Posts written by numb

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    Gli era sembrato di riviverlo ancora. Quel momento. Di rivederla. Quella faccia. Di sentirla su di sé. La sofferenza, quella emotiva, che per nulla valeva da riflesso del dolore fisico tatuato sulla sua pelle, trascritto tra le pergamene di un'ennesima cartella clinica. Era un loop da cui non riusciva ad uscire. Il sonno, disturbato ed assai scarso, non gli lasciava d'altro canto scampo, né gli offriva la possibilità di distrarsi con altro. Gli occhi vitrei di Hubert lo tormentavano, nella nuova, arcigna forma che avevano acquisito. I sibili soffiati dalle sue labbra pallide, erano tempesta nell'animo di Mason. Ed il volto rosso, vittima della ferocia con cui le dita del figliastro si attorcigliavano alle linee stridenti del suo collo, era l'incubo più ricorrente delle sue giornate. 'Saresti morto senza me. Ti ho cresciuto come un figlio.' La nenia più straziante che rimbombava in quel silenzio assordante. 'Ma tu non sei mio padre.' La ghigliottina che metteva entrambi al tappeto.

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    Si staglia con prepotenza il sonoro ticchettio dei macchinari che lo circondano. Stavolta pare esserci qualcosa di nuovo a tenerlo ancorato alla vigile realtà. Una mano, che tanto si aggrappa alla sua, tanto tiene saldo Mason, l'Hollinsgworth, alla vita. 'Mh?' Mugola appena il ragazzo, confuso da suoni ed odori che si allontanano dall'abitudine cui è ormai forzato da diversi, fin troppi mesi. Non una sorpresa che la delicata diversità di quella circostanza gli sia lieta, come la vitamina che rimpolpi la tempra prosciugata di un giovane disilluso, arreso alle malefatte collezionate da un passato difficile da rimuovere del tutto. 'Oh, la signora Hollingsworth...' Sorride debolmente nel pronunciare quell'appellativo. Uno scherzo ingenuo, già talvolta suggeritole, derivato dallo stato con cui Helena si è dichiarata pur di poterlo visitare a Numengard: compagna, moglie. Un paradosso ilare, piuttosto simbolico delle verità che non si sono mai detti apertamente. 'In effetti sto ancora dormendo, credo...' Non è la sola scusa per comunicarle quanto un bacio o una qualsiasi forma d'affetto l'anela davvero nel profondo. Riaverla davanti, dopo più di un mese di necessaria distanza, ha il sapore di un sogno ad occhi aperti. Si chiede anzi se sia lei a sembrare un angelo o se le fottute medicine ingerite disegnino una realtà buffa, lontana dalla concretezza. 'Aspetta, piano... troppe cose tutte insieme.' Le intima con leggerezza, cercando di stringere di rimando, seppur con scarsa energia, le dita fredde della ragazza. Si prende del tempo, per rimettere ordine nella sua testa o dare al contempo modo ad Helena di spiegarsi meglio. In uno strano alito di positività, si solleva l'idea di una salvezza che credeva gli sarebbe stata negata. 'Una riduzione di pena... Basta questo per ottenerla?' Pronuncia con più rassegnazione che speranza, lasciando permanere un sorriso beffardo che valga da tentativo per calmare l'altra, ricordandole della testa calda che sappia essere, persino avvolto da bende e puntellato di aghi. 'Ma sanno cosa sia successo, mh? Sanno quanti erano...?' Credere nella giustizia gli è divenuto di recente assai difficile. In fondo, per anni le sue malefatte sono state sotterrate. E se la prigione fosse un luogo giusto e sicuro, come ha fatto a ritrovarsi accerchiato da un famigerato gruppo di suoi rinomati nemici? 'Ah, ma io ormai sono un santo. Il miglior allievo del corso di scultura con la creta incantata, nonché cocco del "prof", ed un cuoco discreto alle lezioni di cucina.' Eppure gli riesce difficile trattenere una smorfia traditrice sul volto. Benché le informazioni riportate rasentino la realtà dei fatti, giudicarlo un carcerato calmo ed innocuo sarebbe troppo persino per il più paziente dei secondini. Ma è solo un nuovo tentativo di farla sorridere. Di rendere magari meno angosciata la sua faccia, così bella da non poter fare a meno di sfiorarla coi polpastrelli scivolati via dalla sua presa. Strisciano su per le sue braccia, per il collo, per il viso. Terminano la loro corsa tra i capelli, carezzandoli ed aggrappandoli come fossero un'iniezione di pura salvezza. Helena, anche il solo vederla, lo è innegabilmente. 'Manca tanto anche a me.' Pinky, Green. Helena, la sua Helena. E solo dopo essersi sporto appena, rilasciando un bacio flebile sul dorso della sua mano, trattenendo ancora le proprie tra i suoi capelli e le spalle in carezze docili e serene, trova il coraggio per rivolgere l'attenzione su ciò che conta di più. Che conterà sempre più della sua stessa incolumità. Della sua stessa vita. 'Tu come stai?'


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    Tra le mille certezze crollate come il più gracile castello di carte, c'è solo una verità che spicca imperturbabile sulla sua visione delle cose. L'idea Helena si faccia ancora una volta carico di quel macigno di problemi gli fa storcere il naso, catapultandolo in una prospettiva che non è che il riflesso di eventi già vissuti e rivissuti. Il ripetersi di ciò che hanno passato sarebbe un ennesimo pugno sullo stomaco. E' stato un perenne bersaglio di qualcosa che ha confuso per un becero destino accanitosi contro di lui. Soffocato da mani di un burattinaio palesatosi troppo tardi, ha lasciato che gli stessi risultati toccassero ad un'anima innocente, ad una vita che ha avuto di contro le proprie nefandezze da combattere, talvolta sconfiggere. Perché ripercorrere gli stessi errori? Sarebbe come dare adito alla superficialità con cui è sopravvissuto sino ad ora. Nel più banale ed evidente degli esempi, come donare la propria essenza ed esistenza al servizio del sicario che gli ha portato via ogni cosa. 'Niente.' Sebbene giunta in differita, la risposta del Chesterfield è secca. Stride contro le volontà di Helena con una caparbietà maggiore di quella costantemente dimostrata dalla ragazza. C'è irremovibilità negli occhi del ragazzo, nella sua voce, nei nervi che frastagliano le sue braccia spezzandone l'omogeneità della pelle. Un concentrato di muscoli e tensione, appiccicato allo scheletro spoglio di emozioni pronto a riemergere per far fronte al trauma novello posatosi sulla sua storia. 'Non devi fare nulla... Anzi, stanne fuori. La giornata di oggi mi è bastata.' Sebbene mancante di rimprovero alcuno, non è difficile mettere a fuoco la durezza appropriatasi delle parole pronunciate. Quell'unico filo conduttore tra il suo cuore e quello di Helena, sta racchiuso nell'incontro delle loro mani. Le dita esili e fredde di lei sovrastano a malapena i grossi pugni del ragazzo; riescono tuttavia a ricoprire di familiare conforto ogni lembo della sua anima. Quel genere di grandezza non è replicabile. Unica, un po' come la ragazza stessa. E Mason, necessitante di tale maestosità, grida con occhi languidi ancora prima che con la bocca quella richiesta d'aiuto, risonante come di un marinaio disperso nel mare in tempesta dopo essere stato sbalzato via dall'imbarcazione posseduta per una vita intera. 'Resta con me, ma ti prego, non immischiarti più in questa storia, perché io non voglio farlo..' Spera che per una volta lei resti fedele a quella volontà. Che per una volta, soltanto una, trovi il coraggio di farsi da parte, senza smettere mai, neanche per un secondo, di stringergli la mano. 'Non dovrei starci nemmeno io.' E' quella considerazione poi che spinge il suo sguardo ad abbandonare l'oceano di sicurezza dell'altra. Punta le iridi ambrate sul parquet vissuto di quella stanza. Ripercorre in quelle venature legnose gli sfuggenti momenti che hanno contribuito a bombardare di marcio ed amarezza quella vita. E sebbene vi si staglino anche le risa e gli attimi di rifugio che l'hanno visto protagonista al fianco della Haugen, tutto gli sembra adesso irrimediabilmente macchiato dell'inchiostro nero, denso, soffocante di chi è rimasto dietro le quinte, assicurandosi di manipolare quel teatrino di caos. 'Però non ne uscirò prima di averla conclusa a modo mio.' Un epilogo probabilmente scontato. E' chiaro quanto in là si spingerebbe pur di farsi giustizia. Per un attimo, persino l'idea di non poter godere più di tutto ciò che Helena è in grado di donargli smette di fargli paura. Si fa largo in ciò che ha sempre temuto, la sola consapevolezza di non dover rendere vana la morte della sua famiglia. La vendetta, qualunque cosa comporti, appare come l'unica possibilità di porre fine a quel tormento di un'eternità. Un'illusione, invero. Una però sin troppo tangibile ed allettante per non sfiorare i contorni di un suo definitivo concretizzarsi. 'Devi saperlo, perché sei l'unica che meriti sincerità da parte mia.' Perché è l'unica ad avergliene donata, in quel misto di novità che gli ha lasciato scoprire nel tempo. 'Comunque vadano le cose, devi solo promettermi che starai bene ed impegnarti perché succeda.' Questo ciò che le chiede. Questo ciò che le implora, mentre gli occhi tornano a fissarsi nei suoi e sono adesso le sue dita a sovrastare quelle di Helena, stringendole in una morsa che marchi a fuoco la promessa che le impone. 'Non posso perdere anche te, mi hai capito? Non posso sopportarlo ancora.' Per la prima volta, trova il coraggio di sussurrarle quelle parole. Di pronunciarle, piuttosto che lasciare si intendano sotto le spoglie dello scudo con cui è solito preservarsi.


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    'DNA di famiglia...' Un commento che non si trattiene tra redini di cognizione abbastanza fitte. C'è un velo di fastidio in esso, che ricalca debolmente quanto l'appartenenza a quel contesto gli sia divenuta incredibilmente complicata, stretta. Essere un Chesterfield o un Hollingsworth pare fare schifo al medesimo livello. Ha fatto parte della fetta buona di quella famiglia troppo poco per potersene dire fiero portatore. Ed ora... ora che non esiste più, la sua coscienza è già troppo macchiata affinché possa permettere a quella luce di attraversarlo, per tornare a splendere contro gli spietati pronostici del destino che l'ha rasa al suolo. C'è Helena però dall'altra parte che accende di un bagliore, che è sempre rimasto a sé, sezioni del ragazzo che nient'altro è mai riuscito a risvegliare. In corso, una lotta tra il desiderio di concretizzare i dubbi che sfiorano sempre di più la realtà dei fatti e quello di mettere tutto da parte, rifugiarsi nella ragazza, portarla lontano e ricominciare da capo dimenticando quel passato dalle risposte plausibilmente spaventose. 'Non è niente.' Quello il riscontro che riesce a concedere ad Helena. Perché no, non sta bene, non è tutto ok, ma è una sincerità che non trova evidente corrispondenza nei lividi e graffi che gli sporcano viso, collo, nocche e probabilmente anche l'addome, la schiena. Non dubita tuttavia lei sia capace di scorgere più di quanto il fisico dimostri. In qualche modo, è certo l'abbia già fatto. 'I miei zii sono scagionati.' Le propone quella rivelazione, sottolineando l'assenza di sollievo che accompagna ciò che avrebbe dovuto quietare il suo animo. Ciò che sperava lo facesse. Allontana quindi le mani dalla sua presa solo per afferrare le prove che il cugino gli ha spedito via gufo. Gliele mostra lentamente, lasciandole il tempo di decifrare ciò che vi è impresso. Poi ne chiarisce il significato, più profondo e meschino di ciò che sarebbe dovuto essere. 'Non è una consolazione che loro fossero da tutt'altra parte, perché c'è dell'altro. E forse avrei preferito non saperlo.' Sospira pesantemente, prendendosi un po' di tempo per sganciare la bomba che Harvey ha scagliato contro di lui poche ore prima. Sebbene non voglia arrendersene, fatica a non lasciare che tutti i tasselli di realtà si incastrino perfettamente tra loro. Ma tutto combacia. E pronunciarlo ad alta voce, fa anche più male che aver permesso ad ognuna di quelle evidenze di attraversargli le orecchie. 'Quella notte erano altrove, ma erano loro il bersaglio.' Distende la schiena sul divano, soffiando appena l'accenno di dolore provato, con gli occhi rivolti al cielo, incapaci di fissarsi nella potenziale sensibilità di Helena. 'I miei genitori e mio fratello sono morti per errore, ed io sarei morto lì con loro per quello stesso cazzo di errore.' Pausa. Ingoia il groppo alla gola che confesserebbe avrebbe preferito fosse successo davvero, piuttosto che vivere in quella ragnatela di menzogne che gli si è appiccicata addosso. 'Questo però lo sapevo già. Io sapevo, so, che fossero delle brave persone.' La difficoltà ad includersi in quella bontà è uno scoglio difficile da superare. Forse irreversibilmente insuperabile. 'Ma Harvey mi ha detto chi è stato ad attaccarli. Mi ha dato un nome.' E sebbene la lingua sembri intrecciarsi su se stessa, attaccarsi al palato col collante di umiliazione e disillusione che gli risale nauseabondo sin dalla bocca dello stomaco, dopo tentennamenti interminabili e la ritrovata forza di puntare lo sguardo rigido in quello curioso ed attento di Helena, un sussurro, quel sussurro, viene fuori debolmente. 'Hubert Chesterfield.'


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    Continua da...


    L'allarme risonante l'ha svegliato da quel torpore improvviso. L'adrenalina ha fatto il resto. Le dita si infittiscono sul corpo di Helena, consueta quella mista sensazione di proteggerla ed aggrapparvisi al contempo. Silente, addormentata, ha accolto forse quella realtà che Mason, chi per lui, ha negato. Particolari che accantona per pochi attimi, sufficienti a fuggire da quel luogo e portarsi al sicuro. A quello che dovrebbe esserlo.

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    Posata la ragazza tra i cuscini del divano, nel silenzio di una baita che gli è sempre stata di conforto, comincia a tornare a galla la nausea figlia delle verità appena apprese. Badare a lei è un parziale palliativo al malessere provato. Una distrazione fugace, racchiusa tra le coperte che le pone sui fianchi freddi, sul ghiaccio con cui sfiora il livido pronto a sorgerle sulla tempia. In quei tocchi segreti, impiega tutto l'amore che in nessun altro si traduce che non in lei. L'unico punto sincero della sua esistenza, l'unica costante trasparente nei suoi alti e bassi, abbastanza da rendersi comunque reale. Una certezza, nell'universo di bugie e concretezze deformi che Harvey ha sgretolato con le sue sferzate razionali, sin troppo logiche. Passa poco prima che il suo messaggio venga recapitato al Chesterfield. E sebbene unicamente atto a scagionare i presunti colpevoli, è chiaro come tra le righe di quel documento sia incisa la colpevolezza di qualcun altro. Una prova dinanzi a cui chiudere gli occhi non è più contemplabile. Perché nelle parole del cugino sono risuonati tanti di quei pezzi mancanti, di quelle manipolazioni mai rivelate, adesso implacabilmente piombate sulla psiche di Mason come meteoriti su un Eden illusorio. E' difficile digerire di aver devoluto la propria intera esistenza, essenza, a chi ne ha sradicato le fondamenta. Averlo definito un eroe, un salvatore... avergli mostrato gratitudine, per ciò che non è altro che un silenzio comprato. Le mani del Chesterfield tremano, i suoi occhi le accompagnano, ed il fiato mozzo pesa più della stretta fisicamente subita appena un'ora prima. Di nuovo, è altro a riportarlo alla realtà. In vita. I respiri più profondi di Helena, i mugolii confusi del suo risveglio, lo rimettono sull'attenti. 'Fa' piano, bevi questa.' Le intima con innata dolcezza, debole, quasi timida, mentre le porge un bicchiere d'acqua fresca e mantiene con dita delicate la sua spalla. 'Quello stronzo di mio cugino ti ha schiantata al muro, ma è tutto a posto. Siamo al sicuro.' Maschera i propri patimenti, poi tentenna appena sull'affermazione finale. E' davvero un luogo sicuro quello? Quanto di ciò che gli è appartenuto sino ad ora è davvero un rifugio? 'Ti fa male?' E' chiaro però quanto le sue attenzioni centrino l'unico vero riparo cui senta di appartenere in quel momento. Lei, Helena. Sebbene però i suoi modi, in un accenno di anomala sofficità, non diano estrema dimostrazione del dolore provato, quegli occhi ricolmi di profonda tristezza raccontano alla ragazza più di quanto lui non riuscirebbe probabilmente a fare. Non a parole. Non adesso.


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    Tempo. Distanza. Serviranno ad entrambi? Quanto ci vorrà prima che le loro convinzioni si stacchino dalla fragilità cui soccombono? Di quanto spazio necessitano per riadattarsi ad una relazione giunta ad eccessi tanto stretti? Sono i tipi di pronostico che nessuno dei due avrebbe mai voluto fare. Mason, di sicuro, non ha mai creduto possibile giungere a quel punto. Preda di un amore sfuggito al suo controllo, si ritrova braccato in idee da sempre lontane dai suoi modi di fare. Incapace di mollare la presa, terrorizzato dall'abbandono. Per anni gli è bastato soffocare tali istinti per dimenticarsene del tutto. E con la stessa facilità, è stato sufficiente sentirsi importante, realmente importante, per qualcuno per svilupparne un attaccamento ossessivo. Quello non è il Mason che Helena era abituata a conoscere, tanto diverso persino dalle pessime abitudini di cui è stata spettatrice nel loro primo incontro. Tornare indietro, riorganizzare le idee, appare l'unica soluzione per mettere le cose a posto. L'unica per salvarla, non dai propri mali, ma dalle parti peggiori di sé. 'Mi serve fingere d'esserlo per capire da dove vengo.' Essere ciò che non è. Tornare a vestire i panni di una bugia, montata su dall'uomo che gli ha salvato la vita solo per condannarlo ad una peggiore, scomoda, crudele. Il prezzo da pagare per tornare a capire. Per dare una risposta a quei dubbi insoluti rimasti alle sue spalle. E' certo Helena non condivida la sua scelta, ci sarebbe arrivato anche se non avesse dato voce al fastidio sorto a seguito di quelle parole. Saperla al proprio fianco nonostante questo è il trampolino di lancio di cui ha bisogno. Sperduto nel dualismo dell'una e l'altra scelta, si avvicina all'incoscienza. E sebbene pregno di un non così latente dispiacere nell'assistere a quel coinvolgimento immeritato, si sente pronto ad affrontare ciò che lo aspetta da ora in poi. Si solleva dal pavimento, aspirando con foga l'ultimo millimetro di quella sigaretta. Si prepara di nuovo, richiamando a sé entrambi gli animali, prima di voltarsi verso la ragazza. 'Prendi le tue cose, ti riaccompagno a Londra.' Non un invito, ma un'incitazione decisa cui spera Helena non si opponga, mentre imbocca la via dell'uscita. A sua volta, non ha intenzione di lasciarla sola. Non la esporrà ad alcun rischio per perseguire quel cammino che non deve lederla in alcun modo. 'Ti aspetto fuori.' Si guarderanno le spalle a vicenda. Stavolta però lo faranno da lontano.


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    'E al contrario?' Le loro preoccupazioni si rimescolano nell'incoerenza. A carte scoperte, è impossibile iniettare lungimiranza nelle parole rivoltesi. L'avventatezza dell'amore provato gli vieta categoricamente di assecondare silenziosamente le scelte dell'altro. Diverso da un tempo, assai più complicato da gestire. E straordinaria è la reazione di Helena, pregna d'emozioni e di un interesse che fino ad ora, superficialmente, il Chesterfield ha creduto inesistenti. O perduti. Avere la prova di quel piccolo contatto mantenuto non gli è però d'aiuto. Lo costringe anzi, ancora una volta, a rivedere le proprie priorità, se stesso, per un bene superiore che non ha strettamente a che fare con lui. Ha lottato anni per ottenere la felicità dell'altra e non è mai arrivata. Non c'è mai stato un momento in cui Helena abbia goduto di un benessere da lui indottogli. Di questo è fermamente convinto. E alla luce di questo, quanto saggio sarebbe accondiscendere ancora una volta alle sue traballanti richieste? Assiste alla furia dell'altra senza muovere un muscolo. Poi sospira appesantito da quelle rivelazioni, da ogni cosa, slegando il guinzaglio al cucciolo che non aspetta altro che fiondarsi tra le grinfie di un'altezzosa ma pigolante Pinky. Persino i due animali, nonostante le turbolenze di principio, sembrano più capaci di venirsi incontro di quanto riescano loro. 'Di nuovo?' Ribatte ai suoi ultimi disperati lamenti, mettendo da parte la ferita che una simile considerazione gli avrebbe normalmente imposto. 'Come puoi dirlo? Non ti ho mai lasciata da sola.' Esce fievole quella considerazione, un sospiro di sconfitta privo dell'accusa che qualche istante prima le avrebbe urlato in pieno volto. E' l'alternarsi di colpe e paure che lo rende affranto. Scatena quel peso oscuro da cui ha cercato di fuggire sino ad ora. Le accuse di Helena lo riportano in vita. Chiudono ogni sua porta, per migliorarsi, per venire fuori da quell'interrogativa condizione. Lo limitano in quella scappatoia che la ragazza è sempre stata, annullando del tutto quei bisogno che non sono mai spariti come il Chesterfield ha creduto. Si sono solo messi in pausa, mentre le sue forze venivano impiegate in qualcosa di più importante. In qualcuno che non ha più bisogno di lui, ai suoi occhi. 'Perché non posso combattere le mie battaglie ed aiutare te allo stesso tempo?' E' una domanda sincera quella che le pone. Un tentativo inconscio di stabilire la connessione perduta. Di chiederle un'apertura che nelle ultime settimane non è più avvenuta. Recupera la sigaretta appena consumata persa tra le assi del pavimento. Ne brucia il filtro per qualche istante, prima di portarla alle labbra e riaccenderla. Una pausa breve, scandita da gesti lenti. Posizionatosi infine di fronte all'altra, scompostamente seduto sul vecchio pavimento di quel rudere abbandonato, cerca un'ultima volta di donarle sincerità. La debolezza che è più bravo a mascherare che a rivolgere persino a lei. 'Ho l'inferno dentro in questo momento.' Solo una rivelazione vera, sentita, sincera. Non un tentativo di sminuire Helena, tantomeno il suo dolore. Nemmeno una giustificazione. Solo... qualcosa, trattenuto in sé sino a consumare le poche briciole di ragione che gli rimanevano. 'Ed io sto provando ad aiutarti, ma mi sembra di non riuscirci. Di farti solo stare peggio.' Sbuffa quella considerazione, lo sguardo perso tra le dita strette attorno alla cicca, ai ghirigori grigiastri che ne vengono fuori. Assente da quel momento, in cerca di un sollievo che non arriva. 'Ho pensato che se non sistemo me stesso, non sarò mai in grado di aiutare te. Ne abbiamo le prove.' Compare un sorriso amaro sul suo volto, mentre i sospiri pesanti si alternano ai vaghi singhiozzi dell'altra. Non riesce ancora a guardarla. Non riesce a sopportare persino quel dolore. Esserne di nuovo artefice è una merda. Ricomincia da capo, nella sua opera di irrefrenabile autocommiserazione. 'Ma come faccio ad aiutarmi se non so più chi sono?' E' forse Azkaban ad aver instaurato certi dubbi? O ha solo riportato a galla condizioni di una vita stroncata da un ignoto che lo castiga? Ha mai saputo chi fosse veramente?


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    Immobile, un inerme testimone di quella reazione. Nulla di onorevole in quel modo di risvegliarla, solo l'esagerazione a farsi largo ancora una volta oltre i timori che l'hanno trattenuta sino ad ora. Va sempre a finire così, come se non vi fossero percorsi alternativi per loro. Partono da guerre infinite prima di raggiungere a fatica una pace condivisibile; quest'ultima, sempre temporanea. Il loro legame è sdrucciolevole, più di quanto non abbiano cercato di raccontarsi ogni giorno che passava. Uniti nel caos, nel fuoco, nelle macerie inflittesi a vicenda, gravose su quelle che la vita gli ha regalato in contemporanea. L'ennesima frattura è solo il punto di arrivo di una realtà indissolubile. Un modo malsano di tenersi legati, che ad ogni progresso ristoratore lascia corrispondere la corrosione di un'individuale pace rassegnatasi al malessere. 'Tante quante ne ho avute io, Helena! Cazzo!' È triste quando i loro pezzi mancano di empatia e comprensione. Quando i loro spigoli cozzano, creando una cacofonia sentimentale dedita alla solitudine. Diventano soli, del tutto. Non più soli insieme. Rompono il loro implicito, taciturno patto di alleata fiducia che la sofferenza disintegra. Ed ecco quindi lo schiaffo di quella discordia. L'accidia nell'unico contatto disposta a rivolgergli dopo mesi. Ed una spinta. Un'altra ancora. I passi del dissidio ripercorsi con la stessa veemenza di sempre. Abbastanza da indurre il Chesterfield ad indietreggiare, a concentrare nei pugni chiusi ed in parole infuocate quella sofferenza che non deve raggiungere il fisico dell'altra. 'Già e chi mi ha ridotto a quel modo? Chi mi ha spedito ad Azkaban?' La libertà che Volhard ha strappato a lei è la medesima che in altri modi ha tolto a lui. Le comparazioni non sono tuttavia fattibili. Insensate, darebbero misure a traumi che non ne possiedono. Renderebbero superficiale qualcosa di così profondamente radicato in loro da ucciderli. 'Incazzarti con me non risolverà i tuoi sensi di colpa, alimenterà soltanto i miei.' Colpisce là dove forse si cela un fondo di verità. Una che magari è tutta sua. Una passeggera. Una che ha una forma nella propria testa, probabilmente diversa da quella che alberga nel cuore di lei. 'Quante cazzo di volte ti ho caricata in sella per andarcene via da questo inferno?' Volevano fuggire insieme. Dovevano farlo. Eppure non ha mai funzionato. 'Siamo sempre tornati indietro. Per te. Per quella famiglia che demonizzi quanto demonizzi la mia! E me.' Con Helena è sempre stata una corsa sulle montagne russe. Ciò che un giorno è il male, si trasforma nel bene il giorno dopo. E la figura del Chesterfield è sempre stata così volubile da aver confuso persino lui stesso. Quanto c'è di buono in lui? E quanto di cattivo? Cos'è che la spinge ad amarlo un giorno ed odiarlo per settimane intere? Vorrebbe trovare una risposta, una qualunque a cui fare appello. È il compromesso figlio dell'incapacità di definirsi da solo. La peggior forma di dipendenza che si riflette negli occhi degli altri. 'Non sei l'unica a stare male.' Prende adesso la propria giacca, richiamando a sé il silenzioso amico a quattro zampe per legare un guinzaglio al suo collare. 'E raccontati tutte le stronzate che vuoi, ma diventare un assassino non è la scelta più facile.' Espone una parte di sé, una fintamente dimenticata, ora riemersa come la paura più dura da affrontare. Quella che niente e nessuno può rimuovere dalla nera coltre della sua anima. 'Dovresti capirlo da te.' Le dice infine, in un chiaro riferimento alle sue incoscienti ed acerbe intenzioni, cercando di allontanare dai piedi dell'altra un Green intento a ricercare le sue attenzioni. Uno certamente più capace di ascoltare il suo dolore.


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    'Dipende da quanto si è attaccati alla propria storia. Alla famiglia.' Non si è mai interrogato sulla propria. Non ha mai indagato ciò che è stato prima dei suoi genitori. Ed in ogni caso, la sua bolla di protezione l'ha sempre costretto a soffermarsi su quel piccolo nucleo spazzato via dall'assassinio, sulle tre persone che erano state "famiglia" prima che Hubert lo diventasse. Affacciarsi oltre quello scudo - involontariamente, in aggiunta - non ha fatto altro che rivelare misfatti dalla natura agghiacciante. Continuare a farlo, scavare a fondo in un passato che potrebbe celare anche più traumi, non gli è mai stato d'interesse. Quella ragazza appare invece fermamente legata a quell'universo andato, come non si arrendesse all'idea di considerarlo un remoto ormai perduto. Vuole che riaffiori, vuole che la giustizia si affermi su ciò che è stato, che ognuno di quegli atti siano valsi la pena. Una battaglia forse più grande dell'interesse personale di cui lascia poche briciole al Chesterfield. Lui di rimando non ha intenzione di ficcanasare nei suoi affari così come forse ha erroneamente lasciato credere all'altra. Sollecitare lei e la sua battaglia tuttavia appare evidentemente il metodo migliore, di sicuro il più tempestivo, per tenerla d'occhio. Questo è fondamentale. 'Ti assicuro che i maghi non sono da meno.' Ribatte alla sua considerazione. Si chiede tra sé e sé se non vi sia un principio di razzismo in Cassandra. Quanto esso sia radicato in lei, non importa. A cosa questo la porti è però il dettaglio che più lo incuriosisce. Quanto in là potrebbe spingersi pur di tenere fede alle proprie credenze e convinzioni? La sua natura è forse più vicina alla propria di quanto entrambi non possano essere consapevoli. 'Forse. O forse sono solo l'essere umano più gentile che incontrerai mai sulla faccia della terra.' Condividere quello smacco ironico è necessario per fornirle un'affermazione che non rientri nei canoni della stessa. Annuisce quindi alla sua presa di coscienza, ben consapevole di non poter rivestire i panni di una persona gentile agli occhi dell'altra. Non di certo dopo il modo in cui l'ha strattonata poc'anzi. Ed in genere, nessuno mai riuscirebbe a definirlo uno stinco di santo anche solo guardandolo camminare per i corridoi con l'aria di chi è pronto a sbranare il mondo intero. E' una copertura che gli si addice tanto. Troppo perché non si consolidasse come un'imprescindibile realtà. Apprezza comunque la tenacia dell'altra, la caparbietà con cui lo affronta sino alla fine. E' quel genere d'atteggiamento che ha sempre stuzzicato positivamente le sue aspettative. Uno capace di divertirlo ed indurlo a perseverare in quei misteri sollevati a metà. 'Prova a scoprirlo da sola.' Inarca il sopracciglio, le braccia conserte al petto mentre avanza di qualche passo con l'intento di superarla. 'Puoi chiedere qui in giro, con un po' di fortuna ci arriverai, ma sarebbe tremendamente noioso.' Rilascia quell'alternativa con fare borioso, prima che i suoi occhi si illuminino di una furba scintilla che si rifletta negli occhi della ragazza dinanzi a sé. 'Oppure mi vieni a trovare a Nocturn Alley e te lo riferisco io.' Con la bacchetta compie un gesto svelto, ma non brusco. Lascia apparire tra le dita dell'altra un foglietto, un recapito cui cercarlo, mancante però della sua firma. Da lì, se avrà voglia di approfondire quella conoscenza e trarre giovamento da lui così come ha sino ad ora lasciato intendere, potrà servire due scopi: saziare la propria sete di rivalsa e tornare utile al Chesterfield come potenziale alleata. 'Ci vediamo presto, spero, Cassandra Rocha.' Pronuncia infine svoltando l'angolo per fare ritorno ai dormitori.


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    Afferra con altrettanta apatia i guantoni che piombano sul suo petto, lasciando scivolare sulle cigolanti assi del pavimento la sigaretta appena accesa. Uno schiaffo morale più forte di quanto le dita dell'altra avrebbero potuto imprimere sulla sua pelle smunta. C'è una sottile linea di repressione che si posa su entrambi, suoi loro gesti quanto sul tono delle loro voci. Quella voglia irrefrenabile di urlare continua a bussare alla loro porta, a straziarsi nell'impossibilità di essere portata a compimento. Cos'è a bloccarli davvero? Il pensiero di ferire l'altro o di esporre se stessi e pugnalarsi di rimando? Quanto del proprio dolore risiede in quel nido fondato sulla sofferenza altrui? 'Io sono un mostro da temere. Sei tu che ti ostini a cercare un'alternativa più bella.' E' l'unica affermazione che il fiume d'astio della Haugen riesce a provocare. Sì, di nuovo quella resa effettiva ad uno stato delle cose che finge gli vada bene. Di nuovo codardo. Di nuovo solo al fianco di un mondo malato che lo vuole esattamente così. Crudele, vuoto di sentimenti, disposto a rovinarsi, a smettere di vivere. E' l'unica alternativa che lo tenga lontano dall'estremismo della morte. Il Chesterfield non lo realizza, dal suo canto neanche Helena lo fa. Le è dietro senza pensarci due volte, i guantoni lanciati malamente contro il pavimento, il passo pesante che le permetta di raggiungerla ovunque sia diretta. 'Dove pensi di andare, mh? Ogni volta che qualcosa non ti gira non perdi tempo a scappare.' Non vuole essere una provocazione, eppure suona inevitabilmente come tale. Perché è un tema di ridondante abitudinarietà quello che le porge senza delicatezza. Quasi un'accusa, così inconsapevole da fare anche più male. Solo l'effetto di un dolore che per la prima volta dopo mesi il ragazzo decide di vomitare dritto contro di lei. Un acido a cui il suo inconscio si oppone, rimodellando una realtà che ad occhi esterni raffiguri l'opposto. 'Mi hai mai chiesto come stessi?' Perché avrebbe dovuto? Era lei la vittima degli eventi. 'In questi ultimi mesi, c'è stata una singola volta in cui ti sia interessato?' Sempre. Glielo si leggeva nella distanza. Negli occhi. 'Perché a me di te è importato. Forse anche più di quanto fossi disposta a sopportare, non è così?' Ma è lui a non sopportare la sua impotenza. A non reggere l'idea di essere diventato pesante quanto chiunque l'abbia sempre fatta sentire soffocare. Di troppo. 'Magari vedermi come un nemico ti è più facile, si adatta bene alla tua visione di questo mondo di merda che ti odia.' Vorrebbe non esserne convinto. Vorrebbe tacere quelle parole come ha fatto sino ad ora. Vorrebbe non sentirsi costretto a rendergliele palesi pur di difendersi, attendendo il momento in cui è lei ad aprire gli occhi, a vedere lui ed il suo dolore nel modo in cui Mason non è più stato in grado di fare con Helena. 'Ma l'universo odia te tanto quanto me e a me sembra che tu non la voglia una squadra per combatterlo.' Questa è forse l'unica verità ben radicata nella sua anima. Una verità fatta di paura, difficile da sostenere per chi di paura se ne è sempre nutrito senza temerla. Ha perso il controllo su di essa; da allora non è più stato in grado di rimettersi in sesto. 'Vuoi fare da te. Ed io farò da me.' Per quanto sincero e deciso possa sembrare, c'è una vocina in fondo a quel tortuoso tunnel d'incoscienza che gli urla di tornare indietro. Un piccolo tremolante barlume di desiderio che spera di vederla negare quell'evidenza. Forse però è troppo tardi. Forse ha vestito i panni di un punto d'arrivo indiscutibile, sebbene fermamente legato all'idea sia stata lei a richiederlo. Dare ad altri le proprie colpe è sempre il modo più facile per superarne l'afflizione. Lo è almeno all'inizio.


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    La distanza rende mutevole ogni cosa. Raffredda i dettagli gradevoli, ma non è da meno con quelli più ostici. Le risposte di Helena, per quanto velate di papabile disappunto, restano braccate nel distacco. E' ad altri particolari che i suoi occhi si spostano, al sacco da boxe i pugni carichi di quello stesso rammarico. Per quanto sia evidente la crescita di quel sentimento d'ira facilmente alimentabile negli ultimi tempi, il Chesterfield appare deciso a non lasciarsene scalfire. Non è il menefreghismo che lo accompagna quotidianamente, quanto la necessità di proteggersi, di mettere in pausa gli scrupoli sino ad ora avanzati. Di accantonare quel progetto condiviso per perdersi nella tempestosa marea dell'egoismo. Individualista, rivolto ad una battaglia che non ha trovato sollievo nelle decisioni prese. Solo un modo per smettere di badare alla propria fragilità, quella personale quanto quella strettamente collegata alla ragazza che ha di fianco. 'Ti avverto.' Ribadisce con fare inviolabile, fermo in un credo saldo sebbene indefinito. Un disegno che non ha progetto né esecuzione. Un'alternativa cui si addentra senza cognizione di causa. Il solo desiderio di zittire il panico ed il dolore provati a sollecitarlo vividamente. 'Quali altri modi? Farmi una striscia con mio cugino nel tentativo di avvicinarlo? Bussare alla porta di quei presunti assassini chiedendo di riunirci attorno ad un tavolo come una famiglia felice?' Brucia ancora l'effetto di quello sbaglio. Lo fa la possibilità di commetterne ancora. Arde di colpevolezza la moralità spezzettata sotto il peso delle scelte intraprese. Essersi avvicinato così tanto al figlio di chi rappresenta la sua rovina, la disfatta. Averci condiviso una notte, un tavolo, il principio di un impreciso qualcosa dai risvolti vagamente positivi. Come ha fatto a guardarsi allo specchio sino ad ora? Come ha osato piangere sulla tomba dei propri cari dopo averli traditi per un volubile capriccio? 'Sono stanco di dovermi guardare le spalle ovunque vada. Ci ho provato a cavarmela da solo, ma ne ho ricavato solo più casini e ho sprecato tempo utile.' E poi c'è la solitudine, l'angoscia degli ostacoli mai realmente superati, la coscienza grondante di traumi ridondanti, di effetti che il proprio malessere ha scatenato consumando sino all'ultima goccia della sua ragione. Quel Mason non è che il risultato di questo. Di giorni passati al buio con soli pensieri negativi ad accompagnarlo. Di un silenzio colmato solo dalla colpa. Di voci che sottolineassero ciascuno degli errori compiuti, più di quanto non avesse già fatto sino a quel momento. Adesso, avvilito e svuotato di ogni concezione rosea, non può non tornare alle proprie origini. In quel calco di fredda pietra che è stato il suo passato ci si adegua ancora perfettamente. 'Non sei nella posizione di giudicarmi, io non l'ho fatto con te.' Le dice infine ribadendo la propria posizione. Mani libere dai guanti, cuore pesante, si allontana di qualche passo per recuperare una sigaretta. Gomiti sul davanzale, fiato verso l'esterno, occhi stanchi ed anneriti contro un panorama grigio ed altrettanto spento.


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    Un risveglio agitato, imperlato del sudore che scorre giù dalla fronte del Chesterfield, annaspante alla ricerca del respiro che l'ennesimo incubo gli ha fatto mancare. La solitudine si fa sentire. E' la gabbia più subdola che l'abbia mai intrappolato. Più ci anneghi, più la ricerchi. E sebbene diventi necessario quanto la spasmodica necessità di una dose della droga preferita, il benessere che ti avvolge è un'ingannevole finzione. Non gli piace essere solo. Non ci sta bene. Ma aggrapparsi agli altri, un amico, lei, significherebbe scegliere la strada più facile, quella che si conclude in una sconfitta perenne. Una strada troppo gentile per chi sente di meritare la crudeltà del sopravvivere con un ingombrante carico di peso nel petto. Si tira su dal materasso, un'occhiata celere al cane addormentato ai piedi dello stesso, per raggiungere il bagno. Lo specchio liscio mostra un riflesso incrinato. Le gocce d'acqua con cui si sciacqua il viso, tracciano le imprecise crepe che distorcono la sua quiete. Quella l'ha persa da un po'. Gli eventi, Volhard, la vita, gliel'hanno strappata via. Ed è stanco di piangersi addosso, di raccontarsi che quel tortuoso percorso sia stato l'ennesimo fallimento. Fa in modo di convincersi che ne sia valsa la pena. Le ferite, il dolore, il carcere. Tutto un insieme di dettagli che lo fortificassero, prima di riportarlo al punto di partenza, di ricordargli per cosa abbia combattuto tutti questi anni. La famiglia. Una verità, così vicina eppure così lontana. Un obiettivo riposto da parte per lasciare spazio ad un altro tipo d'amore. Che sia perduto o recuperabile, sarà il tempo a dirlo. Concentrarsi su se stesso è la chiave per non cedere alla debolezza, alla solitudine, alla voglia incommensurabile di farla finita, annegato nei "se" e nei "ma", soffocato da quesiti irrisolti forse privi di esiti sbrogliati. Attende con quei pensieri l'arrivo di Helena al vecchio capanno abbandonato recuperato nelle fredde terre scandinave. La luce flebile penetra dalla finestra, sferzando il fumo di una sigaretta lasciata a consumarsi tra innumerevoli filtri sul posacenere lì accanto. Il volto pallido rivolto al soffitto, il silenzio spezzato dal pesante respiro di Green, accovacciato ai piedi del padrone. Solo quando lo stridere della serratura segna la conclusione di quella forzata emarginazione, poche briciole di vita tornano nei suoi occhi. Poche, spente, lontane da ciò che la presenza della ragazza è sempre stata in grado di risvegliare. 'Pronta ad allenarti?'

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    Hanno saltato scomodi convenevoli. Mason non ha dato modo a nessuno dei due di interrogare l'altro, di interrogarsi sul proprio stato d'animo. E' chiaro quanto distante sia dal mondo esterno. Helena ne è già stata spettatrice, ma adesso è a sua volta vittima delle proprie catatoniche sensazioni. Per un po', sono solo i colpi tirati contro il sacco a sentirsi. Poi quelli delle nocche di lei lanciatesi contro i palmi di lui. Strategie, movimenti, insegnamenti più o meno convincenti. Non tiene conto dei progressi dell'altra, la mente assorta in tutt'altro pensiero. Ed è al richiamo di una pausa che decide di rendere chiari i propri crucci. Una parte di essi. Seduto su una panca di legno sbeccata, si concede qualche sorso d'acqua prima di rivolgersi ad Helena. 'Ho pensato a lungo ad una cosa... e adesso ho preso una decisione.' Ci rimugina su qualche secondo, conscio l'altra possa sfociare in spropositate reazioni a quella notizia. Non si tira comunque indietro. A quel punto, persi in quella freddezza reciproca, che senso avrebbe mentire, omettere, nascondere? Cosa gli resta da dividere, se non riescono neanche a guardarsi in faccia? 'Torno da mio padre.' E' l'unica scappatoia che gli resta. L'unico impiego che possa riportare indietro quel ragazzo disperso in un deforme limbo d'inconsapevolezza. 'Ho bisogno di scoprire la verità sulla mia famiglia.' A chi, a cosa appartenga. Chi sia. Di riconoscere se stesso. Di tornare a casa. 'Non posso farlo da solo.' Di ritrovarsi in uno sguardo che sia il proprio.


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    Paziente, si risolleva dalla melma di errori commessi nei confronti dell'altra. Nessun intervento che la smentisca, né un'improvvisa irruenza che la destabilizzi. Non accetta la sua resa, ma non si arroga il diritto di negarle i sentimenti provati. Resta anzi uno spettatore del suo dolore, quanto del proprio nel momento in cui lei lo riporta a galla. Un passato andato, eppure impossibile da cancellare, dimenticare. Incredibile come quegli eventi siano impressi a ferro e fuoco nella mente dell'altra, sulla sua pelle, sul cuore ardente di preoccupazione e premura, probabilmente più di quanto facciano nell'animo del Chesterfield stesso, raffreddatosi ed induritosi come lava destinata a rimanere pietra scura e rigida, inscalfibile. Si rende conto gli sia spettato lo stesso destino. Ogni cicatrice di Helena, sanguina sulla propria pelle. Mentre lei tenta faticosamente di curarle, attendendone il rimarginarsi, le cicatrici bruciano prepotentemente in lui. Di nuovo, l'inganno dell'amore si fa presente ai loro occhi. Non c'è modo di venirne fuori e forse nessuno dei due brama più quel genere di epilogo. 'Datti tempo.' È il consiglio più forte che sente di poterle dare. Il più sincero. Forzare una guarigione, pretenderla, ti macchia per sempre. Pazientare con se stessi ancor prima che con gli altri è la miglior medicina. Gliela porge mestamente, affiancandovi un altro monito che affermi la sua presenza e non solo. 'Fallo cercando di ricordarti di non essere sola.' Hanno sperimentato la solitudine, ma quante volte essa si è figurata come un inganno della mente? Qualunque sia la visione preponderante in lei, Mason non si tirerà comunque indietro. Ci sarà, vicino o lontano. Attenderà lei, le sue vittorie e le richieste d'aiuto. Non può cambiare. Non l'ha mai fatto. Recupera il guantone infine, riponendo parte dell'attrezzatura che domina la stanza mentre le flebili scuse della ragazza lo raggiungono con poca precisione. Solo alla fine, dinanzi alla velata ricerca di un perché a quella vicinanza anomala ma ancora resistente, sente il bisogno di concedersi, concedere ad entrambi, un ultimo slancio di verità. Uno diretto, sebbene adornato di termini fintamente casuali. 'Magari a me va bene qualunque tipo di futuro.' Uno non programmato, puntellato di inimmaginabili novità e persino difficile da affrontare. Uno in cui l'unica costante vigente è sempre, solo Helena.


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    Sta al suo passo, ai suoi ritmi, ai tempi dilungati che le servono per riordinare idee ed informazioni apprese. Le porge ancora la pazienza di cui ha bisogno, avvertendo forse per la prima volta dopo settimane la leggerezza nel farlo. Si libera di quel peso di colpevolezza, dell'egocentrico malessere che ha avuto la meglio la maggior parte del tempo. Racchiude in quel momento ciò che di meglio può ricavare dai propri affettuosi intenti, lasciando da parte problematiche che a sua volta non è in grado di affrontare senza sentirsene irrimediabilmente risucchiato. Emerge però il lato puro di Helena, quello che ha sempre osservato la violenza col naso storto e sguardi accigliati. Quella che macchia la pelle del Chesterfield, quella che si è consumata sotto i suoi occhi spettatori ed infine quella ricevuta. Atti deplorevoli lontani dalla sua natura, a differenza del ragazzo da sempre piuttosto capace di adeguarvisi. Ed i quesiti di lei sono spontanei, quasi scontati alle proprie orecchie. Sottolineano le differenze, le uniche, in grado di separarli come null'altro al mondo. 'Non puoi pretendere di riuscirci bene se ti dai addosso così.' Incoraggiante constatazione, rivoltale con meno freddezza rispetto a quella da cui lei non riesce ancora a staccarsi. Lancia un'occhiata celere alla sua mano, libera dal guantone ed imporporata di un colpo azzardato. Recupera dalla cucina del ghiaccio. Avvolto in un panno, glielo porge per dare sollievo alle nocche stanche, come lei. 'Potrei dirti che non abbia avuto scelta ed in parte è vero.' Decide quindi di rispondere così ai suoi dubbi, lasciando trasparire un proseguo che spieghi perché lei non si sia sentita capace di sferrare neanche un colpo e perché a lui riesca da sempre così spaventosamente naturale. 'Ma credo sia scritto nel mio DNA che pezzo di merda sono.' Non è amareggiato nel pronunciarlo. Neanche rassegnato. Riporta un dato di fatto a bruciapelo, sedendo sulla panca ancora lì presente, di fronte a lei. Assicurandosi insomma che lei non rifugga il suo sguardo. 'Dopo aver provato la prima volta, l'adrenalina si è fatta sentire forte e chiaro. Mi spingeva a dare sempre di più, mi faceva sentire bene. Dava un senso ed uno sfogo a quella rabbia che non potevo sempre gettare sugli altri.' Così non ha più smesso. A tentoni, è avanzato lungo quella strada deprecabile sino a dominarla. La fierezza che ha sempre mostrato in merito non è un vanto che la società accetta. Mason ne ha però fatto il proprio pane quotidiano. Ha affrontato il mondo con quel carico di rabbia, crescendo forte ma disintegrando la propria morale. Il diritto di essere umano. 'Non è stato difficile per me.' Sposta solo a quel punto l'attenzione su di lei. Dopo averle dato una visione di sé, nel tentativo di confortarla quanto di affiancarla in quella scelta traballante, la aiuta a scavare nelle proprie ragioni. 'Ma forse per te è diverso. Non devi farlo per vendicarti di qualcuno. Non pensare ad attaccare.' Sebbene quel male sia scaturito da una persona nello specifico, riporre le proprie intere aspettative in quella ed in eventi che la riguardino la porterebbe ad una nuova ossessione cui appoggiarsi. Qualcosa che la riempia e la consumi al contempo. Come la rabbia del Chesterfield. E lui non vuole succeda anche a lei. Non vuole vederla sparire sotto il risucchio di un'immeritevole paura. Le porge un senso più ampio, che parta da se stessa prima che dal mondo che la circonda. 'Impara per te stessa. Fallo per difenderti. Per ricordarti di essere una combattente.' Di essere forte, come non è più riuscita a credere. 'Non fare i miei stessi errori.' Generico in apparenza, eppure molto più specifico di quanto le dia a vedere.


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    Fare il suo gioco. Può considerarsi un inganno? Articolare intenzioni semplici alla superficie in qualcosa dai fini multipli è un rischio pronto a correre. Tante le volte in cui si è servito delle proprie capacità da doppiogiochista per tendere le situazioni a proprio favore. In quel frangente, si racconta, il fine è sempre intricato nell'egoismo quanto nell'altruismo. Non ha smesso di preoccuparsi per Helena, mai lo farà. Cambiare approccio è però un modo di assecondarla senza schiacciarla col peso del proprio affetto, non più latente come prima. Curioso come nasconderlo sia diventato una tortura; non così scontato convincersi non ce ne sia ancora nonostante tutto. Ripartono entrambi da quella finta rigidità, guardandosi senza osservarsi, toccandosi senza sfiorarsi. Il guantone che si pressa contro il suo braccio, una dichiarata tregua. 'Forse sei tu che non vedi l'ora di mettermi le mani addosso.' Non risucchia in sé quella voluta ambiguità. La aiuterà anche in quello, ad accettarla, a riabituarsi ad una normalità che mesi prima avrebbe scatenato reazioni lontane dalla negatività. Non si aspetta una battuta in cambio, neanche un sorriso chiaramente divertito in realtà. Fa solo parte della sua finta terapia e ne accetterà ogni conseguenza. Si tira in piedi a quel punto, scuotendo appena il capo nell'osservare la reattività dell'altra. Un evento positivo che non ha intenzione di lasciarsi sfuggire. Uno che per un attimo rende meno buio l'ambiente attorno a sé. 'Ok, baby-pugile, allora ti tocca imparare a cavartela con le parti alte.' Quasi una sessione di riscaldamento, prima che il vero addestramento cominci. Altrove. Più a lungo. Con più serietà e preparazione. Punta la bacchetta sui suoi guantoni, sistemandone la misura ed allacciandoli adeguatamente ai suoi polsi. Recupera a quel punto il sacco da boxe, alleggerendolo con un nuovo incanto di un po' del suo peso. A quel punto, si fa da parte. 'Sai cos'è un gancio?' La accosta, dandole dimostrazione dei colpi da sferrare. 'Fanne tre in sequenza, destra e sinistra, gambe aperte non oltre le spalle, posizione obliqua.' Diverse le spiegazioni che le fornisce, ma comunque poche rispetto ad un corso qualsiasi. Nella sua sconsideratezza, il Chesterfield è sempre stato un ragazzo d'azione. Sa, in fondo, che Helena sia fatta della stessa pasta. Ecco perché due guantoni le avvolgono già le mani. Ecco perché c'è un sacco dinanzi a lei, sebbene non sia ancora sufficientemente preparata a scagliarvisi contro. 'E non colpire troppo forte o ti romperai una mano. Ti serve solo per imparare il movimento, così poi potrai realizzare il tuo sogno e colpire me.' Un altro slancio di ironia che alleggerisca i seri avvertimenti suggeriti. Ne approfitta, ancora, per riguadagnarsi la sua fiducia. Per meritarla, come implicitamente è riuscito a fare nel tempo, anni prima.


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    In silenzio, ascolta le sue convinzioni. Taciturno, mette in ordine le idee che Helena gli porge senza negarle. Toccare i suoi sentimenti va bene solo senza l'arroganza di modificarli, di comprometterli. Non è un lavoro che spetta a lui. Non più. Non lo è anzi mai stato, ma entrambi si sono illusi potesse bastare quell'appoggio reciproco per andare avanti, per salvarsi. Alla fine, sono rimasti entrambi in trappola. Inarca appena le sopracciglia quando il punto del suo discorso si fa cristallino. Spaventoso, sebbene racchiuso in una scontata prevedibilità. Uccidere. Chi è lui per dirle quanto sia sbagliato? A cosa servirebbe ribadire che lei non sia una criminale? Puntare l'attenzione sul mondo in cui è nata non cancellerebbe le esperienze vissute. Quelle che, di rimando, l'hanno condotta alla considerazione degli stessi squilibrati percorsi del Chesterfield. Lui però non l'ha mai voluto davvero, si è solo rassegnato all'idea di doverlo diventare ad un certo punto della sua vita. E lei? Lei lo vuole davvero? 'Dove vuoi farlo?' È il quesito che soffoca tutto il resto. Preoccupazione, avvertimenti, tutta la merda di cui lei non vuole occuparsi in quel frangente. Scegliere il male minore è d'obbligo. Affiancarla, piuttosto che lasciarla alla ricerca sconsiderata di un metodo per farsi giustizia da sola, è la soluzione più ovvia. L'unica che in qualche modo la protegga. L'unica con cui tenerla d'occhio, nella lontana speranza cambi idea prima che l'occasione di disintegrare le poche tracce d'innocenza che le restano bussi alla sua porta. 'Possiamo spostarci al Nord. Troviamo un punto isolato e ci lavoriamo su.' Sembra la scelta migliore, tenerla lontana da tutti gli affetti racimolati a Londra. Amici, famiglia... qualsiasi rapporto possa rimanere scottato dalle sue scelte, più di quanto vederla soffrire non abbia fatto. Troverà un nuovo capanno abbandonato. Ne farà un rifugio, l'ennesimo, dall'eco di tempi andati pronti a ramificarsi in risultati mai visti prima. Un'idea che lo rende nervoso, ma questo non emerge nemmeno da un singolo fiato emesso. Trattiene in sé quell'agitazione, sfruttando il malessere provato per osservare quella situazione da una prospettiva diversa. Meno sentimentale, più volta alla razionalità. Circondata dal sangue freddo di cui ha bisogno. Solo così riesce a calmarsi. Lancia un'occhiata al gigantesco guantone che capeggia il polso minuto dell'altra. Con una risata dall'accenno divertito, scuote il capo. Allenta la tensione. 'Quello non ti servirà, sai? Soprattutto di quella taglia.' Non strettamente legato all'intento di divertirla, quell'intervento. Da esso balena però un'altra idea nella sua mente, una proposta da accostare alle sue richieste. 'Ma posso darti anche lezioni di difesa personale.' Utile, meno rischioso e soprattutto - così spera - la chiave per attraversare il mondo senza soccombere all'ingiusta paura impossessatasi di lei da troppi anni ormai.


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