Abisko

privata

« Older   Newer »
 
  Share  
.
  1.  
    .
    Avatar

    Member

    Group
    Mago Adulto
    Posts
    219
    Location
    Londra

    Status
    Anonymous
    Il nervosismo, la rabbia, andarono via via scemando mentre l'ascoltavo, lasciando spazio allo stupore.
    Non riuscivo a capire se fosse seria, se stesse impazzendo o stesse cercando di prendersi gioco di me. Qualunque fosse il caso non mi piaceva, c'era qualcosa sotto che non tornava e non ne comprendevo la gravità.

    "NON… non prendermi in giro!"

    Mi avvicinai a lei in un paio di veloci falcate, scrutandola dall'alto al basso. Continuava a farneticare su quanto dormissi bene e non volesse disturbarmi, di aver avuto necessità di andare all'aperto a prendersi una boccata d'aria… ma per chi mi aveva preso? Nemmeno i nostri figli a tre anni avrebbero creduto ad una favoletta del genere.
    Almeno la verità me la doveva e che cavolo.
    < Non lo so, non ci ho pensato e non voglio pensarci so solo che ..si…è vero. Non ho voluto condividere qualcosa con te ma non si tratta di una MIA IDEA. >

    "Com… Che… Ma cosa stai dicendo???"

    Non riuscivo più a seguirla, forse stava iniziando a delirare, cominciavo seriamente a preoccuparmi.
    Le avrei premuto la mano in faccia e sulla fronte per essere certo non avesse la temperatura alle stelle, se, superandomi senza guardami in faccia, non fosse uscita dalla stanza, in direzione del salotto.
    La seguii, ora in silenzio, osservandola prendere la statuina che aveva svolto la funzione di passaporta e mi aveva condotto da lei, portarla al caminetto ed… incendiarla.
    Ma perché? La vedevo di profilo, l'espressione di intima soddisfazione, mentre fissava le fiamme crescere di intensità, era quasi inquietante.
    Ero sempre più convinto di essere arrivato in tempo. Conciata in quel modo, con i miei abiti troppo larghi che le scivolavano addosso, impegnata a svolgere azioni di cui non comprendevo il significato, per non parlare delle spiegazioni deliranti che mi aveva appena rifilato… sembrava veramente impazzita.
    Non le tolsi gli occhi di dosso un secondo, presi il bicchiere che mi porgeva senza avere alcuna intenzione di bere. La mente era altrove, mi chiedevo se dovessi avvertire gli altri Guaritori di ciò che stava accadendo. Loro stessi mi avevano parlato di rischi concreti potesse venire affetta da allucinazioni… Forse si stavano avverando davvero?
    Infine, dopo attimi di lungo e soffocante silenzio, parlò. E la verità fu ancora più sconcertante delle menzogne di prima.
    < Hai ragione. Non avrei dovuto. Scusami. E’ stato più forte di me. Non ho saputo resistere e non per via dell’ospedale. Hai sognato stanotte, stamattina presto in verità. Ti ho sentito. In tutti i sensi. Farfugliavi e …ti muovevi. Mi sono sentita di troppo. >
    Il mio viso venne attraversato da decine di emozioni diverse e contrastanti: confusione, smarrimento, sbigottimento, comprensione… imbarazzo.
    Corrucciai la fronte, alzai un sopracciglio, aprii la bocca per dire qualcosa senza trovare niente di sensato con cui rispondere.
    STAVO SOGNANDO TE! Avrei voluto gridare, scrollandola per le spalle e se non fosse bastato a convincerla le avrei dato anche una dimostrazione pratica di cosa avessi sognato.
    Certo, fattibilissimo se non si fosse appena ripresa da un coma di giorni a seguito di avvelenamento per cause ignote e… no, il resto era meglio lasciarlo dove era, a Londra.
    Qui, a Abisko, c'erano già abbastanza problemi così.
    < Tornerò in ospedale se ti fa stare più tranquillo, chiamerò casa, chiederò a lui di venire ad occuparsi di me. Capisco tu abbia il desiderio di …tornare al tuo sogno. Non devi rimanere per senso del dovere. Starò bene, non devi preoccuparti. >
    Portai entrambe le mani aperte avanti, scuotendo la testa e chiudendo gli occhi, la intimai di non aggiungere altro.

    "Ferma, ferma. Fammi capire bene. Tu… avresti deciso di scappare di nascosto da me, dalla finestra del bagno, solo perché io ho fatto un bel sogno? È questo che mi hai appena detto? Davvero?"

    Facevo fatica a crederci, eppure…. Non avevo sentito male. A meno che il suo delirio non stesse andando avanti, mi aveva raccontato la verità dietro alla sua fuga.
    Il che mi lasciava esterrefatto e… ma sí, dovevo ammetterlo, piacevolmente sorpreso.
    Abbassai la testa e coprii il volto parzialmente con la mano sinistra, quella rimasta mutilata durante la prigionia degli Oscuri quasi sei anni prima. A stento, trattenni una risata.
    Se solo avesse potuto immaginare fosse stata proprio lei la protagonista di quel bel sogno….
    Però dovevo mordermi la lingua. Già era abbastanza imbarazzante sapere si fosse accorta di TUTTO, dover ammettere continuassi a sognarla in QUEL modo sarebbe stato troppo.

    "E poi sarei io quello geloso???"

    Rialzai lo sguardo su di lei, un mezzo sorriso ironico a sfidarla.
    Era vero, lo ero, non potevo in alcun modo o maniera dimostrare il contrario. Da parte di Venus, quel sentimento, mi risultó invece inaspettato ed imprevisto. Non avrei mai scommesso mezzo galeone potesse sentirsi ancora gelosa ad immaginarmi con altre donne.
    Il nostro rapporto era sempre stato e continuava ad essere, molto particolare. Non riuscivamo a stare vicini, né lontani. Allo stesso tempo desideravamo il meglio l'un per l'altra, però quando ci sapevamo felici altrove ce ne offendevamo quasi.
    Non avevo idea di come potevamo definirci se non eternamente scontenti, mai soddisfatti ed, a questo punto, gelosi cronici.
    Scuotendo ancora il capo, mi costrinsi a tornare serio, a fatica.

    "Lasciamo perdere. Non devo tornare da nessuna parte. Resto qui. Ma tu prova a farmi prendere un altro spavento del genere e… non lo so, ci devo pensare ma stai certa che non ti farò passare un bel quarto d'ora."

    Le puntai l'indice addosso tentando di apparire il più minaccioso e credibile possibile nelle intenzioni.
    Non avrei mai potuto torcerle un capello, lo sapevo io e lo sapeva ancora meglio lei, ma bene o male doveva convincersi a non fare altre stupidaggini.
    Raddrizzando la schiena, buttai fuori tutta la tensione con un lungo sospiro e poggiai il bicchiere di vino neanche assaggiato, sul ripiano del camino.

    "Dov'è che ti fa male? Fammi vedere."

    Meglio accantonare prima possibile, senza cadere nel dettaglio, quell'assurda parentesi e concentrarci su ciò che contava davvero, ovvero la salute di Venus.
    Avevo notato le sue labbra ed i lineamenti del suo volto contrarsi spesso in smorfie di dolore durante la nostra discussione. Avevo capito benissimo non fossero legate agli umori di quest'ultima, bensì a sofferenza fisica. La conoscevo fin troppo bene per non riconoscerla da questi segnali.
    Non mi restava che confidare fosse disposta a dimenticare gli incidenti del bel sogno ed a lasciarsi visitare senza "sentirsi di troppo".

     
    Top
    .
  2.  
    .
    Avatar

    Assicuratevi di avere le mani pulite, prima di toccare il cuore di una persona.

    Group
    Guaritore
    Posts
    479

    Status
    Anonymous

    Venus McDolan • 35 y. o. • Guaritore • PC
    Lo sapevo che era assurdo. Lo sapevo meglio di lui che era insensato, sbagliato, scorretto e che poteva anche sembrare una presa in giro.
    Me ne rendevo conto benissimo in quanto, diversamente da quello che pensava Walter, la mia pazzia era lucida, non c’entrava la febbre, non aveva nulla a che fare con la contaminazione o con il mio stato debilitato.
    Ci provavo a far finta di niente, ad imbrogliare le carte per poi finire sempre per ammettere e mostrare quello che pensavo; un difetto, una dote che faceva parte di me e che forse destabilizzava Walter.
    <ferma, ferma. Fammi capire bene. Tu… avresti deciso di scappare di nascosto da me, dalla finestra del bagno, solo perché io ho fatto un bel sogno? È questo che mi hai appena detto? Davvero?" >
    Ebbene si, è quello che ho detto e che ho fatto
    Non potendo negarlo tanto valeva confermarlo a viso aperto.
    Il suo modo di pensare era più lineare del mio che ero contorta anche nel mettere nel giusto ordine le idee; il dire rifletteva questa caratteristica rendendo evidenti le contraddizioni.
    Aveva tutte le ragioni del mondo ad essere incredulo e sbalordito nell’ascoltarmi. Al posto suo avrei reagito nello stesso modo pensando fosse impazzito.
    Avevo appena ammesso di essere fuggita da lui per aver compreso che stava vivendo un bel sogno, un sogno a cui io non appartenevo. Questo era il mio sentire, così lo avevo recepito e vissuto ed era per quel motivo mi era venuto istintivo allontanarmi. Si poteva essere tanto idioti da ammettere una cosa del genere e sperare di essere compresi dopo che non stavamo insieme da tanto, troppo tempo.?
    Evidentemente si, si poteva dato che lo avevo appena fatto.
    Stavo ad ascoltarlo in silenzio annuendo. Ogni sua frasi denotava che il Mago avesse colpito nel centro l'obiettivo. Aveva capito, stentava a crederci ma aveva colto il senso di ciò che gli avevo appena detto ed infatti, poco dopo, arrivò alla conclusione che espresse senza starci a girare attorno.
    <e poi sarei io quello geloso???>
    Il sorrisino dipinto sul suo volto avrebbe meritato che lo pigliassi a schiaffi. Non era per niente carino rimarcarlo come se gli giungesse nuovo. Lo ero stata e parecchio. Il problema era che pur non avendo più diritto di esserlo lo ero ancora. Le mie sopracciglia si avvicinarono mentre la fronte si aggrottava nel rispondere.
    E se fosse? E’ forse un crimine?
    Sicuramente la gelosia non era punibile per legge, non correvo il rischio di finire ad Azkaban ma non per questo ero immune dalla colpa di provare quel sentimento nei suoi confronti che mi faceva arrossire non solo per averlo detto ma anche per averlo pensato e provato.
    Doverlo ammettere era dura, soprattutto mentre lui sorrideva.
    Non potevo certo impedirgli di sognare, non potevo nemmeno chiedergli di non farlo ma potevo chiedergli di togliersi quel sorrisino dalle labbra.
    Scappare dalla finestra era il piano B. L’idea primaria era quella di soffocarti col cuscino. Ridi e non ti garantisco di non metterla in pratica.
    Mi rendevo conto di essere alquanto ridicola a fare minacce insensate, soprattutto combinata in quel modo.
    <lasciamo perdere. Non devo tornare da nessuna parte. Resto qui. Ma tu prova a farmi prendere un altro spavento del genere e… non lo so, ci devo pensare ma stai certa che non ti farò passare un bel quarto d'ora>
    In genere ero io a puntare il dito contro di lui quando volevo apparire minacciosa. Faceva strano vedergli fare lo stesso.
    La punta del mio di indice si avvicinò alla punta del suo. Non sapevo che espressione aveva il mio viso. Minacciosamente poco credibile? Forse. Rassegnata? Anche. Non avevo motivo di non esserlo. Compiaciuta? Nemmeno per idea. Forse potevo definirmi più serena. Per quanto fosse stato poco piacevole ammette quella che avrei voluto chiamare debolezza e che invece era qualcosa che mi infastidiva molto mi ero tolta il peso di dover inventare pretesti o scuse per nasconderla. Non ero mai stata alla sua altezza in quanto a celare pensieri, parole, opere ed omissioni. Per me era una fatica oltre che ad un dei nostri vecchi problemi. Io troppo esplicita, lui troppo morigerato nell’esporre. Forse un giorno avrei imparato a stare zitta ma quel giorno non era oggi.
    Mentre ci pensi io che faccio? Mi stendo sulle tue ginocchia in attesa di essere sculacciata? Scapperò dal camino la prossima volta che mi… sogni addosso. Sappilo.
    Con una mano reggevo il bicchiere, l’altra era puntata contro di lui. I calzoni decisero fosse il momento giusto per scivolarmi lungo i fianchi e scendere fino alle caviglie aggiungendo imbarazzo all’imbarazzo
    Perfetto, di bene in meglio.
    Durante il nostro rapporto, quando litigavamo, non mi ero mai resa così ridicola. Mi ero sempre fatta vanto di non abusare dell’orgoglio dando priorità alla dignità e sperare di apparire dignitosa in quel momento era sperare l’immaginabile ma il fatto avvenne in concomitanza della sua domanda e..<dov’è che ti fa male? Fammi vedere>…Grazie Merlino. Per una volta mi hai dato una mano.
    Ero meno a disagio nel mostrare il punto dolente piuttosto che confessare di essere gelosa di un uomo col quale non avevo più un rapporto, anche se il punto che doleva era sotto i calzoni che avrei dovuto abbassare per indicarlo.
    Non ci pensai nemmeno a dire che aveva capito male, che stavo benissimo. Per quel giorno la mia riserva di faccia tosta era esaurita. Forse.
    Non sarà nulla ma sento dei crampi, delle fitte, qui.
    Appoggiai prima il bicchiere sulla mensola del camino e poi appoggiai il palmo della mano fra fianco e ventre, dalla parte destra.
    Non era un dolore continuo, andava e veniva. Non era particolarmente acuto ma abbastanza intenso da non poterlo ignorare quando prendeva.
    Alzando i piedi, uno alla volta, mi liberai dei pantaloni lasciandoli a terra e rimasi con addosso la sua camicia.
    Le sue intenzioni erano chiare, voleva visitarmi per capire la causa del malessere.
    Dopo la sfuriata appena conclusa pensai fosse un bene non contraddirlo anche perché io stessa preferivo sapere a cosa potevano essere dovute le fitte.
    Non poteva visitarmi in piedi per cui mi distesi alla meglio sul divano troppo corto per poter allungare le gambe. Dovevo tenere le ginocchia piegate ed appoggiare il capo sul bracciolo per poterci stare.
    Da distesa andava meglio. La muscolatura si rilassava e il fastidio era minore.
    L’ultima volta che Walter aveva toccato la mia pancia in maniera professionale, per quello che potevo ricordare, risaliva ai tempi in cui attendevo Alexander. Quel periodo che risaliva a quasi dodici anni prima, era stato incerto per noi. La mia gioia contrapposta al suo disappunto. La mia certezza di voler tenere il suo bambino contrapposta alla sua indecisione sul da farsi.
    Quanti ricordi, quante parole, quante emozioni. Non mi pareva vero di averle passate e superate. Non era stato facile nemmeno allora ed ancora oggi, ripensandoci, mi veniva da chiedermi cosa sarebbe stato di noi senza quella gravidanza. Forse ci saremmo persi di vista o, chissà, forse il nostro rapporto sarebbe stato diverso se avesse avuto modo di crescere senza la prematura responsabilità e il legame di un figlio.
    Mentre Walter si avvicinava al divano non potevo fare a meno di pensare a ciò che mi aspettava. Avrei sentito di nuovo il tocco delle sue mani sopra una parte delicata del mio corpo. Non era una gamba, non era un braccio o una caviglia che potevano essere palpati senza scoprirsi troppo.
    La sua camicia mi arrivava a metà coscia quindi avrebbe dovuto sollevare i lembi per effettuare il controllo e già quello mi metteva in agitazione. Si sarebbe dovuto avvicinare parecchio, tanto che ne avrei potuto aspirare il profumo e spesso gli odori avevano su di me un super potere per riprende le sue parole.
    Dovevo inventarmi qualcosa a cui pensare per non pensare troppo. Qualcosa di molto piacevole o di molto spiacevole per evitare che la mente prendesse strade che avrebbero portato a dire o fare qualcosa di inadatto e inadeguato.
    Mentre lo guardavo avvicinarsi gli resi più semplice il compito scostando da me stessa la camicia. La pelle era migliorata rispetto al giorno prima, appariva meno arrossata, dava meno fastidio ma avevo più timore del suo tocco che del responso del controllo.
    Sollevando un braccio lo portai all’altezza del collo, piegai il gomito ed infilai la mano fra i capelli grattandomi la nuca. Pensai ad altri momenti, ad altre situazioni in cui veniva tutto più spontaneo, più giusto e con molti meno ostacoli e limiti mentali.
    Ti ricordi ancora come si fa?
    Mi resi conto solo dopo aver parlato di ciò che avevo detto e del modo in cui lo avevo detto.
    Mi morsi le labbra, troppo tardi. Chiusi gli occhi e sospirai preparandomi all’impatto dell’onda che sarebbe arrivata.
    Era brutto esser un Guaritore quando si era anche un paziente, sapevo di dover rimanere rilassata durante il controllo ma era una parola. Non potevo promettere niente altro che di provarci.
    Puoi chiamare i rinforzi se non te la senti.
    Era come fare un maldestro passo indietro rischiando di inciampare nuovamente
    Dov’erano quando servivano i geni dell’ospedale? Probabile il buon Merlino li stesse intrattenendo apposta altrove. Dannazione a lui e a loro.



    Parlato


    Edited by venus - 20/7/2021, 22:01
     
    Top
    .
  3.  
    .
    Avatar

    Member

    Group
    Mago Adulto
    Posts
    219
    Location
    Londra

    Status
    Anonymous
    Mi ci sarebbe voluto un po' per realizzare Venus fosse davvero ancora gelosa di me a tal punto da non riuscire a sopportare nemmeno la possibilità potessi sognare un'altra donna.
    Durante la nostra relazione le era capitato di sognarmi in altra compagnia. Finiva per non rivolgermi la parola per tutta la giornata.
    Non avrei mai immaginato però potesse provare ancora tutto questo fastidio, ero convinto di essere l'unico caso perso a non riuscire a superare lo scoglio della gelosia per la propria ex.
    < E se fosse? E’ forse un crimine? >

    "Per qualcuno potrebbe esserlo."

    Rimarcai quel 'qualcuno' con un sorrisetto strafottente sulle labbra. Avrebbe capito benissimo a chi mi stessi riferendo. Oh, quanto avrei goduto se fosse venuto a sapere come la propria amatissima compagna desse di matto in tal modo per il sottoscritto. Avrei donato tutti i miei risparmi pur di vedere la sua faccia affranta e delusa. Un desiderio irrealizzabile, ma non importava, per adesso andava benissimo godersi la soddisfazione di aver conosciuto quell'appagante verità.
    Le minacce di Venus non sarebbero riuscite in alcun modo a farmi sparire l'espressione compiaciuta sul viso. Mi soffocasse pure con tutto quello che voleva, sarei morto comunque con quel sorriso stampato sulle labbra.
    < Mentre ci pensi io che faccio? Mi stendo sulle tue ginocchia in attesa di essere sculacciata? Scapperò dal camino la prossima volta che mi… sogni addosso. Sappilo. >
    Alzai le spalle, con fintissima aria innocente.

    "Sono sicuro che non vivresti una sculacciata come una punizione, sbaglio?"

    Aspettai di vedere le sue gote infiammarsi di imbarazzo e di indignazione prima di continuare, incrociando le braccia molli al petto.

    "Non correrai più il rischio di intuire i miei sogni. Non te lo ricordi probabilmente, ma sei stata tu a trascinarmi sul letto, nel sonno, ieri notte. Dormiremo separati d'ora in poi."

    La sistemazione ancora, in realtà, non mi era chiara. Venus ovviamente sarebbe stata comoda nell'unica camera disponibile, io avrei cercato di trasfigurare il meglio possibile il minuscolo divano tentando di renderlo comodo abbastanza da non ritrovarmi con la schiena bloccata e troppo dolorante.
    Bando alle ciance, ci avremmo pensato più tardi. Era ancora mattina, la giornata era ben lunga di fronte a noi, avevamo tutto il tempo per organizzarci. Ora dovevamo pensare al suo stato fisico.
    Non mi stupii di vederla calarsi i pantaloni alla mia richiesta di mostrare dove provasse dolore. Se fosse stato ad un braccio, una spalla o alla testa sarebbe stato fin troppo semplice e Merlino non si sarebbe divertito a dovere.
    Lasciai si stendesse sul divano, seguendo i suoi movimenti ed il punto dolorante che mi aveva mostrato, poggiai le ginocchia sul parquet coperto da un morbido tappeto e, sfiorando le sue dita che si accingevano a compiere lo stesso, le scostai la camicia per scoprirle il ventre.
    < Ti ricordi ancora come si fa? >
    Venus aveva dovuto cogliere l'esitazione con la quale mi ero soffermato ad osservarla, per reticenza nel voler procedere. Non era affatto così. Non avrei esitato a ficcare le mani in tizzoni ardenti se questo avesse significato aiutarla.
    Toccarla, per me, era in effetti un po' come toccare i tizzoni ardenti. Richiedeva una certa concentrazione e soprattutto una bella dose di coraggio per buttarsi. Sapevo, ormai, cosa avrei provato. Sapevo di non essere immune a quel tipo di calore.
    Le sfiorai il fianco con la punta delle dita di entrambe le mani.

    "Tranquilla, ho continuato a visitare altre donne dopo di te."

    Sicuramente non era un buon momento per rigirare il coltello in una piaga appena scoperta, ma se lei stuzzicava io rispondevo. Era sempre stato così tra noi, una parte del nostro rapporto che non era stato mutato dal tempo e degli eventi, che spesso ci faceva infiammare in un ardore che durante la nostra relazione sapevamo sfogare a modo tutto nostro. Dopo, ci aveva portato solo ad irritarci ed indispettirci a vicenda.
    < Puoi chiamare i rinforzi se non te la senti. >
    Stando in silenzio, le detti risposta facendo pressione con le dita nel punto indolenzito, compiendo movimenti rotatori più o meno profondi per capire dove e come le facesse male. Data la posizione e la correlazione con l'avvelenamento il mio pensiero era corso al fegato, ma palpandolo non provava fastidio. Andai più esternamente, escludendo anche appendice ed intestino.
    Senza fermarmi, attento ad ogni sua più piccola reazione o sollecitazione, spostai le mani sulla parte più centrale e bassa del ventre. La vidi sobbalzare appena e mi confermó di avere avuto un'altra fitta. Lo stesso, se mi spostavo sull'altro lato. In quel punto, l'addome risultava meno morbido, più teso.
    Arrivai alle mie conclusioni.

    "Probabilmente sei vicina al tuo periodo."

    Per fortuna, almeno adesso, non era risultato niente di più grave. Il lieve gonfiore e le fitte potevano benissimo essere ricondotte al mestruo, visto poi che il fastidio combaciava con la stimolazione dell'utero e delle ovaie.

    "Hai bisogno di rilassarti un po'. Ti sei sottoposta ad uno bello sforzo con la tua bravata."

    Non c'era più rimprovero nel tono della voce. Aveva capito e riconosciuto di aver esagerato e sbagliato, non glielo avrei fatto pesare ulteriormente.
    Recuperai il barattolino di crema lasciato in camera, glielo lasciai tra le mani e dopo averne presa una dose generosa sulla punta della destra, iniziai a spalmargliela sulle gambe.
    Visitandola avevo sentita la pelle leggermente sgretolata e ruvida, era probabile iniziasse a provare prurito un po' ovunque.
    Massaggiai dall'interno verso l'esterno cominciando dalle cosce, prima l'una e poi l'altra senza avere il coraggio di dire niente, né voltarmi a guardarla. Sentivo le orecchie in fiamme nello sforzo di fare sembrare quei gesti naturali e di trattenere qualsiasi reazione sconveniente.
    Scesi sui polpacci, carezzandoli con decisione giù fino ai piedi.
    Era molto simile ad uno dei massaggi che le riservavo quando appunto era indisposta ed i dolori si ramificavano fino alle gambe. Seduto vicino a lei, la invitavo ad appoggiarle sulle mia, e le massaggiavo spesso fino a farla assopire.
    Stavolta avevo sfruttato la scusa della crema per darle quel sollievo che ricordavo avrebbe provato.
    Non potendo prolungare troppo a lungo l'operazione per non renderla più ambigua di quanto già non fosse, tornai ad inginocchiarmi sul tappetto, le passai uno strato di inguento sul ventre evitando di risalire verso punti più sensibili, infine, abbracciando con il palmo caldo il lato infastidito, girai lo sguardo ricercando il suo.

    "Adesso stenditi a letto, al caldo sotto le coperte. Io ti porto qualcosa da mangiare. Scommetto che hai voglia di un succo di zucca e due fette di pane con burro d'arachidi e marmellata."

    Sorrisi a quell'ennesimo tuffo nel passato. Ricordavo anche questo. Venus, durante quei giorni del mese, veniva sopraffatta da una voglia incontenibile di dolce e schifezze varie. La merenda con pane, burro d'arachidi e marmellata era la sua preferita in tali circostanze.
    Tornando in piedi allungai le mani verso di lei. Se fosse stata d'accordo l'avrei aiutata ad alzarsi, l'avrei accompagnata in camera e dopo essermi accertato mi avesse preso di parola, sarei andato in cucina a prepararle quanto detto.
    Non volevo ammetterlo ma, sotto sotto, non era affatto male provare la strana sensazione che niente in realtà fosse cambiato e tutto fosse ancora da vivere. Insieme.
     
    Top
    .
  4.  
    .
    Avatar

    Assicuratevi di avere le mani pulite, prima di toccare il cuore di una persona.

    Group
    Guaritore
    Posts
    479

    Status
    Anonymous

    Venus McDolan • 35 y. o. • Guaritore • PC
    <per qualcuno potrebbe esserlo>
    Era assolutamente vero ed avevo ben capito a chi Walter si riferiva. Avrei dovuto ringraziarlo per averlo sottolineato così poco velatamente.
    Accusai in silenzio dando il giusto peso a quelle parole. Dette in quel modo potevano sembrare uno scherzo ma mi avevano colpita più di quel non davo a vedere. Quel che era detto non era ritrattabile e non intendevo chiedere scusa per ciò che provavo ma qualcosa dentro di me si stava smuovendo. Ci avrei riflettuto seriamente prima di rispondergli a tono ma prima o dopo avrei trovato le parole per rispondergli.
    Non ero il tipo da ricorrere a sotterfugi, non ero brava a fingere, mi esponevo e questo voleva dire offrire il fianco ai colpi, anche quelli bassi. Ne avevo ricevuti non meritandoli e questo ultimo me lo ero praticamente cercata. Non mi ero mai nascosta dietro un dito e sapevo di aver sbagliato e di sbagliare a provare una gelosia assurda, senza fondamento e senza nessun senso. Avevo bisogno di tempo per metabolizzare quello che faceva più male. Probabilmente il Mago non se era reso conto ma aveva toccato un brutto tasto.
    Facendo finta di nulla feci spallucce al prosieguo dello scherzo.
    <sono sicuro che non vivresti una sculacciata come una punizione, sbaglio?>
    L’unico modo che hai per scoprirlo è provarci
    Ero certa non lo avrebbe fatto. Era un gioco che apparteneva al passato, un gioco rischioso per entrambi al quale avevamo giocato troppe volte per non ricordare come finiva anche se io, in realtà, non sapevo cosa ricordasse e cosa avesse dimenticato. Durante la sua prigionia alcuni dei suoi ricordi erano stati compromessi dalle torture che aveva subito.
    Una parte sapevo li avesse recuperati, di altri non mi aveva messa al corrente probabilmente anche a causa del nostro successivo, ennesimo, allontanamento, Confidavo sul fatto che mantenesse una particolare promessa che mi aveva fatto alla tenda. Poteva e doveva bastarmi per cui non scesi in ulteriori dettagli onde complicare ulteriormente le cose che già non andavano benissimo.
    <non correrai più il rischio di intuire i miei sogni. Non te lo ricordi probabilmente, ma sei stata tu a trascinarmi sul letto, nel sonno, ieri notte. Dormiremo separati d'ora in poi.>
    Se pensava di farmi un dispetto dicendomi che non avremmo dormito insieme si sbagliava di grosso e se non si sbagliava non gli avrei dato la soddisfazione di accorgersene. Gli avevo dato più una occasione e più di un motivo per starmi lontano a Londra, potevo farlo anche in Lapponia e così feci rispondendo in maniera piccata.
    Infatti non lo ricordo ma per me va bene. Potrai fare i tuoi sogni indisturbato mentre io faccio i miei.
    Molto meglio dormire da sola che con qualcuno che mi abbracciava pensando ad un’altra perché ammesso e non concesso che fosse vero che lo avevo trascinato sul letto la sera prima, cosa che non ricordavo affatto, era anche vero che seppur nel sonno era stato lui ad abbracciarmi e questo lo ricordavo benissimo.
    Durante la visita Walter continuò a stuzzicarmi e per fortuna. Le sue frecciatine mi distoglievano dal concentrarmi sulle sue mani che palpavano il mio ventre, dalle sue dita che sfioravano la mia pelle, dai suoi occhi che cercavano i miei.
    <tranquilla, ho continuato a visitare altre donne dopo di te>
    Con una, la peggiore e non dopo di me aveva fatto ben altro che visitarla. Stavo mettendo tutto in conto, era impossibile non farlo se si preoccupava di rammentarmelo così esplicitamente, come se ce fosse bisogno.
    Sono rimaste tutte soddisfatte?
    Chiesi digrignando i denti per il dolore e non solo. Avrei dovuto non pensarci, avrei voluto farlo ma lui non faceva altro che rigirare il coltello nella piaga. Se non fossi stata veramente male avrei chiamato io stessa i rinforzi ma avrei dovuto ammettere che ero in difficoltà ad affrontare quei discorsi e non volevo mostrarmi più patetica di quello già non avevo dato modo di fargli intendere.
    Avevo abbassato le braccia, una era stesa fra il fianco e la spalliera del divano, l’altra penzolava inerme dall’altro lato. Le dita sfioravano il pavimento e mi venne da stringere i pugni quando le mani di Walter andarono a premere sul basso ventre. A labbra serrate contrassi la mascella per non gemere.
    La visita era finita e Walter trasse le sue conclusioni. Ricominciai a respirare quasi normalmente riflettendo su quanto aveva detto.
    Il ciclo, in seguito al trauma che avevo avuto dopo la nostra separazione non era più tornato regolare, a volte tardava qualche giorno, a volte anticipava. Non mi impensieriva più di tanto. Il mestruo risentiva, a volte per anni, di eventi importanti.
    Poteva essere anche la concomitanza col viaggio prima e l’avvelenamento poi avessero provocato un ulteriore stress al mio apparato riproduttivo per cui non mi mostrai né troppo preoccupata e nemmeno apprensiva.
    Sbuffando per l’ennesima ramanzina della giornata mi ricoprii il tanto che la camicia permetteva tirandola per l’orlo fino a coprire metà delle cosce. Puntando i gomiti mi tirai su appoggiando la schiena al bracciolo del divano. Ero stressata sia per la visita che per l’atmosfera che avevo l’impressione risultasse tesa solo per me. Il senso di colpa iniziava a farsi sentire ora che sapevo di poter dare una spiegazione plausibile al mio malessere.
    Lui parve rendersene conto e cambiò tono. Pensando di farmi cosa gradita mi porse il barattolo della pomata e invece di lasciarmi al mio destino prese a massaggiarmi la pelle ancora disidratata. Mentre massaggiava le mie gambe il prurito diminuiva proporzionalmente al crescere di altro tipo di prurito che sapevo di dover assolutamente ignorare a quel punto.
    Probabile potesse sentire i muscoli reagire sotto le dita, la pelle si idratava ma la pelle d’oca doveva renderla ruvida sotto il suo tocco. Per quanto me lo imponessi non potevo evitare si formasse.
    Ci misi più tempo del previsto, provai a resistere ma solo quando la sua mano si infilò sotto la camicia per ungere il ventre trovai la forza di appoggiare la mano sulla sua e fermarlo.
    Nel farlo mi girai verso di lui e incontrai il suo sguardo.
    Indefinibile. Incomprensibile. Indecifrabile.
    Col tempo e non sempre era diventato più esplicito a parole ma i suoi occhi per me rimanevano un mistero ed immaginare quello che pensava, se non era lui a parlare, era un rischio che avevo affrontato fin troppe volte per volerlo correre di nuovo.
    Grazie, non capisco perché tu faccia tutto questo per me ma ti ringrazio.
    Non avevo davvero parole per esprimere la mia gratitudine per la pena che si stava dando. Mi faceva arrabbiare ma lui era li, era come me nel momento in cui avevo bisogno di lui.
    <adesso stenditi a letto, al caldo sotto le coperte. Io ti porto qualcosa da mangiare. Scommetto che hai voglia di un succo di zucca e due fette di pane con burro d’arachidi e marmellata.>
    Mi misi seduta mentre era a metà della frase portando una mano alla bocca. Il sentire nominare quello che erano alcuni dei cibi preferiti mi aveva fatto venire la nausea. Dopo due lunghi respiri lo stomaco si calmò, rilassai le spalle e gli sorrisi.
    Ricordava quanto amassi, nelle mattinate in cui potevamo permetterci di fare colazione insieme, consumare quelle leccornie insieme a lui che mi prendeva in giro dicendo che erano schifezze. Lui amava i sapori salati, io sarei vissuta di dolci e questo era motivo di scambio di battute e risate sui rispettivi gusti.
    Veramente avrei voglia di melone e fragole in questo momento ma temo che trovarle il Lapponia sia arduo.
    Con cautela mi rimisi in piedi pensando fosse un bene seguire il suo consiglio ed andare a riposare. Gli feci cenno di non seguirmi, avevo bisogno di stare da sola per un po’ e averlo accanto non mi avrebbe aiutato affatto a rimettere in ordine i pensieri, farmi dimenticare l’effetto che mi facevano le sue mani e l'inquietudine che provavo a guardarlo negli occhi senza capire a cosa pensava.
    Raggiunta la porta della camera appoggiai la mano sulla maniglia e premetti per aprirla. Prima di varcare la soglia mi girai verso di lui ma non diressi lo sguardo verso il suo viso.
    Grazie per avermi rammentato qual è il mio posto. Avrei voluto fosse successo anche a te quando hai avuto l’occasione per dimenticartene. Altri al posto tuo avrebbero agito, hanno agito in modo ben diverso, con molti meno scrupoli.
    Avrei voluto dirglielo scherzando, mi sarebbe piaciuto essere in grado di farlo ma io non ero gli altri. Ero solo io e avevo già fatto danni a sufficienza rendendomi ridicola nell’esternare l’ovvio. Se i miei pensieri, il mio dire e il mio comportamento era stati, come lo erano stati, una mancanza di rispetto verso più di una persona erano stati dettati dal rapporto che c’era stato fra noi. Dall’amore che gli avevo dato, dalla confidenza che avevamo condiviso, dal nostro non essere mai stati amici ma coppia fin da subito. Dal momento in cui ci eravamo incontrati, a Nocturn Alley, avevo capito che lui avrebbe cambiato per sempre la mia vita e così era stato.
    Il mio compagno aveva fiducia in me, se avevo mancato riguardo ai pensieri non lo avrei fatto in altro modo, non con chi non mi amava come volevo essere amata.
    Abbassando lo sguardo gli girai le spalle, entrai in camera e mi richiusi la porta alle spalle convinta di avere, per una volta, detto e fatto qualcosa di sensato ma riposare, ora, sarebbe stata dura.

    Parlato
     
    Top
    .
  5.  
    .
    Avatar

    Member

    Group
    Mago Adulto
    Posts
    219
    Location
    Londra

    Status
    Anonymous
    Quando compresi di aver osato troppo con le frecciatine, era già tardi.
    Avevo captato, ancora prima di notarlo sul suo volto e poi sentirlo dal tono delle sue parole, il cambiamento repentino di umore di Venus.
    Avevo a quel punto saggiamente deciso di tacere. Meglio smetterla con le insinuazioni.
    Fare riferimento, pur senza nominarlo, al suo compagno non era stata una grande idea, dovevo averle fatto venire i sensi colpa, cosa che in realtà voleva essere ben lungi dalle mie intenzioni. Semmai, sebbene avessi agito di istinto senza pensarci poi così tanto, mi sarebbe piaciuto riflettesse sull'eventualità che, se tutt'oggi pensava a me in certi termini, forse il rapporto con l'omuncolo non era così idilliaco.
    Convenivo fosse stato un azzardo stupido, però. Avevo ottenuto l'unica e non desiderata conseguenza di metterla di malumore, magari ora si sentiva pure in colpa per aver permesso a certe emozioni di venir fuori in modo tanto irruento.
    Turbato forse quanto lei avrei cercato le parole giuste per scusarmi e farle intendere che se si sentiva sbagliata, io non lo ero meno di lei, perché i miei pensieri convergevano nella stessa medesima sua direzione. Ci avrei provato, perlomeno, se l'inaspettata reazione di Venus nel sentirmi nominare il suo spuntino preferito non mi avesse acceso un campanello di allarme nello stesso preciso istante in cui, candidamente, mi informava della sue voglie.
    L'espressione sul mio volto si accigliò, mi sembrava di rivivere un deja vu, rivolto ad un passato molto più sereno e felice di quello attuale, quando Venus era incinta di Alexander e mi svegliava nel cuore della notte disperata perché, a detta sua, aveva assoluto bisogno di fragole per non morire.
    Ora quel dejavu, era però terrificante.
    Possibile che…? No no no, non volevo nemmeno pensarci. No, era solo una coincidenza. Non stava ancora bene, forse era l'ennesimo delirio, non sapeva cosa stesse dicendo. Lei odiava il melone. Non le era mai piaciuto.
    In un barlume di comprensione ripensai alle conclusioni a cui ero giunto visitandola. Ripensai al ventre appena appena teso, il lievissimo gonfiore…
    Probabilmente sbiancai e fu con una faccia sconvolta che l'ascoltai rinfacciarmi colpe del passato, senza neppure riuscire a connettere inizialmente il senso delle sue parole.
    La guardai immobile, una mano alzata nel muto tentativo di chiederle di fermarsi, entrare in camera e chiudersi la porta alle spalle.
    Che maledizione era successo in quella manciata di minuti?
    Avevo bisogno di aria per riflettere e… metabolizzare. Inutile sarebbe stato provare a parlarle adesso, prima di tutto era il caso fossi io a calmarmi, a capire. Di sicuro avevo frainteso tutto, mi stavo costruendo enormi castelli in testa, quando sicuramente la prima diagnosi era stata quella giusta.
    Merlino, stavo impazzendo… solo per delle fragole ed un melone!
    Non pensai a cambiarmi della tuta indossata la sera prima, uscii di casa così, senza mantello o cappotto. Le temperature non erano freddissime alla fine, anzi l'aria frizzantina della mattina svedese mi avrebbe aiutato a rinfrescare un attimo le idee e la mente.
    Girai per i dintorni del quartiere senza prestare particolare attenzione all'ambientazione mozzafiato che avrebbe meritato di essere apprezzato con animo molto più sereno.
    Non ero in vena.
    Per la seconda volta nella mia vita, mi trovavo in un luogo meraviglioso da sempre desiderato conoscere, distante mille miglia da casa, senza riuscire a godermi nulla delle beltà del posto. Era impossibile farlo quando la mente era troppo impegnata ad immaginare prospettive future apocalittiche.
    Se avessi dovuto dire che quella passeggiata mi serví per distrarmi avrei mentito. Magari a tranquillizzarmi un minimo. Volli convincermi fosse stato tutto solo un grande, grandissimo fraintendimento e avessi troppa immaginazione.
    Venus desiderava delle fragole? Bene, le avrei preso delle fragole. Era fortunata perché anche lì in Lapponia era stagione ed era facile reperirle. Non come quando era incinta di Alexander, in pieno inverno.
    Mi fermai in un mini market ed oltre a quelli le presi frutti di bosco vari e dolcetti alla crema e fragola. Per il melone niente da fare, quello non si trovava, ma non lo avrei preso comunque. Lo odiava!
    Non appena rincasai, notai fosse arrivata posta per entrambi.
    Dopo essermi affacciato appena per essere sicuro stesse bene e stesse davvero dormendo - fosse mai avesse deciso di fuggire di nuovo!- aprii le buste indirizzate a me.
    Non mi sorpresi di leggere Sally, mi chiedeva quanto ancora ci avrei messo a tornare, le mancavo e sperava rincasassi in tempo per raggiungere la nostra meta di vacanza.
    Quasi avevo dimenticato, in effetti, dei programmi che ci avrebbero visto lontani da Londra da lì ad un paio di settimane.
    Sospirando misi da parte la lettera, avrei risposto più tardi.
    Molto più sorpreso fu invece riconoscere la calligrafia del rompipalle di Venus sull'altra busta, indirizzata a me.

    "Complimenti.
    Avevi promesso ad Alice di portarla a Hogsmeade questo week end e non ti sei degnato nemmeno di farti sentire.
    Ha pianto una giornata intera, ma tranquillo non ti angustiare troppo, ci ho pensato io a risollevarle l'umore portandola al cinema.
    Trova due secondi per scrivere a tua figlia, passa i pomeriggi alla finestra, ad aspettarti.
    Incommentabile."



    "Cazzo…."

    Fu un sussurro a fior di labbra il mio, mentre mi portavo le dita restanti della sinistra a sorreggere la fronte aggrottata.
    Mi ero scordato, completamente. Come avevo potuto? Alice aveva aspettato quel weekend da settimane ed io… non avevo neppure pensato ad avvertirla.
    Non le avrei mai potuto spiegare cosa fosse successo in realtà, non era comunque una giustificazione accettabile per essere sparito senza darle preavviso della mia assenza, però a maggior ragione ora avrei avuto difficoltà a farmi perdonare.
    Come spiegare ad una bambina di nemmeno sette anni fossi stato trattenuto per emergenze molto lontano da Londra, senza poter dire come, perché e soprattutto con chi??
    E quell'idiota poi, ci metteva anche del suo con i suoi commenti fuori luogo, ma cosa ne poteva sapere lui? Ora sicuramente avrebbe fatto la figura del perfettino agli occhi innocenti di Alice, che si sarebbe chiesta perché non poteva avere lui come padre invece di uno distratto e manchevole…
    Sbattei un pugno sul tavolo con rabbia, nello stesso preciso istante in cui un rumore alla mia destra mi spinse a voltare la testa.
    Venus era lì, di fronte alla porta di camera, da non sapevo quanto.
    Posai il foglio che avevo quasi accartocciato per la rabbia, alzandomi in piedi.

    "Sei sveglia… come ti senti? È arrivata posta anche per te."

    Le indicai le buste ancora sigillate, prima di aggirare il tavolo e raggiungere il bancone della cucina dove avevo lasciato i sacchetti pieni di frutta.

    "Volevi le fragole…" le porsi un sacchetto colmo di frutti rossi "... Ci sono anche more, lamponi, ribes… Melone no. A te non piace."

    Gliela buttai lì, scrutandola per studiare la reazione. A meno che non avesse cambiato gusti negli ultimi anni, quella voglia avrebbe dovuto risultare strana prima di tutto a lei stessa.
    Le allungai pure il sacchettino con i dolci alle fragole, senza cambiare espressione. Speravo di sentirla esordire si fosse presa gioco di me, ma nel frattempo c'era anche altro da chiarire.

    "Non volevo offenderti prima, né farti sentire in colpa. Non ne hai, non più di me. Lo sai… Anche a me infastidisce immaginarti con lui e…" era te che sognavo "... Insomma, scusa."

    Non avevo idea se questo sarebbe stato sufficiente a farla sentire un pochino più leggera e meno nel torto. Entrambi eravamo sbagliati, non era giusto si sentisse l'unica responsabile di una situazione che tutti e due stavamo creando.
    Io, per primo, non avevo per niente accettato la sua relazione e non avevo mai fatto alcunché per nasconderlo.
     
    Top
    .
  6.  
    .
    Avatar

    Assicuratevi di avere le mani pulite, prima di toccare il cuore di una persona.

    Group
    Guaritore
    Posts
    479

    Status
    Anonymous

    Venus McDolan • 35 y. o. • Guaritore • PC
    Non ero in condizione di chiudere gli occhi. Ogni volta che ci provavo e cercavo di rilassarmi rivedevo immagini di un passato che in fondo non avevo mai dimenticato. Ora ero sola, potevo fare a meno di sforzarmi di fingere che non fosse successo nulla.
    La gelosia aveva acceso una miccia pericolosa che minacciava di esplodermi in faccia. Non mi importava di calpestare il mio orgoglio, non ci avevo mai tenuto molto a fare la sostenuta. Non volevo perdere la dignità. Volevo esser migliore di come mi sentivo in quel momento. Non potevo pretendere rispetto se poi io ero la prima a non portarne a nessuno.
    Mi sentivo in colpa non tanto per aver ammesso quello che provavo ma per provarlo davvero.
    Fissavo il soffitto cercando di non pensarci, speravo che tenendo gli occhi aperti potesse farmi concentrare su altro e mi sbagliavo. Bastava trovare un punto imprecisato da guardare, una crepa, una imperfezione dell’intonaco, una sbavatura di colore ed ecco che mi ritrovavo in quelle imperfezioni.
    Ero un tavolo con una gamba rotta che traballava, un sedia senza spalliera, una tazza sbeccata, una tovaglia macchiata. Rotta, sbagliata, con troppi errori alle spalle che non erano serviti che a farmi soffrire. Non li avevo trasformati in esperienze costruttive, non ne avevo fatto tesoro, non ne avevo tratto l’insegnamento che avrebbero dovuto impartirmi visto che continuavo a ripeterli. Era quello che mi veniva da pensare. Avevo passato gli ultimo cinque anni ad illudermi che stando lontana da lui, mostrando indifferenza, vivendo una vita tutto sommato normale avrei potuto non dimenticare ma mettere in archivio la parte del passato condivisa con Walter ma era bastato averlo accanto, guardarlo, sentirlo, toccarlo perché tutto rivenisse a galla. Momenti lieti e tristi. Motivi per cui stavamo insieme e motivi per cui ci eravamo separati.
    Mi chiedevo, potendoli mettere sul piatto di una ipotetica bilancia, quali avrebbero pesato di più.
    Mi girai su un fianco dando le spalle alla porta. Dalla finestra potevo vedere la luce della mattinata. Fuori di li c’era gente che stava andando a lavoro, a fare la spesa, a prendere un caffè. Gente normale che viveva la propria vita senza sentirla sdoppiata, divisa fra volere ed avere.
    Io avevo tanto, me ne rendevo conto ma fino a che punto bastava? Non ero mai stata una donna facile da accontentare e lo sapevo benissimo. Magari le mie pretese per alcuni potevano essere ovvie, banali, stupide. Non avevo mai chiesto l’impossibile ma avevo bisogno di quello che per me era primario. Amare ed essere amata. Il resto contava poco e niente.
    Non mi spaventava il mare in tempesta se avevo un faro a cui fare affidamento, non avevo paura di remare controcorrente se avevo un porto sicuro da raggiungere ed era quello che mi mancava. Qualcosa di certo per cui lottare, qualcosa per cui valesse la pena oltre i miei figli. Qualcuno e qualcosa di grande da cui tornare. Sapevo farlo, ero in grado di combattere ma non contro i mulini a vento delle fantasie e delle illusioni.
    Avrei mosso le montagne per avere quella certezza e non potendola avere rimanevo inerme a farmi sballottare dalle emozioni, dai momenti, dalla mia profonda fragilità che la vita mi aveva costretta a proteggere con una corazza che, col tempo, diventava sempre più dura e coriacea. L’armatura però cedeva quando Walter sostava per più del necessario nelle vicinanze. Rivelava falle mal richiuse, ammaccature, difetti di fabbricazioni che mi rendevano vulnerabile.
    Pensare di dover passare il resto della mia vita in quel mood era frustrante. Pur non stando più con lui ne avvertivo una specie di dipendenza sia fisica che emotiva e questo non andava affatto bene. Non dovevo fargli pesare i miei sentimenti, non doveva assumersene la responsabilità. Era cosa mia e dovevo gestirla da sola.
    Il tempo passava, dal salotto non si udivano arrivare rumori di sorta. Arrivai a pensare che se ne fosse andato e lo avrei compreso.
    Nessuno, sano di mente, avrebbe potuto affrontare il marasma di quello che ero, non ci riuscivo nemmeno io che dovevo conviverci e rimanere inattiva non aiutava affatto a riprendere il ruolo che mi competeva.
    Quando il ventre si rilassava riuscivo ad assopirmi fino a quando il disturbo si ripresentava facendomi cercare un’altra posizione. Non stavo bene distesa, non stavo bene sul fianco e nemmeno raggomitolata.
    Ero accartocciata su me stessa, una mano sotto il guanciale e l’altra premuta sul ventre, coperta dal piumino e girata verso la finestra quando sentii il passo leggermente claudicante di Walter avvinarsi alla porta per controllare se dormissi. Evitai di muovermi e rimasi com’ero tendendo le orecchie.
    Era tornato e non sapevo se esserne felice o spaventata. Intimamente ne ero sollevata, razionalmente non avrei saputo dire. La doppia faccia di una medaglia che scottava al solo avvicinarsi.
    Ero convinta che avrebbe voluto essere altrove, lo avrei voluto anch’io e probabilmente per motivi diversi dai suoi. Non sopportavo di pensarlo costretto in una situazione nella quale non era a suo agio e non poteva esserlo con me accanto che gli ricordavo cose a cui non voleva pensare.
    In quel momento maturai una decisione. Dovevamo uscire da quell’impasse e l’unico modo per farlo, l’unico che conoscevo, era quello di chiarire. Sapevo bene che non sarebbe stato facile ma sapevo altrettanto bene che era necessario e sapevo altrettanto bene che se avessi atteso che fosse stato Walter a prendere l’iniziativa avrei atteso invano.
    Mi alzai e lentamente, a piedi nudi, raggiunsi la porta e la spinsi sostando sulla soglia.
    Stava sfogliando della corrispondenza e dalla sua espressione, sia verbale che facciale, non erano buone notizie quelle che erano arrivate. Mi venne da chiedermi perché pioveva sempre sul bagnato e perché io amassi la pioggia.
    <sei sveglia…come ti senti? E’ arrivata posta anche per te>
    E’ successo qualcosa a casa?
    Fu la prima cosa che mi venne da chiedere. Non mi ero accorta fosse arrivata posta. Doveva essere accaduto in uno dei momenti in cui ero assopita. Avevo un’idea di chi potessero essere i latori dei miei messaggi, stavo mettendo la mia famiglia in apprensione con il mio tardato rientro.
    Mi avvicinai al tavolo e presi le due buste indirizzate a me riconoscendone la calligrafia. Una era di mia figlia, l’altra del mio compagno. Le tenni tra le mani posticipando il momento per aprirle e leggerle. Dovevo procedere con la mia intenzione altrimenti sarebbe passato il momento e avrei trovato scuse per non farlo.
    Sul tavolo Walter aveva appoggiato un paio di borsine col logo di un market dal nome strano che non mi impegnai nemmeno a leggere. Troppe consonanti per i miei gusti.
    <volevi le fragole, Ci sono anche more, lamponi, ribes…Melone no. A te non piace>
    Nemmeno quello aveva dimenticato. Odiavo il melone, mi disgustava il suo profumo eppure ero stata io a chiederlo ed ero ancora convinta che lo avrei mangiato volentieri.
    Grazie, non dovevi. Non ho appetito. Non so nemmeno perché le ho nominate.
    Avevo ben altro in mente che mangiare. Avvertivo la necessità di dire ciò che avevo da dire e sentivo di doverlo fare al più presto. Avevo la sensazioni che il tempo mi stesse sfuggendo dalle mani, sentivo i granelli di una ipotetica clessidra scendere in fretta, era questione di poco e sarebbero terminati.
    Mi appoggiai con la mani al tavolo, stavo sudando. Le buste ancora intonse sotto la destra distesa mente la sinistra era chiusa a pugno e mostrava le nocche biancastre.
    <non volevo offenderti prima, né farti sentire in colpa. Non ne hai, non più di me. Lo sai…anche a me infastidisce immaginarti con lui e…insomma, scusa>
    Era davvero tanta roba quella che sentivo. Era uscito a prendere quello che gli avevo detto di desiderare, in un paese che non conosceva, per una donna impossibile da trattare. Mi ricordava molto qualcosa quel particolare ma non potevo aggiungere anche quello a tutto il resto, non potevo nemmeno pensarci.
    Sollevando la mano me la passai sulla fronte deglutendo. Ero scossa dalle sue parole, molto più di quello che forze mi permettevano di mostrare. Non ebbi nemmeno la voglia o la prontezza di raccogliere i messaggi che caddero a terra.
    Mi stava chiedendo scusa dopo che io stessa lo avevo messo in difficoltà e, ciliegina sulla torta, ammetteva di provare la stessa gelosia che provavo io nei suoi confronti. Era davvero troppo da digerire tutto in insieme. Mi girava testa, mi mancava il respiro. Le fitte si facevano più intense e ravvicinate, sapevo di non avere tempo, di averne troppo poco ma
    Dobbiamo parlare
    Avrei voluto chiedergli se la sua gelosia era dettata dal desiderio o se c’era altro, avrei voluto chiedergli di dirmi quello che sentiva senza sentirsi inopportuno o sbagliato quanto mi sentivo io a dirglielo senza che lui ponesse domande ma con l’ennesima fitta sentii un caldo e denso fiotto scivolarmi lungo le cosce, spalancai gli occhi per il dolore e poi più nulla.

    Ore 11,30 Ospedale di Abisko


    I medimaghi della clinica uscirono dalla sala operatoria dove ero stata ricoverata senza avere ripreso coscienza.
    Walter era in sala di attesa, era passata più di un’ora da quando mi aveva vista sparire dietro la porta gialla del comparto operatorio.
    Il capo staff si avvicinò a Walter col viso serio e tirato.
    Mi dispiace Dott. Brown. Abbiamo fatto il possibile ma temo di non avere buone notizie.






    Parlato
     
    Top
    .
  7.  
    .
    Avatar

    Member

    Group
    Mago Adulto
    Posts
    219
    Location
    Londra

    Status
    Anonymous
    < E’ successo qualcosa a casa? >

    "No… Cioè sì, mi sono scordato di aver promesso ad Alice di passare questi due giorni a Hogsmeade, insieme. Non l'ho avvertita dell'imprevisto e ci è rimasta molto male."

    Sicuramente adesso sarebbe tornato in mente anche a Venus. Aveva tempestato sia me che lei, impaziente ed euforica come era alla prospettiva di trascorrere il fine settimana fuori casa, in un posto pieno di magia tra le vie di Hogsmeade, dove l'imprevisto e l'inatteso erano dietro ogni angolo. Ben lontano dalla babbanissima e monotona capitale inglese.
    Mi sentivo un vero schifo di padre, immaginarla delusa, triste ed amareggiata faceva male. Avrei cercato di rimediare in qualsiasi modo non appena fossi tornato a Londra, a costo di rimandare la vacanza in programma con Sally. I miei figli venivano prima di tutto.
    Non volevo comunque fare pesare pure questo a Venus, ci mancava si sentisse in colpa per esserci dovuti trattenere in Lapponia, trascurando i doveri familiari a fronte del suo stato di salute. Evitai quindi di portare avanti il discorso, tentando di dirottare l'attenzione di Venus sulle fragole, aveva bisogno di nutrirsi per tornare in forze.
    < Grazie, non dovevi. Non ho appetito. Non so nemmeno perché le ho nominate. >
    Storsi le labbra in una smorfia di disappunto. Appetito o meno avrebbe mangiato qualcosa, non poteva continuare a stare a digiuno. Misi le fragole in una bacinella sciacquandole sotto l'acqua corrente. Se non ci avesse provato di sua iniziativa l'avrei imboccata con le mie stesse mani.
    < Dobbiamo parlare. >
    Voltai appena la testa di lato, osservandola di sbieco. Non ero sorpreso, sapevo quel momento sarebbe arrivato prima o dopo durante il soggiorno e conoscendo Venus non mi meravigliavo fosse giunto prima. La mia ex compagna non riusciva a rimandare ciò che era in sospeso, non chiarire il non detto, non rispondere a questioni non espresse ma ben presenti.
    Sospirai lentamente, girandomi, la schiena contro il lavello della cucina, le mani aggrappate al ripiano.
    Immaginavo cosa avrebbe voluto dire e chiedere. Immaginavo quali argomenti avremmo affrontato. Temevo come ne saremmo usciti. L'ultima volta, cinque anni prima, niente affatto bene. Feriti, delusi, amareggiati, entrambi perdenti. La crepa nel nostro rapporto, che a fatica avevamo provato a sistemare dopo la mia prigionia degli Oscuri, si era completamente spaccata, distruggendo qualsiasi possibilità di riavvicinamento. Avevamo deciso fosse impossibile, ormai, pensare di tornare insieme. O meglio, era stato lei a deciderlo. Io allora non ero ancora pronto a lasciarla completamente andare. E questa scelta bruciava, bruciava ancora terribilmente.
    Eravamo riusciti ad avvicinarci di nuovo in quei giorni assurdi in Lapponia. Ora… cosa sarebbe accaduto?
    Feci un lieve cenno del capo. Se questo era il suo desiderio non mi sarei tirato indietro. Voleva chiarezza, gliela avrei data. Voleva pormi delle domande, avrei risposto esprimendo solo e soltanto il mio sentire.
    Cosa ne sarebbe venuto fuori, però, non lo avremmo scoperto in quel momento.
    Avevo visto Venus già pallida, sbiancare ancora di più, le mani tremare, vacillare sulle gambe improvvisamente deboli.

    "Venus!"

    Mi fiondai, prendendola tra le braccia prima che cadesse a terra come un sacco di patate.
    Aveva gli occhi chiusi, le diedi dei leggeri schiaffetti senza ottenere risultato. Avevo una bambola inerme tra le braccia.

    "Venus… Venus! Svegliati! Mi senti?"

    La presi tra le braccia, portandola in camera e soltanto dopo averla posata sul materasso mi accorsi del liquido caldo e vermiglio imbrattarmi abiti, braccia e letto. Scorreva copioso giù lungo le gambe nude.
    Il cuore mi si bloccó in gola, ghiacciandomi. Compresi. Compresi ancora prima di accettarlo.
    Non avevo tempo da perdere, avvertii immediatamente i Guaritori dell'ospedale di Abisko, i quali giunsero quasi all'istante. Dopo aver spiegato brevemente l'accaduto e quali fossero i miei dubbi, fu deciso di riportarla in ospedale dove ovviamente la seguii fin quando mi era stato permesso.
    La guardai sparire dietro le porte di un'anonima sala operatoria, accompagnata da diverse figure che correvano affiancando il suo letto.
    Attesi. Attesi a lungo senza sapere niente. Passeggiavo avanti ed indietro scaricando la tensione. Avevo intuito cosa stesse accadendo, non riuscivo a non sentirmi responsabile, in parte, di ciò.
    Se mi fossi allarmato maggiormente per quelle fitte dolorose, invece di spaventarmi nemmeno fossi stato io il potenziale padre, ora magari Venus non si sarebbe trovata dentro quella sala operatoria combattendo non tanto per se stessa, ma per la vita che portava, inconsapevolmente, con sé.
    Forse avrei dovuto avvertire il suo compagno. Ora più che mai Venus aveva bisogno di lui. Io… ero inutile. Lo ero stato e sarei continuato ad esserlo una volta svegliatasi. Con che coraggio l'avrei guardata negli occhi senza sentirmi responsabile, profondamente sbagliato?
    Finalmente, dopo minuti, forse ore, interminabili, un Medimago mi raggiunse, spiegando nel dettaglio cosa fosse accaduto.
    Ascoltai tutto con il palmo della mano destra premuto sulla bocca, annuendo di tanto in tanto giusto per dare qualche cenno di comprensione.
    Venne accettata la mia offerta di assumere l'onere di spiegare alla donna perché si trovasse di nuovo lì, una volta svegliata, perciò mi fu permesso di entrare nella stanza dove era stata portata.
    Stava pian piano riprendendo conoscenza. Provai una fitta di dispiacere allo stomaco a rivederla stesa di nuovo sul letto di ospedale, il viso pallido, gli occhi scavati.
    Le accarezzai delicato i capelli, l'ovale del viso, le guance fredde finché non vidi le sue palpebre tremare appena.

    "Sono sempre qui, Venus. Non ti preoccupare, non mi allontano."

    Le iridi blu iniziarono a fare capolino, incerte, accecate dalla luce delle lampade a neon. Continuai ad accarezzarla, sforzandomi di sorridere sopra di lei.

    "Lo so che non ci vuoi stare, ma devi avere un po' di pazienza. Cercheremo di tornare a casa stasera, dobbiamo vedere l'aurora boreale, mh?"

    Non ero sicuro riuscisse a recepire tutto ciò che le stavo dicendo, potevo solo confidare che il suono della mia voce la tenesse calma e tranquilla. Aveva bisogno di riposare, il corpo era parecchio debilitato dopo quell'ennesimo forte trauma a brevissima distanza dalla ripresa post avvelenamento.

    "Sssh, continua a dormire se vuoi. Resto qui con te."

    Mi sedetti sul bordo del letto, senza smettere di toccarla ed osservarla. Se mi avesse dimostrato di avere bisogno proprio di questo, non mi sarei staccato da quel materasso neppure fosse cascato il mondo. Avrei continuato a coprirla di carezze per giorni interi se fosse servito a farla stare meglio.
     
    Top
    .
  8.  
    .
    Avatar

    Assicuratevi di avere le mani pulite, prima di toccare il cuore di una persona.

    Group
    Guaritore
    Posts
    479

    Status
    Anonymous

    Venus McDolan • 35 y. o. • Guaritore • PC
    Ancora prima di riprendere conoscenza sentii di nuovo pungere il braccio.
    No! ancora. Ancora aghi, ancora dolore, ancora immobilità, debolezza, confusione.
    Ero sfinita eppure piano piano riuscivo a rammentare che fossi uscita dall’ospedale. Si, lo ricordavo.
    Il mio ultimo pensiero conscio lo avevo formulato nella casetta dove avrei dovuto passare qualche giorno in osservazione e convalescenza.
    E allora perché mi pareva di essere nuovamente ricoverata? Perché sentivo sempre più distintamente l’ago nel mio braccio, l’odore di medicine, il silenzio fatto di passi ovattati e di voci sommesse di un ospedale?
    Non avevo più le fitte. Era un miglioramento eppure non stavo per niente bene.
    Mano a mano che tornavo in me mi sentivo oppressa da peso enorme, un sintomo anomalo per un avvelenamento da non ricordavo nemmeno che cosa.
    Strattonai col braccio la flebo ma forse qualcuno aveva provveduto a fissarla e non riuscii a strapparla. Lo avrei fatto ancora se non avessi sentito la voce di Walter
    <sono sempre qui, Venus. Non ti preoccupare, non mi allontano>
    Girai il capo dalla parte dove proveniva il suono e avvertii il tocco della sua mano. Richiusi gli occhi sentendomi davvero tranquilla. Se lui diceva di non preoccuparmi significava che non dovevo farlo.
    Era così convincente la sua voce, così dolce il suo tocco che ripiombai nel sonno e lo feci col sorriso sulle labbra.
    Durò poco, almeno così mi sembrò. Somigliava molto ad un sogno quello che stavo vivendo e sentendo. Lui continuava a parlami, ad accarezzarmi, se aprivo gli occhi lo vedevo sorridere. Non ero certa di capire il senso di tutte le sue parole ma ‘aurora boreale’ lo avevo capito. Annuii avvolta da uno strano senso di beatitudine. Se mi avevano drogata avrei potuto chiedere che tipo di roba mi avevano messo nelle vene per farne scorta.
    Il dormiveglia si protrasse per diverso tempo. Cominciava a fare scuro quando riaprii gli occhi focalizzando meglio quello che avevo attorno. Walter era seduto sul mio letto, il busto piegato verso di me, le mani accarezzavano ancora il mio viso.
    Che ore sono?
    Era una domanda che avevo sentito molte volte pronunciare dai pazienti che si risvegliano dopo l’anestesia. Riprendere il concetto del tempo era una delle prime fasi del risveglio ma io ero già oltre, alla seconda e alla terza.
    Avevo capito dov’ero e con chi ero.
    Quello che non sapevo era perché fossi finita di nuovo li. Fra i mangiavocali.
    Mi sentivo debole ma non avevo più dolore. Non avvertivo nemmeno il prurito della pelle. Solo le forze difettavano e lo capivo mano a mano che riprendevo ad esse lucida.
    Lasciando fermo il braccio nel quale era infilata la canula con l’altro andai ad appoggiare la mano su quella di Walter.
    Come stai?
    Non mi vedevo ma non potevo avere un aspetto peggiore del suo. Pareva gli fosse passato sopra l’Hogwarts Express in corsa. Mi scostai da un lato chiedendogli, con gli occhi, di appoggiare almeno la schiena e stendere le gambe; non avevo idea da quanto tempo tenesse quella posizione.
    Avrei voluto chiedergli il motivo per il quale mi trovavo nuovamente distesa nel letto dell’ospedale di un paese straniero. Sarebbe stato logico. Era una delle prime domande che i pazienti nelle mie condizioni ponevano, subito dopo o subito di prima di chiedere l’orario.
    Il viso di Walter era troppo preoccupato mentre mi osservava, doveva essermi successo qualcosa di grave per far si che mi guardasse in quel modo. A furia di stare li dentro aveva conosciuto i Magimaghi, probabilmente ci aveva parlato e dovevano avergli dato pessime notizie sul mio stato. Ero certa di non avergli mai visto quell’espressione sul viso e lo avevo visto preoccupato almeno un milione di volte. C’era altro nel suo sguardo, pareva ansia ma non solo. Pareva lo sguardo di qualcuno che ha timore di perdere una persona alla quale tiene, una persona importante e in quel momento realizzai quella che io sentivo essere la mia sorte.
    Stavo morendo. Quello che avvertivo come benessere era il benessere della morte.
    Non mi avrebbe guardata come se mi amasse se non fosse giunto il mio momento, non lo aveva mai fatto in quel modo, non così intensamente e sicuramente non avrebbe fatto nemmeno adesso se non avesse capito che non c’era più nulla da fare se non attendere.
    Strano che quando si senta l’ombra scura della mietitrice passi quasi tutta la paura. La consapevolezza che il passaggio sia prossimo ed ineluttabile fa perdere il senso della realtà o lo riacutizza dando valore a chi il cuore dice ne abbia.
    Non avevo avuto il tempo di prepararmi a quell’evento. Non ero pronta e dovevo esserlo.
    Mi spiaceva lasciare i miei figli ma sapevo fossero in buone mani con lui. Potevo andarmene tranquilla, sarebbero cresciuti sereni anche senza di me. Avevano tante persone che gli volevano bene e un padre che viveva per loro. Evidentemente era destino non potessero vivere con entrambi i genitori i miei bambini ed ora venivo punita per averlo pensato e sperato.
    Non credevo sarebbe successo proprio adesso e proprio qui.
    Provai a sorridere per dare conferma al mio sentire. Non volevo avesse il ricordo, l’ultimo, di una donna piangente e disperata.
    Per favore non interrompermi. Non so quanto tempo mi rimane.
    Spostai la mano andandola a posare sulle sue labbra in caso avesse provato a dirmi le bugie che si dicono in questi casi. Non ero mai riuscita a leggere il suo sguardo ma ora mi appariva così chiara la sua angoscia che non la sapevo spiegare in altra maniera. Ora che sapevo di non avere più nulla da perdere poco importava tutto il resto. Nessuno si sarebbe offeso se avessi espresso le mie ultime volontà senza il filtro della paura delle conseguenze.
    Devi dire ai ragazzi che li amo e che voglio siano forti.
    Il groppo che avevo alla gola si strinse, facevo fatica a parlare. Chiusi gli occhi spossata da quella dura prova ma la mia mano rimase sulle sue labbra per coglierne il respiro e il calore. Ero convinta fosse l’ultima occasione che avevo per farlo.
    Lasciarlo, lasciare i miei bambini era così difficile eppure ero convinta che sarebbe successo di li a breve. Non era per mia volontà che li lasciavo, il destino aveva deciso così e non avevo nessuna forza per oppormi ad un fato che mi aveva dato tanto e tolto moltissimo.
    Chiusi gli occhi, sentivo la testa andare e venire, le orecchie fischiavano, girava tutto quanto e il cuore batteva come se stesse raccogliendo gli ultimi, vitali scatti di energia.
    Ti ho amato, immensamente.
    Girai il viso dalla parte opposta al suo. Non potevo guardarlo mentre gli dicevo addio.
    Quanto tempo avevamo sprecato a farci del male, a sfuggirci a provare di ignorarci ed ora che di tempo non ce n’è più cosa rimaneva? Il rimpianto di averlo buttato via ad inseguire una imitazione di felicità.
    Pensavo al plurale. Stavo morendo e potevo permettermelo. Potevo permettermi tutto. In tutti quegli anni era successo molte volte di vederlo felice. Lo era quando stava con i suoi figli ma era un tipo di felicità da diversa da quella che intendevo, da quella che avevo visto più e più volte rischiargli il viso e gli occhi in certi momenti della nostra relazione.
    Vorrei che tu fossi felice e...scusami
    Non sapevo esattamente per cosa stavo chiedendo scusa ma erano tante le cose sbagliate che avevo fatto. Alcune non avevo potute evitarle, ad altre non avevo saputo porre rimedio.
    Rimani con me, come se il tempo non fosse passato, come se fossimo ancora…insieme.
    Facendo uscire le parole le rendevo concrete. Forse avrei perso conoscenza di nuovo a breve e pensando fossero i miei ultimi istanti di lucidità mi rendevo conto quanto poco valesse il pensare, quanto poco valessero le intenzioni, anche le migliori non servivano a niente se non venivano espresse. non si poteva pretendere fossero comprese appieno se non venivano formulate e io volevo che lui sapesse che fino all’ultimo respiro avrei pensato a lui e ai miei figli. Mi rasserenava l’idea di morire fra le sue braccia, era un buon modo per andarsene, il migliore.









    Parlato


    Edited by venus - 20/7/2021, 14:14
     
    Top
    .
  9.  
    .
    Avatar

    Member

    Group
    Mago Adulto
    Posts
    219
    Location
    Londra

    Status
    Anonymous
    Venus si era assopita dopo poco e fui sollevato nel constatare riuscisse ad avere un riposo sereno, rilassato, privo di sofferenze, nonostante tutte le vicissitudini.
    Era inconsapevole di cosa fosse accaduto, non smisi di chiedermi in quelle ore come avrebbe reagito una volta appresa la causa del suo malore.
    Stavano cercando quella creatura, o era capitata per sbaglio? L'avrebbe accolta con gioia senza titubanze come era stato con Alexander, o con mille dubbi, incertezze e paure come era stato con Alice?
    Essere cosciente di esserle stato per l'ennesima volta causa di privazione di gioia e serenità, mi devastavaa completamente. Non avevo idea di come avrebbe reagito e sì, lo temevo. Non avrei potuto in alcun modo proteggerla da quell'ennesima sofferenza.
    Trascorsero diverse ore, le restai accanto, sempre. Ogni tanto mi alzavo giusto per sgranchirmi le gambe e la schiena, per poi tornare quasi subito al suo fianco. Le accarezzavo ora il volto, ora il braccio, ora la mano, seguivo il ritmo regolare del suo respiro.
    Il sole aveva percorso l'intero suo cammino e stava avvicinandosi all'orizzonte quando tornò a destarsi.
    Le sfiorai una guancia, per farle sentire fossi sempre lì.
    < Che ore sono? >
    Andai a guardare l'orologio al polso, io stesso avevo perso la concezione del tempo rinchiuso in quella stanzetta bianca ed anonima.

    "Le diciotto e trentanove."

    Tenni il tono della voce abbastanza basso da non disturbarla.
    Le avevo detto quella stessa mattina che l'avrei fatta uscire entro sera per andare a vedere l'aurora boreale insieme, ma… non c'era possibilità potessi mantenere la promessa. Venus era ancora troppo debole, troppo debilitata per pensare di portarla via da lì. Solo il viaggio, per via magica o babbana, l'avrebbe distrutta definitivamente.
    Emisi un lungo sospiro, sforzandomi di sorriderle quando la sua mano si posò sulla mia.
    < Come stai? >
    Sbuffai incredulo, scuotendo il capo.

    "Questo dovrei chiederlo io. Non so se ti rendi conto di essere tu quella stesa su un lettino di ospedale."

    Non volli cogliere il muto invito di stendermi al suo fianco. Il letto era troppo stretto, Venus aveva la necessità di stare il più comoda possibile senza sforzarsi di assumere posizioni che avrebbero potuto acutizzare il dolore delle parti del corpo coinvolte dal recente sconvolgimento.
    Il mio mal di schiena non era niente in confronto a tutto quello che aveva passato e stava passando lei.
    Ci guardammo occhi negli occhi, in silenzio, per lunghissimi istanti. Dovevo trovare il coraggio di dirle cosa le fosse accaduto, lo leggevo nel suo sguardo, me lo stava chiedendo in silenzio. Trovare le parole giuste, per non farle provare l'ulteriore angoscia di una perdita non era affatto facile.
    Normalmente, quando dovevo informare i miei pazienti di brutte notizie, per quanto dura potesse essere, riuscivo a farlo sempre senza esitazione. Non ero mai troppo distaccato, ma riuscivo a restare nel mio ruolo pur facendo capire di essere in grado di comprendere le loro paure, le loro afflizioni. C'ero passato, avevo vissuto la perdita, sapevo cosa volesse dire soffrire nel fisico e nell'animo, non potevo fingere non fosse così.
    Con Venus non veniva allo stesso modo automatico comportarmi alla solita maniera di quando indossavo il camice.
    Innumerevoli volte avevo informato donne e padri, facendo loro sfumare la felicità di stare per diventare genitori. Innumerevoli volte avevo visto le loro lacrime ed avevo trovato parole di consolazione più o meno convincenti.
    Adesso non me ne veniva nemmeno una. Non sapevo neanche da dove iniziare.
    Il protrarsi del silenzio portò la mia ex compagna ad interromperlo per prima, ero certissimo stesse per pormi la domanda legittima che chiunque avrebbe fatto al suo posto.
    Talmente certo, che quando parló schiusi le labbra dallo stupore.
    < Per favore non interrompermi. Non so quanto tempo mi rimane. >
    Il dito sulla mia bocca bloccò la prima reazione di chiederle cosa diavolo le fosse saltato in mente.
    Il dubbio potessi aver capito male, venne dissolto completamente ascoltandola continuare a parlare, nominare i nostri figli come se non avesse mai più avuto possibilità di vederli e di parlarci, e poi… confessare il suo immenso amore per me in passato.
    Seriamente, pensava di essere in punto di morte??
    L'avrei bloccata se non fossi stato talmente sorpreso non solo per il suo pensiero così convinto da spingerla a parlare in quel modo… ma anche e soprattutto per come mi guardava e per quel che diceva.
    Non avevo mai avuto dubbi sull'autenticità dei suoi sentimenti, li aveva sempre dimostrati, non aveva mai smesso di ripetermi che fosse stata convinta di aver trovato in me l'uomo con cui trascorrere il resto della sua vita.
    Fu sentirla, a distanza di tanto tantissimo tempo, dire di nuovo di avermi amato a farmi arrivare il cuore in gola, stringere lo stomaco in una morsa e le viscere ballare la conga. Fu… emozionante, vedere ed udire proprio quelle labbra parlare d'amore nei miei confronti.
    I miei occhi si concentrarono su di esse, guardandole continuare a parlare. Mi auguravano felicità, si scusarono… di cosa? Non aveva senso lo facessero, a meno che non fosse per farsi perdonare l'essere così tanto irresistibile da rendere impossibile contenere il desiderio, il rimpianto.
    < Rimani con me, come se il tempo non fosse passato, come se fossimo ancora…insieme. >
    Un richiamo impossibile da ignorare o fingere di non aver udito.
    Avvicinandomi lento al suo volto rialzai gli occhi incontrando le iridi marine, piene di una luce mai vista prima. Catturavano ogni dettaglio del mio viso, quasi fossero certe di avere pochi minuti a disposizione prima di abbracciare l'oblio.
    Mi abbassai, ancora, sempre più, finché le mie labbra non sfiorarono le sue, appena.

    "Ogni tuo desiderio è un ordine…"

    I respiri si mescolarono, caldi, la mano dalla sua guancia scese a cercare la sua, intrecciando le dita fra loro, il mio petto sfiorava il suo coperto dal lenzuolo bianco di cotone.
    Le baciai delicato, in un soffio leggerissimo il labbro superiore, poi quello inferiore, infine l'accarezzai con entrambe le mie il contorno della bocca tracciando diversi piccoli ed appena accennati baci.

    "Ma non è ancora giunta la tua ora, Venus… Sei sicura di volere questo?"

    Non c'era nulla da perdere. La donna dava tutta l'idea di non essere completamente in sé, nel delirio di una mente confusa aveva semplicemente espresso quelli che erano i suoi desideri. Di sicuro non sarebbe capitata un'altra occasione del genere, dove potevamo essere noi stessi senza lasciarci sopraffare da sensi di colpa, responsabilità e timori di compiere errori che avrebbero ferito o messo in difficoltà l'altro.
    Venus avrebbe vissuto tutto questo come un sogno che l'avrebbe accompagnata ad assopirsi ancora, più serena e pacifica di prima. Il giorno dopo non avrebbe ricordato nulla, se non forse qualche immagine confusa a cui non avrebbe dato importanza e che non l'avrebbe fatta sentire sbagliata.
    Io… io invece avrei rinchiuso quell'attimo solo nostro, speciale, in parte pure rubato, in un angolino ben nascosto nel mio cuore, da dove avrei potuto tirarlo fuori nei giorni nei quali lo sconforto, la nostalgia o la gelosia stessa avessero tentato di sopraffarmi.
    Solo il ricordo del calore delle sue labbra, del groviglio delle sue dita con le mie, mi avrebbe dato carica sufficiente per affrontare un esercito di giganti a mani nude.
     
    Top
    .
  10.  
    .
    Avatar

    Assicuratevi di avere le mani pulite, prima di toccare il cuore di una persona.

    Group
    Guaritore
    Posts
    479

    Status
    Anonymous

    Venus McDolan • 35 y. o. • Guaritore • PC
    <questo dovrei chiederlo io. Non so se ti rendi conto di essere tu quella stesa su un lettino di ospedale>
    Non aveva nemmeno idea di quanto me ne rendessi conto. Ero io quella stesa nel lettino ed io quella in procinto di morire.
    Lo sapeva anche lui solo che non voleva dirmelo, non ne aveva il coraggio.
    Avrebbe voluto parlarmi, lo intuivo dal suo sguardo, lo capivo della sua titubanza. Probabilmente stava cercando le parole giuste, quelle che tante volte aveva dovuto dire a chi era nelle mie condizioni. Non era mai facile pronunciare una sentenza, men che meno a qualcuno che non era solo un paziente e a lui era toccato l’ingrato compito di doverlo fare verso la madre dei suoi figli.
    Sospirai chiudendo gli occhi. Mi pareva tutto così assurdo che in punto di morte si potesse rimanere così lucidi e se stessi. Era probabilmente la mia ultima esperienza terrena e stavo ancora imparando qualcosa e cioè che poteva essere dolce anche morire se accanto c’era la persona giusta.
    Se poi quella persona, quella che sentivo far parte di me, mi guardava come stava facendo Walter in quel momento veniva da pensare che andava bene così, che ne valga la pena e che era valsa la pena aver fatto tutto ciò che avevo fatto. Anche gli errori potevano avere avuto un senso se il fine era quello e questa era proprio la fine.
    Erano le sei di sera passate. Non sapevo se avrei avuto occasione di vedere l’alba. Anche se avessi iniziato in quel momento, all’istante, a dirgli quanti e quali rimpianti avevo non sarebbe bastato il tempo per dirli tutti e non volevo trascorre gli ultimi attimi della mia vita intristendolo. Lo avevo fatto a sufficienza e me ne pentivo amaramente.
    Le iridi scure di Walter fissavano le mie labbra, attente. La sua espressione era assorta. Attendeva il mio ultimo respiro probabilmente.
    <ogni tuo desiderio è un ordine>
    Non si nega nulla a chi è così vicino ad esalarlo e Walter accolse la mia richiesta di condividere con me quel momento come se mai ci fossimo lasciati.
    Fece di più e non solo a parole. Avvicinando il suo viso al mio sfiorò con le sue le mie labbra.
    Indescrivibile era la sensazione che provavo. Non c’erano parole per esprimerla. Non chiusi gli occhi un solo istante, nemmeno per battere le ciglia. Non volevo perdere un attimo, non ne avevo molti a disposizione e ora come non mai capivo quanto, anche un solo secondo, fosse prezioso.
    Con la poca forza che avevo mi aggrappai alla sua mano che si intrecciava alla mia sotto il lenzuolo. Mi era sempre piaciuto tenere la sua mano a quel modo, era un gesto che sentivo nostro, un gesto delicato, intimo e possessivo insieme.
    Avrei voluto abbracciarlo, stringerlo a me e sentirlo mio per un’ultima volta. Non riuscivo a muovermi, il braccio con l’ago mi impediva di piegare il gomito e non poter esprimere a gesti quel che desideravo era una tortura. Nemmeno in punto di morte potevo dargli il calore che avevo dentro, la passione che le sue labbra risvegliavano ed accendevano. Era come se, sotto la cenere che poteva apparire fredda, ci fossero carboni ardenti che non avevano atteso altro che quel bacio per essere riattizzati.
    <non è ancora giunta la tua ora, Venus…Sei sicura di volere questo?>
    Non mentire Walter, lo vedo dai tuoi occhi, lo sento da come mi guardi. Mi hai baciata e lo hai fatto perché sto per andarmene.
    Non volevo menzogne nelle mie ultime ore o nei miei ultimi minuti. Non aveva senso come non aveva senso che io non confermassi il mio desiderio.
    Per favore toglimi l’ago dal braccio e spingi il lettino accanto alla finestra. Mi hai promesso che avremmo guardato insieme l’aurora boreale.
    Sarei morta evidenziando fino all’ultimo che ero fatta di strane contraddizioni.
    Aurora, per definizione, indicava un inizio, una rinascita, per me sarebbe stata la fine invece. Una fine felice, il degno coronamento di una relazione tanto intensa quanto difficile e bellissima.
    Walter fece quanto gli avevo chiesto, mi liberò dell’ago e spinse il letto accanto alla finestra che aprì per far entrare l’aria della sera.
    Libera dall’impiccio della fleboclisi appoggiai i palmi delle mani sul materasso e mi tirai su col busto in modo da appoggiare la testa alla spalliera. Lui era accanto a me, come se non ci fossimo mai lasciati, come all’inizio, come all’aurora della nostra relazione.
    Non ero in grado di esternargli la mia passione, la sentivo crescere dentro, bruciava come l’ardemonio ed era un fuoco fra le cui fiamme era dolce bruciare. Non avevo abbastanza forza da farlo mio ma potevo stringerlo, "sentirlo" mio.
    Avevo un groppo in gola che pur deglutendo non scendeva. Non era paura, era gioia pura e piangere di gioia non era vergogna, dovevo lasciare che le lacrime scendessero a bagnarmi il viso se volevo sciogliere il nodo e riuscire e a parlare.
    Eravamo uno accanto all’altra, girati di fianco e mentre fuori il cielo cominciava ad impazzire mandando luci surreali che balenavano intrecciandosi. I nostri occhi erano immersi a godere lo spettacolo delle nostre iridi. Sentivo le mie brillare di sentimento troppo a lungo inespresso, di passione che voleva e non poteva esprimersi, di gioia immensa per quegli ultimi attimi che consideravo il regalo più prezioso.
    Passai la destra fra i suoi capelli, li strinsi godendone della morbidezza ma era il suo profumo quello che volevo sentire. Avvicinai il viso al suo e ispirai il suo odore. Mi dava forza, calma, serenità.
    Appoggiai le labbra al suo collo, dietro il suo orecchio mentre la mano sinistra accarezzava il suo viso.
    Non avere paura, io non ne ho. Sono felice, sto realizzando un sogno. L’ultimo. Il migliore.
    Mai con in quel momento avevo la certezza che fosse mio. Poco importava che la sensazione fosse dettata dalla circostanze, poco importava che il momento potesse far si che l’illusione sembrasse realtà. Era il mio sentire e mi rendeva felice.
    Spostando il viso cercai le sue labbra. Morbide, dolci ed avide come le ricordavo. La barba solleticava il mio mento mentre i nasi si avvicinavano per farci respirare lo stesso respiro.
    Schiusi le mie senza chiudere gli occhi guardandolo mentre lo baciavo. Presi il suo viso fra entrambe le mani avvicinandolo al mio. Il sapore della sua bocca, mai dimenticato, si unì al mio strappandomi un sospiro. Era come riprendere un discorso mai finito, messo in pausa da una serie di eventi che non avevano nessuna importanza in quel momento. Timida ma non troppo la punta della mia lingua si fece spazio fra le sue labbra, i denti morsero con delicatezza il suo labbro superiore mentre continuavo a bearmi della vista dei suoi occhi, delle sue ciglia appena abbassate, della sua incertezza e della sua emozione.
    Le luci della stanza non erano accese, la luce esterna entrava dalla finestra proiettando onde colorare di verde, di azzurro, di rosa in mille sfumature che simescolavano fra loro creando disegni che nemmeno l’artista migliore sarebbe mai riuscito ad immortalare.
    Era uno spettacolo vivo, in continuo movimento, sempre diverso come forma e cambio di tonalità. Sembrava di essere in paradiso, un luogo che non era destinato a me in futuro ma che potevo godere nel presente.
    Mi strinsi ancora più forte a lui mentre i baci si alternavo a sorrisi beati. Diventava sempre più difficile mantenere il controllo, solo la debolezza del mio corpo mi impediva di esaudire anche l’ultimo, il più profondo e proibito dei desideri. Avrei voluto fossimo quei colori che si fondevano creando altri colori ancora più belli e vivaci.
    Senza smettere di amarlo con gli occhi mi feci più ardita. Passando fra le sue labbra trovai la sua lingua approfondendo quelli che erano stati baci dolci per renderli più profondi. Lasciando che l’istinto agisse come sapeva la rincorsi saggiandone il sapore. Le labbra unite e il respiro corto non impedirono di riscoprire il gioco antico e sempre nuovo del rincorrersi e poi trovarsi delle nostre lingue, un intreccio intrigante e malizioso che era stato appassionato preludio di un prosieguo appassionato ed appassionate. Misi tutto l’ardore nel trasportare nel bacio quel sentire godendo del sapore della sua bocca. Premendo con più decisione sulle sue labbra ritrovai il gusto di poter sentire in gola il suo sapore e questo mi portò a pensare a ben altro modo di poterlo gustare facendomi arrossire vistosamente.
    Non si potevano avere certi pensieri in punto di morte oppure si, era lecito tutto, anche pensare a quello. Era lecito anche fare domande rischiose e inopportune? Forse no ma che avevo da perdere?
    Col corpo debole e bollente, non avrei saputo dire se per la febbre o per l’intensità delle sensazioni provate, mi staccai da lui senza allontanarmi.
    Eramo avvolti dalla sottile e velata coperta dei colori dell’esterno, pareva poterli toccare, respirare. Nemmeno il sogno più bello era mai stato così inimmaginabile.
    Appoggiai la fronte alla sua, le punte dei nostri nasi si toccavano. La destra andò a posarsi sul retro del suo collo infilandosi fra i suoi capelli, la sinistra adagiata sul suo torace, vicino al cuore.
    Le labbra, ad un soffio dalle sue tanto da poter respirare lo stesso respiro, sussurrano.
    Dimmi a cosa pensi.
    Lo avrei portato con me quel pensiero, ovunque fossi andata sarebbe stato mio e mi avrebbe accompagnata durante il viaggio di sola andata che avrei dovuto fare.
    Mi apprestai a sentirlo non solo con l’udito ma anche con lo sguardo. I miei occhi si specchiavano nei suoi e assorbivano i colori dell’aurora rendendo il momento molto più magico di quello che avrebbe saputo fare Merlino in persona.



    Parlato
     
    Top
    .
  11.  
    .
    Avatar

    Member

    Group
    Mago Adulto
    Posts
    219
    Location
    Londra

    Status
    Anonymous
    Niente da fare, Venus si era convinta fosse giunta la sua ora.
    Anche vero non è che fossi stato poi tanto incisivo, ero più concentrato a rabbrividire al contatto con le sue labbra che a pensare a come farle capire il suo fisico si sarebbe ripreso abbastanza bene da permetterle di alzarsi in piedi, da lì ad un paio di giorni al massimo.
    Per l'umore e l'animo ci sarebbe voluto di più. Quella ferita sarebbe diventata alla fine una cicatrice ad aggiungersi alle tante già presenti nel suo cuore.
    Acconsentii di esaudire l'altro suo desiderio. Sì, le avevo promesso avremmo visto l'aurora boreale insieme e così sarebbe stato. Almeno quella parola data volevo rispettarla.
    Forzandomi non poco mi ero allontanato dal suo viso per alzarmi, toglierle l'ago, aprire del tutto le tende e spostare il letto di modo riuscisse a godersi lo spettacolo di un cielo che aveva già iniziato a mutare i propri colori.
    Mi stesi vicino a lei, le passai un braccio intorno alle spalle invitandola a poggiare il capo sul mio petto.
    Guardavo aldilà della finestra l'atmosfera ondeggiare insieme alle bande luminose verdastre sempre più intense, più vivide.
    Avevo avuto la fortuna di assistervi in passato, recuperando gran parte dei ricordi avevo scoperto di non aver dimenticato quanto fosse spettacolare e mozzafiato vedere il cielo assumere e cambiare tonalità e forme di ampia gamma nel giro di pochissimi secondi.
    Se però facevo fatica a respirare non era per via dell'aurora boreale, ma per un altro tipo di meraviglia, non meno intensa, ancor più destabilizzante.
    Avere Venus stretta contro di me, inspirare il profumo dei suoi capelli, accarezzarle delicatamente il braccio come se fosse la cosa più normale al mondo, come se non ci fosse nulla di sbagliato, era una sensazione talmente bella, piacevole, talmente vicina al sapore della felicità che avrei voluto durasse per sempre.
    Socchiusi gli occhi percependo le labbra morbide sul collo sussurrare parole che mi fecero rabbrividire insieme al contatto.
    Non era giusto l'assecondassi, me ne rendevo conto. Se avesse saputo tutto, probabilmente baciarmi sarebbe stata l'ultima sua voglia al momento.
    Eppure pensare di svegliarla bruscamente da quello che aveva chiaramente espresso essere un sogno per lei, la sentivo come un'ulteriore crudeltà da cui avrei voluto preservarla.
    Non poteva durare a lungo, ne ero cosciente. Avrebbe dovuto conoscere la realtà dei fatti, capire cosa le fosse accaduto. Convincersi quelle non fossero le sue ultime ore. A quel punto… sarebbe stata sempre disposta ad accogliere le mie labbra, i miei baci, le carezze sotto al lenzuolo mantenendo la stessa luminosa emozione che le accendeva lo sguardo?
    La baciai, chiudendo gli occhi, riconoscendo il suo sapore mai dimenticato, mordendo e stuzzicando la pelle delle labbra con i denti e con la lingua.
    Il mio cuore era impazzito dentro la cassa toracica, io ero impazzito. Da quanto desideravo baciarla in quel modo? Quante volte l'avevo sognato svegliandomi con i sensi di colpa galoppanti, la convinzione di essere un idiota illuso anche solo per aver permesso alla mia mente di vivere certe fantasie impossibili da realizzare? Sarebbe stato infattibile tenere il conto.
    Da quando ci eravamo lasciati non avevo smesso mai di desiderarla, di provare un vero e proprio dolore fisico nel tenerla lontana, nel non poterla abbracciare, stringere, assaporare, sentirla mia.
    Ora, eravamo ben lontani dal raggiungere l'ultimo punto. Non era neppure pensabile poter superare quel limite, prima di tutto per il suo stato fisico, poi… per tutto il resto che c'era dietro. Per chi ci aspettava a Londra, per il nostro rapporto già abbastanza complicato senza aggiungere cenere ardente ad un incendio di per sé impossibile da donare. Per i nostri figli, che non meritavano di essere continuamente sballottati da infiniti cambiamenti che avrebbero portato sempre nuove rivoluzioni nelle loro giovani vite.
    Ciò però non poteva in alcuna maniera frenare l'ardore crescente nelle membra, via via che le dita di Venus mi accarezzavano e stringevano e le mie facevano lo stesso.
    Ci staccammo solamente per recuperare ossigeno, fronte contro fronte.
    Mi specchiai nei suoi occhi, nei quali vibravano i colori sorprendenti dell'Aurora Boreale, spettatrice di un evento altrettanto vivido e potente quanto o più del suo.
    Respirai velocemente contro le sue labbra arrossate, sfiorandole con le dita. Mi sentivo sconvolto, stravolto… perso. Non sapevo più cosa fosse giusto fare, dire o pensare. Sapevo solo cosa bramassi in ogni fibra del mio essere.
    < Dimmi a cosa pensi. >
    Magari fossi stato in grado di risponderle, avrebbe significato fossi ancora capace di intendere e di volere. Avevo smesso di esserlo da quando eravamo tornati a sfiorarci, come ragazzini impacciati ed intimiditi.
    Per rispondere non solo avevo bisogno di riordinare i pensieri, di recuperare un minimo di lucidità. Avevo bisogno di rallentare anche il respiro ed il battito del cuore scalpitante.
    Abbassai il volto, nascondendolo nell'incavo della spalla e del suo collo, senza riuscire a frenarmi dal percorrerlo di tanti piccoli baci, lenti e delicati. La mano destra era appoggiata all'altro lato di esso, le dita immerse nella morbidezza della chioma corvina.
    Passarono diversi minuti prima che mi decidessi a parlare, gli occhi socchiusi, la voce arrochita dal desiderio, le labbra bollenti sulla sua carne altrettanto calda.

    "Sto pensando… che vorrei non finisse mai…"

    E non mi riferivo all'Aurora Boreale.
    Risalii a baciarle il contorno del viso, la linea perfetta del naso, le palpebre abbassate, la fronte liscia.

    "Sto pensando che… vorrei non averla mai finita… che tu fossi ancora mia…"

    Le cinsi il volto con entrambe le mani e tornai a posare le labbra sulle sue, catturandole in un bacio fin da subito approfondito, quasi disperato nella sua passionalità.
    Sentivo sempre più la brama infiammarsi sotto l'impazienza delle nostre carezze, l'ardore delle lingue che si rincorrevano assaggiandosi. Se non azzardavo più di quanto stessi facendo era solo e soltanto perché non era assolutamente né il contesto, né il momento adatto per dare sfogo ai propri istinti.
    Per tal motivo tornai a stringerle delicato il volto, allontanandola quel tanto da separare le nostre bocche assetate. Restammo comunque vicinissimi, ad immergerci l'uno nello sguardo dell'altra. Le nostre espressioni erano molto vicine alla disperazione. Era terribilmente difficile, un vero e proprio patimento provare certe sensazioni, potenti come uragani e doverle sopprimere dentro di sé, senza lasciarle sfogare come sarebbe stato non giusto, ma naturale facessero.

    "Venus…" presi due lunghe boccate d'aria, tentando di controllare il respiro "... Tu non stai morendo, credimi, è la verità. Domattina ti sveglierai sempre qui su questo letto, pronta a continuare a vivere la tua vita. Tu… stai bene. Hai avuto un… una complicazione. Ma… starai bene. Potrai tornare dai nostri figli e… averne ancora altri, se è questo che desideri."

    La voce tremò alla conclusione del discorso. Ammetterlo a voce alta, ammettere avesse desiderio di avere un altro bambino con un altro uomo era ancora più difficile che pensarlo.
    Deglutii, abbassai gli occhi dai suoi, le accarezzai le guance con i pollici e staccai la fronte dalla sua.
    Passando una mano sul volto improvvisamente stanco, feci scendere le gambe sedendomi sul bordo del letto. Poggiai i gomiti sulle ginocchia, incrociai le mani tra loro, fissai il pavimento diversi secondi prima di fare un bel respiro e decidermi a guardarla ancora, non affatto convinto di voler sentire la risposta alla domanda che mi accingevo a porle.

    "Lo… lo stavi cercando? Un bambino con lui?"

    Forse a questo punto avrebbe capito, o forse no. Non avevo idea del perché volessi rigirare il coltello che mi ero sentito piantare nel petto nel momento stesso avessi capito a cosa fossero dovute fitte e quelle strane voglie.
    Sapevo però di aver bisogno di saperlo, di sentirglielo dire. Soltanto questo mi avrebbe dato la spinta giusta per alzarmi da quel letto ed allontanarmi.
    Forse.
     
    Top
    .
  12.  
    .
    Avatar

    Assicuratevi di avere le mani pulite, prima di toccare il cuore di una persona.

    Group
    Guaritore
    Posts
    479

    Status
    Anonymous

    Venus McDolan • 35 y. o. • Guaritore • PC
    <sto pensando…che vorrei non finisse mai…>
    Avrei voluto dire lo stesso. Se sulle mie labbra quelle parole non fossero apparse patiche o grottesche mi sarei unita al pensiero di Walter. Non potevo nemmeno più sperarci che non finisse mai.
    Sarebbe finita fin troppo presto e avrei dovuto lasciarlo.
    Sentirlo bruciare vicino a me non poter dar sfogo che a parte de desiderio che avevo di lui era una sensazione che somigliava molto ad una tortura.
    Il mio corpo ne avvertiva non solo il desiderio ma anche l’esigenza. Le forze mi tradivano, quelle stesse forze che mi avevano permesso di rimettermi in piedi tante volto mi avevano abbandonata nel momento forse più cruciale di tutta la mia vita, sicuramente nel momento meno adatto.
    I miei occhi faticavano a lasciare i suoi, quando si abbassavano si spostavano sulle sue labbra, condividere il suo respiro pareva dare ossigeno ai miei polmoni mentre i suoi baci erano linfa per il mio cuore che batteva all’impazzata sotto il camicione dell’ospedale.
    Ogni volta che lo baciavo, ogni volta che il suo sapore si univa al mio era una sferzata di adrenalina, un immenso calore che mi avvolgeva come il piumino più caldo nelle notti d’inverno.
    Com’era possibile che avessimo fatto a meno di tutto questo per tanti anni mi risultava ancora inspiegabile. Sarei morta con quel dubbio? Mi faceva meno paura morire che chiedere col rischio di risentire le parole che mi aveva detto la terribile notte del cimitero. Anche allora ero morta, morta dentro ed ora che le sue labbra dicevano cose diverse, ora che i suoi baci mi facevano sperare che quelle parole non fossero quelle che mi avrebbe detto in quel momento non mi rimaneva altro che attaccarmi allo sprazzo di vita che mi restava.
    Lo facevo con le unghie che sentivo scorrere sulle sue braccia, con i denti che mordevano le mie e le sue labbra, col respiro che gli rubavo ogni volta che il suo alito incontrava il mio.
    Non sarei riuscita a staccarmi dal lui nemmeno se fossero arrivati tutti i mangiavocali dell’ospedale a trascinarmi, nessuno poteva staccami da colui che per me era vita.
    Mentre mi accarezzava osservavo le sue mani, le avevo sempre amate. Non mi importava fossero diverse, sapevano toccare contemporaneamente pelle e cuore ovunque si posassero.
    Il mio petto si alzava e si abbassava in maniera irregolare e non era per malattia. L’emozione di stringerlo di nuovo era tanta e tale che c’erano attimi che riuscivo a dimenticare perfino dove eravamo.
    <sto pensando che…vorrei non averla mai finita…che tu fossi ancora mia…>
    Dovevo dirglielo? Potevo morire senza farlo, potevo mordermi la lingua ed evitargli quello che il mio dire gli avrebbe arrecato dolore. Non era giusto tacere, aveva diritto di saperlo. Mi stava parlando a cuore aperto e lo aveva fatto così di rado. L’occasione era la peggiore forse ma non andava sprecata visto il poco tempo che avevo.
    Spostando il capo raggiunsi l’incavo del suo collo e appoggiai le labbra vicino al suo orecchio. La sua pelle era calda, la mia di più. Il mio respiro bolliva mentre facevo da interprete fra cuore e labbra con un sussurro detto a gola chiusa.
    Sono stata tua da quando, una notte di molti anni fa, ti ho incontrato a Nocturn Alley. Mi hai preso il cuore quella notte, te l’ho regalato, è sempre stato tuo.
    Le nostre strade si erano divise ma il cuore era rimasto intero, con tante cicatrici, con tante ammaccature ma aveva continuato a nutrire ciò che la ragione aveva dato per proibito ed escluso.
    Prendendo la sua mano, staccandola dal mio viso, mi spostai ancora andando a cercare il suo sguardo mente le nostre labbra si univano ancora.
    Accompagnai la mano di Walter sotto il lenzuolo e la posai sotto il seno affinchè potesse sentire ancora battere ciò che gli apparteneva.
    Finchè poteva, finchè non si sarebbe fermato.
    Il colori spettacolari dell’aurora parvero gradire il gesto diventando ancora più vividi. Era il blu che dominava e illuminava quell’istante. Lo stesso dei miei occhi, lo stesso che colorava le pareti anonime di quella stanzetta d’ospedale che faceva da scena ad una meraviglia della natura e ad un’altra che era la sua mano calda sul mio cuore, la sua bocca ardente unita alle mie labbra generose ed avide insieme.
    La disperazione per l’imminente distacco che provavo in quel momento, quando, dopo anni, sentivo il suo ardore e vedevo i suoi occhi accesi di una inconfondibile luce era talmente intesa da essere palpabile. Erano attimi per cui valeva la pena vivere e il destino beffardo me li stava portando via ad un ad uno.
    <venus. Tu non stai morendo, credimi, è la verità. Domattina ti sveglierei sempre qui su questo letto, pronta a continuare a vivere la tua vita. Tu…stai bene. Hai avuto un…una complicazione. Ma…starai bene. Potrei tornare dai nostri figli e…averne ancora altri, se è questo che desideri>
    Da subito colsi solo una parte di quello che mi disse. Ero rassegnata ma ero così felice di poterlo baciare senza sentirmi sbagliata, ero così presa dai suoi gesti, dalla mia passione, dal desiderio esaudito ma inappagabile che ci misi un po’ a realizzare.
    No no no no, non poteva essere. Non potevo aver capito bene.
    Era talmente vicino, ero talmente presa da lui che dovevo aver frainteso, forse voleva illudermi. Non mi sarei spostata da quella posizione nemmeno se mi avesse detto che stavo per essere aggredita da un’arpia per cui rimasi a guardare le sue labbra che si muovevano cercando di decifrarne i suoni e il senso.
    Lo sguardo divenne vacuo, il battito accelerò fino a farmi sentire il tuo tamburellare in gola.
    Non sto morendo? Non indorarmi la pillola Walter, non serve.
    Non ci potevo credere ma facendo mente locale lui non lo aveva mai confermato, avevo fatto tutto da sola come sempre. Nemmeno lo spauracchio della morte mi aveva resa saggia al punto da non fidarmi della mia sensazione.
    Un sorriso nuovo distese le mie labbra. Potevo tornare dai miei figli, i miei piccoli.
    Sentii uscire dalle mie labbra una voce incerta, tremante. Stavo sbiancando, avevo la bocca asciutta, la confusione dipinta sul viso.

    Posso tornare dai bambini, davvero?
    Poi mi arrivò anche il finale della frase. Inaspettato e sorprendente come e più del resto.
    Altri figli?
    Sgranai gli occhi. Che senso aveva quel discorso in quel contesto. Forse era la sua vicinanza a confondermi le idee ma non lo capivo a meno che…peccato non stessi morendo davvero altrimenti glielo avrei chiesto. Mi trattenni giusto perché il resto bastava ed avanzava da assimilare.
    Dopo avermi dato quella bella notizia sembrava diventato improvvisamente triste. Mi raggelai guardandolo passarsi la mano sul viso, e poi si allontanò da me sedendosi al bordo del letto.
    Perchè sei triste?
    Convinta di aver fatto qualcosa di sbagliato mi tirai il lenzuolo fin sotto il mento. Ero madida di sudore, cosa avevo fatto o detto per far cessare l’incanto? Non lo capivo e quando non capivo qualcosa diventavo pazza.
    Guardami Walter, dimmi cosa pensi, non lasciarmi sulle spine.
    Il letto pareva essere diventato un ginepraio. Pungeva ad ogni respiro ed ogni battito di ciglia.
    <lo…lo stavi cercando? Un bambino con lui?>
    I miei occhi più di così non potevano aprirsi. Ero attonita. Arrivai perfino a pensare che, come era successo a lui la notte precedente mentre sognava, durante il sonno indotto dall’anestesia potessi avere borbottato qualcosa di insensato al punto da fargli trarre quella bizzarra conclusione.
    Un bambino? Con lui? Ma….sei serio?
    Ne avevamo parlato col mio compagno naturalmente ed eravamo arrivati a concordare, cioè io avevo concordato, che quattro bastavano. Non ero nemmeno riuscita a tenere unita la mia famiglia con padre dei figli che avevo, non ci pensavo nemmeno a metterne altri in cantiere per complicare ulteriormente le cose.
    Avevo desiderato ardentemente diventare nuovamente madre ma non così, non in quella situazione. Non avevo l’entusiasmo necessario, non avevo lo spirito che serviva per intraprendere una nuova gravidanza voluta e cercata.
    No, assolutamente no. Prendo la pozione. Non voglio far soffrire le mie creature più di quello che non ho già fatto. Non basta avere un uomo in casa per formare una famiglia. Non è più come prima, è diverso da quando ero tu a sederti a capotavola.
    Non avevo difficoltà ad ammetterlo. In casa mia c’era una buona atmosfera, i ragazzi andavano d’accordo col mio compagno ma non passava giorno che, quando eravamo tutti insieme, non avvertissero la mancanza di Walter.
    Se si fosse girato a guardarmi avrebbe visto che ero scivolata sotto le lenzuola e che mi ero coperta il viso e anche il capo. Se mi avesse udita avrebbe capito che sorridevo nel parlare ma era un sorriso amaro.
    E io che pensavo che quando mi hai chiesto se ne volevo avere altri ti stessi proponendo come candidato.
    Era la gioia della rediviva o una speranza mai espressa ad alta voce ma sempre coltivata nell’orticello segreto del baule delle illusioni. Solo io sapevo la verità, era nascosta sotto il lenzuolo dal quale, in quel momento, passava la luce verdognola dell’aurora che stava ancora esprimendosi al meglio.
    Scoprendomi mi feci forza e mi misi seduta. Allungando la mano incontrai la sua gamba piegata, posai la mano sulla sua coscia allungando le dita per cercare la sua.
    Ai figli non è sufficiente dare affetto. Bisogna amarli.
    Era quello che rendeva un gruppo di persone una famiglia. Non bastava il sangue. Walter amava Claire e Jan tanto quanto Alexander ed Alice anche se i primi due non venivano dai suoi lombi. Aveva praticamente dato la vita per loro. Era quello il loro padre, non ne avrebbero conosciuto altri in grado di prendere il suo posto e io, pur desiderandolo immensamente, avevo rinunciato al progetto di una nuova gravidanza. Sarebbe stato egoistico da parte mia e non corretto verso chi aveva e stava facendo del suo meglio per ricoprire un ruolo che non gli apparteneva.

    Parlato
     
    Top
    .
  13.  
    .
    Avatar

    Member

    Group
    Mago Adulto
    Posts
    219
    Location
    Londra

    Status
    Anonymous
    Le mie dita fremettero a contatto della sua pelle, vicino al seno. Percepivo chiaramente il cuore al di sotto tamburellare emozionato allo stesso ritmo del mio.
    Ciò che mi aveva appena detto fu simile ad uno schiaffo ricevuto in pieno viso. Mi colse impreparato, mi lasciò stupefatto.
    Faticavo a credere che, dopo tutto quello che le avevo fatto passare, ammettesse di provare lo stesso intenso e sincero sentimento degli inizi della nostra storia. Burrascosa fin dalla conoscenza a Nocturn Alley. Già allora avevamo combattuto per salvarci la vita a vicenda. Nemmeno ci conoscevamo, a malapena ci eravamo guardati in faccia, ma da quel momento ogni nostra azione era stata dedita al proteggerci a vicenda. Spesso ci eravamo riusciti, altre volte avevamo fallito. Tuttavia non avevamo mai smesso di accorrere in aiuto, cercarci, prenderci cura l'un dell'altra. E molto probabilmente anche così saremmo morti, lottando per salvaguardarci il più possibile dal dolore.
    Venus faticava a credermi, invece avrebbe dovuto immaginare che se fosse davvero stata in punto di morte non me ne sarei rimasto lì con le mani in mano a guardarla spirare. Nossignore. Avrei cercato ogni soluzione possibile per tenerla ancorata alla terra, era ancora giovane, i nostri bambini erano piccoli - per me lo sarebbero sempre stati anche a quarant'anni - avevano bisogno di lei, come io stesso ne avevo bisogno. C'erano ancora tante, tantissime cose che avrei voluto dirle, infiniti momenti da condividere insieme. Non l'avrei lasciata morire così presto, mai. Non senza combattere.
    < Non sto morendo? Non indorarmi la pillola Walter, non serve. >
    La mia espressione esasperata in risposta finalmente doveva averla convinta a sufficienza per dissolvere ogni parvenza di dubbio. Sorrise ed io insieme a lei. Alleluia.
    < Posso tornare dai bambini, davvero? >

    "Come potevi essere convinta ti avrei lasciato andare in questo modo?"

    Me ne sentivo quasi offeso, per chi mi aveva preso, per quanto avessi desiderato da anni toccarla, baciarla, accarezzarla, se si fosse davvero presentato il rischio concreto di perderla tutto ciò sarebbe andato in secondo piano per sfruttare il tempo disponibile nel tentativo di salvarla. Non mi sarei di certo dato per vinto di fronte alle diagnosi di un paio di mangia vocali svedesi.
    Sulla reale diagnosi attuale di Venus, però, sapevo non potessero essersi sbagliati. Era evidente per me, che non ero potuto entrare in sala operatoria con lei, cosa fosse accaduto, qualsiasi Guaritore seppur con un minimo di esperienza lo avrebbe capito effettuando una breve e neanche approfondita visita.
    < Un bambino? Con lui? Ma….sei serio? >
    Rialzai lo sguardo su di lei, osservandola. Da come mi stava guardando sembrava avessi detto una bestialità, eppure cosa ci sarebbe stato di tanto strano nel nutrire tale desiderio con un compagno con il quale conviveva oramai da ben cinque anni, dimostrazione chiara stessero bene insieme, no?
    Conoscevo il forte senso di maternità di Venus, la sua passione per i bambini, la gioia e l'emozione di sentirli crescere e scalciare nel proprio ventre.
    Una volta, poco prima di restare incinta di Alice, mi aveva confidato di essere certa di volerne altri due o tre. Lo aveva detto scherzando e ridendo di fronte alla mia faccia sconvolta, per non dire preoccupata, ma entrambi sapevamo dietro lo scherzo ci fosse stato un fondo di verità.
    Mi sentii quindi stranito quando aggiunse di non avere assolutamente la volontà di allargare la famiglia con lui. Sentire una decisione ferma a riguardo proprio da lei era stranissimo. Non avrei mai pensato le sarebbe stato possibile rispondere di no all'eventualità di dare un altro fratello o sorella ai nostri figli, a meno che… non fosse veramente felice con chi aveva a fianco. Quello avrebbe spiegato molto di più.
    Presi tempo ancora per intervenire. Prima di aprire un argomento tanto importante, dovevamo, anzi dovevo affrontare quello che avevo cercato di introdurre più o meno delicatamente e che Venus non sembrava aver afferrato a pieno.
    < E io che pensavo che quando mi hai chiesto se ne volevo avere altri ti stessi proponendo come candidato. >
    Sgranai gli occhi, cercando i suoi senza trovarli. Si era nascosta dietro il lenzuolo, il tono non sembrava del tutto serio, speravo non lo fosse.
    In una situazione del genere ci mancava soltanto le proponessi di infornare un altro pargolo. In che modo poi, se non avessi neanche potuto e dovuto farmi sfiorare dall'idea di toccarla? Idea che era andata a farsi benedire poc'anzi, certo, ma lo sapevo io, come doveva saperlo lei che usciti da quell'ospedale avremmo dovuto imporci di tornare quelli di prima. In apparenza distaccati, impegnati a tenerci a debita distanza.
    Presi tra le mie, la sua mano posata sulle cosce, la strinsi, la portai alle labbra e la baciai, abbassando ancora lo sguardo sul materasso, soppesando ogni termine, virgola e punto da usare per parlarle.
    Non aveva voluto quel bambino, ma c'era stato, sebbene per poco, questo non l'avrebbe lasciata indifferente. La conoscevo.

    "Non hai preso la pozione con costanza, vero?"

    Diverse volte era capitato, durante la nostra relazione, fossi io a ricordargliela a fine giornata. Spossata dai ragazzi, lavoro e preoccupazioni varie spesso se ne dimenticava, diminuendo le probabilità di una buona copertura.
    Presi fiato, le sue dita sempre accostate alle mie labbra, gli occhi ora puntati nei suoi.

    "Non ha funzionato…. Eri incinta, Venus. Di otto settimane, circa."

    Un minuscolo embrione era rimasto aggrappato dentro di lei per tutto quel tempo senza essere stato notato. Esattamente come era successo con Alice, era probabile sarebbe rimasto ben impiantato pur senza essere stato salvaguardato, curato ed alimentato a dovere, se il destino non avesse deciso diversamente…

    "È praticamente certo l'avvelenamento sia stato causa dell'aborto. Mi dispiace, davvero…"

    Sì, era stato un duro colpo metabolizzare che la madre dei miei figli, la donna che nonostante tutto non smetteva mai di farmi vibrare il cuore di emozione, fosse incinta di un altro uomo. Ma non lo era da meno metterla al corrente dello stato inconsapevole in cui era vissuta per otto settimane, quello che l'avrebbe portata ad essere madre di nuovo, che l'avrebbe fatta gioire in ogni caso, per dirle infine fosse tutto già finito, per un crudelissimo caso.
    Fissai il suo viso perdere il colore del quale si era imporporato sotto i miei baci, gli occhi sgranarsi. Mi guardava, ma non mi vedeva, i suoi pensieri era ben oltre e lo capivo.
    Le abbracciai l'ovale del volto con entrambe le mani, non avrei aggiunto altri dettagli sull'accaduto, non ce ne era bisogno, in quanto Guaritrice avrebbe immaginato benissimo, purtroppo, tutto.
    Baciandole piano una guancia, la premetti poi contro il mio petto, abbracciandola stretta.

    "Dimmi cosa posso fare per te…"

    Mormorai, le labbra solleticate dai suoi capelli, le braccia completamente avvolte attorno al suo corpo fragile ed allo stesso tempo tanto forte.
    Qualsiasi cosa mi avesse chiesto di fare, purché l'aiutasse a sentirsi meglio, anche se solo un minimo, l'avrei fatta senza ribattere né rimuginarci sopra. Volevo dimostrarle che non l'avrei lasciata sola, mai più.
     
    Top
    .
  14.  
    .
    Avatar

    Assicuratevi di avere le mani pulite, prima di toccare il cuore di una persona.

    Group
    Guaritore
    Posts
    479

    Status
    Anonymous

    Venus McDolan • 35 y. o. • Guaritore • PC
    <come potevi essere convinta ti avrei lasciata andare in questo modo?>
    Ero convita non ci fosse altro da fare che attendere la fine, insieme.
    Non c’era esitazione nella mia voce nell’affermarlo. Avevo vissuto quei momenti come ineluttabili, come stupendi attimi, come il suo ultimo dono.
    La mia espressione confermava ciò che io avevo vissuto come un dato di fatto non opinabile, privo di qualsiasi dubbio. Era stato talmente imprevisto e potente il mio sentire che lo avevo accettato e basta certa che Walter avesse fatto la stessa cosa preferendo trascorre e condividere gli ultimi momenti insieme piuttosto che lasciarmi da sola e affrontare una ricerca che avrebbe avuto una fine scontata.
    Abbassai il capo piegando il mento. La mia figura sotto le lenzuola ora mi pareva quasi evanescente, sospesa fra quella dell’idea che avevo dato per certa e la nuova consapevolezza di avere ancora la possibilità di riprendermi e poter continuare a vivere, a guardare avanti, a sperare.
    Erano sensazioni già vissute ma che in quel momento, dopo aver praticamente bussato alla porta dell’aldilà, avevano un sapore del tutto diverso. Seppure la realtà fosse stata diversa dal mio vissuto io mi sentivo miracolata, come se la vita avesse voluto mettermi alla prova per farmi dire ciò che non avrei osato dire in altra situazione e vivere ciò che mai più avevo sperato di poter vivere e provare.
    C’era da far girare la testa a chiunque in quel contesto surreale, erano talmente tante le sensazioni, le emozioni, le paure, le gioie provate in quei brevi momenti che ancora non mi capacitavo fossero toccati proprio a me. Avevo avuto modo di riscoprire quello che era stato il mio mondo, quello che era stato il mio compagno, l’uomo che, giusto o non giusto, era l’unico che sapeva portarmi in paradiso con un sguardo e farmi piombare all’inferno con un’occhiata.
    Solo con Walter avevo raggiunto picchi vertiginosi, sia in salita che in discesa. Non avevamo avuto un rapporto facile ma era troppo intenso ciò che avevamo vissuto insieme per essere dimenticato. Dovevo rassegnarmi, e lo avevo fatto, ad ammettere di non averlo mai dimenticato.
    Quando sentii la sua mano stringere la mia e portarsela alle labbra tirai un sospiro di sollievo. Aveva accettato le mie parole senza contestarle, mi aveva compresa, quel gesto avrebbe dovuto farmelo capire e mi chiedevo per quale motivo, a quel punto, invece di guardarmi osservava il letto fin troppo pensieroso per esternare serenamente il suo sentire.
    <non hai preso la pozione con costanza vero?>
    E questo cosa voleva dire. Che c’entrava la pozione. Pareva si fosse fissato con quell’argomento. Ci girava attorno da un po’.
    Certo che si, ti ho appena detto che non desidero avere altri figli.
    Ero certa di ciò che dicevo. Era Elsie a ricordarmela tutte le mattine, si sarebbe fustigata in caso non me l’avesse rammentata e, in ogni caso, me ne sarei accorta se una delle boccette giornaliere non fosse stata usata.
    <non ha funzionato…Eri incinta, Venus. Di otto settimane, circa>
    Ero distesa altrimenti sarei caduta a terra come un sacco vuoto.
    Lasciai la sua mano portandola al volto insieme all’altra e coprendolo interamente. Non riuscivo nemmeno ad articolare.
    Era quasi impossibile crederci. Come potevo non essermene accorta, non avere avuto il minimo dubbio. Ero una Guaritrice oltre che una madre, avevo affrontato più di una gravidanza.
    Walter continuò a parlare, lo ascoltavo ma le sue parole mi giungevano da lontano.
    <e’ praticamente certo l’avvelenamento sia stato causa dell’aborto. Mi dispiace, davvero…>
    Un... aborto…
    La sola parola mi mandava in confusione ed ero sconvolta nell’apprenderlo. Non era affatto insolito potesse succedere nel primo trimestre, ero una Guaritrice e lo sapevo bene ma il mio non era stato un aborto spontaneo, era stato causato dal ciò che avevo inalato e quindi ne ero responsabile.
    E’ colpa mia
    Non potevo capacitarmi di quel che stavo provando, Walter non poteva capire altrimenti invece di stringermi e baciarmi mi avrebbe respinta come si fa come una reietta. Non meritavo la sua vicinanza, non meritavo nulla, mi sentivo orribile dentro e fuori.
    <dimmi cosa posso fare per te…>
    Mi scostai da lui sciogliendomi bruscamente dal suo abbraccio e subito mi sentii gelare per la mancanza del suo calore.
    Scostai il lenzuolo strattonandolo con un gesto brusco, scesi dal letto incurante della testa che girava, delle gambe deboli, del caos che avevo dentro. Non riuscivo a connettere, non potevo concepire che fosse successo davvero.
    Andai ad accucciarmi in un angolo della stanza e mi presi la testa fra le mani. La fronte appoggiata sulle ginocchia e il viso basso, diretto al pavimento che non vedevo a causa dei occhi serrati.
    Mi sentivo profondamente e consapevolmente colpevole per non aver capito prima e non aver fatto nulla per evitare succedesse. Era uno shock apprenderlo e una botta fortissima doverlo incassare.
    Ero stravolta per la notizia, oppressa e disgustata dal mio non essermi resa conto ma c’era anche altro che mi lasciava interdetta ed forse ancora peggiore del senso di colpa.
    Non avvertivo il dolore che avrei dovuto sentire, non avvertivo il senso di perdita, non stavo vivendo il momento come sarebbe stato logico viverlo, come doveva essere, come, immaginandolo, avrei ipotizzato di viverlo.
    Seduta sul freddo pavimento della stanza, abbracciata a null'altro che alle mie ginocchia piegate avrei voluto urlare e invece stavo scoppiando dentro.
    Avevo perso qualcosa che non sapevo di avere, che non avevo cercato o voluto. Questo ne sminuiva l’importanza? Sicuramente no, anzi, mi faceva sentire ancora peggio perché che lo volessi ammettere o meno ero sollevata di non aver consapevolmente agito e contribuito all’evolversi dell’evento.
    Walter, ignaro della mia meschinità, si era offerto di poter fare qualcosa per me. L'unica cosa che poteva fare era proteggersi da me.
    Fai qualcosa per te. Stammi lontano, sono una persona orribile.
    Era esattamente così che mi sentivo. Non accettavo il fatto di sentire il dolore che era logico, che era giusto provare in quel contesto. Avrei affrontato il dolore come lo avevo affrontato altre volte come avrei affrontato il senso di colpa che avvertivo chiaramente ed era pesante da sopportare ma rientrava a pieno diritto nel contesto, era ovvio lo provassi.
    Ma non c’era altro. Non c’era il vuoto, non c’era senso di perdita, non c’era rammarico per quel che avrebbe potuto essere e non sarebbe stato.
    Non era ‘normale’. Non per me che consideravo i figli come doni del cielo, come regali preziosi da accettare, amare e proteggere.
    Non avevo saputo proteggere una creatura che non sapevo esistesse e di questo mi sentivo responsabile. Sapendolo le cose sarebbero state probabilmente diverse ma così …io…mi sentivo davvero orribile nel formulare quel pensiero ma ero grata al destino. Aveva scelto lui per me e nel contempo mi aveva fatto scoprire di essere indegna di comprensione. Nessuno avrebbe potuto capirmi senza giudicarmi.
    Pur non sapendo cosa stava facendo sentivo il suo sguardo su di me. I suoi occhi che mi penetravano.
    Non è come pensi, qualsiasi cosa tu stia pensando io provi non è così.
    Ero certa non sarebbe arrivato nemmeno ad immaginare fino a punto potevo essere arrivata. Avrei voluto solo tornare indietro. Non tanto. Alcuni minuti erano sufficienti. Avrei voluto tornare a quando mi abbracciava e morire. Avrei risparmiato ad entrambi il disgusto della scena che stavamo vivendo.
    Merlino traditore. Prima mi fai intravvedere il paradiso e poi mi fai piombare direttamente fra le fiamme dell’inferno.








    Parlato
     
    Top
    .
  15.  
    .
    Avatar

    Member

    Group
    Mago Adulto
    Posts
    219
    Location
    Londra

    Status
    Anonymous
    Avevo immaginato l'avrebbe presa male, non avevo però affatto calcolato sarebbe arrivata ad incolparsi per l'accaduto.
    < E’ colpa mia. >

    "No…"

    Sussurrai, colto completamente alla sprovvista nel sentirla parlare così. Pensavo sarebbe scoppiata in lacrime, si fosse meravigliata di aver trascorso ben due mesi senza captare alcun sintomo.
    Addirittura non l'avrei biasimata se se la fosse presa con me, se invece di andare a prenderle le fragole l'avessi portata di urgenza in ospedale, insospettito dalle fitte e dalla visita che qualcosa effettivamente aveva rivelato sebbene non avessi connesso il tutto subito.
    Se qualcuno doveva sentirsi in colpa lì, quello ero proprio io.
    Sentendola liberarsi dal mio abbraccio, era proprio quello che temetti, ma che avrei compreso benissimo. Pensai ce l'avesse con me. Non potevo difendermi dalle accuse e non l'avrei fatto.
    Le attesi a testa bassa, inutilmente.
    < Fai qualcosa per te. Stammi lontano, sono una persona orribile. >
    Alzai gli occhi, osservandola accucciata in un angolo della stanza, il volto coperto dalle propria ginocchia, le gambe avvolte dalle braccia esili.
    Faceva male vederla in quello stato, sentirla parlare in quel modo. Perché si sentiva così? Cosa la portava a convincersi di essere stata causa di un evento purtroppo inaspettato ed imprevedibile?
    Avrebbe dovuto agire in ben altro modo, sfogandosi, piangendo, urlando se questo fosse servito. Non prendendosela con se stessa. Non aveva senso.
    Decisi di lasciarle un po' di spazio. Aveva bisogno di metabolizzare, di capire davvero cosa fosse accaduto. Solo così, piano piano, avrebbe compreso di non aver fatto nulla di sbagliato contro quella piccola vita dentro di sé.
    Avrei voluto stringerla, cullarla, ripeterle non fosse colpa sua, baciarla ed accarezzarla tutta la notte. Mai come adesso mi era sembrata tanto piccola e fragile, bisognosa di protezione e consolazione.
    I riflessi dell'Aurora le danzavano intorno, continuando lo sfoggio dei propri colori, ignara delle emozioni forti e contrastanti che stavamo vivendo in quella stanza di ospedale.
    Immobile, la osservavo, tentando di respirare il più piano possibile per non disturbarla neanche con il rumore dell'aria che mi usciva dalle labbra leggermente aperte.
    < Non è come pensi, qualsiasi cosa tu stia pensando io provi non è così. >
    Scossi il capo, lo abbassai.

    "Hai ragione, non posso immaginare come ti senti, neanche sforzandomi. Però so una cosa, Venus. Non è colpa tua. Hai sempre preso il contraccettivo, non hai avuto sintomi che ti abbiano allarmato, non potevi sapere di essere incinta. Lo avresti scoperto prima o poi, se non lo hai fatto finora è perché non era una possibilità semplice e scontata da immaginare."

    Non avevo idea se facessi bene a parlarle o avesse preferito rimanessi zitto. Perlomeno speravo rimuginasse su quanto detto. Quella sera, forse, nemmeno mi avrebbe ascoltato. L'indomani mattina, alla luce di un nuovo giorno, magari, ci avrebbe ripensato e riflettuto sopra convenendo non avesse potuto fare niente per evitare l'inevitabile.

    "L'avvelenamento sarebbe potuto capitare a chiunque, neanche sono chiare le dinamiche con le quali sia avvenuto. Non è che ti sei divorata un Bulbo di tua iniziativa, fregandotene del tuo stato. Non lo sapevi. È successo. Basta. Non condannarti, non ha senso."

    Mi alzai, compiendo quei pochi bassi che mi separavano da lei e la guardai incerto sul da farsi.
    Non riuscivo a capire se avesse recepito il senso delle mie parole, se le interessasse ascoltarmi, se la stessi infastidendo in qualche modo. Non riuscivo a vederla, continuava a tenere il viso basso e nascosto.

    "Posso mettermi vicino a te?"

    Lo avrei fatto soltanto se ne avesse avuto voglia. Mi sarei seduto accanto a lei, sul pavimento, l'avrei avvolta con un braccio e se avesse accettato di appoggiarsi contro di me, sarei rimasto ad accarezzarla e baciarla in quella posizione anche per tutta la notte se questo le fosse stato di conforto.
    Non avrei aggiunto altro se non avesse avuto voglia di parlare, o le avrei parlato di qualsiasi cosa desiderasse se avesse voluto fare vagare la mente altrove o al contrario avessi dovuto esaurire fiato ed energie per convincerla non fosse una persona orribile, ma tutt'altro una madre che avrebbe fatto di tutto per proteggere anche quella creatura inattesa.
    Sarei rimasto, anche se non mi avesse voluto con sé, all'ombra, celato, ma pronto a captare ogni segnale che mi suggerisse di dover intervenire. Così, come avevo fatto negli ultimi cinque anni.
     
    Top
    .
41 replies since 12/7/2021, 21:20   321 views
  Share  
.
Top