The Republic by Plato

• Pressley

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    “Platone diceva: non inducete i ragazzi ad apprendere con la violenza e la severità, ma guidateli invece per mezzo di ciò che li diverte” dichiarò solenne, mentre avanzava lungo il corridoio semi deserto.
    La sua voce riecheggiò tra le mura fredde e scure del castello e lui allargò le braccia con fare teatrale.
    “In questa scuola non hanno capito un cazzo, allora” aggiunse, sempre a voce alta, come se si stesse rivolgendo ad un pubblico molto attento.
    Un paio di studenti gli lanciarono un occhiata stranita, forse non capendo la citazione, qualcun altro alzò gli occhi al cielo ed alcuni ridacchiarono.
    Lui scosse la testa, non capendo come potessero non prenderlo sul serio. Quella scuola era rimasta ferma al medioevo, ci voleva decisamente una rivoluzione.
    “Non lo pensi anche tu, Jackson?”
    Aveva appena individuato una delle persone a cui dava il tormento con maggior piacere lì a Durmstrang: Pressley Jackson, una ragazza del suo stesso anno che non lo aveva mai preso in simpatia. O forse sì. Doveva ancora capirlo.
    Non che gli importasse qualcosa di ciò che lei pensava. Amava solamente vedere la sua espressione contrita ogni volta che lui le si avvicinava.
    Le mise un braccio intorno alle spalle, come se fossero stati grandi amiconi.
    “Non pensi che in questa scuola di merda non capiscano nulla?” la incalzò.
    Il malcontento di Reid per essere tornato tra le mura di Durmstrang era palese. Un altro anno sotto dittatura, una cosa che un ribelle come lui amava alla follia – notare l’ironia qui -.
    Il banchetto aveva fatto schifo come al solito, il cibo era da vomito come al solito, il preside noioso come al solito ed il programma di studi si era rivelato anche peggio.
    Era solo il secondo giorno e lui si era già beccato una punizione. Le bacchettate ricevute gli avevano fatto sanguinare il dorso delle mani, ma almeno non avevano ricorso alla magia. Avrebbero potuto andarci più pesanti, gli era andata bene, questo lo sapeva. Trovava increscioso non poter scrivere le proprie lamentele sul programma arretrato della scuola, al posto del tema per Storia della Magia. E ancor più increscioso non poter ricorrere al del sano dittamo, ma doversene andare in giro con le mani fasciate. Non che si aspettasse diversamente, funzionava così lì: tutti dovevano vedere cosa accadeva a chi disobbediva.
    “Ti trovo radiosa, comunque sia. Le vacanze devono averti fatto bene” aggiunse “Che bei capelli, non sembrano i soliti vermi che ti pendono dalla testa. Chissà quanto dureranno”
    Doveva pur sfogare la propria frustrazione su qualcuno e la Jackson si prestava alla perfezione.
     
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    Spesso mi sono sentita sola tra le mura di questo inferno formato "castello", ma ho sempre trovato un appiglio a cui aggrapparmi prima che tutto degenerasse all'alba dell'estate appena passata. E adesso mi sembra tutto diverso. E' come se ci fosse un ostacolo insuperabile sul mio cammino e rendermi conto che, indirettamente, ne sono io la stessa fautrice, mi fa stare anche peggio. Devo essere fottutamente sincera con me stessa: non ho superato l'aggressione. Mi sono chiusa in casa per gran parte dell'estate, fingendo di non aver voglia di interagire col mondo esterno ed utilizzando assurde scuse sulla pubertà per giustificare il mio anomalo isolamento. Niente risse di quartiere - un sollievo, per i miei ignari genitori - niente visite agli amici, nessun responso a chi ha provato a cercarmi senza successo. Sono stata da schifo. E sto da schifo anche adesso, perché il ritorno a Durmstrang non è che la ciliegina su una torta di amarezza e panico che mi danno ancora il tormento. Mi sento al sicuro, perché lontana da quella realtà così spietata e violenta, ma ci sono altre minacce da affrontare in questa scuola per snob con l'animo più nero del carbone. Essere una mezzosangue già rinomata per la sua incapacità con la bacchetta ed un atteggiamento da bassifondi che la gente d'élite osserva con disprezzo mi procurerà nuovi grattacapi da affrontare. Ed in tutto questo ho solo una certezza: non posso superarla da sola. E forse è proprio questo che mi spinge a non liquidare l'ennesimo irritante tentativo d'approccio di Reid, quel demente che non mi è mai andato a genio non solo perché ha passato non so quanti mesi a fare il cagnolino sbavante dietro quella vipera della Haugen - non posso sviluppare un giudizio concreto basandomi solo sui suoi pessimi gusti - ma anche per le rispostine saccenti e spesso velate d'acidità che si diverte a rivolgermi, a cui solitamente rispondo con un dito medio, qualche insulto e, nel peggiore dei casi, uno spintone. Niente che sia andato, almeno fino ad ora, oltre certi limiti. Eppure questa volta non riesco a tirarmi indietro. O perlomeno, storco il naso non appena si avvicina a me e poggia il suo braccetto rinsecchito attorno alla mia spalla, ma non sgattaiolo nell'immediato dalla sua presa. Scrollo appena le spalle, in tentativi non così convinti di togliermelo di dosso, mentre gli occhi visibilmente infastiditi si posano sul suo sorrisetto da schiaffi. "Tu invece non sei cambiato di una virgola, Drayton. Hai la stessa identica faccia di merda di sempre." Lo rimbecco, rispondendo senza troppo impegno alla sua irritante considerazione sui miei capelli. Sono così chiusa nel mio dramma - e detta così sembra una realtà esageratamente tragica - da non riuscire neanche ad offendermi per quelli. Ed in effetti, l'acconciatura semplice e ben diversa dalle solite vistose ciocche colorate ed intrecciate ad opera d'arte lasciano intravedere spiragli di quel disagio - spero momentaneo - che mi ostino a mascherare, soprattutto davanti a Reid. "Gira a largo, okay? Non è giornat-..." Nel posare le dita attorno alle sue per liberarmi della sua presa, mi rendo conto delle bende che gli ricoprono i palmi e ne resto visibilmente stupita. "Uoh uoh uoh, che cazzo hai fatto?" Mi metto di fronte a lui, reggendo per qualche secondo una delle sue mani tra le mie, in un gesto inconsulto che gli sto probabilmente rivolgendo solo perché a discapito dell'odio spropositato per tutti gli studenti di questa scuola, ciò che mi fa ancora più ribrezzo sono i metodi che utilizzano per farci rigare dritto. Che branco di psicopatici. "Ma fai sul serio? E' il secondo giorno, che hai combinato?" Non è una ramanzina quella che gli rivolgo e chiaramente non sono preoccupata per le sue ferite, ma per certi versi non posso che concordare col discorso plateale - e ridicolo, di sicuro - che ha pronunciato pochi istanti fa a gran voce. Non condivido il suo modo di fare da uomo vissuto, ma c'è una cosa che ci accomuna sin dall'inizio: l'odio palese per questo castello. In questo momento, sento di avere veramente bisogno di una spalla in questo. "Che scuola del cazzo." Che è poi probabilmente il motivo per cui stavolta, piuttosto che guardarlo con disappunto e girare i tacchi, sono ancora ferma davanti a lui, gli occhi puntati sulle bende, le braccia ora incrociate al busto come per proteggermi. Da cosa, poi, non lo so.

     
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    Pressley Jackson era la solita acidona.
    O almeno così la vedeva Reid, forse perché non l’aveva mai vista con un’espressione diversa da quella immusonita che si portava sempre dietro. Le cose erano due: o faceva quella faccia solo quando lui era nei paraggi o era proprio così.
    In entrambi i casi era certo che non avrebbe mai, e poi mai, visto un sorriso sul volto della giovane.
    Non che a lui interessasse qualcosa, sia ben chiaro, anzi trovava estremamente soddisfacente fare in modo di contribuire al suo malumore. Era divertente.
    Era l’unica cosa divertente che potesse concedersi in quella scuola di merda. Almeno con la Jackson non sfociava mai in nulla di particolarmente violento – certo, lei ogni tanto tirava qualche ceffone bello potente – ma almeno non si ritrovavano a duellare per i corridoi, il genere di cosa che sarebbe invece potuta accadere con Helena.
    Anche in quel caso, Pressley non si smentì, anche se il suo tentativo di liberarsi della stretta di Reid apparve debole e quasi patetica. Strano.
    Tirò fuori il solito repertorio di insulti e fu quello a fargli capire che era tutto come al solito. Aveva quasi temuto che durante l’estate si fosse trasformata in una buona samaritana. Non avrebbe potuto sopportarlo: con chi avrebbe poi battibeccato per il resto dell’anno?
    “Ammettilo che questa faccia di merda ti piace” la punzecchiò.
    Sapeva che, no, a lei non piaceva affatto. Doveva detestarlo così tanto da non rendersi conto di quanto bello fosse, un vero sacrilegio.
    Dopotutto lui aveva ben fatto caso ai lineamenti dolci e piacevoli della ragazza che stonavano terribilmente con quello che era capace di tirare fuori da quella bocca. Più volte le aveva suggerito di lavarsela con il sapone.
    “Uh?” fece poi, confuso dal cambio repentino dell’atteggiamento della ragazza. Insomma, un attimo prima stava cercando di cacciarlo via, come da repertorio, e quello dopo gli teneva una mano tra le sue. Il giovane Drayton la ritirò come se si fosse scottato e portò entrambe le braccia dietro la schiena, incrociandole tra di loro in un gesto vago.
    “Che c’è? Ti preoccupi per me, Jackson? Che tesoro” cercò di stamparsi un ghigno strafottente in faccia, ma la verità era che Pressley lo aveva sorpreso.
    Possibile che le interessasse davvero del fatto che fosse stato punito? E da quando?
    “Beh ho solo suggerito un po’ di idee innovative per rivoluzionare questa scuola di merda, al posto del tema di Storia della Magia. Non hanno gradito” alzò le spalle con fare menefreghista e quasi insolente. Non perché si stesse dando delle arie da studente che non temeva niente, ma era davvero così... aveva visto tutti i tipi di punizioni in quegli anni e quella era forse la più leggera che avesse mai ricevuto. Il che non significava che non temesse le peggiori, ma solo che ci aveva fatto il callo.
    “Non fare quella faccia. Potevano fare di peggio, credimi. Le bacchettate sul dorso delle mani sono niente in confronto ad altre punizioni che danno di solito”
    Parlava da esperto e lo era ormai. E non metteva in dubbio che la Jackson avesse provato sulla propria pelle ciò a cui si riferiva. A suo modo, era una ribelle anche lei. Forse non si esponeva ai livelli di Reid, era sicuramente più cauta, ma anche lei odiava Durmstrang almeno quanto lui. Forse per questo, nonostante i continui battibecchi, non erano mai sfociati in litigi veri e propri.
    Anche se la maltrattava, in fondo Reid la rispettava. Gli piacevano i ribelli. Quelli che non volevano seguire le regole come il resto del gregge di pecore, quelli che non avevano paura di dire come la pensavano. E Pressley era uno di questi.
    “Non ha fatto nemmeno così male. Ho praticamente sentito il solletico” si vantò alzando un sopracciglio. Ma il dolore non era stato poi così sopportabile quando la pelle si era spaccata, il sangue era uscito e il custode aveva continuato ad infierire sullo stesso punto. Ma Jackson che ne poteva sapere.
    “Vuoi darmi un bacino sulla bua per vedere se guarisce più in fretta? Accetto anche qualche caramella per tirarmi su il morale, se ne hai”
    Sporse appena il labbro inferiore, fingendosi triste, un modo per provocarla, ma anche per nascondere la sorpresa che ancora provava per la reazione della ragazza. Gli sembrava che fossero passati secoli dall’ultima volta che qualcuno, in un certo senso, si era preoccupato per lui.
     
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    Roteo gli occhi per riflesso alla sua frase da dongiovanni scadente. Odio quando prova a fare il provolone - quale ragazzo che ci prova, in fondo, non mi risulta che un povero coglione decerebrato? - ma in fondo questa non è che una goccia nell'oceano di pessime opinioni che ho nel tempo collezionato nei suoi riguardi. Un miracolo il mio senso di disgusto vada a scemare alla luce delle ferite riportate sulle mani. Non so davvero perché senta di aver "preso a cuore" questa visione; continuo a dirmi di essere piuttosto vittima di un marcatissimo senso d'egoismo, quello dettato dalla paura di rimanere sola. Rendetevi conto di quanto io sia disperata se tra tutti mi sono ritrovata ad accontentarmi della presenza del Drayton. Sarà, forse, che nonostante l'odio reciproco - o quel che sembra esserlo in superficie - più volte è stato lui ad avvicinarmisi per rivolgermi la parola. E sì, lo fa sempre con modi che mettono a dura prova la mia pazienza e risvegliano i miei istinti omicida nove volte su dieci, però a volte sembra meno peggio della gente che circola per i corridoi. Una persona, insomma, accettabile, abbastanza calma da non risultare totalmente sgradevole, ma non troppo da farmi sentire come se lo stessi macchiando con il mio pessimo modo di vivere. Quanto ancora potrò andare avanti nella vita macchiando gente per bene con tutti i marcatissimi dettagli sbagliati che mi riguardano? "Non è preoccupazione, è solo odio spropositato per i metodi medievali che usano qui dentro. Non ti fare strane idee." Lo canzono ancora, cercando di sostituire le vaghe tracce di preoccupazione sul mio volto con note di visibile fastidio, quello che di consueto la vicinanza dell'altro mi provoca. Non è poi così difficile lasciarmici guidare, viste le parole che seguono. "Ti confermi sempre il solito imbecille, come se non sapessi che ribellarsi a questi psicopatici significa scavarsi la fossa da soli." Comprendo il senso di ribellione e l'impulso di, non so, dare fuoco a tre quarti dei prof e della popolazione studentesca, ma c'è quell'istinto primordiale di autodifesa che dovrebbe lavorare meglio nel Drayton, così come io stessa tento il più delle volte di tenermi lontana dai guai. In questo momento, poi, sono stanca delle ripercussioni che certi errori ti segnano addosso inevitabilmente. Sono stanca di subire e soffrire, ma questo l'altro non può capirlo. "Certo, anch'io quando mia cugina mi uccide di solletico mi ricopro di bende su tutto il corpo." Mi viene uno strano nodo allo stomaco nel pronunciare quelle parole. Mia cugina. E' da un po' che non la sento, non con l'assiduità di prima e fa dannatamente schifo essere intrappolate in questa situazione, chiaramente non per volontà nostra. Di sicuro non per la mia. Mi manca. Ed il fatto che mi manchi così tanto mi fa piombare addosso quell'amarezza di cui sono stata vittima fino a cinque minuti fa, prima che il Drayton intervenisse distraendomi momentaneamente da quel disagio. Eppure lui non è abbastanza. Niente lo sembra. Per questo, nuovamente preda delle sue fastidiose battute, sento di non poter reggere il colpo. Mi accorgo di aver ricercato comprensione nella persona sbagliata ed il farlo con metodi che non lascino trasparire in alcun modo le mie intenzioni o necessità è stato un errore anche peggiore, che certo non posso affibbiare all'inconsapevole ragazzetto dinanzi a me. Sbuffo, vistosamente irritata dalla sua saccenteria e dall'arroganza che riveste ogni sua parola. Scuoto il capo, rivolgendogli uno sguardo da cui traspare un velo di tristezza che lui non arriverà di certo a comprendere, ancora, mentre lo supero. "Non ti reggo, sei proprio un deficiente." Dico infine, svanendo oltre l'angolo del corridoio.

    Ci ho pensato su per tutta la mattina e mi sono resa conto di aver esagerato. Ho cercato di convincermi che in fondo Reid meriti il mio astio, visto quanto irritante sia di consueto, ma mi sono lasciata guidare dai miei problemi e li ho riversati contro chi è stato già ingiustamente vittima di soprusi disumani. Questa spiccata sensibilità verso questo genere di cose mi disturba, eppure non riesco proprio a placarmi ed è orribile sentire di non avere più il controllo sulle proprie sensazioni. Su niente, in definitiva. E' pomeriggio. Ricerco con attenzione il volto del Drayton e una volta avvistatolo, spavaldo ed indifferente come sempre, dopo diversi tentativi mentali di auto-convincimento, mi decido a raggiungerlo. "Nel caso in cui fossi ancora giù di morale..." Gli dico sottovoce, un pacchetto di caramelle retto nella mancina per porgergli il contenuto. Uno degli snack che riesco a trafugare ed introdurre di nascosto di tanto in tanto al castello. Non potrei farne a meno, la vita è già abbastanza amara di suo, troppo per rinunciare ad un po' di zucchero. "Ma se tiri fuori un'altra delle tue stronzate, ti annodo la cravatta alle caviglie e ti faccio trascinare da un troll per i boschi." Ci provo a fare la dura, ma vista l'espressione vagamente turbata dipinta sulla mia faccia, dubito di risultare credibile. Odio sentirmi così. "A differenza di quel che dici, sembra fare male, comunque."

     
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    “Metodi medievali” annuì con finto fare solenne “E’ esattamente ciò che ho scritto al posto del tema. Voglio dire, guardami, sono l’esempio vivente che le punizioni corporali non servono a niente”
    Una delle tante cose che aveva ricriminato alla scuola nel suo scritto. Erano circa duecentocinquant’anni che le punizioni corporali erano diventate obsolete, da quando erano state proibite per la prima volta nel 1783 in Polonia. Ma questo a Durmstrang sembravano non capirlo, così come non capivano che non avrebbero di certo fermato la ribellione di Reid. Più si sarebbero ostinati a trattarlo in quel modo, più lui sarebbe andato loro contro.
    C’era forse una buona dose di follia nell’atteggiamento del giovane ed anche un’abbondante dose di curiosità: voleva vedere fino a dove si sarebbero spinti, quali erano i loro limiti se ne avevano.
    Ma non poteva esprimere ad alta voce quell’idea. Bastava vedere come Pressley si era scandalizzata nel vederlo punito solo il secondo giorno per capire che lo avrebbero preso per pazzo. E forse pazzo lo era davvero.
    Per cui si limitò ad alzare le spalle in risposta alle sue parole, guardandola con la solita aria di strafottenza: una maschera che si era costruito negli anni e che gli stava divinamente ormai.
    “Cosa vuoi che ti dica, Jackson. Alcuni tipi di solletico fanno sanguinare”
    E per l’ennesima volta lei si inacidì e decise di togliere le tende, forse prima di cedere e mollargli un ceffone.
    “Mi spezzi il cuore così” le disse alle spalle mentre lei si allontanava “Buona giornata, Jackson!”

    Riapparve nel pomeriggio. Lo trovò all’ombra di una quercia a leggere Platone. Era stato quasi tentato di non alzare lo sguardo su di lei, quando si era avvicinata, non per un motivo particolare ma solo per irritarla un po’.
    Aveva però sentito il rumore di una busta di plastica e ne era stato troppo incuriosito per poter far finta di niente. Notò il pacchetto di caramelle, accompagnato dalla frase della Jackson, ed aprì la bocca per uscirsene con qualche battuta velenosa. Forse per smorzare la sorpresa che lo aveva colto ancora una volta. Lei lo interruppe prima ancora che potesse emettere alcun suono.
    Dopotutto non aveva torto, così richiuse la bocca ed afferrò un paio di caramelle dalla busta.
    Stentava a credere che gliele avesse davvero portate. Aveva battuto la testa quel giorno? Era la seconda volta, da quella mattina, che in qualche modo si mostrava gentile con lui. La cosa lo turbava un po’. Sembrava turbata anche lei, chissà da cosa però.
    “Mh...” abbassò lo sguardo sulle mani fasciate e si portò una caramella tra i denti “Un po’ sì” ammise. Avrebbe potuto continuare la propria farsa, specialmente davanti a lei, ma per qualche motivo la Jackson aveva riposto l’ascia di guerra e si sentì in dovere di fare lo stesso. Sperava solo che non fosse una cosa permanente.
    “Iniziano a prudere, più che altro, e la pelle a tirare” scrollò “Non importa, passerà. Passa sempre”
    Si rilassò appoggiandosi al tronco dell’albero con la schiena e prese qualche altra caramella.
    “Grosso errore portare tutto il pacchetto, Jackson. Non riuscirò a smettere di mangiarle, sai?” l’avvertì.
    Sì, avrebbe dovuto ringraziarla, lo sapeva bene. Gli ci voleva solo del tempo per mettere da parte l’orgoglio, non era abituato a certi atti di gentilezza. O di carità. Per un attimo l’idea che lei potesse averlo fatto per pena gli fece storcere il naso e provare la voglia di cacciarla via. Cazzo, non gli serviva la carità di nessuno. Ma qualcosa gli impedì di farlo, non trovò il coraggio.
    “Non devi preoccuparti per me, comunque” disse solamente in un borbottio contrariato “Mi piace di più quando mi odi e mi insulti, almeno so che sei normale in quei momenti. Così invece... beh mi fai impensierire”
    E sì che lei aveva detto di non fare battute, ma fu più forte di lui. E comunque non c’era scherno né tanto meno cattiveria nella sua voce. Ma solo un patetico tentativo di alleggerire un po’ l’imbarazzo che improvvisamente provava.
    “Posso ricambiare leggendoti Platone. Direttamente dal greco antico. Una proposta allettante a cui non puoi proprio dire di no”
    E fece una cosa inaudita, una cosa che a malapena faceva in presenza di Alexander o Kieran: le sorrise appena. Impercettibilmente, ma lo fece.

     
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    Pagherei oro per sentirmi a mio agio in questa situazione, invece sembra sempre che tutto ciò che riguarda il Drayton riesca ad innervosire anche le più piccole particelle di me. E' orribile. Non saprei neanche dire se dipenda dal caos di cui sono protagonista ormai da un po' o se sia l'atteggiamento dell'altro a farmi sentire come fossi costantemente posta sotto giudizio. Probabilmente entrambe le cose. Eppure stiamo facendo uno sforzo e questo mi fa sentire anche più a disagio. Normalmente riprenderei con la mia scarica d'ironia ed il mio personaggio costruito su ideali di ghetto che mi riparano dai sentimentalismi o dalle debolezze, ma non me ne sento in grado adesso. Le ultime settimane hanno risucchiato la mia forza vitale ed anche tornare a scuola, che dovrebbe aiutarmi a sentirmi al sicuro, non mi aiuta comunque a calmarmi. I bulletti che ci sono qui non sono certo dei criminali che ti spengono i mozziconi di sigaretta sulle braccia - cominciano solo adesso a passare alcuni di quei lividi - ma non sono neanche compagni con cui divertirsi e pensare ad altro. Fa tutto schifo, insomma. Chissà se tornerà mai alla normalità. "Puoi finirle, tanto io non ne ho voglia." Una frase inusuale, non solo perché di consueto sarei lì a rimproverarlo per aver tentato di svuotare il mio pacchetto di caramelle - senza contare che non gliene avrei offerte a prescindere, probabilmente - ma anche perché a Durmstrang non c'è stato un anno in cui sia sopravvissuta senza una scorta, anche infinitesimale, di zucchero. Lo scarso appetito dell'ultimo periodo pare riflettersi anche in questo, comincia ad essere quasi preoccupante e se entro un mese non mi verrà voglia di azzannare un hamburger o avventarmi su un cartoncino di patatine fritte, mi converrà rivolgermi a qualche psicologo, davvero. "Mpf, ma figurati!" Metto su una smorfia contrariata, per nascondere quella realtà che il Drayton ha appena colto dalle mie parole. Mi sento piuttosto imbarazzata adesso, odio questa sensazione tremenda. "Non ero preoccupata, condividevo solo il mio odio per le punizioni ed il disappunto nel notare quanto sia stato imbecille a cacciarti nei guai dopo appena un giorno. Non sono stata chiara?" Continuo a ribadire quel concetto, ripetendolo come per convincermene io stessa. Beh, ne sono convinta, fermamente. Credo. Il punto è che si tratti di egoismo, esatto! Nient'altro che quello. Non voglio stare sola e Reid sembra l'unico essere umano qui dentro che non si è ancora stufato di avvistare la mia faccia per i corridoi. L'unica di cui non mi importi qualcosa, perlomeno. Questa però è un'altra storia su cui non voglio soffermarmi, perché ci manca solo la malinconia ed il senso di colpa a completare questo quadro di disperazione che mi si è dipinto attorno. Non voglio apparire vulnerabile. "Comunque io sto bene, non hai bisogno di "impensierirti" per me. Dai un taglio a questa messa in scena." E ancora, nonostante la stizza - in parte finta - che gli rivolgo, i miei piedi restano ancorati al terreno e le braccia incrociate al petto. Continuo a mordermi l'interno della guancia nervosamente, di tanto in tanto i denti si conficcano anche nel labbro inferiore, poi lo rilascio e via di smorfie, in un ciclo ripetitivo che dimostra palesemente che gli abbia appena rifilato una bugia. Non sto bene per niente. Mi sento sola ed impaurita e mi viene il disgusto ogni volta che i miei occhi si posano sulle bruciature ingiallite che mi macchiano le braccia. Istintivamente, tiro giù ulteriormente le maniche della divisa, sebbene chiaramente sia abbastanza lunga da nasconderle. Credo sia solo un fattore psicologico, qualcosa che non riesco a controllare. Ed è proprio non avere più il controllo di niente che mi manda allo sbaraglio. "Platone? Yo, sembra una cosa noiosissima!" Inarco un sopracciglio, riuscendo in parte a stemperare la tensione provata. E' una cosa celere, di appena qualche secondo, aiutata dal fatto che la sua proposta sia riuscita in qualche modo a distrarmi. "Dì la verità, ti porti dietro questi mattoni greci per sembrare un uomo di mondo, ma poi sotto ci nascondi le fiabe dei "Tre porcellini" o di "Cappuccetto rosso", ammettilo!" E' una difesa che uso per distogliere l'attenzione da quello che, per l'amor del cielo, sembra essere un sorriso miracolosamente spuntato sulle labbra dell'altro! Lo stesso che di solito mostra i denti solo per sfottere. Dio, mi sembra di andare a fuoco. "L'alfabeto greco sembra fico, però!" Lo sembra davvero, amo i ghirigori di alcune delle lettere che ne fanno parte. Certo, il mio è solo un tentativo - imbarazzante - di prolungare la chiacchierata, ma non c'è niente di male nel cercare un po' di compagnia... giusto?

     
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    Era una situazione nuova per entrambi.
    Nessuno dei due, prima di allora, aveva fatto lo sforzo di dialogare in maniera abbastanza civile e fu strano pensare che Pressley fosse stata la prima a farlo.
    Fu ancora più strano realizzare che non gli dispiaceva l’idea di quella tregua momentanea. Forse perché era solo il secondo giorno di scuola e lui ne aveva avuto già fin sopra i capelli di troppe cose.
    Gli piaceva impersonare la parte del menefreghista, di quello che se ne fregava delle punizioni, dell’odio che gli riservavano gli altri studenti o di essere solo.
    Ma a volte, solo a volte, era troppo.
    Per qualche motivo, richiuse il pacchetto quando Pressley gli disse che poteva prenderle tutte. Glielo porse, scuotendo appena la testa.
    “Va bene così, grazie”
    Era finalmente arrivato quel ringraziamente che avrebbe dovuto rivolgerle subito, ma si disse che non poteva essere biasimato se aveva avuto bisogno di qualche minuto per farselo uscire dalle labbra.
    Comunque, per quanto avrebbe amato mangiarsi tutto il pacchetto in un boccone, sapeva quanto fosse difficile procurarsi una tale prelibatezza mentre erano lì a Durmstrang e riconobbe nel gesto di Pressley un grande atto di generosità di cui non avrebbe approfittato.
    “Oh sei stata chiarissima, Jackson” la rimbeccò poi, con tono tuttavia leggero, quando lei si difese dalle sue affermazioni. Era divertente vederla cercare scuse. O magari scuse non lo erano, ma aveva avuto l’idea, per un attimo, che si fosse davvero preoccupata.
    “Scusami, non insinuerò mai più che anche tu potresti avere un cuore e preoccuparti per chi ti circonda”
    Alzò le mani, come in segno di finta resa, un po’ divertito da quell’atteggiamento.
    Strano, in altre occasioni ne avrebbe approfittato per stuzzicarla molto di più, fino a farle perdere del tutto la pazienza.
    Stranamente poi, rise della sua battuta sui libri di fiabe. Rise con del sano divertimento, scuotendo la testa.
    “Mi hai scoperto” disse poi. “In realtà metto la copertina di Platone sulle fiabe di Beda il Bardo. Così sembra che io stia leggendo quello”
    Scosse la testa, ancora divertito, e poggiò il libro sull’erba, tirandosi un po’ in avanti, gli avambracci appoggiati alle ginocchia.
    “Non è così male, comunque. Mia madre mi leggeva sempre le opere degli scrittori greci, quando ero piccolo. Sono abituato”
    Fu strano nominarla e non sentire niente. Nemmeno la più piccola fitta al cuore. Forse perché la rabbia che provava nei suoi confronti era troppa, più di quanto ne sentisse la mancanza.
    “Posso insegnarti se vuoi” propose poi di getto “l’alfabeto intendo... sia in greco moderno che antico”
    Il perché le avesse fatto una tale proposta non lo sapeva nemmeno lui. Avevano passato anni a prendersi in giro a vicenda, a battibeccare, non c’era mai stato un segnale che le cose potessero andare diversamente e non credeva che sarebbero cambiate del tutto da un giorno all’altro.
    Eppure, quel brevissimo dialogo civile che stavano avendo, lo spinse a dire di getto quelle parole.
    “Non ci vorrà molto per impare solo l’alfabeto comunque. Possiamo tornare ad odiarci prima di quanto pensi, non temere”
    Giocherellò con l’angolo della copertina del libro.
    “Comunque... posso chiederti il perché di questo atto caritatevole?”
     
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    Studente di Durmstrang
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    "Meglio per te, bello! Mh-mmhh?" Per la prima volta, mi sembra quasi di non avvertire l'usuale necessità di trasmettergli astio sotto i modi da ghetto che gli ho rivolto. Non è un'espressione accidiosa quella che investe il suo viso ironicamente contratto in una smorfia di finta resa, quanto una faccia vagamente... divertita. Mi costringo a rinvenire l'attimo dopo, non lasciando al sorriso lieve che ha sostato sulle mie labbra più di una doppietta di secondi prima di sparire. Non riesco a concedermi alcun cedimento, non solo perché ho quello che ho considerato sino ad ora un presunto nemico di fronte a me, ma anche perché sembra tremendamente difficile lasciarmi andare da quando... beh, dalla nottata passata tra le grinfie di quella banda di delinquenti. Sospiro, cacciando quel ricordo insistente dalla mia mente anche solo per un po'. Non fa che tornare, ma non voglio permettergli di influire così tanto sulla mia esistenza. Sembra farlo già abbastanza senza che io riesca a controllarlo. O a controllarmi. "Beccato! Sapevo che non potessi essere davvero così vecchio e noioso come sembri." Per quanto lo sembri, non è un complimento quello che gli rivolgo. C'è però un'ambivalenza di cui non mi rendo conto insita nelle mie parole, dove la mia interpretazione va disegnando un'immagine fastidiosa del Drayton, lasciando in trasparenza l'opportunità di rivestirlo invece della speranza sia diverso da ciò che dimostra d'essere. E' una possibilità che non contemplo, beandomi per un po' nella superficialità che i nostri battibecchi continuano ad avanzare e poco a poco, mi sento davvero meglio, come se mi stessi concedendo finalmente di abbassare la guardia, di tornare ad essere me stessa perché niente di male potrebbe accadermi. Non qui. Incredibilmente, non davanti a Reid. "Mi stai dicendo che sei un nonnetto praticamente da quando avevi tre anni? Yo, mi sa che devo ricredermi allora." Continuo a punzecchiarlo, forse anche per nascondere il lieve entusiasmo che la sua proposta ha scoccato dritto contro il mio animo confuso. E no, non riesco chiaramente a dargliene una chiara dimostrazione; mi perdo piuttosto per qualche attimo a rimuginarci su, lo sguardo chino verso i nostri piedi, le braccia conserte, nella perenne illusione di potermi proteggere da qualunque figurativo pericolo possa cogliermi di sorpresa da un momento all'altro. E' solo quando mi pone quell'ultima domanda che mi costringo a sollevare il capo, torturandomi l'interno della guancia per stemperare l'ansia provata al pensiero di rispondergli, sì, ma anche di rispondere a me stessa ancor prima che a lui. Ho sempre finto una sicurezza che non mi appartiene ed è andata benissimo fino a quando il mio entusiasmo è perdurato negli anni. Adesso che ci sono più timori che menefreghismo in me però, sembra un'impresa insuperabile tornare a quelle vecchie abitudini, dissimulare un benessere che non esiste. "Guarda che tra i due sei tu lo stronzo, Drayton. Io sono una brava persona." Lancio quindi quell'ultima accusa, perché incapace di rispondergli con sincerità, come di capire io stessa perché stia rivolgendo così tante premure proprio a lui. Nel profondo conosco la risposta, ma non ho voglia di ammetterla a me stessa. Scacciato quindi quell'ultimo principio di carineria, rovisto nel mio zaino per recuperare una pergamena ed una piuma. Con decisione, scelgo di intrattenermi ancora in sua compagnia, sperando fino all'ultimo secondo di questo bizzarro incontro di non pentirmene. "Allora? Me lo insegni o no quest'alfabeto?"

     
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