On the soul by Aristotle

• Helena

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    Essere irragionevoli è un diritto umano.
    - Aristotele.


    Giugno 2020.

    Reid non prestava minimamente attenzione mentre il guardiacaccia spiegava loro la tortura che li aspettava. Continuava solo a pensare che in quella situazione ce lo aveva messo Helena e se normalmente, con chiunque altro, sarebbe stato furioso, in quel momento era fuori di se completamente e stava facendo uno sforzo stoico per trattenersi.
    Non sapeva se ce l’avesse con lei più per il fatto che se la fosse presa con lui senza motivo, nel bel mezzo del corridoio, e lo avesse poi attaccato con degli incantesimi (Merlino se era brava a lanciare fatture) o se fosse ancora risentito per essere stato scaricato solo sei mesi addietro.
    Era giunto alla conclusione che si trattasse di un mix di entrambe le cose e forse per questo era così irritato.
    Quella bella sparata aveva fatto avere ad entrambi una punizione – a lui semplicemente perché si era difeso dagli attacchi, assolutamente ingiusto – ed eccoli lì, un tiepido sabato pomeriggio di giugno, a poche settimane dalla fine della scuola, nella tenuta pronti a subire la loro punizione: l’ennessima di quel quinto anno per quanto riguardava Reid.
    Il fatto che avrebbero dovuto prendersi cura degli Schiopodi della scuola avrebbe potuto far ridere i più, ma la punizione consisteva nel farlo senza utilizzare alcuna protezione per il corpo e quei bastardi facevano male, molto male.
    “Fantastico, complimenti, Helena” la rimbeccò a mezza voce, mentre il guardiacaccia diceva loro che si trattava solamente di esemplari femmine di un mese di vita: ergo non erano velenose e raggiungevano SOLO i due metri di lunghezza. In confronto al metro e sessantacinque di Reid, erano delle bestie gigantesche, anche se non si ergevano in altezza.
    “Cibarle e lavarle, senza magia. Sarà uno spasso” continuò con l’astio nella voce, avvicinandosi al recinto delle creature e lanciando un’occhiata ai secchi posti al suo interno: un paio contenevano acqua e spugne, gli altri due piccole bestiole morte, tra cui topi, lucertole ed altre cose che puzzavano non poco.
    Il guardiacaccia aprì il recinto, invitandoli ad entrare con un gesto della mano e, dopo aver lanciato un’occhiata di disprezzo sia a lui che ad Helena, Reid vi entrò per primo.
    Il fatto che gli schiopodi fossero legati non era di consolazione, di certo non avrebbero potuto aggredirli, saltandogli addosso, ma visto che dovevano lavorarci a stretto contatto non ne sarebbero usciti indenni.
    Furono lasciati soli, con la promessa di essere recuperati di lì a qualche ora, se fossero stati ancora tutti interi.
    “Direi che la cosa migliore da fare sia lanciare loro il cibo e mentre sono distratti, mangiando, li puliamo” sentenziò, afferrando uno dei secchi con le piccole prede morte. “Magari riusciamo a cavarcela senza farci ustionare”
    Vedendo poi che Helena non si muoveva, si voltò a lanciarle un’occhiata.
    “Cosa stai aspettando? Un invito formale?”
     
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    Visti gli gli ultimi avvenimenti di cui purtroppo era stata protagonista, le veniva difficile mantenere la calma. Ogni occasione che stimolava enormemente la sua pazienza la vedeva vittima di un'esplosione. Helena ci aveva davvero provato a reagire in modo diverso ma non le era riuscito. la situazione si complica va poi quando le capitava di avere a che fare con persone del sesso opposto. A volte sbottava, altre scappava in preda ad un attacco di panico, ed altre ancora, come quella, finiva con l'attaccare la persona che aveva dinanzi sebbene non avesse reali colpe. Era difficile però per lei riuscire a differenziare. Le sembrava quasi di vedere nel sesso maschile un pericolo da dover affrontare. Riuscivo a fidarsi soltanto di Otis, che era suo fratello, e Mason, sebbene a volte mostrasse anche verso di lui dei timori ingestibili.
    Reid, suo ex con cui non era rimasta esattamente in ottimi rapporti vista la rottura a cui l'aveva costretto senza troppe spiegazioni, fu quel giorno vittima dei suoi sbalzi d'umori.
    Solitamente avrebbe accettato e ribattuto alle sue battutine senza problemi; quel modo di punzecchiarsi anzi era quasi diventato il loro modo di poter interagire ancora nonostante il loro allontanamento. Quel giorno però proprio non era riuscita a contenersi. Così quando l'altro aveva cominciato a tormentarla, lei era esplosa, lanciandogli contro una serie di, più o meno pericolose, fatture.
    Come sarebbe stato prevedibile, si beccarono una punizione.
    Se ne restò in disparte, braccia conserte, a fingere di ascoltare le parole del guardiacaccia.
    «Vuoi che ti cruci?» Rispose alle parole di Reid, rivolgendogli un'espressione stizzita e poco amichevole. Non avrebbe potuto esserlo. Non tra due uomini. Per lei quello era decisamente un ambiente ostile.
    Restò in disparte anche quando il guardiacaccia si allontanò. Non avrebbe fatto assolutamente nulla per aiutarlo. Non era sua intenzione.
    «Sono un soggetto allergico. Io non mi avvicino a quelle cose nemmeno sotto tortura.» Rispose all'altro, storcendo il naso.
    «E poi è colpa tua se siamo qua. Sei tu che dovresti sgobbare, non io.»

     
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    Avrebbe voluto odiare la presenza di Helena in quel recinto con lui.
    Avrebbe voluto odiare tutto di lei, a partire dalla punta dei suoi capelli fino a quella dei suoi piedi.
    Ma la verità era che non ci riusciva.
    Odiava, piuttosto, se stesso per non riuscire ad odiarla, per starci ancora così sotto. Era l’unica in quel castello a farle quell’effetto. L’unica che avesse il potere, di tanto in tanto, di farlo incespicare nelle sue stesse parole, di uccidere un po’ la sua arroganza e di farlo sentire meno sicuro di se stesso.
    Tutte cose per cui, appunto, avrebbe dovuto detesterla, ma senza successo. Lei ovviamente non lo sapeva e non doveva saperlo. La trattava con strafottenza affinché non lo capisse.
    Le dava contro di proposito, quando poteva, ma una parte di lui continuava a sperare che lei ci ripensasse, che tornasse sui propri passi.
    Nessuno a Durmstrang aveva avuto la capacità di attirare la sua attenzione in quel modo. Fin dal loro primo incontro, Helena gli era sembrata diversa da tutti gli altri. Era diventata la sua ossessione fin da allora. Quasi non gli era sembrato vero quando finalmente lei aveva ceduto a tutte le attenzioni che le rifilava. Quando lo aveva scaricato, non le aveva dato la possibilità di vedere quanto ci fosse rimasto male.
    Quindi no, nemmeno in quel momento poteva odiarla, nemmeno se erano finiti in punizione a causa sua, nemmeno se minacciava di cruciarlo e si rifiutava di eseguire la punizione.
    Poteva però arrabbiarsi, questo era certo.
    “Scusami?” fece guardandola scettico “Allergica un cazzo, non dire idiozie”
    Poteva andarlo a raccontare a qualche altro idiota che era allergica a quegli stupidi schiopodi.
    “Questi non hanno nemmeno il pungiglione, lo hai sentito il guardiacaccia, sono femmine. Al massimo possono darci fuoco, ma non pungerci, quindi racconta la balla dell’allergia a qualcun altro, non a me”
    Cosa poteva succederle dopotutto? Avere una reazione allergica ad una delle scintille sparate dallo schiopodo? Ma per favore. Era la cosa più ridicola che avesse mai sentito. Ma non quanto le parole che seguirono, che gli strapparono una risata che di divertito non aveva niente.
    “Colpa mia?! Chi è la pazza che si è messa a lanciare fatture in mezzo al corridoio? Di certo non io, mi stavo solo difendendo. Se hai problemi con il controllo della rabbia non è un mio problema. Siamo in punizione per colpa tua, quindi sgobberai quanto me, principessa”
    Afferrò una lucertolina morta da dentro il secchio e la lanciò tra i capelli della ragazza, come ad invitarla a muoversi e prendere l’altro secchio. Non aveva alcuna intenzione di prendersi cura di quei maledetti schiopodi da solo.
    “Se non muovi un dito, non lo farò nemmeno io. Non sarà contento quando tornerà. Ci daranno un’altra punizione e sarà peggiore di questa, credimi. Io non ho problemi a farmi appendere al soffitto per i pollici. Tu? Ti si potrebbero spezzare le unghie, sai. Poi chi te la fa la manicure qua al castello?”
     
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    Sbuffò pesantemente alle parole dell'altro. La infastidiva non essere creduta quelle poche volte in cui si convinceva a dire la verità. Si sentiva poi motivata a non farlo più. Ed anche se la sua, in quel contesto, poteva annoverarsi come una mezza verità – era allergica ad alcune creature sì, ma gli schiopodi fortunatamente non rientravano tra quelli – era comunque frustrante osservare la sua reazione in merito.
    Continuare a battibeccare sarebbe stato comunque inutile. Se c'era qualcosa che le era sempre piaciuto di Reid, era la capacità di tenerle testa, almeno fino ad un certo punto. In quel momento però era ben conscia di quanto sarebbe stato inutile provare a rifuggire dalle sue responsabilità. Purtroppo spettava ad entrambi quel lavoraccio, ed il modo migliore per liberarsene in fretta, era collaborando.
    «Fanculo. Se dovessi gonfiarmi e ritrovarmi senza fiato, sarà solo colpa tua.» Disse a denti stretti, mentre prendeva a guardarsi intorno, sul volto un'evidente espressione disgustata. E forse, una volta convinta, avrebbe persino provato a far qualcosa senza obiettare eccessivamente se Reid non avesse deciso di iperstimolare, e con un solo gesto, la sua pazienza.
    Le scappò un urletto nel constatare che sì, il ragazzo aveva effettivamente fatto quel che lei immaginava avesse fatto. Gli lanciò uno sguardo scioccato. «VUOI MORIRE?» Urlò, afferrando la prima cosa che le capitò a tiro, un guanto da giardinaggio parecchio pesante, e lanciandoglielo contro.
    Prese a lisciarsi i capelli con smania, come a voler ripulirsi dalle orme del passaggio di quell'animale morto, e non mancò di lasciarsi scappare versi disgustati.
    Poi, poco dopo, si costrinse a calmarsi. Prese un respiro profondo, cercando di entrare in una modalità pseudo zen per evitarsi un omicidio. «Fanculo. Muoviamoci. Non voglio passare più tempo del dovuto qui con te.» Lo superò, rubandogli quel dannato secchio. Afferrò con due dita uno di quegli animaletti morti, trattenendo a stento evidenti conati di vomito. Ovviamente non ci avrebbe pensato lei a distrarre quei cosi. Poteva benissimo farlo lui. «Quindi, anche se non puoi fare a meno di starmi appiccicato, datti una mossa. O quel secchio te lo faccio mangiare.»

     
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    Si chiese se Helena fosse sempre stata così melodrammatica o se aveva seguito un corso speciale negli ultimi tempi.
    Ma doveva ammetterlo, era davvero brava a lamentarsi, ma soprattutto a fare tragedie sul nulla. No, non avrebbe mai creduto all’allergia agli schiopodi, soprattutto non a quelli che non avevano un punglione con cui colpirti.
    Per cui alzò gli occhi al cielo, quando lei incalzò con quella storia, e fece un gesto vago nella sua direzione.
    “Ho fatto il corso di primo soccorso. Non ti lascerò morire, Helena, non temere” le sorrise affabile e con una certa arroganza.
    Comunque doveva esserci qualcosa nell’aria perché era decisamente isterica quel giorno. Va bene che aveva sempre avuto un certo caratterino ed oltretutto era ancora nervosa dal recente litigio e per via della punizione, ma a volte esagerava.
    E a dirla tutta... non che questo lo infastidisse più di tanto. Era uno dei tratti di Helena che gli erano sempre piaciuti. O forse semplicemente perché gli era sempre piaciuto tutto di lei.
    Adesso non lo avrebbe ammesso nemmeno sotto tortura, ma c’era stato un tempo in cui glielo avrebbe ripetuto ogni giorno.
    Divertito, osservò la sua reazione quando si ritrovò con la lucertolina tra i capelli, e per miracolo schivò il guantone che gli aveva lanciato, abbassandosi in tempo.
    “Che esagerata, è solo una lucertola. Avrei potuto scegliere uno di quei ratti orribili, ritieniti fortunata”
    Scuotendo la testa, afferrò uno dei secchi con l’acqua e la spugna. Gli si rivoltava lo stomaco all’idea di pulire quei maledetti cosi, ma neanche questo lo avrebbe detto mai ad alta voce, soprattutto davanti ad Helena.
    “Stai calma. Prima non volevi muovere un dito ed ora mi metti fretta”
    Poi si lasciò andare ad una risata forte a seguito dell’ultima affermazione di lei.
    “Non posso fare a meno di starti appiccicato? Se potessi sarei a mille miglia lontano da qui e da te”
    Di nuovo alzò gli occhi al cielo, avvicinandosi alle bestiole immonde.
    “Ti conviene distrarle con il cibo, eh. Puoi rimanere distante almeno. Non vorrai mica dirmi che vuoi avvicinarti e toccarle, mh? Su, fa la brava, sfamale mentre io do loro una pulitina”
    E poteva considerarlo un gentiluomo, un vero gentiluomo, a fare un tale sacrificio per lei e a darle l’opportunità di non toccare gli schiopodi. Ma figuriamoci se lei avrebbe apprezzato.
    Si chiese se avesse potuto lanciare loro una secchiata d’acqua, da lontano, e fingere di averli puliti. E se avessero sparato scintille in quel momento? Avrebbero fatto reazione con l’acqua?
    “Ok, piccolo figlio di puttana, non carbonizzarmi” mormorò tirando fuori lo straccio dal secchio pieno d’acqua e avvicinandosi con cautela ad uno degli schiopodi. Neanche il tempo di posarglielo sulla corazza disgustosa, che un dolore insopportabile al polpaccio gli fece fare un salto indietro.
    “Ma che cazzo...”
    Istintivamente sospinse Helena indietro, per farla allontanare il più possibile dalle creature.
    “Mi ha punto!” esclamò poi osservando il buco sui pantaloni della divisa ed il sangue che li macchiava. “Allora non sono tutte femmine. Che figli di...”
    Iniziava a bruciare più di quanto avesse immaginato, il dolore gli strappò una smorfia contrariata.
    Lanciò un’occhiata ad Helena. “Il veleno degli schiopodi non uccide, vero?”
     
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    «Riesci sempre a stimolarmi emozioni profonde, come la voglia di prendere a pugni.» Gli rivolse una smorfia, prima di afferrare con disgusto uno di quei animaletti morti. Odiava tutto di quella scuola e forse in definitiva odiava il mondo. Era stanca di combattere quotidianamente con tutto. Dopo quel che le era successo avrebbe soltanto voluto smettere di pensare e lasciare che altri si occupassero di lei, che le guarissero le ferite. Nulla di quel che le era intorno sembrava però concordare col suo punto di vista.
    «E allora perchè non lo fai?» Ribattè alle sue parole con una smorfia. Non odiava Reid, sebbene, soprattutto dopo la loro rottura, fossero soliti darsi addosso. Era proprio il genere maschile a darle problemi in quell'ultimo periodo.
    «Stai incollato al culo della ghetto queen e non avvicinarti più a me.» Aggiunse poco dopo sbuffando. E non dovette specificare a chi si riferisse con quell'epiteto. Immaginava l'altro avrebbe potuto capire benissimo da sé.
    Fece un respiro profondo, impegnandosi nel suo compito. E l'avrebbe fatto sul serio se l'improvvisa imprecazione dell'altro, non l'avesse fatta sobbalzare.
    Si avvicinò di un passo, preoccupata. «Non dovrebbe.» Non ricordava benissimo la lezione sugli schiopodi, forse in quel momento era decisamente impegnata a far altro, ma era senz'altro certa di quella nozione. Ricordava però procurasse comunque qualche fastidio, sebbene non ricordasse quale.
    «Fanculo, Reid. Dovevi proprio farti pungere?» Lo afferrò per il braccio, cercando di trascinarlo via da quei cosi disgustosi. Soltanto quando furono abbastanza lontani lo lasciò, lasciando si poggiasse contro un arbusto.
    «Come ti senti?» Gli chiese, cercando di assicurasse non morisse da un momento all'altro. Guardò persino la ferita, toccandogli la gamba per tenerla ferma. «Potresti chiedere alla ghetto psycho di succhiartelo.» Lo prese in giro cercando di smorzare i toni. «Per tirar via il veleno, sai.»
     
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    “Perché devo stare in questa scuola del cazzo, quindi non posso allontanarmi forse?”
    E difatti lo aveva detto precedentemente: se potessi. Se avesse potuto certo che sarebbe stato lontano da lì il più possibile. Certo che sarebbe stato lontano da lei per non doverla vedere ogni giorno e pensare a quello che c’era stato e che non poteva esserci di nuovo.
    L’orgoglio di Reid era certamente grande, spropositato, ma quando si trattava di Helena veniva meno e nemmeno lui poteva evitarlo, perché era certo che se lei fosse tornata indietro sui propri passi lui l’avrebbe riaccolta senza battere ciglio.
    Idiota. Stupido idiota.
    Poi lei nominò indirettamente Pressley e lui non poté fare a meno di chiedersi il perché. Insomma, li aveva visti insieme, quello era sicuro, e se li aveva notati voleva forse dire qualcosa?
    Speranza. Che sentimento stupido. Simulò ovviamente una certa indifferenza, quasi strafottenza.
    “Ma chi ti si avvicina. Il mondo non gira intorno a te, sai?”
    Avrebbe continuato volentieri a schernirla se non fosse accaduto l’inevitabile con quel fottuto Schiopodo.
    Lasciò che lei lo trascinasse lontano dal gruppo delle creature e si appoggiò alla prima cosa che trovò.
    “Oh sì, lo avevo programmato sai?! Sapevo che c’era un maschio tra loro, mi ci sono avvicinato apposta” la rimbeccò più con rabbia che sarcasmo.
    Abbassò lo sguardo e si lasciò sfuggire un verso contrariato e rabbioso alla vista del sangue. Non si sentiva in punto di morte, di questo era certo, ma adesso non solo il polpaccio, ma tutta la gamba gli sembrava andare in fiamme. Il veleno doveva viaggiare abbastanza velocemente, ma se fosse stato mortale se ne sarebbe reso conto subito probabilmente. Gli schiopodi erano animali insulsi, era certo che non potessero uccidere in quel modo.
    “Fai piano!” sbottò quando lei gli afferò la gamba tra le mani “E risparmiami le battute adesso, ti prego!”
    Si scrollò dalla sua presa. Grosso errore, il dolore gli fece serrare gli occhi e soffocare un’imprecazione tra i denti.
    “Li ammazzo tutti. Giuro che lo faccio. Entro in quella maledetta scuola e li uccido a mani nude”
    Non sapeva esattamente a chi si stesse riferendo, se i professori, il preside o entrambe le cose. Più probabile la seconda però. Sentiva il bisogno di sfogare quell’istinto omicida in qualche modo. Maledetta Durmstrang. Maledette le sue regole medievali.
    “Fanculo, usciamo di qui. Non resto un secondo di più e nemmeno tu”
    Si trascinò zoppicando fino al cancelletto e lo spalancò, invitando Helena ad uscire per prima. Lo richiuse dietro di se senza nemmeno assicurarsi che fosse ben serrato. Non gli importava se gli schiopodi fossero fuggiti e avessero iniziato ad aggredire chiunque.
    “Devo andare in infermeria...” mormorò, prima che una morsa improvvisa allo stomaco lo costringesse a piegarsi in avanti e rimettere tutto quello che aveva mangiato a pranzo.
    Con un’imprecazione si allontanò da quello scempio e dopo solo un paio di passi sentì la gamba cedergli. Quasi cadde di faccia. Un’imprecazione ancora più colorita gli sfuggì dalle labbra.
    Quando fece per muoversi, si rese conto di aver perso sensibilità alla gamba, non poteva muoverla. Ed in quel momento giunse la consapevolezza, una cosa che probabilmente avrebbe dovuto sapere già dai tempi della lezione sugli schiopodi, qualche anno prima.
    “Il cazzo di veleno di quei bastardi paralizza le loro prede, non riesco a muovere la gamba!”
    Picchiò un pugno sul terreno, quasi schiumando di rabbia “Darò fuoco a questa maledetta scuola, lo giuro”
    Si lasciò andare a qualche insulto pesante in greco, nei confronti del preside, degli insegnanti, di chiunque gli venisse in mente.
    “Devo raggiungere il castello prima di paralizzarmi del tutto. Fa qualcosa, trascinami, fammi rotolare, non so, qualunque cosa!”
     
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    Gli rispose con una smorfia ed un verso infantile. Non che ci si potesse aspettare qualcosa di diverso vista la norma del loro rapporto. Persino quando erano una coppia, finivano spesso per litigare. Ora che le loro strade si erano divise, le cose non sarebbero potute cambiare di molto. Peggiorare sì però.
    Roteò gli occhi avvicinandosi a lui. “Tu sì però.” Rispose di getto, perchè sì, secondo Helena il ragazzo lo faceva apposta a starle sempre tra i piedi. Poco importava se era perchè condividevano gli spazi. Non voleva averlo intorno. In realtà, a ben pensarci, in quel periodo non avrebbe voluto avere intorno nessuno.
    “Okay ora sta calmo, cazzo. Immagino che più ti agiti più il veleno si sparga velocemente.” Gli intimò offrendogli la propria spalla per aiutarlo. Perchè anche se aveva desiderato ucciderlo con le proprie mani fino ad un attimo prima, non sarebbe stata in grado di lasciarlo lì.
    “Respira e rilassati come se avessi fumato l'erballegra migliore della tua vita.” Gli disse, cercando così di indurlo a respirare. Era davvero troppo agitato ed innervosito ed immaginava che in quelle condizioni non gli avrebbe fatto poi così bene. “Aggrappati a me.” Lo strinse a sé ed insieme, con fare incerto, riuscirono ad arrivare a destinazione.

    Attese che il grosso infermiere rude e barboso si prendesse cura di Reid. Quando ebbe finito, le diedero la possibilità di entrare a salutare il suo compagno. Non erano una grazia che concedevano spesso e nonostante Helena fosse tentata di andar via, si decise comunque a raggiungerlo. Lo guardò a braccia conserte salutandolo con un cenno del capo. “Dicono che ti resterà un bel buco.” Gli disse, grattandosi un sopracciglio. “Forse prima ho esagerato. Non ti odio.” In effetti era vero. Non lo odiava. Quel sentimento era troppo forte per Reid. “Ma se ti avvicini di nuovo a me quando non è giornata, ti faccio un occhio nero.”
     
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    L’ultima cosa che avrebbe voluto era di usare Helena come appoggio.
    Poteva essere pericoloso starle così vicino e per diversi motivi: il primo perché lei era imprevedibile, in quel momento gli stava offrendo il proprio sostegno ma avrebbe potuto cambiare idea da un momento all’altro e decidere che sarebbe stato meglio rigettarlo in pasto agli schiopodi, il secondo perché si erano abbaiati contro fino ad un attimo prima, e ancor prima della punizione lei lo aveva affatturato cercando di ucciderlo, il terzo perché Helena profumava di buono e a lui quel profumo ricordava di quando lei gli permetteva di starle così vicino e persino di baciarla.
    Non sarebbe stato così sentimentale da ammettere che gli mancavano quei momenti ma... effettivamente era così. E di certo sarebbe stato più facile se non avesse provato ancora qualcosa per lei.
    Alla fine però, si vide costretto ad accettare il suo aiuto, seppur imprecando e borbottando contro il suo invito a stare calmo.
    “Provaci tu a stare calma con un buco nella gamba e mezza paralizzata!” la rimbeccò.
    Sentiva il volto accaldato ed imperlato di sudore freddo. Si sentiva uno schifo e come se fosse sul punto di vomitare di nuovo.
    “Funzionerebbe se avessimo davvero dell’erballegra da fumare”

    L’infermiere non ispirava fiducia.
    Reid ebbe seri dubbi sulla sua professionalità e quasi sperò si essere lasciato a morire, piuttosto che essere curato da quella specie di uomo delle nevi.
    Quando lo vide tirare fuori una siringa dall’ago fin troppo grosso per essere un ago normale, alzò un dito minaccioso verso di lui.
    “Non mi toccherai con quella cosa. Scordatelo. Piuttosto rimango paralizzato a vita”
    Purtroppo non ebbe la meglio e l’ago finì dolorosamente nella sua gamba, non molto distante dalla ferita lasciata dallo schiopodo.
    Quando Helena lo raggiunse, Reid sedeva su uno dei letti con le braccia incrociate e lanciava di tanto in tanto sguardi assassini all’infermiere.
    “Pft. La considererò un’altra ferita di guerra. Una delle tante cicatrici lasciatemi da questo posto di merda” replicò scontroso alle parole della ragazza.
    Si voltò poi a guardarla, alzando le sopracciglia con fare sorpreso.
    “Scusa, puoi ripetere? Non è che non abbia capito, è che voglio sentirtelo dire di nuovo. Non mi odi eh?” ghignò “Ovvio che non mi odi, sono fantastico, la persona più fantastica in questo castello del cazzo, diciamocelo”
    Si fece poi serio, stringendosi nelle spalle.
    “Scusami se ti do addosso a volte. È nella mia natura rompere le palle alla gente, soprattutto alle persone a cui... mh tengo” disse “Però anche se dici di non odiarmi, il più delle volte sembra che sia così e sei particolarmente astiosa ancora prima che io ti rivolga parola. Non mi aspetto di poter avere con te lo stesso rapporto che avevamo prima... ma almeno che possiamo cercare di andare d’accordo”
    Le lanciò un’occhiata di sbieco. “E poi, sai... non so leggere la mente e con la legilimanzia non fa per me, come faccio a capire quando ‘non è giornata’? Dovremmo stabilire un segnale per quando ci incrociamo nei corridoi. Tipo, non so, mi fai il dito medio appena mi vedi, così capisco che sei di cattivo umore e giro alla larga”
     
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    «No. Sei insopportabile.» Storse il muso alle sue parole, ignorando la sua ilarità circa la propria affermazione. Helena non era solita ammettere né i propri errori, né era avvezza a dichiarare i propri sentimenti – positivi o negativi che fossero – e quello poteva senz'altro considerarsi come un avvenimento importante.
    «Ma a volte in modo sopportabile.» Aggiunse poco dopo, facendo spallucce e rivolgendogli una linguaccia. Un po' infantile come gesto, ma decisamente da lei.
    Ascoltò le parole dell'altra, rimuginandoci su qualche attimo. Avrebbe voluto dirgli che non era colpa sua se l'aveva attaccato, ma non riuscì a farlo. Ammettere anche con lui quale fosse il motivo del proprio eccessivo nervosismo, sarebbe stato complicato ed imbarazzante, e non voleva sottoporsi nuovamente a quel trauma.
    «Sì beh... non è colpa tua. E' solo una settimana di merda, di un mese di merda, di una vita di merda.» Si limitò a dirgli, scuotendo il capo.
    Annuì però alla sua considerazione. Dargli un'avvisaglia quando il suo umore era più tetra, le sembrava un buon metodo di comunicazione. Avrebbe potuto farlo. «Se ti basterà quello, okay. Avrai un dito medio.» Annuì con un sorriso, prima di rifilargli una botta giocosa sulla spalla. «E comunque per la prossima cicatrice, punta al petto. Alle ragazze attizza di più.»
     
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