giunto a conclusioni troppo affrettate, ma non riusciva a figurarsi nessun altro motivo per cui lei dovesse essere lì, tuttora non capiva di cosa diavolo volesse parlargli.
    O meglio, sicuramente c’entrava quello che era successo in quello stupido sgabuzzino, ma non vedeva cosa avrebbero dovuto dirsi: era andata malissimo, c’era poco di cui parlare ed era anche per questo che si erano evitati per giorni, no?
    Si ficcò le mani in tasca e si incamminò al fianco di Pressley, lanciandole un’occhiata di sbieco.
    La cosa positiva, almeno, era che non era incinta. Cazzo, avrebbe dato di matto in quel caso e forse non avrebbe mai più fatto sesso in vita sua per via del trauma. Sì, ok, era quasi impossibile che fosse rimasta incinta, viste le precauzioni, ma come aveva già detto i preservativi potevano rompersi.
    Tolto quel dubbio, si sentiva decisamente più sollevato ed incline a parlare con lei, nonostante la Jackson non fosse dello stesso avviso: era ancora nervosa e minacciava anche di mollargli un pugno.
    “Adorabile come sempre” borbottò Reid, alzando gli occhi al cielo.
    Si erano incontrati da appena cinque minuti e lei già voleva picchiarlo, senza che lui avesse fatto niente oltretutto. Domandarsi come fossero finiti a fare sesso senza uccidersi a vicenda era inevitabile.
    “Chiedermi scusa per come sono andate le cose?!” ripeté poi, non riuscendo a nascondere la sorpresa nel suo tono di voce.
    Capì poi che non era il caso di interromperla, sembrava che Pressley stesse facendo un grande sforzo a tirare fuori quelle parole e per questo Reid tacque e la lasciò finire, mentre la sua sorpresa cresceva, accompagnata dalla voglia di ridere, dall’incredulità, da un briciolo di offesa e da un lieve imbarazzo.
    Era sul punto di aprire bocca per rispondere con una battuta delle sue, quando lei lo bloccò sul nascere, per cui serrò le labbra ed annuì con fare solenne. Forse non era il caso di scherzare.
    “Press...” non la chiamava quasi mai in quel modo, solitamente per lui era semplicemente ‘Jackson’ e a volte ‘Pressley’. “Posso dirlo?: che diavolo stai dicendo? Merlino, mi stai facendo passare come una femminuccia sentimentale...”
    L’imbarazzo che provava era dovuto a quello: aveva praticamente fatto sembrare che avrebbe voluto chissà quale prima volta fantastica, quando la realtà era che non ci aveva nemmeno mai davvero pensato troppo.
    “Non hai sfruttato niente e soprattutto non mi hai costretto a fare niente. Voglio dire, onestamente non lo avrei fatto in uno sgabuzzino, ok, ma se davvero non avessi voluto affatto farlo... beh me ne sarei andato”
    Le lanciò un’occhiata, morendosi il labbro per qualche secondo prima di riprendere.
    “A dirla tutta... io mi sento come se ti avessi sfruttata. Insomma, era elettrizzante l’idea di fare sesso per la prima volta, con gli ormoni in subbuglio e tutto, e tu... sei bellissima...”
    Distolse in fretta lo sguardo, rendendosi conto che era forse la prima volta in assoluto che le faceva un complimento e non sapendo come comportarsi a riguardo. Non guardarla e fare finta di niente gli sembrava l’opzione migliore.
    “Ma poi mi sono sentito in colpa perché lo abbiamo fatto in un cazzo di sgabuzzino, è stata una prestazione pessima, non sono stato capace di fartelo piacere e... non lo so, sembrava tutto sbagliato, non per me, ma nei tuoi confronti. Avresti meritato di meglio per la tua prima volta”
    Osservò i passanti e le vetrine dei negozietti che scorrevano davanti ai loro occhi mentre, senza decidere dove andare, guidava Pressley verso la zona più residenziale di Edimburgo, con le sue casette fatte di mattoni.
    “Dovrei essere io a chiederti scusa” disse poi, tornando a guardarla “Avrei dovuto fare la cosa giusta, piuttosto che farmi prendere dalla frenesia di perdere la verginità a sedici anni e non sentirmi più uno sfigato”
    Scrollò le spalle, inspirando, un po’ teso. Non era da lui aprirsi tanto, soprattutto con qualcuno che non sapeva ancora se definire una persona amica, ma gli sembrava giusto essere completamente sincero con Pressley in quel momento.
  3. .
    Tornare a casa per le vacanze di Natale non era tra le sue cose preferite ma era di certo molto meglio che restare a Durmstrang.
    I suoi fratelli maggiori arrivavano sempre la mattina del venti dicembre nella casa paterna per passare insieme quel breve periodo e nessuno di loro prestava davvero molta attenzione a Reid, a parte Finlay, il maggiore di tutti, l’unico che avesse superato del tutto il rancore covato nei confronti del fratello più piccolo.
    Gli altri tre, in parte, gli attribuivano ancora la colpa per l’abbandono della madre e Reid era diventato bravissimo a fingere che non gliene importasse niente di loro.
    Ignorarli gli risultava abbastanza facile, concentrava le sue attenzioni sul padre e su Finlay e sulla moglie ed il figlio di quest’ultimo: Nora e James.
    Nora era forse la persona più calma e generosa che Reid avesse mai conosciuto. Aveva sempre una parola gentile per lui, e gli portava un regalo ogni volta che la famiglia si riuniva per qualche occasione. James, che aveva solo tre anni, era una forza della natura e Reid lo aveva convinto a non chiamarlo zio, ma solo per nome. Il piccolo uragano cercava spesso la sua compagnia per giocare, forse perché aveva notato che tra tutti i grandi che lo circondavano era quello che gli dava più attenzioni.
    Avevano passato la vigilia a costruire un fortino nella soffitta dove James aveva poi voluto disegnare dei biglietti di Natale da regalare alla famiglia – una serie di scarabocchi verdi e rossi -.
    Alla fine era andata meglio di come Reid aveva pensato, il venticinque si erano uniti al resto della famiglia, rivedendo Alexander e Kieran (ed un tizio strano che a quanto pareva era amico di Alexander).
    Insomma, qualcosa di quei giorni lo aveva reso sereno e allo stesso tempo ancora più cupo all’idea di dover tornare a Durmstrang alla fine di quelle vacanze.
    Aveva sperato che suo padre si sarebbe deciso a tirarlo fuori di lì, ma era evidente che Reid si fosse giocato la sua unica occasione facendosi espellere da Hogwarts.
    Comunque sereno lo era stato finché non aveva ricevuto quella lettera. La lettera di Pressley.
    Non si erano più parlati da quella disastrosa notte nello sgabuzzino della scuola, si erano evitati per i corridoi, finto che nessuno dei due esistesse, ed ora lei gli chiedeva di vedersi, proprio lì ad Edimburgo, il che significava che aveva viaggiato fino in Scozia per vederlo.
    Quel particolare, più il fatto che citasse una questione di vita o di morte nella lettera, fecero accendere un campanello d’allarme nella testa di Reid.
    Fu con un certo nervosismo ed anche un po’ di angoscia che si presentò al luogo dell’appuntamento, ma una volta individuata Press il tempo parve fermarsi per un attimo. Non l’aveva mai vista con abiti diversi dalla divisa di Durmstrang e gli fece un certo effetto trovarla così diversa. Si riprese da quel breve momento di intontimento, solo quando lei fu vicina. Ignorò l’insulto che gli rivolse per salutarlo, la sua mente era troppo presa dal dubbio che lo aveva colto subito dopo aver letto la sua lettera.
    “Sei incinta?!” lo chiese di getto, non appena lei ebbe finito di parlare.
    Aveva iniziato a pensarlo subito dopo aver messo via la missiva. Non trovava altro motivo per cui lei si fosse recata fino ad Edimburgo e avesse fatto di tutto per incontrarlo facendola apparire come una cosa urgente.
    “Voglio dire, lo so che abbiamo usato il preservativo... ma magari era rotto, non lo so, non si vedeva bene con quella cazzo di luce in quel fottuto sgabuzzino”
    Il suo nervosismo era abbastanza palese ora, così come l’angoscia che lo aveva accompagnato fino al momento del loro incontro e che non lo aveva ancora lasciato.
    “Scusa... avrei dovuto lasciarti parlare prima di giungere a conclusioni. È che il pensiero mi sta uccidendo... ma non lo sei, vero? Sono un idiota”
    Si morse il labbro, abbassando lo sguardo.
    “Vuoi umh... camminare o rimanere qui?”
  4. .
    L’ultima cosa che avrebbe voluto era di usare Helena come appoggio.
    Poteva essere pericoloso starle così vicino e per diversi motivi: il primo perché lei era imprevedibile, in quel momento gli stava offrendo il proprio sostegno ma avrebbe potuto cambiare idea da un momento all’altro e decidere che sarebbe stato meglio rigettarlo in pasto agli schiopodi, il secondo perché si erano abbaiati contro fino ad un attimo prima, e ancor prima della punizione lei lo aveva affatturato cercando di ucciderlo, il terzo perché Helena profumava di buono e a lui quel profumo ricordava di quando lei gli permetteva di starle così vicino e persino di baciarla.
    Non sarebbe stato così sentimentale da ammettere che gli mancavano quei momenti ma... effettivamente era così. E di certo sarebbe stato più facile se non avesse provato ancora qualcosa per lei.
    Alla fine però, si vide costretto ad accettare il suo aiuto, seppur imprecando e borbottando contro il suo invito a stare calmo.
    “Provaci tu a stare calma con un buco nella gamba e mezza paralizzata!” la rimbeccò.
    Sentiva il volto accaldato ed imperlato di sudore freddo. Si sentiva uno schifo e come se fosse sul punto di vomitare di nuovo.
    “Funzionerebbe se avessimo davvero dell’erballegra da fumare”

    L’infermiere non ispirava fiducia.
    Reid ebbe seri dubbi sulla sua professionalità e quasi sperò si essere lasciato a morire, piuttosto che essere curato da quella specie di uomo delle nevi.
    Quando lo vide tirare fuori una siringa dall’ago fin troppo grosso per essere un ago normale, alzò un dito minaccioso verso di lui.
    “Non mi toccherai con quella cosa. Scordatelo. Piuttosto rimango paralizzato a vita”
    Purtroppo non ebbe la meglio e l’ago finì dolorosamente nella sua gamba, non molto distante dalla ferita lasciata dallo schiopodo.
    Quando Helena lo raggiunse, Reid sedeva su uno dei letti con le braccia incrociate e lanciava di tanto in tanto sguardi assassini all’infermiere.
    “Pft. La considererò un’altra ferita di guerra. Una delle tante cicatrici lasciatemi da questo posto di merda” replicò scontroso alle parole della ragazza.
    Si voltò poi a guardarla, alzando le sopracciglia con fare sorpreso.
    “Scusa, puoi ripetere? Non è che non abbia capito, è che voglio sentirtelo dire di nuovo. Non mi odi eh?” ghignò “Ovvio che non mi odi, sono fantastico, la persona più fantastica in questo castello del cazzo, diciamocelo”
    Si fece poi serio, stringendosi nelle spalle.
    “Scusami se ti do addosso a volte. È nella mia natura rompere le palle alla gente, soprattutto alle persone a cui... mh tengo” disse “Però anche se dici di non odiarmi, il più delle volte sembra che sia così e sei particolarmente astiosa ancora prima che io ti rivolga parola. Non mi aspetto di poter avere con te lo stesso rapporto che avevamo prima... ma almeno che possiamo cercare di andare d’accordo”
    Le lanciò un’occhiata di sbieco. “E poi, sai... non so leggere la mente e con la legilimanzia non fa per me, come faccio a capire quando ‘non è giornata’? Dovremmo stabilire un segnale per quando ci incrociamo nei corridoi. Tipo, non so, mi fai il dito medio appena mi vedi, così capisco che sei di cattivo umore e giro alla larga”
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    Probabilmente non c'era stato un momento, fin da quando si erano infilati in quello stupido sgabuzzino, in cui non aveva pensato che tutta quella faccenda era un'idea davvero pessima.
    Era difficile pensare diversamente nel sentire il corpo di Pressley così rigido e rendersi conto di essere a propria volta teso, così teso che sarebbe potuto sobbalzare al primo sussurro.
    Il punto era che non si sentiva teso per se stesso, aveva sempre visto il sesso con un bisogno meramente fisiologico, non aspirava ad una prima volta romantica o da film - anche se di certo non l'avrebbe mai scelto di farlo in uno stanzino per le scope -, tuttavia la sua preoccupazione era rivolta alla Jackson.
    Per quanto lei avesse insistito sul fatto che non le importava niente di dove e come avrebbe perso la verginità, Reid temeva che potessero essere solamente scuse. Il che lo riportava a chiedersi perché la ragazza ci tenesse così tanto a farlo.
    Di certo non perché lui le piacesse così tanto, questo era certo: si erano detestati fin dall'inizio, difficilmente trovavano una parola carina da rivolgersi a vicenda e lei gli aveva detto chiaramente di non voler essere baciata.
    Quindi era davvero determinata solo a perdere quella stupida verginità, come se poi ci fosse una scadenza per doverlo fare.
    A quel punto a Reid sembrò che niente fosse più minimamente eccitante, nonostante il suo corpo stesse rispondendo al tocco dell'altra.
    Non c'era più gusto nel tastarle il seno, né tanto meno nel vedere il suo corpo semiscoperto. Anzi, per un istante provò disgusto nei propri confronti.
    E si sarebbe fermato se non gli fosse sembrato ormai troppo tardi, se non si fosse sentito troppo codardo a tirarsi indietro, ma soprattutto se non fosse stato attratto all'idea di fare sesso.
    Perché per quanto potesse sentirsi in colpa, era pur sempre un sedicenne, con un bel carico di ormoni ribelli e Pressley era... beh era bellissima.
    E non era solo quello, era scaltra, intelligente e sapeva tenergli meravigliosamente testa.
    Decise quindi di non fermarsi, ma smise di baciarne la pelle, smise di starle troppo vicino, troppo addosso, e non la guardò nemmeno.
    Almeno finché non la sentì un po' cedere sotto le sue attenzioni. Non poteva certo dire che si fosse rilassata, ma sembrava ora meno rigida.
    Fu colto di sorpresa quando Pressley prese l'iniziativa - e forse il coraggio - di tirargli giù gli indumenti, ma per qualche motivo il gesto lo fece sentire a disagio, tuttavia la sensazione del suo tocco lo fece rabbrividire di piacere e quasi sobbalzò quando lei gli disse che poteva andare.
    Con fare nervoso afferrò il pacchettino che lei gli aveva lasciato poco prima. Benissimo, erano praticamente al punto di non ritorno e lei continuava a sembrare determinata ad andare fino in fondo. Il pacchetto con il preservativo gli sfuggì dalle mani, quando provò ad aprirlo. Soffocando un imprecazione tra i denti, lo riprese al volo, con fare impacciato.
    "Ok... non mi guardare mentre lo metto però" le soffiò, crucciandosi. Certo poi che lei stesse guardando ovunque ma non nella sua direzione, armeggiò con il pacchetto, riuscendo ad aprirlo senza danni.
    "Bene... umh vado..."
    Perché sentisse il bisogno di avvertirla in quel modo non gli fu chiaro. Sapeva solo che si sentì particolarmente stupido nel farlo e dunque tacque nell'avvicinarsi di nuovo a lei. Un miliardo di dubbi sorsero nella sua mente mentre annullava ogni distanza tra loro: e se il suo amico avesse fatto cilecca proprio in quel momento? O se le avesse fatto troppo male? Se lei non avesse sentito niente?
    Tale era l'ansia che non si rese nemmeno conto di essere arrivato dritto alla meta, ma lo capì quando sentì l'esclamazione di dolore di Pressley ed il pugno della ragazza lo colpì con violenza ad una spalla.
    "Cazzo, Jackson!" sibilò. Non era proprio il momento, né la posizione più giusti per iniziare a litigare, per cui si morse la lingua ed attese, immobile, che lei fosse più tranquilla.
    Non fu una grande prestazione, doveva ammetterlo. Durò anche meno di quanto si fosse aspettato, il che lo imbarazzò alquanto, e lo fece sentire in colpa per il fatto che lei invece sembrò non essersi goduta affatto quanto accaduto.
    Lui invece, almeno fisicamente, se l'era goduto, ma non con la testa. No, il piacere fisico, quello che lo aveva lasciato senza fiato e con il volto particolarmente accaldato, non compensava minimamente i sensi di colpa che lo stavano divorando.
    Certo, avrebbe potuto dare la colpa al nervosismo, alla posizione scomoda, all'impazienza data dalla prima volta. Ma no, attribuì la colpa unicamente a se stesso. Non la guardò, non parlò nemmeno mentre si ricomponeva e tirava su i pantaloni. Poi si lasciò andare ad un sospiro frustrato.
    "Senti, mi dispiace, Jackson! Io te lo avevo detto!" esordì poi, incapace di rimanere zitto troppo a lungo. "Mi sarei dovuto fermare prima di arrivare fino a questo punto... io sono un idiota. E' colpa mia, avrei dovuto usare un po' di buon senso ed invece me ne sono approfittato e ha fatto tutto schifo"
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    La situazione si stava rivelando più assurda di quel che aveva creduto. Se avesse saputo che le cose sarebbero andate a finire in quel modo, di certo non si sarebbe presentato lì quella notte. In effetti non avrebbe dovuto farlo a prescindere, se solo avesse voluto seguire un po’ di buon senso. Il problema era che Reid di buon senso non ne aveva affatto.
    E forse, ma solo forse, non si sarebbe sentito a posto con la coscienza all’idea che avrebbe potuto lasciare Pressley in quell’aula, da sola ad aspettarlo inutilmente.
    Quindi ecco, era lì in quella situazione assurda che sembrava essere sul punto di trasformarsi in uno dei loro soliti incontri, data l’acidità della Jackson, una cosa che stava irritando non poco Reid.
    LEI aveva preteso di usarlo per sbarazzarsi di una verginità che a quanto pareva le era scomoda, LEI si era impuntata, era quasi arrivata ad implorarlo, e poi metteva su tutte quelle regole ridicole, ed aveva il coraggio di prendersela se lui rispondeva in maniera ironica.
    Stava quasi per dirle che ne aveva abbastanza e che avrebbe levato le tende in quell’esatto istante, quando lei incredibilmente si scusò.
    Certo, le sue scuse vennero accompagnate da un’altra buona dose di acidità, ma era sempre meglio di niente. Reid sbuffò, alzando gli occhi al cielo.
    Quando la vide sfilarsi la camicia, sentì la gola seccarsi di colpo. Istintivamente avrebbe distolto lo sguardo, per poi ricordarsi, nel momento in cui stava per farlo, che erano lì per fare sesso, lei si stava volutamente spogliando davanti a lui e sarebbe stato da idioti non guardare, no?
    Con la lingua incollata al palato ed il cuore che iniziava a galoppare in modo folle, passò in rassegna ogni singolo centimetro della parte scoperta di Pressley e non poteva di certo essere biasimato per quello, non aveva mai visto una ragazza nuda dal vivo, prima di allora. Era così preso da lei, da quel vitino affusolato e la pelle dal colore caldo, da non essere nemmeno dispiaciuto per il fatto che non si fosse tolta il reggiseno. Solo in un secondo momento notò i segni che le marcavano le braccia, ma si trattenne dal fare domande, seppur ne sorsero parecchie a quella vista.
    Poi lei ebbe quella reazione alla sua confessione e di nuovo provò il desiderio di andarsene.
    “Ssshhh!” la rimbeccò quasi temendo che qualcuno avesse potuto sentirla “Sì, sono vergine, perché ti sorprendi tanto?”
    Eppure Reid era certo di non avere affatto l’aria di uno che ci dava dentro con le ragazze, soprattutto perché non parlava praticamente con nessuna di loro in quella cazzo di scuola. Certo, si era frequentato con Helena, ma le cose non erano andate esattamente per il verso giusto.
    “Oh sì, sarà una passeggiata, soprattutto se nessuno di noi due ha alcuna esperenzia in campo” replicò con la sua solita ironia.
    Aveva notato che quando era nervoso, però, non gli riusciva tanto bene come quando era perfettamente in se.
    E sì, in quel momento si sentiva particolarmente nervoso. C’erano tante cose su cui avrebbe potuto fare lo sbruffone, per la sua giovane età aveva un gran cervello e conosceva cose di cui i suoi coetanei ignoravano l’esistenza. Ma messo davanti il fatto che stava per fare sesso per la prima volta... beh persino lui si sentiva insicuro in quel caso.
    Il fatto che lei gli avesse poi posto così tanti divieti non aiutava, ma si sentiva ormai ad un punto in cui non si sarebbe potuto tirare indietro.
    Oltretutto fu abbastanza umiliante rendersi conto di essere rimasto impalato davanti a lei, senza fare niente, e che era stata infine Pressley a prendere l’iniziativa, attirandolo a sé e slacciandogli i pantaloni.
    “Wo... ok...” fu un debole tentativo di dirle di andarci piano, ma quando la mano della Jackson si infilò proprio lì, perse ogni capacità di intendere e volere.
    Inspirò, trattenendo poi il fiato, ed avvertì un fiotto di calore salirgli al viso. Quindi faceva sul serio, era arrivata a tanto!
    “C-così va bene” sussurrò “Certo, dentro le mutande piuttosto che sopra sarebbe meglio, ma non pretendo tanto...”
    Capì che avrebbe dovuto fare qualcosa, piuttosto che stare lì immobile, se non voleva che la situazione diventasse ancora più impacciata di quanto non lo fosse in quel momento, oltre che imbarazzante. Non che questo gli stesse impedendo di sentire qualcosa, chiaramente, anzi una reazione c’era stata non appena la mano di Pressley si era posata lì. D’altronde... era la prima ragazza a toccarlo in quel modo, l’idea era ovviamente eccitante.
    Certo, adesso doveva decidere che cosa farsene delle proprie mani ed era difficile prendere una decisione in quel modo, perché tutte le sue attenzioni si stavano concentrando sul suo bassoventre e su ciò che stava provando lì. Alla fine decise di metterle sulle coppe del reggiseno di Pressley. Beh non aveva detto niente riguardo il toccare, quindi dedusse di poterlo fare e sì, stava toccando il seno di una ragazza per la prima volta, ok non completamente scoperto, ma come primo approccio poteva accontentarsi. Con le labbra cercò la pelle liscia del suo collo. Aveva capito il messaggio forte e chiaro: non voleva essere baciata sulle labbra. Il che non significava che lui non potesse lasciarle una scia di baci sul collo, per poi scendere sulla spalla, lentamente e con un’attenzione quasi maniacale. Forse lei voleva togliersi il pensiero in fretta, ma lui non vedeva perché non avrebbe dovuto tentare di farle provare un po’ di piacere. Lo aveva trascinato in quell’assurdità, forse sarebbe stato un disastro totale, ma un tentativo si poteva sempre fare.
    E dunque, dopo una bella strizzatina al petto di Pressley – chiaramente per il bene della ragazza, mica perché lui doveva assolutamente farlo – trovò il coraggio di scivolare più giù con una mano.
    Certo, c’era una certa esitazione mentre scivolava con le dita sotto la sua gonna e ancor di più mentre si apprestava a scivolare oltre il bordo della sua biancheria intima – sì, perché lui era di certo più generoso e non si sarebbe fermato sopra – ma andò fino in fondo alla propria decisione, oltrepassando quella sottile barriera.
    “Umh... anche tu, dimmelo se lo faccio nel modo sbagliato”
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    Di cazzate, nel corso degli anni a Durmstrang, ne aveva fatte.
    Non aveva mai temuto di essere beccato, né le punizioni, e sì, era anche uscito dal dormitorio dopo il coprifuoco.
    Ma in quel momento, per qualche strana ragione, si sentiva particolarmente nervoso nel trovarsi lì, in quello sgabuzzino, con Pressley, e con il rischio di essere scoperti da qualcuno di ronda.
    Forse perché la situazione era fin troppo ambigua - o magari solo perché lui sapeva che fosse ambigua - ed in un certo senso non voleva rischiare che si spargesse chissà quale voce per il castello.
    Non tanto per se, ma per Pressley. In quella stupida società maschilista lui probabilmente sarebbe passato come l'eroe che lo aveva fatto in piena notte in uno sgabuzzino, ma Pressley... lei era una ragazza, non avrebbe riscontrato solidarietà da nessuna delle due parti: né quella femminile, né quella maschile. Non aveva alcuna intenzione di permettere una cosa del genere.
    Eppure lei non sembrava toccata dalle stesse preoccupazioni, probabilmente non aveva nemmeno pensato ad un'eventualità del genere. No, lei era la solita testarda, quella che aveva deciso una cosa e doveva portarla fino in fondo, anche se significava fare sesso in un cazzo di sgabuzzino.
    Reid quasi non credette alle proprie orecchie quando la Jackson dichiarò che lo avrebbero fatto lì.
    "Vuoi scherzare?" replicò guardandosi attorno e storcendo appena il naso.
    In tutto ciò, lei si era forse chiesta cosa ne pensasse lui di quella storia? Perché non sembrava le importasse molto, il che fece sentire il Drayton quasi sfruttato. Forse avrebbe dovuto imporsi di più quella mattina e non darle la possibilità di trascinarlo in una situazione del genere. E forse si sarebbe dovuto impuntare in quel momento per impedire che una cosa tanto assurda accadesse, ma doveva ammettere che anche una parte di lui era attirata all'idea di togliersi quello stupido pensiero della verginità una volta per tutte.
    Certo, a quelle condizioni aveva un po' di remore a farlo.
    La osservò sedersi su una piccola pila di scatoloni impolverati, guardandola come se fosse stata una folle.
    Ascoltò le sue condizioni e quasi rise. "Beh, c'è qualcosa che posso fare, per caso?" la rimbeccò "A questo punto sei sicura che possiamo fare sesso nel modo classico? O vuoi che usi la forza del pensiero? Perché dovrei avvicinarmi parecchio per... insomma per quello"
    Quasi controvoglia, afferrò il pacchetto contenente il preservativo che la ragazza gli stava porgendo, poi sospirò dopo le sue ultime parole.
    "Senti, Pressley..." non la chiamava mai per nome, o quasi mai "Sei sicura? Voglio dire, mi sembra tutto piuttosto assurdo. Ci saranno sicuramente altre occasioni per farlo... magari lo farai con qualcuno da cui vuoi essere toccata, baciata e spogliata"
    Un ultimo tentativo, probabilmente inutile, di farla ragionare e forse per dare anche a se stesso la possibilità di tirarsi indietro. Certo, avrebbe potuto farlo comunque, nessuno gli vietava di uscire di lì e tornare nel dormitorio e dimenticarsi di quella richiesta, ma per qualche motivo non riusciva a farlo. Forse perché temeva di umiliarla, forse perché accontentare lei significava accontentare anche un proprio desiderio, o forse non era poi così capace di tenerle testa come credeva.
    "Ok se proprio vuoi andare fino in fondo... sappi che così lui" indicò con un gesto vago il cavallo dei propri pantaloni "non collaborerà mai. Ti assicuro che la situazione è più imbarazzante che eccitante... e comunque un po' di preliminari farebbero bene anche a te... credo faccia meno male, non lo so. Io... io ne so quanto te, sinceramente!"
    E con quella ammissione, per un secondo, abbassò lo sguardo per poi riportarlo frettolosamente nel suo.
    "Posso... posso baciarti io? Non sulla bocca, se non vuoi"
  8. .
    Sentì inizialmente solo una serie di blablabla inutili.
    Con la mente era già lontano, nella Sala Grande, a mangiare la solita colazione triste che offriva Durmstrang.
    L'avrebbe ignorata e tirato dritto, ma per qualche motivo non riuscì a farlo. Sì, Reid era sempre stato un gran bastardo, aveva avuto poca premura per la Jackson nel corso degli anni, ma sentirla parlare in quel modo, sentire la sua supplica, in qualche modo gli fece fare retromarcia.
    Ignorarla in modo così spudorato, in quel momento, sarebbe stato davvero da infami.
    Lui lo era, ma non voleva essere quel tipo di infame. C'era quasi una richiesta di aiuto, tra quelle righe.
    Eppure era restio ad accettare. Se Pressley si sentiva sola, se c'era qualcosa, un vuoto, nella sua vita che la spingeva a credere che sarebbe stata meglio facendo sesso, lui non voleva alimentare quell'idea folle.
    "Farmi venire adesso tutti questi scrupoli? Chi credi che io sia? Me li sarei fatti anche un mese fa o l'anno scorso" replicò piccato.
    Lo credeva davvero una persona capace di approfittare di un tale momento di debolezza di un'altra? Non che avesse mai dubitato che Pressley avesse una pessima opinione di lui, ma così era davvero, davvero pessima.
    "Ah non sono il primo che passa, davvero? Mi stai dicendo che sono qualcuno che conta nella tua vita?" la beffeggiò, con un sorriso di scherno.
    Ma non lo trovò più così divertente nel sapere che non c'era nessun altro a cui lei rivolgesse davvero parola nel castello. Certo, nemmeno Reid aveva amici, ma non se ne era mai fatto un cruccio, né sarebbe mai andato a chiedere alla Jackson qualcosa con tale disperazione.
    Ma no, non la stava biasimando, né si sentiva nella posizione di farlo.
    Amava fingere di essere su un piedistallo da cui giudicava tutti gli idioti che lo circondavano, ma con lei... Pressley era una dei pochi lì dentro che riteneva al proprio livello. Se solo lei avesse capito che tutti gli insulti che le rivolgeva erano per quel motivo.
    "Senti, facciamo così. Se davvero ci tieni così tanto, ci vediamo a mezzanotte nell'aula di trasfigurazione, nei sotterranei. Così avrai tutto il giorno per pensarci ed eventualmente cambiare idea. Se ti presenterai, allora ok, facciamo come vuoi tu. Altrimenti, non chiedermelo più" concluse e senza darle tempo di replicare, la sorpassò, marciando verso la Sala Grande.

    La scelta dei sotterranei non era stata delle migliori. Se per tutto il castello il freddo era quasi insopportabile, là sotto era anche peggio. Non poté fare a meno di pensare che si sarebbe gelato le palle, se davvero la Jackson si fosse presentata e se davvero fossero andati fino in fondo. Continuava ad essere certo che lei avrebbe battuto in ritirata, tuttavia, per cui poteva stare tranquillo in un certo senso.
    Si mosse con circospezione per i corridoi, stando ben attento a non incrociare nessuno di ronda. Solitamente i sotterranei venivano abbandonati a se stessi, quindi c'era meno rischio di essere beccati, ma comunque una piccola percentuale di finire nei guai c'era.
    Forse per questo, nell'udire dei passi lungo il corridoio, istintivamente si nascose dietro una colonna, ma quando riconobbe nella figura di passaggio, proprio la Jackson, tirò un sospiro di sollievo, uscendo allo scoperto.
    "Puntualissima, non posso crederci. Quindi vuoi proprio andare fino in fondo" bisbigliò puntiglioso, affiancandola.
    Non mancava molto all'aula di trasfigurazione, ma a quel punto un'altra eco di passi, lo fece allarmare più della prima volta. Adesso aveva la certezza che si trattasse di qualcuno di ronda.
    Afferrò il braccio di Pressley.
    "Presto, entriamo in questa stan... za..."
    Non era una stanza, era un piccolo e stipato sgabuzzino delle scope. Ormai era troppo tardi per tornare indietro, per cui, dopo avervi spinto la Jackson dentro, Reid richiuse la porta alle loro spalle.
    "Fantastico. Accogliente. Suppongo che il tuo piano vada in fumo a questo punto"
  9. .
    Avanzava lungo il corridoio con le mani in tasca, la testa alta, le mani in tasca e la solita aria tronfia. Pensava a come avrebbe potuto rovinare l'ennesima giornata agli insegnanti e quale punizione gli avrebbero affibbiato questa volta. Doveva ammettere che iniziavano a peccare di originalità, alcune delle punizioni ormai si ripetevano ciclicamente.
    Quando vide la Jackson, dall'altro lato del corridoio, andargli incontro, fu quasi tentato di cambiare rotta e cercare di seminarla.
    Non si sentiva particolarmente in vena di battibeccare, non che gli mancasse la solita arroganza, non era nemmeno giù di morale, ma si sentiva in qualche modo... spento.
    Il freddo era arrivato presto in quel posto di merda in cui si trovava Durmstrang, la neve aveva ricoperto ogni cosa, il lago era ghiacciato e in quel fottuto castello non c'era nemmeno l'ombra del riscaldamento, un motivo in più per detestare quella fottuta scuola.
    Reid stesso iniziava a perdere colpi e le sue iniziative di ribellione scarseggiavano sempre più. Voleva solo resistere fino a Natale e poi andarsene finalmente a casa in Scozia per le vacanze, da suo padre, Alexander e Kieran, gli unici della famiglia che ancora gli rivolgessero parola. Effettivamente non era una bella prospettiva, ma era di sicuro meglio di Durmstrang.
    Dunque, tornando a quella mattina, qualcosa lo spinse a non evitare Pressley, sperando di non pentirsene.
    "Ehi Jackson" rispose al saluto con voce strascicata, quasi atona "Un favore di prima mattina? Sono forse tuo amico?"
    Certo, le cose erano state un pochino diverse da quel giorno in cui si erano parlati quasi come due persone civili, ma nonostante ciò si insultavano ancora pesantemente quando si incrociavano per i corridoi. Adesso lei voleva un favore. Fantastico. Quale sarebbe stato il prossimo passo? Chiedergli di diventare migliori amici?
    Poi lei se ne uscì con quella cosa del sesso. Reid dovette fare uno sforzo immane per rimanere serio.
    "Buon per te" le rispose domandandosi per qualche motivo lo stesse dicendo proprio a lui.
    Poi lei aggiunse quel dettaglio non richiesto sulla sua verginità.
    "Dovrebbe importarmene qualcosa? Non capisco"
    Forse aveva puntato qualcuno dei ragazzi. Magari stava per chiedergli di farla sgattaiolare di nascosto nel dormitorio per incontrare suddetto ragazzo. O forse...
    "Io cosa?" quasi lo urlò lì in mezzo al corridoio semi deserto, preso in contropiede. "Stai scherzando? E' uno scherzo, eh. Simpatica, Jackson, davvero simpatica"
    Ma lei faceva sul serio. Maledettamente sul serio. E Reid non riuscì a nascondere la sorpresa, seguita dalla confusione e poi di nuovo dalla sorpresa, insieme ad una buona dose di shock.
    Gli stava chiedendo di fare sesso. Così, dal nulla. Perché proprio a lui?
    "Nah" fece, quando si fu ripreso dallo shock iniziale, scuotendo la testa con più veemenza di quanta volesse mettere. "No, tu non vuoi fare sesso con me, Jackson. Non so da dove ti venga questa idea e nemmeno capisco il motivo, ma credimi, non vuoi. Anzi, non vuoi proprio darla via così, al primo che capita, te ne pentiresti"
    Ne era certo, perché era una ragazza e le ragazze tenevano troppo a questa stronzata della verginità e del farlo per la prima volta con il vero amore e tante altre belle cose. Già se la vedeva, a piangere subito dopo averlo fatto, magari avrebbe anche dovuto consolarla, no? No. Non si sarebbe infilato in un mare di stronzate perché lei si era svegliata quella mattina decidendo che doveva fare sesso.
    "La reclusione a Durmstrang ti ha fottuto il cervello" aggiunse.
    E anche piuttosto sconsiderata, probabilmente metà della popolazione maschile lì dentro non si sarebbe fatta scrupoli ad accettare, a differenza di Reid che, per quanto trovasse la proposta allettante - era un sedicenne con gli ormoni in subbuglio e Pressley era oggettivamente una bella ragazza -, non se la sentiva di accettare una cosa del genere. Prima di tutto perché gli sembrava irrispettoso nei confronti della Jackson e poi perché la totale inesperienza che lui stesso aveva lo frenava: sarebbe potuto essere un completo, totale disastro.
    "Ti do un consiglio: lascia stare. E non ci pensare nemmeno a chiederlo a qualcun altro. Questi idioti si approfitterebbero di te ad occhi chiusi"
  10. .
    “Perché devo stare in questa scuola del cazzo, quindi non posso allontanarmi forse?”
    E difatti lo aveva detto precedentemente: se potessi. Se avesse potuto certo che sarebbe stato lontano da lì il più possibile. Certo che sarebbe stato lontano da lei per non doverla vedere ogni giorno e pensare a quello che c’era stato e che non poteva esserci di nuovo.
    L’orgoglio di Reid era certamente grande, spropositato, ma quando si trattava di Helena veniva meno e nemmeno lui poteva evitarlo, perché era certo che se lei fosse tornata indietro sui propri passi lui l’avrebbe riaccolta senza battere ciglio.
    Idiota. Stupido idiota.
    Poi lei nominò indirettamente Pressley e lui non poté fare a meno di chiedersi il perché. Insomma, li aveva visti insieme, quello era sicuro, e se li aveva notati voleva forse dire qualcosa?
    Speranza. Che sentimento stupido. Simulò ovviamente una certa indifferenza, quasi strafottenza.
    “Ma chi ti si avvicina. Il mondo non gira intorno a te, sai?”
    Avrebbe continuato volentieri a schernirla se non fosse accaduto l’inevitabile con quel fottuto Schiopodo.
    Lasciò che lei lo trascinasse lontano dal gruppo delle creature e si appoggiò alla prima cosa che trovò.
    “Oh sì, lo avevo programmato sai?! Sapevo che c’era un maschio tra loro, mi ci sono avvicinato apposta” la rimbeccò più con rabbia che sarcasmo.
    Abbassò lo sguardo e si lasciò sfuggire un verso contrariato e rabbioso alla vista del sangue. Non si sentiva in punto di morte, di questo era certo, ma adesso non solo il polpaccio, ma tutta la gamba gli sembrava andare in fiamme. Il veleno doveva viaggiare abbastanza velocemente, ma se fosse stato mortale se ne sarebbe reso conto subito probabilmente. Gli schiopodi erano animali insulsi, era certo che non potessero uccidere in quel modo.
    “Fai piano!” sbottò quando lei gli afferò la gamba tra le mani “E risparmiami le battute adesso, ti prego!”
    Si scrollò dalla sua presa. Grosso errore, il dolore gli fece serrare gli occhi e soffocare un’imprecazione tra i denti.
    “Li ammazzo tutti. Giuro che lo faccio. Entro in quella maledetta scuola e li uccido a mani nude”
    Non sapeva esattamente a chi si stesse riferendo, se i professori, il preside o entrambe le cose. Più probabile la seconda però. Sentiva il bisogno di sfogare quell’istinto omicida in qualche modo. Maledetta Durmstrang. Maledette le sue regole medievali.
    “Fanculo, usciamo di qui. Non resto un secondo di più e nemmeno tu”
    Si trascinò zoppicando fino al cancelletto e lo spalancò, invitando Helena ad uscire per prima. Lo richiuse dietro di se senza nemmeno assicurarsi che fosse ben serrato. Non gli importava se gli schiopodi fossero fuggiti e avessero iniziato ad aggredire chiunque.
    “Devo andare in infermeria...” mormorò, prima che una morsa improvvisa allo stomaco lo costringesse a piegarsi in avanti e rimettere tutto quello che aveva mangiato a pranzo.
    Con un’imprecazione si allontanò da quello scempio e dopo solo un paio di passi sentì la gamba cedergli. Quasi cadde di faccia. Un’imprecazione ancora più colorita gli sfuggì dalle labbra.
    Quando fece per muoversi, si rese conto di aver perso sensibilità alla gamba, non poteva muoverla. Ed in quel momento giunse la consapevolezza, una cosa che probabilmente avrebbe dovuto sapere già dai tempi della lezione sugli schiopodi, qualche anno prima.
    “Il cazzo di veleno di quei bastardi paralizza le loro prede, non riesco a muovere la gamba!”
    Picchiò un pugno sul terreno, quasi schiumando di rabbia “Darò fuoco a questa maledetta scuola, lo giuro”
    Si lasciò andare a qualche insulto pesante in greco, nei confronti del preside, degli insegnanti, di chiunque gli venisse in mente.
    “Devo raggiungere il castello prima di paralizzarmi del tutto. Fa qualcosa, trascinami, fammi rotolare, non so, qualunque cosa!”
  11. .
    Era una situazione nuova per entrambi.
    Nessuno dei due, prima di allora, aveva fatto lo sforzo di dialogare in maniera abbastanza civile e fu strano pensare che Pressley fosse stata la prima a farlo.
    Fu ancora più strano realizzare che non gli dispiaceva l’idea di quella tregua momentanea. Forse perché era solo il secondo giorno di scuola e lui ne aveva avuto già fin sopra i capelli di troppe cose.
    Gli piaceva impersonare la parte del menefreghista, di quello che se ne fregava delle punizioni, dell’odio che gli riservavano gli altri studenti o di essere solo.
    Ma a volte, solo a volte, era troppo.
    Per qualche motivo, richiuse il pacchetto quando Pressley gli disse che poteva prenderle tutte. Glielo porse, scuotendo appena la testa.
    “Va bene così, grazie”
    Era finalmente arrivato quel ringraziamente che avrebbe dovuto rivolgerle subito, ma si disse che non poteva essere biasimato se aveva avuto bisogno di qualche minuto per farselo uscire dalle labbra.
    Comunque, per quanto avrebbe amato mangiarsi tutto il pacchetto in un boccone, sapeva quanto fosse difficile procurarsi una tale prelibatezza mentre erano lì a Durmstrang e riconobbe nel gesto di Pressley un grande atto di generosità di cui non avrebbe approfittato.
    “Oh sei stata chiarissima, Jackson” la rimbeccò poi, con tono tuttavia leggero, quando lei si difese dalle sue affermazioni. Era divertente vederla cercare scuse. O magari scuse non lo erano, ma aveva avuto l’idea, per un attimo, che si fosse davvero preoccupata.
    “Scusami, non insinuerò mai più che anche tu potresti avere un cuore e preoccuparti per chi ti circonda”
    Alzò le mani, come in segno di finta resa, un po’ divertito da quell’atteggiamento.
    Strano, in altre occasioni ne avrebbe approfittato per stuzzicarla molto di più, fino a farle perdere del tutto la pazienza.
    Stranamente poi, rise della sua battuta sui libri di fiabe. Rise con del sano divertimento, scuotendo la testa.
    “Mi hai scoperto” disse poi. “In realtà metto la copertina di Platone sulle fiabe di Beda il Bardo. Così sembra che io stia leggendo quello”
    Scosse la testa, ancora divertito, e poggiò il libro sull’erba, tirandosi un po’ in avanti, gli avambracci appoggiati alle ginocchia.
    “Non è così male, comunque. Mia madre mi leggeva sempre le opere degli scrittori greci, quando ero piccolo. Sono abituato”
    Fu strano nominarla e non sentire niente. Nemmeno la più piccola fitta al cuore. Forse perché la rabbia che provava nei suoi confronti era troppa, più di quanto ne sentisse la mancanza.
    “Posso insegnarti se vuoi” propose poi di getto “l’alfabeto intendo... sia in greco moderno che antico”
    Il perché le avesse fatto una tale proposta non lo sapeva nemmeno lui. Avevano passato anni a prendersi in giro a vicenda, a battibeccare, non c’era mai stato un segnale che le cose potessero andare diversamente e non credeva che sarebbero cambiate del tutto da un giorno all’altro.
    Eppure, quel brevissimo dialogo civile che stavano avendo, lo spinse a dire di getto quelle parole.
    “Non ci vorrà molto per impare solo l’alfabeto comunque. Possiamo tornare ad odiarci prima di quanto pensi, non temere”
    Giocherellò con l’angolo della copertina del libro.
    “Comunque... posso chiederti il perché di questo atto caritatevole?”
  12. .
    “Metodi medievali” annuì con finto fare solenne “E’ esattamente ciò che ho scritto al posto del tema. Voglio dire, guardami, sono l’esempio vivente che le punizioni corporali non servono a niente”
    Una delle tante cose che aveva ricriminato alla scuola nel suo scritto. Erano circa duecentocinquant’anni che le punizioni corporali erano diventate obsolete, da quando erano state proibite per la prima volta nel 1783 in Polonia. Ma questo a Durmstrang sembravano non capirlo, così come non capivano che non avrebbero di certo fermato la ribellione di Reid. Più si sarebbero ostinati a trattarlo in quel modo, più lui sarebbe andato loro contro.
    C’era forse una buona dose di follia nell’atteggiamento del giovane ed anche un’abbondante dose di curiosità: voleva vedere fino a dove si sarebbero spinti, quali erano i loro limiti se ne avevano.
    Ma non poteva esprimere ad alta voce quell’idea. Bastava vedere come Pressley si era scandalizzata nel vederlo punito solo il secondo giorno per capire che lo avrebbero preso per pazzo. E forse pazzo lo era davvero.
    Per cui si limitò ad alzare le spalle in risposta alle sue parole, guardandola con la solita aria di strafottenza: una maschera che si era costruito negli anni e che gli stava divinamente ormai.
    “Cosa vuoi che ti dica, Jackson. Alcuni tipi di solletico fanno sanguinare”
    E per l’ennesima volta lei si inacidì e decise di togliere le tende, forse prima di cedere e mollargli un ceffone.
    “Mi spezzi il cuore così” le disse alle spalle mentre lei si allontanava “Buona giornata, Jackson!”

    Riapparve nel pomeriggio. Lo trovò all’ombra di una quercia a leggere Platone. Era stato quasi tentato di non alzare lo sguardo su di lei, quando si era avvicinata, non per un motivo particolare ma solo per irritarla un po’.
    Aveva però sentito il rumore di una busta di plastica e ne era stato troppo incuriosito per poter far finta di niente. Notò il pacchetto di caramelle, accompagnato dalla frase della Jackson, ed aprì la bocca per uscirsene con qualche battuta velenosa. Forse per smorzare la sorpresa che lo aveva colto ancora una volta. Lei lo interruppe prima ancora che potesse emettere alcun suono.
    Dopotutto non aveva torto, così richiuse la bocca ed afferrò un paio di caramelle dalla busta.
    Stentava a credere che gliele avesse davvero portate. Aveva battuto la testa quel giorno? Era la seconda volta, da quella mattina, che in qualche modo si mostrava gentile con lui. La cosa lo turbava un po’. Sembrava turbata anche lei, chissà da cosa però.
    “Mh...” abbassò lo sguardo sulle mani fasciate e si portò una caramella tra i denti “Un po’ sì” ammise. Avrebbe potuto continuare la propria farsa, specialmente davanti a lei, ma per qualche motivo la Jackson aveva riposto l’ascia di guerra e si sentì in dovere di fare lo stesso. Sperava solo che non fosse una cosa permanente.
    “Iniziano a prudere, più che altro, e la pelle a tirare” scrollò “Non importa, passerà. Passa sempre”
    Si rilassò appoggiandosi al tronco dell’albero con la schiena e prese qualche altra caramella.
    “Grosso errore portare tutto il pacchetto, Jackson. Non riuscirò a smettere di mangiarle, sai?” l’avvertì.
    Sì, avrebbe dovuto ringraziarla, lo sapeva bene. Gli ci voleva solo del tempo per mettere da parte l’orgoglio, non era abituato a certi atti di gentilezza. O di carità. Per un attimo l’idea che lei potesse averlo fatto per pena gli fece storcere il naso e provare la voglia di cacciarla via. Cazzo, non gli serviva la carità di nessuno. Ma qualcosa gli impedì di farlo, non trovò il coraggio.
    “Non devi preoccuparti per me, comunque” disse solamente in un borbottio contrariato “Mi piace di più quando mi odi e mi insulti, almeno so che sei normale in quei momenti. Così invece... beh mi fai impensierire”
    E sì che lei aveva detto di non fare battute, ma fu più forte di lui. E comunque non c’era scherno né tanto meno cattiveria nella sua voce. Ma solo un patetico tentativo di alleggerire un po’ l’imbarazzo che improvvisamente provava.
    “Posso ricambiare leggendoti Platone. Direttamente dal greco antico. Una proposta allettante a cui non puoi proprio dire di no”
    E fece una cosa inaudita, una cosa che a malapena faceva in presenza di Alexander o Kieran: le sorrise appena. Impercettibilmente, ma lo fece.

  13. .
    Si chiese se Helena fosse sempre stata così melodrammatica o se aveva seguito un corso speciale negli ultimi tempi.
    Ma doveva ammetterlo, era davvero brava a lamentarsi, ma soprattutto a fare tragedie sul nulla. No, non avrebbe mai creduto all’allergia agli schiopodi, soprattutto non a quelli che non avevano un punglione con cui colpirti.
    Per cui alzò gli occhi al cielo, quando lei incalzò con quella storia, e fece un gesto vago nella sua direzione.
    “Ho fatto il corso di primo soccorso. Non ti lascerò morire, Helena, non temere” le sorrise affabile e con una certa arroganza.
    Comunque doveva esserci qualcosa nell’aria perché era decisamente isterica quel giorno. Va bene che aveva sempre avuto un certo caratterino ed oltretutto era ancora nervosa dal recente litigio e per via della punizione, ma a volte esagerava.
    E a dirla tutta... non che questo lo infastidisse più di tanto. Era uno dei tratti di Helena che gli erano sempre piaciuti. O forse semplicemente perché gli era sempre piaciuto tutto di lei.
    Adesso non lo avrebbe ammesso nemmeno sotto tortura, ma c’era stato un tempo in cui glielo avrebbe ripetuto ogni giorno.
    Divertito, osservò la sua reazione quando si ritrovò con la lucertolina tra i capelli, e per miracolo schivò il guantone che gli aveva lanciato, abbassandosi in tempo.
    “Che esagerata, è solo una lucertola. Avrei potuto scegliere uno di quei ratti orribili, ritieniti fortunata”
    Scuotendo la testa, afferrò uno dei secchi con l’acqua e la spugna. Gli si rivoltava lo stomaco all’idea di pulire quei maledetti cosi, ma neanche questo lo avrebbe detto mai ad alta voce, soprattutto davanti ad Helena.
    “Stai calma. Prima non volevi muovere un dito ed ora mi metti fretta”
    Poi si lasciò andare ad una risata forte a seguito dell’ultima affermazione di lei.
    “Non posso fare a meno di starti appiccicato? Se potessi sarei a mille miglia lontano da qui e da te”
    Di nuovo alzò gli occhi al cielo, avvicinandosi alle bestiole immonde.
    “Ti conviene distrarle con il cibo, eh. Puoi rimanere distante almeno. Non vorrai mica dirmi che vuoi avvicinarti e toccarle, mh? Su, fa la brava, sfamale mentre io do loro una pulitina”
    E poteva considerarlo un gentiluomo, un vero gentiluomo, a fare un tale sacrificio per lei e a darle l’opportunità di non toccare gli schiopodi. Ma figuriamoci se lei avrebbe apprezzato.
    Si chiese se avesse potuto lanciare loro una secchiata d’acqua, da lontano, e fingere di averli puliti. E se avessero sparato scintille in quel momento? Avrebbero fatto reazione con l’acqua?
    “Ok, piccolo figlio di puttana, non carbonizzarmi” mormorò tirando fuori lo straccio dal secchio pieno d’acqua e avvicinandosi con cautela ad uno degli schiopodi. Neanche il tempo di posarglielo sulla corazza disgustosa, che un dolore insopportabile al polpaccio gli fece fare un salto indietro.
    “Ma che cazzo...”
    Istintivamente sospinse Helena indietro, per farla allontanare il più possibile dalle creature.
    “Mi ha punto!” esclamò poi osservando il buco sui pantaloni della divisa ed il sangue che li macchiava. “Allora non sono tutte femmine. Che figli di...”
    Iniziava a bruciare più di quanto avesse immaginato, il dolore gli strappò una smorfia contrariata.
    Lanciò un’occhiata ad Helena. “Il veleno degli schiopodi non uccide, vero?”
  14. .
    Avrebbe voluto fingere di non vederli, che non esistessero. Era andato lì con l’intenzione di godersi davvero la festa, magari trovare qualche ragazza con cui fare amicizia – insomma, quella Seline era davvero davvero notevole, una che non avrebbe mai voluto farsi sfuggire, nemmeno se supponeva di non avere un briciolo di speranza con una così - ma il suo sguardo continuava a cercare Helena ed inevitabilmente finiva su quell’idiota che si era portata dietro.
    Li vide discutere, da quella distanza non poteva sentire cosa si stessero dicendo, ma era chiaro che nessuno dei due fosse contento.
    Si ritrovò a storcere il naso nel vederlo afferrare il braccio di Helena e per un momento, un solo momento, si sentì sul punto di intervenire, per quanto fosse consapevole che non erano affari suoi, che Helena non lo considerava più da molto tempo ormai e che probabilmente nemmeno lei stessa lo avrebbe voluto tra i piedi. Poi la vide liberarsi dalla stretta. Sembrava fuori di se.
    Una parte di lui avrebbe voluto goderne, ma non poté fare a meno di avvertire un velo di preoccupazione quando lei afferrò una bottiglia e partì come una furia.
    Gli passò accanto, lo colpì con una spallata e per un attimo i loro sguardi si incrociarono.
    “Umh... scusami, devo fermarla. È pazza, chissà cosa sta andando a fare” disse a Seline.
    Mollò il bicchiere vuoto al primo malcapitato che gli passò accanto e partì all’inseguimento di Helena.
    Era già fuori dalla sala, quando la raggiunse, aveva mangiato diversi metri di un corridoio debolmente illuminato da lussuose applique.
    “Wo wo dove vai così di corsa, mh?”
    La affiancò ma non si azzardò a sfiorarla.
    “E che intenzioni hai con quella? Non vorrai scolartela tutta? Ho sentito dire che il coma etilico è davvero una brutta cosa”
    Gliela strappò di mano per poi stapparla e tracannare un lungo sorso. Storse il naso non appena l’alcool gli bruciò la bocca e la gola. “Almeno condividi” commentò, restituendogliela e parandosi davanti a lei per arrestare la sua avanzata.
    Una cosa che aveva sempre apprezzato di Helena era quanto risultasse ancora più attraente quando era furiosa. Sapeva che poteva essere piuttosto pericolosa in quei momenti, ma non poteva fare a meno di cedere alla voglia di provocarla ancora di più. Un po’ come quando si è affascinati dal fuoco pur sapendo che ci si può scottare se lo si tocca.
    Ma una parte di se avrebbe voluto dirle qualcosa di gentile, qualcosa che magari potesse calmarla, aiutarla a ragionare e persino tornare quello spilungone con cui era alla festa. Non gli piaceva l’idea che rimanesse da sola, incazzata e con una bottiglia di chissà quale super alcolico.
    Invece il cervello lo spinse a fare la cosa più stupida e sbagliata che avrebbe potuto fare in quel momento, qualcosa però che ne avrebbe scatenato una reazione persino peggiore di quella che aveva avuto con il suo accompagnatore. Reid aveva ormai capito da tempo di essere autodistruttivo e che l’esserlo lo avrebbe portato a perdere ogni singola cosa nella vita, ma non poteva fermarsi ogni volta che faceva qualcosa di cui sapeva che si sarebbe pentito. Le sue labbra incontrarono quelle di Helena un secondo dopo. La baciò senza nemmeno toccarla, solamente con le loro bocche l’una contro l’altra. L'unico contatto che si concesse in quello slancio di follia e assurdità.

    Citato Mason.
    Interagito con Seline e Helena.
  15. .
    Pressley Jackson era la solita acidona.
    O almeno così la vedeva Reid, forse perché non l’aveva mai vista con un’espressione diversa da quella immusonita che si portava sempre dietro. Le cose erano due: o faceva quella faccia solo quando lui era nei paraggi o era proprio così.
    In entrambi i casi era certo che non avrebbe mai, e poi mai, visto un sorriso sul volto della giovane.
    Non che a lui interessasse qualcosa, sia ben chiaro, anzi trovava estremamente soddisfacente fare in modo di contribuire al suo malumore. Era divertente.
    Era l’unica cosa divertente che potesse concedersi in quella scuola di merda. Almeno con la Jackson non sfociava mai in nulla di particolarmente violento – certo, lei ogni tanto tirava qualche ceffone bello potente – ma almeno non si ritrovavano a duellare per i corridoi, il genere di cosa che sarebbe invece potuta accadere con Helena.
    Anche in quel caso, Pressley non si smentì, anche se il suo tentativo di liberarsi della stretta di Reid apparve debole e quasi patetica. Strano.
    Tirò fuori il solito repertorio di insulti e fu quello a fargli capire che era tutto come al solito. Aveva quasi temuto che durante l’estate si fosse trasformata in una buona samaritana. Non avrebbe potuto sopportarlo: con chi avrebbe poi battibeccato per il resto dell’anno?
    “Ammettilo che questa faccia di merda ti piace” la punzecchiò.
    Sapeva che, no, a lei non piaceva affatto. Doveva detestarlo così tanto da non rendersi conto di quanto bello fosse, un vero sacrilegio.
    Dopotutto lui aveva ben fatto caso ai lineamenti dolci e piacevoli della ragazza che stonavano terribilmente con quello che era capace di tirare fuori da quella bocca. Più volte le aveva suggerito di lavarsela con il sapone.
    “Uh?” fece poi, confuso dal cambio repentino dell’atteggiamento della ragazza. Insomma, un attimo prima stava cercando di cacciarlo via, come da repertorio, e quello dopo gli teneva una mano tra le sue. Il giovane Drayton la ritirò come se si fosse scottato e portò entrambe le braccia dietro la schiena, incrociandole tra di loro in un gesto vago.
    “Che c’è? Ti preoccupi per me, Jackson? Che tesoro” cercò di stamparsi un ghigno strafottente in faccia, ma la verità era che Pressley lo aveva sorpreso.
    Possibile che le interessasse davvero del fatto che fosse stato punito? E da quando?
    “Beh ho solo suggerito un po’ di idee innovative per rivoluzionare questa scuola di merda, al posto del tema di Storia della Magia. Non hanno gradito” alzò le spalle con fare menefreghista e quasi insolente. Non perché si stesse dando delle arie da studente che non temeva niente, ma era davvero così... aveva visto tutti i tipi di punizioni in quegli anni e quella era forse la più leggera che avesse mai ricevuto. Il che non significava che non temesse le peggiori, ma solo che ci aveva fatto il callo.
    “Non fare quella faccia. Potevano fare di peggio, credimi. Le bacchettate sul dorso delle mani sono niente in confronto ad altre punizioni che danno di solito”
    Parlava da esperto e lo era ormai. E non metteva in dubbio che la Jackson avesse provato sulla propria pelle ciò a cui si riferiva. A suo modo, era una ribelle anche lei. Forse non si esponeva ai livelli di Reid, era sicuramente più cauta, ma anche lei odiava Durmstrang almeno quanto lui. Forse per questo, nonostante i continui battibecchi, non erano mai sfociati in litigi veri e propri.
    Anche se la maltrattava, in fondo Reid la rispettava. Gli piacevano i ribelli. Quelli che non volevano seguire le regole come il resto del gregge di pecore, quelli che non avevano paura di dire come la pensavano. E Pressley era uno di questi.
    “Non ha fatto nemmeno così male. Ho praticamente sentito il solletico” si vantò alzando un sopracciglio. Ma il dolore non era stato poi così sopportabile quando la pelle si era spaccata, il sangue era uscito e il custode aveva continuato ad infierire sullo stesso punto. Ma Jackson che ne poteva sapere.
    “Vuoi darmi un bacino sulla bua per vedere se guarisce più in fretta? Accetto anche qualche caramella per tirarmi su il morale, se ne hai”
    Sporse appena il labbro inferiore, fingendosi triste, un modo per provocarla, ma anche per nascondere la sorpresa che ancora provava per la reazione della ragazza. Gli sembrava che fossero passati secoli dall’ultima volta che qualcuno, in un certo senso, si era preoccupato per lui.
21 replies since 5/8/2020
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