prisoned

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    Era successo tutto in un attimo. Gli auror avevano fatto irruzione in mezzo alla strada affollata di Diagon Alley e li avevano accerchiati. I ricordi si affollavano confusi nella sua mente, ma tra le immagini sovrapposte, spiccava tra tutte l’immagine delle catene intorno ai polsi di Mason e l’irruenza con cui lo portavano via da lei senza sapere nemmeno il motivo. Quello lo avevano scoperto in seguito, al processo. Vecchi reati cadevano sul capo di Mason, colpe di cui non poteva liberarsi perchè ne era effettivamente fautore. Atti, talvolta osceni, di cui si era macchiato per conto d’altri e forse, Helena l’aveva sospettato fin da subito, per conto d’altri ora era costretto a scontare da un anno e più di reclusione. Helena non aveva accusato apertamente il suo patrigno per quel misfatto, ma più di una volta aveva dovuto reprimere il desiderio di presentarsi nella sua immensa villa ad Hogsmeade, per renderlo zoppo anche dell’altra gamba.
    Un gesto che, per quanto liberatorio, non avrebbe aiutato Mason che avrebbe dovuto scontare da solo la prigionia in un posto orrendo. Gli era stata risparmiata Azkaban a causa delle sue accuse ma la durata della sua pena si era protratta da nove mesi a un anno e forse la pena avrebbe potuto allungarsi. Tutto stava a Mason e alla sua buona condotta. Un pensiero che angosciava Helena non di poco.
    Quegli ultimi nove mesi li avevano trascorsi adeguandosi a quel nuovo equilibrio che stava stretto ad entrambi. Mason dietro le sbarre, Helena fuori ad affaccendarsi tra mille e più cose, persino un lavoro, per portare avanti la causa di Mason e farlo seguire dal migliore avvocato potessero permettersi.
    Le visite, prima settimanali, si erano fatte meno frequenti per gli impegni e il timore di vederlo star male. Si era aggiunto a questo la presenza opprimente di Lorence nella stessa struttura, un problema che per quanto secondario, non smetteva di tormentare Helena col cruccio che qualcosa di peggio sarebbe potuto accadere sul serio.
    Ed era poi accaduto sul serio.
    Quando dalla prigione era arrivato il gufo del ricovero di Mason in infermeria, il cuore le si era fermato. Aveva lasciato il pub in cui lavorava per correre da lui. Le avevano concesso di vederlo soltanto il giorno a seguire, dopo aver passato la notte nella fredda sala d’aspetto della prigione in cui sarebbe dovuta entrare.
    Non le avevano voluto dire cosa fosse accaduto. Avevano parlato di un incidente, che mal combaciava con le ferite che le avevano elencato avesse riportato. Non ci sarebbe voluto un detective a capire cosa fosse accaduto. Una rissa, o forse più probabile, un agguato. Non le sarebbe stato nemmeno difficile immaginare da parte di chi, sebbene si impegnasse a nascondere il timore di quel presentimento.
    Quando era entrata nella stanza, Mason era ancora dormiente. Il cadenzato rumore dei suoi parametri riempiva il silenzio in cui era immerso, alimentando l’ansia della Haugen.
    Gli si avvicinò, guardando il suo volto segnato e le bende che gli coprivano il busto.
    Solo pochi mesi prima avrebbe dato di matto, ora cercava di tenere salda la sua pazienza per mostrarsi forte. Per lui.
    Rimase al suo fianco in silenzio. La mano stretta nella sua e gli occhi lucidi a fissarlo. Quando finalmente aprì gli occhi le sembrò di poter tornare a respirare. Avrebbe sorriso se non fosse stata troppo oppressa dall’angoscia provata. «Cominciavo a pensare avessi bisogno del bacio del vero amore per svegliarti.» Sussurrò dopo qualche attimo, nel tentativo di smorzare fin da subito i toni. «Ero pronta a sacrificarmi in ogni caso.» Scherzò, piegando il capo, stringendo inconsapevolmente di più la sua mano.
    Distolse lo sguardo per un secondo, respirando profondamente. «Questa potrebbe essere una buona cosa comunque, secondo l’avvocato. Il tuo ricovero intendo. Dice che può far valere al meglio le sue ipotesi e magari così convincere il wizengamot a farti uscire prima. Ovviamente questo significa che dovrai startene buono senza fare stronzate.» Parlò velocemente, quasi senza prender fiato, nascondendo - senza riuscirci - l’ansia provata. Saperlo lì lontano da lei e in balia di mille e più pericoli, le toglieva il sonno e qualsiasi briciolo di serenità. «Non le farai vero?» Lo guardò a quel punto, pronunciando quelle parole con lo stesso tono di una supplica. Lo era in definitiva. «A Pinky manchi.» Mancava a lei.



     
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    Gli era sembrato di riviverlo ancora. Quel momento. Di rivederla. Quella faccia. Di sentirla su di sé. La sofferenza, quella emotiva, che per nulla valeva da riflesso del dolore fisico tatuato sulla sua pelle, trascritto tra le pergamene di un'ennesima cartella clinica. Era un loop da cui non riusciva ad uscire. Il sonno, disturbato ed assai scarso, non gli lasciava d'altro canto scampo, né gli offriva la possibilità di distrarsi con altro. Gli occhi vitrei di Hubert lo tormentavano, nella nuova, arcigna forma che avevano acquisito. I sibili soffiati dalle sue labbra pallide, erano tempesta nell'animo di Mason. Ed il volto rosso, vittima della ferocia con cui le dita del figliastro si attorcigliavano alle linee stridenti del suo collo, era l'incubo più ricorrente delle sue giornate. 'Saresti morto senza me. Ti ho cresciuto come un figlio.' La nenia più straziante che rimbombava in quel silenzio assordante. 'Ma tu non sei mio padre.' La ghigliottina che metteva entrambi al tappeto.

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    Si staglia con prepotenza il sonoro ticchettio dei macchinari che lo circondano. Stavolta pare esserci qualcosa di nuovo a tenerlo ancorato alla vigile realtà. Una mano, che tanto si aggrappa alla sua, tanto tiene saldo Mason, l'Hollinsgworth, alla vita. 'Mh?' Mugola appena il ragazzo, confuso da suoni ed odori che si allontanano dall'abitudine cui è ormai forzato da diversi, fin troppi mesi. Non una sorpresa che la delicata diversità di quella circostanza gli sia lieta, come la vitamina che rimpolpi la tempra prosciugata di un giovane disilluso, arreso alle malefatte collezionate da un passato difficile da rimuovere del tutto. 'Oh, la signora Hollingsworth...' Sorride debolmente nel pronunciare quell'appellativo. Uno scherzo ingenuo, già talvolta suggeritole, derivato dallo stato con cui Helena si è dichiarata pur di poterlo visitare a Numengard: compagna, moglie. Un paradosso ilare, piuttosto simbolico delle verità che non si sono mai detti apertamente. 'In effetti sto ancora dormendo, credo...' Non è la sola scusa per comunicarle quanto un bacio o una qualsiasi forma d'affetto l'anela davvero nel profondo. Riaverla davanti, dopo più di un mese di necessaria distanza, ha il sapore di un sogno ad occhi aperti. Si chiede anzi se sia lei a sembrare un angelo o se le fottute medicine ingerite disegnino una realtà buffa, lontana dalla concretezza. 'Aspetta, piano... troppe cose tutte insieme.' Le intima con leggerezza, cercando di stringere di rimando, seppur con scarsa energia, le dita fredde della ragazza. Si prende del tempo, per rimettere ordine nella sua testa o dare al contempo modo ad Helena di spiegarsi meglio. In uno strano alito di positività, si solleva l'idea di una salvezza che credeva gli sarebbe stata negata. 'Una riduzione di pena... Basta questo per ottenerla?' Pronuncia con più rassegnazione che speranza, lasciando permanere un sorriso beffardo che valga da tentativo per calmare l'altra, ricordandole della testa calda che sappia essere, persino avvolto da bende e puntellato di aghi. 'Ma sanno cosa sia successo, mh? Sanno quanti erano...?' Credere nella giustizia gli è divenuto di recente assai difficile. In fondo, per anni le sue malefatte sono state sotterrate. E se la prigione fosse un luogo giusto e sicuro, come ha fatto a ritrovarsi accerchiato da un famigerato gruppo di suoi rinomati nemici? 'Ah, ma io ormai sono un santo. Il miglior allievo del corso di scultura con la creta incantata, nonché cocco del "prof", ed un cuoco discreto alle lezioni di cucina.' Eppure gli riesce difficile trattenere una smorfia traditrice sul volto. Benché le informazioni riportate rasentino la realtà dei fatti, giudicarlo un carcerato calmo ed innocuo sarebbe troppo persino per il più paziente dei secondini. Ma è solo un nuovo tentativo di farla sorridere. Di rendere magari meno angosciata la sua faccia, così bella da non poter fare a meno di sfiorarla coi polpastrelli scivolati via dalla sua presa. Strisciano su per le sue braccia, per il collo, per il viso. Terminano la loro corsa tra i capelli, carezzandoli ed aggrappandoli come fossero un'iniezione di pura salvezza. Helena, anche il solo vederla, lo è innegabilmente. 'Manca tanto anche a me.' Pinky, Green. Helena, la sua Helena. E solo dopo essersi sporto appena, rilasciando un bacio flebile sul dorso della sua mano, trattenendo ancora le proprie tra i suoi capelli e le spalle in carezze docili e serene, trova il coraggio per rivolgere l'attenzione su ciò che conta di più. Che conterà sempre più della sua stessa incolumità. Della sua stessa vita. 'Tu come stai?'


     
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    Ruoli nuovi quelli che stavano interpretando. Non si stagliavano più sulla difensiva perchè spaventati da quel che il futuro avrebbe potuto riservare loro, o per la potenza di quei sentimenti che avevano il timore di accettare e capire. Si accoglievano, silenziosamente, con una complicità innata e maturata, come loro.
    Si parlavano con sguardi rumorosi, mentre le loro labbra restavano serrate.
    Arricciò il naso a quel signora Hollingsworth, in una smorfia di finto disappunto. La vecchia Helena avrebbe sputato su qualsiasi tipo di legame canonico, ma da quando Mason era entrato a far parte della sua vita, molte delle sue certezze e delle sue convinzioni erano crollate e cambiate. Forse in definitiva pensarsi accanto ad una stessa persona, a lui, per tutta la vita, aveva smesso di farle una paura così matta.
    «Evidentemente dopotutto ti sei fatto qualche amico qui dentro.» Commentò in riferimento a quel che gli era accaduto. Qualcuno aveva deciso di spifferare tutto al direttore del carcere che non aveva potuto fare a meno di aprire un’inchiesta. L’avvocato che Helena pagava profumatamente aveva quindi approfittato di quell’inghippo per poter fare richieste sulla libertà di Mason. Cosa il fortuito testimone volesse in cambio, o meglio quanto, era un dettaglio di cui non avrebbe parlato con il ragazzo in quel momento.
    «C’è un testimone che ha raccontato tutto.» Aggiunse poco dopo, guardandolo speranzosa che quella notizia potesse renderlo felice quanto in fondo rendeva felice lei. Vivere divisa tra il mondo reale e quella prigione, era diventato estenuante. Teneva duro perchè convinta che una volta finito quell’inferno, tutto sarebbe stato diverso e loro avrebbero potuto viversi in maniera tutta nuova.
    Gli diede una leggera spintarella sul braccio, facendo bene attenzione a non sfiorare le ferite che riportava. «Un vero santo. Ti manca giusto l’aureola.» Anche se non lo avrebbe ammesso con metodi convenzionali, era fiero del percorso che Mason aveva intrapreso. La prigione paradossalmente gli aveva dato modo di scegliere il percorso che più gli piaceva, liberandosi dei costrutti di cui per anni era stato vittima. Si augurava che sarebbe stato capace di tener fede alla propria libertà anche al di fuori di quella struttura.
    Gli sorrise appena a quella constatazione, facendogli poi una smorfia per smorzare il momento romantico. Non c’era bisogno di dirsi quanto provato, e quanto profonda fosse la sofferenza provata nel saperlo lontano. Era qualcosa che si era ripromessa di non fare per mantenere alto l’umore di entrambi.
    «Io sto bene.» Rispose dopo qualche istante di silenzio. «Ma starò meglio se ti sbrighi ad uscire da qui.» Aggiunse poco dopo, sbuffando poi mentre portava dietro l’orecchio una ciocca ribelle. «Anche perchè questo posto mi fa dire cose che non direi mai, e ne va della mia reputazione, lo sai.» Cose che Helena Haugen di qualche mese fa non avrebbe mai pensato di dire a nessuno, perchè il suo personaggio non glielo avrebbe concesso.
    Si guardò attorno, assicurandosi che nessuno la guardasse, prima di decidere di punto in bianco di salire su quel letto e piazzarglisi accanto senza chiedere alcun consenso.
    La testa poggiata sulla sua spalla, le gambe distese ed incrociate. E per un attimo, ad occhi chiusi, si rilassò in quel contesto che aveva quasi dimenticato, immersa in quel calore che in quei mesi aveva solo potuto immaginare e ricordare.
    «Ho portato questa.» Disse dopo una pausa, mentre estraeva dalla tasca della giacca indossata, una lettera spiegazzata. Sulla busta piegata, un logo: Royal Ballet.
    Si rendeva conto di essere arrossita per il calore sentito sulle guance, ma provò ad ignorarlo. Gli porse la lettera imponendogli quasi di afferrarla, come se non volesse nemmeno vederla. «Non so nemmeno perchè ho provato il test di ammissione. In realtà non mi interessa davvero quel che c’è scritto.» Si era sentita ridicola a provare quel nuovo viaggio mentre Mason viveva la parentesi più buia della sua esistenza, ma aveva sentito l’esigenza di ballare in quel periodo, di riprovarci. Così, quando aveva saputo delle audizioni, si era buttata. Il senso di colpa poi le aveva impedito di aprire quella lettera una volta ricevuta. Forse anche la paura di leggerci una nuova delusione. «Vuoi leggerla tu?»



     
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