Burn it to the ground

Helena

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    Un risveglio agitato, imperlato del sudore che scorre giù dalla fronte del Chesterfield, annaspante alla ricerca del respiro che l'ennesimo incubo gli ha fatto mancare. La solitudine si fa sentire. E' la gabbia più subdola che l'abbia mai intrappolato. Più ci anneghi, più la ricerchi. E sebbene diventi necessario quanto la spasmodica necessità di una dose della droga preferita, il benessere che ti avvolge è un'ingannevole finzione. Non gli piace essere solo. Non ci sta bene. Ma aggrapparsi agli altri, un amico, lei, significherebbe scegliere la strada più facile, quella che si conclude in una sconfitta perenne. Una strada troppo gentile per chi sente di meritare la crudeltà del sopravvivere con un ingombrante carico di peso nel petto. Si tira su dal materasso, un'occhiata celere al cane addormentato ai piedi dello stesso, per raggiungere il bagno. Lo specchio liscio mostra un riflesso incrinato. Le gocce d'acqua con cui si sciacqua il viso, tracciano le imprecise crepe che distorcono la sua quiete. Quella l'ha persa da un po'. Gli eventi, Volhard, la vita, gliel'hanno strappata via. Ed è stanco di piangersi addosso, di raccontarsi che quel tortuoso percorso sia stato l'ennesimo fallimento. Fa in modo di convincersi che ne sia valsa la pena. Le ferite, il dolore, il carcere. Tutto un insieme di dettagli che lo fortificassero, prima di riportarlo al punto di partenza, di ricordargli per cosa abbia combattuto tutti questi anni. La famiglia. Una verità, così vicina eppure così lontana. Un obiettivo riposto da parte per lasciare spazio ad un altro tipo d'amore. Che sia perduto o recuperabile, sarà il tempo a dirlo. Concentrarsi su se stesso è la chiave per non cedere alla debolezza, alla solitudine, alla voglia incommensurabile di farla finita, annegato nei "se" e nei "ma", soffocato da quesiti irrisolti forse privi di esiti sbrogliati. Attende con quei pensieri l'arrivo di Helena al vecchio capanno abbandonato recuperato nelle fredde terre scandinave. La luce flebile penetra dalla finestra, sferzando il fumo di una sigaretta lasciata a consumarsi tra innumerevoli filtri sul posacenere lì accanto. Il volto pallido rivolto al soffitto, il silenzio spezzato dal pesante respiro di Green, accovacciato ai piedi del padrone. Solo quando lo stridere della serratura segna la conclusione di quella forzata emarginazione, poche briciole di vita tornano nei suoi occhi. Poche, spente, lontane da ciò che la presenza della ragazza è sempre stata in grado di risvegliare. 'Pronta ad allenarti?'

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    Hanno saltato scomodi convenevoli. Mason non ha dato modo a nessuno dei due di interrogare l'altro, di interrogarsi sul proprio stato d'animo. E' chiaro quanto distante sia dal mondo esterno. Helena ne è già stata spettatrice, ma adesso è a sua volta vittima delle proprie catatoniche sensazioni. Per un po', sono solo i colpi tirati contro il sacco a sentirsi. Poi quelli delle nocche di lei lanciatesi contro i palmi di lui. Strategie, movimenti, insegnamenti più o meno convincenti. Non tiene conto dei progressi dell'altra, la mente assorta in tutt'altro pensiero. Ed è al richiamo di una pausa che decide di rendere chiari i propri crucci. Una parte di essi. Seduto su una panca di legno sbeccata, si concede qualche sorso d'acqua prima di rivolgersi ad Helena. 'Ho pensato a lungo ad una cosa... e adesso ho preso una decisione.' Ci rimugina su qualche secondo, conscio l'altra possa sfociare in spropositate reazioni a quella notizia. Non si tira comunque indietro. A quel punto, persi in quella freddezza reciproca, che senso avrebbe mentire, omettere, nascondere? Cosa gli resta da dividere, se non riescono neanche a guardarsi in faccia? 'Torno da mio padre.' E' l'unica scappatoia che gli resta. L'unico impiego che possa riportare indietro quel ragazzo disperso in un deforme limbo d'inconsapevolezza. 'Ho bisogno di scoprire la verità sulla mia famiglia.' A chi, a cosa appartenga. Chi sia. Di riconoscere se stesso. Di tornare a casa. 'Non posso farlo da solo.' Di ritrovarsi in uno sguardo che sia il proprio.


     
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    Non si sarebbe dovuta stupire del fatto che Mason avesse trovato un modo, l’ennesimo, per aiutarla, soddisfacendo alle sue richieste. Non aveva mai smesso di farlo e dal suo ritorno da quella prigionia che era sembrata eterna, le premure del Chesterfield erano state tante. A volte troppo. Aveva scelto per loro un luogo sicuro nelle terre del Nord, lì dove ogni eccesso sarebbe stato tollerato. Lì dove, il bene ed il male avevano una concezione tutt’altro che canonica. Lo raggiunse appena le fu possibile farlo, dopo essersi liberata degli ennesimi intoppi burocratici che facevano sembrare il suo ritorno in libertà, quasi una punizione. Fu carica di rancore che raggiunse il capanno abbandonato, pronta a riversare contro un sacco da boxe la rabbia provata verso i funzionari misogini, il mondo che la circondava, Lorence ed in qualche modo, seppur indirettamente, anche verso se stessa.
    Per quanto si impegnasse, e lo faceva tanto, le sembrava che i suoi colpi quasi solleticassero le mani di Mason o non scalfissero per niente il sacco da boxe riposto lì in quella stanza. Quella concezione di sè non aveva il potere di demotivarla ma anzi il contrario, la infervorava ancora di più, spingendola a colpire di nuovo e con più ferocia. Fu il suo corpo ancora in parte debilitato dalla cura e dalla prigionia a chiederle una pausa. Si allontanò appena per asciugare via il sudore e concedersi un sorso d’acqua. Avrebbe ripreso a combattere l’attimo dopo se le parole di Mason non l’avessero distratta. Inarcò un sopracciglio piegando il capo nel sentirgli annunciare di una decisione presa. Quando poco dopo la esplicò, non lasciò che la sua espressione mutasse ma dentro di sè, una furia ingestibile prese forma. L’idea da tornare da suo padre, di farlo adesso, aveva per Helena dell’incredibile. Non solo Mason si riconfermava avere un pessimo tempismo ma anche una pessima capacità di giudizio. Sforzandosi, e forse nemmeno tanto, avrebbe potuto capirlo il suo desiderio di conoscere la verità. Il modo che era disposto ad accettare per ottenerla però, le faceva bruciare lo stomaco. «Mi chiedi il permesso?» Rispose infine mentre, senza guardarlo infilava di nuovo i suoi guantoni come se nulla fosse successo. La voglia di colpirlo in faccia però era tanta. Chissà che quella rabbia non le sarebbe stata d’aiuto nel superare le barriere fisiche che aveva interposto tra lei e tutto il mondo. «O vuoi il benestare?» Sprezzante. Non avrebbe potuto essere altrimenti. Era chiaro la reputasse una pessima idea, ma le sembrava anche stupido provare a fermarlo perchè, l’aveva detto lui, aveva già preso una decisione. Lei era stata tirata fuori. E dopotutto perchè sarebbe dovuto essere il contrario? Chi era lei per meritare l’onore dell’inclusione? «In entrambi i casi hai già deciso.» Fece spallucce, sforzandosi di mostrarsi apatica e priva di giudizio. Un tentativo fallito a priori. «Se poi lo fai perchè hai bisogno di sentirti dire che è una cazzata, immagino tu conosca già la risposta.» Aggiunse poco dopo, dandogli le spalle, per tornare a colpire il sacco per sopperire alla voglia di colpire lui. «Ci sono di sicuro altri modi.»
     
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    La distanza rende mutevole ogni cosa. Raffredda i dettagli gradevoli, ma non è da meno con quelli più ostici. Le risposte di Helena, per quanto velate di papabile disappunto, restano braccate nel distacco. E' ad altri particolari che i suoi occhi si spostano, al sacco da boxe i pugni carichi di quello stesso rammarico. Per quanto sia evidente la crescita di quel sentimento d'ira facilmente alimentabile negli ultimi tempi, il Chesterfield appare deciso a non lasciarsene scalfire. Non è il menefreghismo che lo accompagna quotidianamente, quanto la necessità di proteggersi, di mettere in pausa gli scrupoli sino ad ora avanzati. Di accantonare quel progetto condiviso per perdersi nella tempestosa marea dell'egoismo. Individualista, rivolto ad una battaglia che non ha trovato sollievo nelle decisioni prese. Solo un modo per smettere di badare alla propria fragilità, quella personale quanto quella strettamente collegata alla ragazza che ha di fianco. 'Ti avverto.' Ribadisce con fare inviolabile, fermo in un credo saldo sebbene indefinito. Un disegno che non ha progetto né esecuzione. Un'alternativa cui si addentra senza cognizione di causa. Il solo desiderio di zittire il panico ed il dolore provati a sollecitarlo vividamente. 'Quali altri modi? Farmi una striscia con mio cugino nel tentativo di avvicinarlo? Bussare alla porta di quei presunti assassini chiedendo di riunirci attorno ad un tavolo come una famiglia felice?' Brucia ancora l'effetto di quello sbaglio. Lo fa la possibilità di commetterne ancora. Arde di colpevolezza la moralità spezzettata sotto il peso delle scelte intraprese. Essersi avvicinato così tanto al figlio di chi rappresenta la sua rovina, la disfatta. Averci condiviso una notte, un tavolo, il principio di un impreciso qualcosa dai risvolti vagamente positivi. Come ha fatto a guardarsi allo specchio sino ad ora? Come ha osato piangere sulla tomba dei propri cari dopo averli traditi per un volubile capriccio? 'Sono stanco di dovermi guardare le spalle ovunque vada. Ci ho provato a cavarmela da solo, ma ne ho ricavato solo più casini e ho sprecato tempo utile.' E poi c'è la solitudine, l'angoscia degli ostacoli mai realmente superati, la coscienza grondante di traumi ridondanti, di effetti che il proprio malessere ha scatenato consumando sino all'ultima goccia della sua ragione. Quel Mason non è che il risultato di questo. Di giorni passati al buio con soli pensieri negativi ad accompagnarlo. Di un silenzio colmato solo dalla colpa. Di voci che sottolineassero ciascuno degli errori compiuti, più di quanto non avesse già fatto sino a quel momento. Adesso, avvilito e svuotato di ogni concezione rosea, non può non tornare alle proprie origini. In quel calco di fredda pietra che è stato il suo passato ci si adegua ancora perfettamente. 'Non sei nella posizione di giudicarmi, io non l'ho fatto con te.' Le dice infine ribadendo la propria posizione. Mani libere dai guanti, cuore pesante, si allontana di qualche passo per recuperare una sigaretta. Gomiti sul davanzale, fiato verso l'esterno, occhi stanchi ed anneriti contro un panorama grigio ed altrettanto spento.


     
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    Inarcò le sopracciglia alle sue parole, prima di scuotere il capo. «Ah, grazie allora.» Era ironica, chiaramente. Si sarebbe aspettata un atteggiamento differente da Mason, soprattutto in vista del loro rapporto. Si chiedeva ora se non avesse fondato la sua realtà su verità infondate. Immaginò il suo trauma potesse nascondere la reale consistenza delle cose. Di sicuro aveva tralasciato molti rapporti, molte persone, in quegli ultimi giorni o forse addirittura mesi, ma adeguarsi all’idea di meritare solo quello, un avvertimento, le sembrò assurdo. Ed ancor più difficile fu accettare le sue parole ed evitare di replicare nel modo duro e velenoso che si costrinse a tacere. Scorre il capo, stringendo le labbra per celare quel sorriso amaro e sarcastico che gli avrebbe volentieri riversato contro. «Certo. Hai ragione.» Commentò senza aggiungere altro. Le sue parole ed il tono in cui le pronunciò, lasciavano però benissimo intendere quanto poco d’accordo fosse con l’altro. Non si era sentita appoggiata dalle persone che aveva avuto intorno per molto tempo. Persino Mason aveva rivestito il ruolo degli oppositori al suo benessere in più di un’occasione. Cercava di reprimere quell’idea angusta che non avrebbe fatto del bene a nessuno, ma nei momenti peggiori - e forse ora era uno di quelli - era facile pensare d’essere stata solo nel momento più brutto. Con lei in quella prigione non c’era nessuno. Nemmeno lui. «Fai quello che credi giusto per te, no?» Si liberò dei guantoni a quel punto impossibilitata a continuare quella messinscena senza rischiare di esplodere in un eccesso d’ira. Non aveva alcun peso sulle scelte di Mason, nè pretendeva fosse diverso. Quella che stava ponendo il Chesterfield però, era una barriera invalicabile. Una sorta d’addio. In un modo o nell’altro, col tempo lo sarebbe stato. «Torna a pestare persone in vicoli scuri, o peggio, ad ucciderli solo perchè è uno squilibrato col bastone a dirtelo. Lui saprà sicuramente prendersi cura di te.» A nulla servì cercare di placarsi. Sentirlo tirar fuori scuse che per Helena non reggevano affatto, ebbe il potere di infervorarla ancor di più. Come poteva Mason accettare l’idea di tornare tra le braccia della persona che lo aveva cresciuto senza un briciolo d’affetto? «L’unico motivo per cui non devi guardarti le spalle quando sei con lui è perchè diventi tu il mostro da temere.» Aggiunse poco dopo, lanciandogli contro i guantoni, impossibilitata a restare ancora lì senza aver voglia di dargli uno schiaffo. Un gesto che, per quanto risolutivo le risultava comunque difficile da compiere. «Ma a te va bene così, no?.» Si allontanò superandolo per raggiungere la propria giacca.

     
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    Afferra con altrettanta apatia i guantoni che piombano sul suo petto, lasciando scivolare sulle cigolanti assi del pavimento la sigaretta appena accesa. Uno schiaffo morale più forte di quanto le dita dell'altra avrebbero potuto imprimere sulla sua pelle smunta. C'è una sottile linea di repressione che si posa su entrambi, suoi loro gesti quanto sul tono delle loro voci. Quella voglia irrefrenabile di urlare continua a bussare alla loro porta, a straziarsi nell'impossibilità di essere portata a compimento. Cos'è a bloccarli davvero? Il pensiero di ferire l'altro o di esporre se stessi e pugnalarsi di rimando? Quanto del proprio dolore risiede in quel nido fondato sulla sofferenza altrui? 'Io sono un mostro da temere. Sei tu che ti ostini a cercare un'alternativa più bella.' E' l'unica affermazione che il fiume d'astio della Haugen riesce a provocare. Sì, di nuovo quella resa effettiva ad uno stato delle cose che finge gli vada bene. Di nuovo codardo. Di nuovo solo al fianco di un mondo malato che lo vuole esattamente così. Crudele, vuoto di sentimenti, disposto a rovinarsi, a smettere di vivere. E' l'unica alternativa che lo tenga lontano dall'estremismo della morte. Il Chesterfield non lo realizza, dal suo canto neanche Helena lo fa. Le è dietro senza pensarci due volte, i guantoni lanciati malamente contro il pavimento, il passo pesante che le permetta di raggiungerla ovunque sia diretta. 'Dove pensi di andare, mh? Ogni volta che qualcosa non ti gira non perdi tempo a scappare.' Non vuole essere una provocazione, eppure suona inevitabilmente come tale. Perché è un tema di ridondante abitudinarietà quello che le porge senza delicatezza. Quasi un'accusa, così inconsapevole da fare anche più male. Solo l'effetto di un dolore che per la prima volta dopo mesi il ragazzo decide di vomitare dritto contro di lei. Un acido a cui il suo inconscio si oppone, rimodellando una realtà che ad occhi esterni raffiguri l'opposto. 'Mi hai mai chiesto come stessi?' Perché avrebbe dovuto? Era lei la vittima degli eventi. 'In questi ultimi mesi, c'è stata una singola volta in cui ti sia interessato?' Sempre. Glielo si leggeva nella distanza. Negli occhi. 'Perché a me di te è importato. Forse anche più di quanto fossi disposta a sopportare, non è così?' Ma è lui a non sopportare la sua impotenza. A non reggere l'idea di essere diventato pesante quanto chiunque l'abbia sempre fatta sentire soffocare. Di troppo. 'Magari vedermi come un nemico ti è più facile, si adatta bene alla tua visione di questo mondo di merda che ti odia.' Vorrebbe non esserne convinto. Vorrebbe tacere quelle parole come ha fatto sino ad ora. Vorrebbe non sentirsi costretto a rendergliele palesi pur di difendersi, attendendo il momento in cui è lei ad aprire gli occhi, a vedere lui ed il suo dolore nel modo in cui Mason non è più stato in grado di fare con Helena. 'Ma l'universo odia te tanto quanto me e a me sembra che tu non la voglia una squadra per combatterlo.' Questa è forse l'unica verità ben radicata nella sua anima. Una verità fatta di paura, difficile da sostenere per chi di paura se ne è sempre nutrito senza temerla. Ha perso il controllo su di essa; da allora non è più stato in grado di rimettersi in sesto. 'Vuoi fare da te. Ed io farò da me.' Per quanto sincero e deciso possa sembrare, c'è una vocina in fondo a quel tortuoso tunnel d'incoscienza che gli urla di tornare indietro. Un piccolo tremolante barlume di desiderio che spera di vederla negare quell'evidenza. Forse però è troppo tardi. Forse ha vestito i panni di un punto d'arrivo indiscutibile, sebbene fermamente legato all'idea sia stata lei a richiederlo. Dare ad altri le proprie colpe è sempre il modo più facile per superarne l'afflizione. Lo è almeno all'inizio.


     
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    Lo sguardo che gli lanciò non lasciò spazio a dubbi: era adirata. Lo era in un modo in cui non era riuscita a dimostrare d’essere fino a quel momento, abituata e rassegnata all’apatia in cui era rimasta imbrigliata. Di sicuro Mason aveva un potere su di lei, quello di smuovere le sue emozioni. In quel momento però, solo le peggiori. Avevano già avuto modo di discutere su quell’argomento. Più volte si erano scontrati per i loro rispettivi e discordanti punti di vista. Tante cose erano cambiate dall’ultima volta in cui avevano parlato di quello ma il loro modo di parlarsi e di reagire, non era cambiato. Non era mutato l’inconcepibile bisogno di ferire l’altro per difenderlo. «No. Sei tu che ti ostini a cercare un’alternativa più facile.» Quella per Helena era una verità indissolubile. Una certezza che Mason si ostinava ad ignorare per un motivo sconosciuto. Quando l’altro provò ad ostacolarla, Helena di rimando arretrò in modo inconsapevole, inconsciamente intimorita dall’idea di essere toccata.
    «Sei serio?» Scoccò la lingua contro il palato, scuotendo poi il capo. Le accuse che il Chesterfield le rivolgeva, ebbero chiaramente il potere di ferirlo. Lo fecero a livello profondo, nel punto in cui la Haugen non avrebbe più potete tacere o trattenersi. Si liberò della giacca che aveva recuperata, gettandola con stizza contro di lui.
    «Cosa voglio fare da me, eh? Cosa cazzo stai dicendo? Quante possibilità di scelta ho avuto fino ad ora?» Se fosse stata in sè, non avrebbe risposto, nè si sarebbe così adirata avvicinandosi passo dopo passo all’altro. In quel momento però, mossa dalla furia che Mason aveva stimolato, non reagire sarebbe stato impossibile. Impossibile d’altronde sarebbe stato riuscire a trattenere dietro gli occhi chiari, la tristezza che l’altro aveva stimolato. Erano bastate quelle poche parole a tirar fuori l’inconscia idea d’essere sola ed incompresa. Era così che si era sentita in quei mesi e poi dopo e Mason non stava di certo negando le sue tesi. Per cui le venne naturale a quel punto agire colpendolo. Fu la frustrazione trattenuta in quell’ultimo periodo, la costante sensazione di sentirsi inutile, inudita ed incompresa. Lo colpì con uno schiaffo in pieno volto.
    «Quando ho potuto, è a te che mi sono rivolta. E’ te che ho cercato. E’ con te che volevo andare via, e tu cosa hai fatto in risposta quando ti ho raccontato del fidanzamento? Sei arrivato sotto casa strafatto e malconcio.» Lo urlò contro il suo viso, colpendo di nuovo con furia. Farlo non la faceva star meglio ma non riuscì a fermarsi a quel punto. Riversò contro di lui il dolore taciuto. «Non sono io che scappo, stronzo ingrato.»


     
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    Immobile, un inerme testimone di quella reazione. Nulla di onorevole in quel modo di risvegliarla, solo l'esagerazione a farsi largo ancora una volta oltre i timori che l'hanno trattenuta sino ad ora. Va sempre a finire così, come se non vi fossero percorsi alternativi per loro. Partono da guerre infinite prima di raggiungere a fatica una pace condivisibile; quest'ultima, sempre temporanea. Il loro legame è sdrucciolevole, più di quanto non abbiano cercato di raccontarsi ogni giorno che passava. Uniti nel caos, nel fuoco, nelle macerie inflittesi a vicenda, gravose su quelle che la vita gli ha regalato in contemporanea. L'ennesima frattura è solo il punto di arrivo di una realtà indissolubile. Un modo malsano di tenersi legati, che ad ogni progresso ristoratore lascia corrispondere la corrosione di un'individuale pace rassegnatasi al malessere. 'Tante quante ne ho avute io, Helena! Cazzo!' È triste quando i loro pezzi mancano di empatia e comprensione. Quando i loro spigoli cozzano, creando una cacofonia sentimentale dedita alla solitudine. Diventano soli, del tutto. Non più soli insieme. Rompono il loro implicito, taciturno patto di alleata fiducia che la sofferenza disintegra. Ed ecco quindi lo schiaffo di quella discordia. L'accidia nell'unico contatto disposta a rivolgergli dopo mesi. Ed una spinta. Un'altra ancora. I passi del dissidio ripercorsi con la stessa veemenza di sempre. Abbastanza da indurre il Chesterfield ad indietreggiare, a concentrare nei pugni chiusi ed in parole infuocate quella sofferenza che non deve raggiungere il fisico dell'altra. 'Già e chi mi ha ridotto a quel modo? Chi mi ha spedito ad Azkaban?' La libertà che Volhard ha strappato a lei è la medesima che in altri modi ha tolto a lui. Le comparazioni non sono tuttavia fattibili. Insensate, darebbero misure a traumi che non ne possiedono. Renderebbero superficiale qualcosa di così profondamente radicato in loro da ucciderli. 'Incazzarti con me non risolverà i tuoi sensi di colpa, alimenterà soltanto i miei.' Colpisce là dove forse si cela un fondo di verità. Una che magari è tutta sua. Una passeggera. Una che ha una forma nella propria testa, probabilmente diversa da quella che alberga nel cuore di lei. 'Quante cazzo di volte ti ho caricata in sella per andarcene via da questo inferno?' Volevano fuggire insieme. Dovevano farlo. Eppure non ha mai funzionato. 'Siamo sempre tornati indietro. Per te. Per quella famiglia che demonizzi quanto demonizzi la mia! E me.' Con Helena è sempre stata una corsa sulle montagne russe. Ciò che un giorno è il male, si trasforma nel bene il giorno dopo. E la figura del Chesterfield è sempre stata così volubile da aver confuso persino lui stesso. Quanto c'è di buono in lui? E quanto di cattivo? Cos'è che la spinge ad amarlo un giorno ed odiarlo per settimane intere? Vorrebbe trovare una risposta, una qualunque a cui fare appello. È il compromesso figlio dell'incapacità di definirsi da solo. La peggior forma di dipendenza che si riflette negli occhi degli altri. 'Non sei l'unica a stare male.' Prende adesso la propria giacca, richiamando a sé il silenzioso amico a quattro zampe per legare un guinzaglio al suo collare. 'E raccontati tutte le stronzate che vuoi, ma diventare un assassino non è la scelta più facile.' Espone una parte di sé, una fintamente dimenticata, ora riemersa come la paura più dura da affrontare. Quella che niente e nessuno può rimuovere dalla nera coltre della sua anima. 'Dovresti capirlo da te.' Le dice infine, in un chiaro riferimento alle sue incoscienti ed acerbe intenzioni, cercando di allontanare dai piedi dell'altra un Green intento a ricercare le sue attenzioni. Uno certamente più capace di ascoltare il suo dolore.


     
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    Fu difficile reprimere quella nuova ondata di violenza. Il desiderio, irrefrenabile, di scagliarsi contro di lui per ripagarlo della sofferenza che con le sue sole parole stava alimentando in lei. Si chiedeva come potesse incolparla. Come riuscisse a far ricadere su di lei, quelle colpe che in effetti Helena già sentiva sue. Fu contro la parete a quel punto che scagliò la propria furia. Un colpo a mano aperta che le fece male, riempiendo di lacrime il suo sguardo ferito. «Non ti ho chiesto io di precipitarti lì! Non è a te che avevo chiesto aiuto per evadere!» La sua voce vibrò, tesa. Sembrava una corda pronta a spezzarsi. Lei lo era già da tempo. Per quanto difficile fosse stata la convivenza di quelle ultime settimane, in cuor suo aveva sul serio creduto di potersi fidare di lui. Solo di lui. Dinanzi a quelle rivelazioni e alla sua scelta, cominciava a ricredersi. Il senso di solitudine provata, le toglieva il fiato.
    «Non lo è quando si tratta di me. Per te va bene invece, no? » Scosse il capo, asciugando velocemente col dorso della mano le lacrime di rabbia che incontrollabili erano venute giù, sporcandole il viso di una tristezza che avrebbe voluto celare. Urlò rabbiosa, voltandosi per dargli le spalle. Sfogò contro le poche cose presenti in quella casa la sua furia, ma non servì a molto. Con le mani tremanti ed il corpo scosso, sii allontanò aspettando andasse via. Tuttavia Mason non lo fece, non subito.
    Si lasciò andare contro la parete, le mani a coprire il volto rosso ed il vortice incontrollabile di emozioni che l’avrebbero spinta ad atti eccessivi. Da lei. «Se tu ora torni da lui, che senso avrà avuto tutto questo?» La voce uscì sottile dalle sue labbra. Un sussurro quasi inudibile prima che il Chesterfield potesse abbandonarla, di nuovo. Helena non riusciva a pensare che a quello. Non aveva trovato una giustificazione al male che le era stato fatto, ma in cuor suo aveva cercato di ricostruire dei motivi, delle finalità. Aveva provato a dare un senso al patimento e alle conseguenze che avrebbe dovuto portare per sempre su di sè. Aveva creduto fosse perchè alla fine di quel percorso avrebbe capito di chi fidarsi. Chi amare. «Mi lascerai di nuovo sola, di nuovo indietro perchè sono debole.»

     
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    'E al contrario?' Le loro preoccupazioni si rimescolano nell'incoerenza. A carte scoperte, è impossibile iniettare lungimiranza nelle parole rivoltesi. L'avventatezza dell'amore provato gli vieta categoricamente di assecondare silenziosamente le scelte dell'altro. Diverso da un tempo, assai più complicato da gestire. E straordinaria è la reazione di Helena, pregna d'emozioni e di un interesse che fino ad ora, superficialmente, il Chesterfield ha creduto inesistenti. O perduti. Avere la prova di quel piccolo contatto mantenuto non gli è però d'aiuto. Lo costringe anzi, ancora una volta, a rivedere le proprie priorità, se stesso, per un bene superiore che non ha strettamente a che fare con lui. Ha lottato anni per ottenere la felicità dell'altra e non è mai arrivata. Non c'è mai stato un momento in cui Helena abbia goduto di un benessere da lui indottogli. Di questo è fermamente convinto. E alla luce di questo, quanto saggio sarebbe accondiscendere ancora una volta alle sue traballanti richieste? Assiste alla furia dell'altra senza muovere un muscolo. Poi sospira appesantito da quelle rivelazioni, da ogni cosa, slegando il guinzaglio al cucciolo che non aspetta altro che fiondarsi tra le grinfie di un'altezzosa ma pigolante Pinky. Persino i due animali, nonostante le turbolenze di principio, sembrano più capaci di venirsi incontro di quanto riescano loro. 'Di nuovo?' Ribatte ai suoi ultimi disperati lamenti, mettendo da parte la ferita che una simile considerazione gli avrebbe normalmente imposto. 'Come puoi dirlo? Non ti ho mai lasciata da sola.' Esce fievole quella considerazione, un sospiro di sconfitta privo dell'accusa che qualche istante prima le avrebbe urlato in pieno volto. E' l'alternarsi di colpe e paure che lo rende affranto. Scatena quel peso oscuro da cui ha cercato di fuggire sino ad ora. Le accuse di Helena lo riportano in vita. Chiudono ogni sua porta, per migliorarsi, per venire fuori da quell'interrogativa condizione. Lo limitano in quella scappatoia che la ragazza è sempre stata, annullando del tutto quei bisogno che non sono mai spariti come il Chesterfield ha creduto. Si sono solo messi in pausa, mentre le sue forze venivano impiegate in qualcosa di più importante. In qualcuno che non ha più bisogno di lui, ai suoi occhi. 'Perché non posso combattere le mie battaglie ed aiutare te allo stesso tempo?' E' una domanda sincera quella che le pone. Un tentativo inconscio di stabilire la connessione perduta. Di chiederle un'apertura che nelle ultime settimane non è più avvenuta. Recupera la sigaretta appena consumata persa tra le assi del pavimento. Ne brucia il filtro per qualche istante, prima di portarla alle labbra e riaccenderla. Una pausa breve, scandita da gesti lenti. Posizionatosi infine di fronte all'altra, scompostamente seduto sul vecchio pavimento di quel rudere abbandonato, cerca un'ultima volta di donarle sincerità. La debolezza che è più bravo a mascherare che a rivolgere persino a lei. 'Ho l'inferno dentro in questo momento.' Solo una rivelazione vera, sentita, sincera. Non un tentativo di sminuire Helena, tantomeno il suo dolore. Nemmeno una giustificazione. Solo... qualcosa, trattenuto in sé sino a consumare le poche briciole di ragione che gli rimanevano. 'Ed io sto provando ad aiutarti, ma mi sembra di non riuscirci. Di farti solo stare peggio.' Sbuffa quella considerazione, lo sguardo perso tra le dita strette attorno alla cicca, ai ghirigori grigiastri che ne vengono fuori. Assente da quel momento, in cerca di un sollievo che non arriva. 'Ho pensato che se non sistemo me stesso, non sarò mai in grado di aiutare te. Ne abbiamo le prove.' Compare un sorriso amaro sul suo volto, mentre i sospiri pesanti si alternano ai vaghi singhiozzi dell'altra. Non riesce ancora a guardarla. Non riesce a sopportare persino quel dolore. Esserne di nuovo artefice è una merda. Ricomincia da capo, nella sua opera di irrefrenabile autocommiserazione. 'Ma come faccio ad aiutarmi se non so più chi sono?' E' forse Azkaban ad aver instaurato certi dubbi? O ha solo riportato a galla condizioni di una vita stroncata da un ignoto che lo castiga? Ha mai saputo chi fosse veramente?


     
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    Portò una mano sulla fronte, mentre la massaggiava ad occhi chiusi. La cosa peggiore di tutta quella faccenda, del trauma che aveva vissuto, era non avere il controllo di nulla. Non ne aveva avuto quando il peggio si era avventato sulla sua vita, non ne aveva ora che il peggio sembrava essere un ricordo lontano. Eppure non era così. Quello schifo aveva contaminato ogni aspetto della sua vita rendendole impossibile guardare al futuro. A volte era convinta di non averne più uno. Capiva perfettamente Mason quando diceva di non sapere più chi era perchè per lei era lo stesso. Oscillava tra il desiderio di tornare ad essere la ragazza velenosa di qualche mese prima ad una versione migliore di sè. Non riusciva ad essere nessuna delle due. Si ritrovava nel mezzo, vestendo i panni di una versione sbiadita di se stessa. Eppure la soluzione per ritornare ad essere Helena, le pareva chiaro non essere quella di vestire i panni di ciò che non era. A cosa sarebbe servito? Per Mason valeva lo stesso. Tornare a ciò che l’aveva tanto ferito, che cambiamento avrebbe apportato nella sua vita? Credeva sul serio avrebbe potuto aiutarlo? «Ho bisogno del tuo aiuto ma il mio umore non dipende da te.» Sbottò rabbiosa, incredula e stanca. Incapace d’accettare che Mason non riuscisse davvero a capire quanto il suo benessere non dipendesse da lui, come da nessun altro. Aveva bisogno di tempo. Aveva bisogno del tempo per tornare ad essere viva appropriandosi di sè e dei suoi spazi senza il timore di un peggio in agguato. Era qualcosa in cui nessuno avrebbe potuto aiutarla. «Non puoi curarmi schioccando le dita.» Se lui fosse stato in grado di liberarsi della convinzione di doverla salvare ora perchè prima non c’era riuscito, forse non si sarebbero trovati sull’orlo o di un ennesimo addio. Forse convivere sarebbe stato più semplice. Eppure niente mai andava così come sarebbe dovuto essere. «Nessuno può farlo.» Aggiunse mestamente, sospirando stanca. Si concesse qualche attimo prima di scrollare le spalle ed alzare le braccia come in segno di resa. Provare a trattenerlo non sarebbe servito a nulla, nè si sentiva nella condizione di poterlo fare. Mason aveva fatto la sua scelta. Tutto ciò che poteva fare a quel punto era di lasciarlo andare. «Non sei il tipo di uomo che lui vuole tu sia, questo lo sappiamo entrambi.» Quel commento tuttavia non riuscì ad evitarselo. Voleva che fosse pronto all’eventualità di quel passato da cui era scappato, perchè era esattamente incontro a quel male che l’aveva fatto tanto soffrire che si stava fiondando convinto di non avere altre alternative, ed Helena proprio non riusciva a comprendere come Mason non riuscisse a vederlo. «Fa quello che credi sia giusto.» Fece spallucce, liberandolo dalle sue catene. Trattenerlo non sarebbe stato utile. «Sai come trovarmi se avrai bisogno di me.» Non lo avrebbe seguito, nè condivideva le sue teorie. Non gli avrebbe però voltato le spalle.

     
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    Tempo. Distanza. Serviranno ad entrambi? Quanto ci vorrà prima che le loro convinzioni si stacchino dalla fragilità cui soccombono? Di quanto spazio necessitano per riadattarsi ad una relazione giunta ad eccessi tanto stretti? Sono i tipi di pronostico che nessuno dei due avrebbe mai voluto fare. Mason, di sicuro, non ha mai creduto possibile giungere a quel punto. Preda di un amore sfuggito al suo controllo, si ritrova braccato in idee da sempre lontane dai suoi modi di fare. Incapace di mollare la presa, terrorizzato dall'abbandono. Per anni gli è bastato soffocare tali istinti per dimenticarsene del tutto. E con la stessa facilità, è stato sufficiente sentirsi importante, realmente importante, per qualcuno per svilupparne un attaccamento ossessivo. Quello non è il Mason che Helena era abituata a conoscere, tanto diverso persino dalle pessime abitudini di cui è stata spettatrice nel loro primo incontro. Tornare indietro, riorganizzare le idee, appare l'unica soluzione per mettere le cose a posto. L'unica per salvarla, non dai propri mali, ma dalle parti peggiori di sé. 'Mi serve fingere d'esserlo per capire da dove vengo.' Essere ciò che non è. Tornare a vestire i panni di una bugia, montata su dall'uomo che gli ha salvato la vita solo per condannarlo ad una peggiore, scomoda, crudele. Il prezzo da pagare per tornare a capire. Per dare una risposta a quei dubbi insoluti rimasti alle sue spalle. E' certo Helena non condivida la sua scelta, ci sarebbe arrivato anche se non avesse dato voce al fastidio sorto a seguito di quelle parole. Saperla al proprio fianco nonostante questo è il trampolino di lancio di cui ha bisogno. Sperduto nel dualismo dell'una e l'altra scelta, si avvicina all'incoscienza. E sebbene pregno di un non così latente dispiacere nell'assistere a quel coinvolgimento immeritato, si sente pronto ad affrontare ciò che lo aspetta da ora in poi. Si solleva dal pavimento, aspirando con foga l'ultimo millimetro di quella sigaretta. Si prepara di nuovo, richiamando a sé entrambi gli animali, prima di voltarsi verso la ragazza. 'Prendi le tue cose, ti riaccompagno a Londra.' Non un invito, ma un'incitazione decisa cui spera Helena non si opponga, mentre imbocca la via dell'uscita. A sua volta, non ha intenzione di lasciarla sola. Non la esporrà ad alcun rischio per perseguire quel cammino che non deve lederla in alcun modo. 'Ti aspetto fuori.' Si guarderanno le spalle a vicenda. Stavolta però lo faranno da lontano.


     
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