Abisko

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    Assicuratevi di avere le mani pulite, prima di toccare il cuore di una persona.

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    Venus McDolan • 35 y. o. • Guaritore • PC
    Abisko. Lapponia Svedese. Luglio 2026

    Non avevo mai superato completamente la fobia del volo. Ogni volta che atterravo ringrazio tutti i santi babbani e tutti i più potenti Maghi e le più eccelse Streghe per avermi fatta arrivare tutta intera.
    Il San Mungo, per il quale lavoro, mi aveva dato l’incarico di recarmi ad Abisko, una piccolissima cittadina della Lapponia svedese che a malapena è segnata sulle mappe. Non ero in missione, si trattava di uno scambio di collaborazioni fra Guaritori per aggiornarsi sulle rispettive competenze e scambiarsi pareri ed informazioni utili al nostro lavoro. Per lo più convegni, incontri con specialisti dei vari rami delle Medimagia a cui partecipavo volentieri e di rado in quanto oltre al lavoro ho una famiglia e non mi piace assentarmi per periodi prolungati.
    Mia figlia, la maggiore, ha scelto di fare la mia stessa professione. Ne sono orgogliosa, fiera potrei dire. Claire è una ragazza in gamba, assennata anche se un po’ pazzerella. Da circa un’anno ha un ragazzo col quale pensa di andare a convivere e il solo pensiero mi fa soffrire della sindrome del nido vuoto. Non dovrei averne motivo, nel mio affollato nido rimane Jan, quasi diciasette anni, Alexander che ha iniziato il suo percorso scolastico ad Howgards dove veste la divisa Verdeargento; per lui il cappello ha scelto la stessa Casata che è stata di suo padre. Poi c’è Alice, quasi sette anni di argento vivo, di furbizia e di dolcezza. Credo che il vecchio copricapo avrà il suo bel daffare quando dovrà essere smistata. Ho un compagno che, in mia assenza, può occuparsi di loro ed è grazie a lui, a mio fratello e a mia sorella che ho potuto permettermi di partecipare a questo seminario.
    Sono arrivata tre giorni fa, ho partecipato a tre eventi il primo del quali ha condotto me e gli altri partecipanti provenienti da varie nazioni europee ed extra europee a visitare laboratori dove vengono distillate pozioni uniche al mondo. I migliori pozionisti lavorano nei laboratori sotterranei della Nixen, una piccola azienda di nicchia specializzata nella ricerca e nello studio di rimedi per malattie altamente contagiose e rare.
    Non essendo mai stata un genio in pozioni ho seguito con attenzione il procedimento tramite il quale da radici e muschi raccolti in loco si arriva ad ottenete in distillato che qui chiamano elisir dolceacqua. Viene usato per curare i bambini nati da madri affette da vaiolo di drago e da spruzzolosi.
    Gli addetti ai lavori ci hanno fatto assistere ai loro esperimenti illustrandoci i vari processi e mostrandoci i risultato ottenuti sulle cavie. Data la contagiosità del reparto eravamo provvisti di abbigliamento adeguato che ci proteggeva da eventuali contaminazioni.
    Il giorno dopo abbiamo assistito alla raccolta degli ingredienti. Botanici specializzati e manovalanza del posto ci hanno portato, facendoci passare per scenari meravigliosi, in un luogo senza nome, sulle rive del lago Tornestrask, indicandoci come riconoscere i licheni e i minerali usati come base per gli ingredienti della maggior parte delle pozioni prodotte dalla Nixen.
    E’ stato al ritorno dal viaggio che ho iniziato a non sentirmi bene. Nausea, vertigini e spossatezza mi hanno impedito di scendere in sala da pranzo per la cena. Ogni buon guaritore è il peggior medico di se stesso e ho pensato che il malessere fosse causa di stress aggiunto alla lontananza da casa, dal mio compagno e dai miei figli. Sono rimasta a letto con la quasi certezza che il mattino dopo sarei stata nuovamente in forma per riprendere il continuo delle esplorazioni. Durante la notte ho dormito pochissimo. Nel dormiveglia mi veniva da pensare al bilancio della mia vita.
    Ne ho passate tante e non tutte belle.

    Quarant’anni, vedova di un uomo meraviglioso col quale avevo avuto due figli, un rapporto durato anni con Walter, padre di Alexander ed Alice col quale ho, ora, un rapporto civile ma abbastanza freddo e distaccato a causa di una serie di cose che ancora non riesco a mandar giù e per una serie di cose che, a tutt’oggi, se ci penso, ancora non capisco appieno. Pur essendo molto simili sotto certi aspetti non siamo riusciti a trovare i giusti punti, i punti comuni, per far funzionare la nostra relazione per cui, non più disposta a scendere a compromessi, ho deciso non valesse più la pena di provarci. Da cinque anni a questa parte convivo con un uomo che mi ha dato stabilità e serenità. Vivo una vita tranquilla, da quarantenne appagata e penso di essere ancora abbastanza giovane, sia nell’aspetto che nel fisico, per poter sperare di avere ancora tanti anni davanti. Vorrei averli per i miei figli che hanno ancora bisogno di me.
    Durante la notte mi è salita la febbre, sono comparsi i brividi ed avevo prurito ovunque. Non stavo per niente bene, sudavo copiosamente e nel contempo avevo freddo. Verso l’alba mi sono decisa a chiamare un collega. Mi sono alzata e barcollando sono uscita dalla mia stanza andando a bussare alla porta di fronte. Mi ha aperto il dott. Caivan, specializzando in patologia. Il mio aspetto doveva essere davvero orrendo dalla faccia che ha fatto vendendomi, in vestaglia, madida di sudore e con la gola talmente gonfia da fare fatica a parlare. Il giovane medico si è attivato immediatamente per un consulto fra colleghi ma io non lo ricordo. Ho perso conoscenza. Ricordo solo le ultime parole che ho pronunciato prima di cadere a terra come un sacco vuoto mentre Caivan mi accompagnava in camera mia.
    Walter. Walter Brown
    Poi più niente fino ad oggi, quando, dopo non so quanto tempo, ho la sensazione, confusa, di essere sdraiata su un materasso, di respirare, di udire suoni di voci ovattate attorno a me.





    Parlato


    Edited by venus - 16/7/2021, 15:25
     
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    Non ricordavo da quando precisamente la mia vita fosse diventata piatta quanto la foglia di una Mandragora.
    Lavoravo, tornavo a casa, mangiavo, doccia ed a letto.
    Avevo un po' di vita in più nei giorni in cui tenevo i ragazzi, badavo a loro portandoli in giro o se il tempo era brutto, ci inventavamo ogni genere di gioco a casa.
    Per il resto… noia. Noia mortale.
    Ah sì, avevo anche una vita sentimentale piuttosto attiva, ma della quale, sotto sotto, capivo di accontentarmi e basta. Non ne traevo altro che piacere, era diventato un passatempo come un altro, però, perlomeno, da circa due anni avevo iniziato una relazione stabile con una Insegnante di Hogwarts.
    Era l'ideale per le mie esigenze. Durante l'anno scolastico ci vedevamo il giusto, l'estate la trascorrevamo insieme in quella che era alla fine una convivenza molto breve, di due o tre mesi al massimo.
    Il giorno in cui ricevetti la lettera era Luglio, quindi momenti in cui riuscivo a starmene per conto mio godendo di una solitudine mai disdegnata, erano rari.
    Ero appena rincasato da lavoro, stanco, svogliato, anche abbastanza innervosito. Non era facile avere a che fare con pazienti che facevamo l'opposto del necessario e, quando la loro salute guarda caso peggiorava invece di migliorare, tornavano pure a lamentarsene! Quella mattina me ne erano capitati ben due, tant'è avevo pure sbottato malamente non trattenendomi.
    Vino. Avevo bisogno di vino.
    Constatai con un certo sollievo di potermi godere la casa ancora vuota e silenziosa per speravo almeno un paio d'ore, afferrai distrattamente il mucchio di lettere accumulate nei due giorni precedenti e sfogliando annoiato le buste mi diressi in cucina per recuperare il mio calmante personale.
    Bollette, bollette, pubblicità, posta da Hogwarts, una lettera dalla Lapponia…. Un momento. Dalla Lapponia?
    Mi bloccai in mezzo al corridoio. Era indirizzata a me.
    Confuso ed incuriosito la scartai, spiegai il foglio ed iniziai a leggere.

    " Alla cortese attenzione del Dottor Walter Brown,
    Le mandiamo la qui presente per informarLa che la Dottoressa Venus McDolan si trova ricoverata nel ns reparto di Malattie Magiche, in condizioni stabili, a seguito di una contaminazione da minerali fini estratti da Bulbi Balzellanti.
    La preghiamo di raggiungerci appena possibile.
    A seguire le coordinate e l'indirizzo della ns posizione.

    Cordiali saluti,

    Reparto di Medicina Magica Nixen."


    Lessi tutto. Poi rilessi un'altra volta ed un'altra ancora.
    Che Merlino era successo? Non ci avevo capito nulla.
    Ok, sapevo che Venus sarebbe mancata qualche giorno per un convegno in Lapponia… Ma come aveva fatto a contaminarsi? E cosa diavolo erano quei minerali? E perché poi avevano scritto proprio a me? Il suo principe biondo perfetto non sapeva nulla?
    Guardai la data annessa in alto. Mi era stata spedita due giorni prima! Questo rispondeva all'ultima domanda: no, non ne sapeva niente altrimenti sarebbe corso da lei chiedendomi di tenere i ragazzi.
    Ok, non c'era tempo da perdere. Maledetta gamba zoppa che mi rallentava sempre! Feci appello alla borsa da viaggio, ai vestiti sperando ne capitasse qualcuno invernale considerata la destinazione, scrissi un biglietto di furia da lasciare sul tavolo per Sally: "Emergenza di lavoro, starò via qualche giorno. Ti scrivo più tardi.", e via mi fiondai in aeroporto.
    Ero fortunato, il primo volo sarebbe stato quella sera stessa, avrei dovuto aspettare solo un paio d'ore. Nota dolente? Il volo sarebbe durato ben 12 ore. Il pensiero non mi scoraggió, ero solo preoccupato per lo stato di Venus sebbene avessero scritto fosse in condizioni stabili.
    Ne avevo approfittato per mangiare e fare mente locale su cosa stessi appena facendo: stavo correndo in Lapponia, dalla mia ex, all'insaputa di tutti. Figli e compagna. E pure del suo compagno se proprio volevo includere anche lui alla lista degli inconsapevoli.
    Una pazzia forse, un gesto insensato… Ma non avrei potuto ignorare la faccenda ora che sapevo. Anzi, mi pentivo di aver rimandato il controllo della posta il giorno prima.
    Durante il volo ne approfittai per sonnecchiare il più possibile, nonostante la posizione scomodissima, un bambino strillante nella fila accanto ed il ronzio fastidioso del mezzo babbano.
    Quando arrivai ero tutto tranne che riposato, ma non me ne fregava nulla. Armi e bagagli, veicoli babbani e spostamenti magici riuscii a trovare quel dannato posto, in quella dannata cittadina, arrivai alla meta ben due ore e mezza dopo essere atterrato in Svezia.
    In un luogo ancora più sperduto non sarebbe potuta andare. Per fortuna, ero arrivato di mattina, se fosse stata notte probabilmente mi sarei trovato a dormire con le Alci.
    Nonostante non avessi pensato nemmeno a fermarmi per indossare vestiti più consoni alle temperature nordiche, sotto il mantello nero, sotto la leggera camicia azzurra ed i pantaloni di cotone, ero sudato fradicio quando arrivai all'accettazione del reparto di medicina di Nixen.
    Mi fecero attendere pochissimo, poi dei damerini biondi con gli occhi chiari mi pregarono di seguirli, in un accento talmente stretto che era quasi impossibile comprenderli anche se snocciolavano l'inglese abbastanza fluidamente.
    Durante il tragitto tra corridoi, porte basculanti, diversi piani di scale mi feci spiegare per filo e per segno cosa fosse successo.
    Venus era venuta in contatto durante un'escursione con una polvere fine di minerale di un ingrediente a loro necessario per gli esperimenti. Tale polvere era non solo velenosa se ingerita, ma rischiava di causare danni permanenti fisici se non curata per tempo.
    Si sperava non fosse il caso di Venus, però non sapendo quando, come e quanta ne avesse ingerita, era difficile dare una prognosi davvero precisa.
    Era grazia di Merlino se non usavo piú il bastone da tempo, perché sennò glielo avrei dato in testa. Condizione stabile, un corno! Nel peggiore dei casi avrebbe dovuto portare con sé delle conseguenze che non avrei nemmeno avuto il coraggio di ripeterle, una volta sveglia.
    Non mi riservai dall'esporre contrarietà anche a loro, questione che molto probabilmente ci avrebbe portato a discutere in modo concitato se, nel frattempo, non avessimo raggiunto la stanza di Venus.
    Senza attendere istruzioni mi avvicinai al letto, per guardarla. Era coperta fino alle spalle, pallidissima, le labbra secche e violacee, borse ed occhiaie che ero sicuro di non averle mai visto nemmeno nei suoi momenti peggiori.
    Dopo il primo impatto abbastanza traumatizzante, chiesi dei valori e parametri vitali e quanto tempo fosse in quello stato.
    Tutto stabile, risposero. Quasi tre giorni, risposero.
    Stabile un corno! Ripetei io.
    Ebbero anche il coraggio di riferirmi, come se mi stessero parlando di una banale influenza, avesse delle abrasioni sparse sul corpo come ulteriore effetto della contaminazione, su cui ogni tot ore spalmavano creme e versavano gocce di pozione contro il bruciore e per velocizzare la cicatrizione.
    Restai in quella stanza per tutto il giorno e per tutta la sera. Mi sedevo, mi alzavo, facevo avanti ed indietro, controllavo la monitorassero ed assistessero a dovere. Non mi fidavo di quelli. Ero sicuro non avessero la stessa affidabilità, capacità e precisione dei Guaritori del San Mungo.
    Mi ero concesso diversi caffè e qualcosina da sgranocchiare, infine, a notte inoltrata, il reparto illuminato dalle fioche luci del corridoio e della stanza, avevo sentito il freddo della stanchezza avvolgermi e costringermi a trovare pace sulla sedia di fianco al letto di Venus.
    Mi sedetti, incrociai le braccia al petto e, pian piano, abbassando le palpebre, mi arresi al sonno.

     
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    Erano suoni strani quelli che sentivo. Suoni non suoni. Parevano voci ma non capivo cosa stessero dicendo. Tredici consonanti e una vocale non poteva essere una parola di senso compiuto. O era una parola senza senso o era una maledizione che non conoscevo. Facile la seconda da come mi sentivo. Qualcuno doveva avermi buttato addosso un incantesimo senza che mi avvedessi.
    Stavo così da schifo che ci poteva stare. Non ricordavo di essere stata così male nemmeno durante i parti. In quelle occasioni il male era circoscritto e finalizzato. Ora era …dappertutto, non c’era un solo muscolo, nervo, osso o organo che non dolesse. E non c’era nemmeno un fine a quel che ne sapevo.
    Non c’era? Non riuscivo a ricordare. Non sapevo nemmeno dov’ero e perchè. L’istinto era quello di voler alzare il braccio per andare a posarlo sul ventre ma l’istinto non bastava. Il braccio rimaneva inerte sul materasso senza rispondere agli stimoli.
    Provai a parlare. Un acuto dolore alle labbra mi fece capire che erano secche, riarse. Probabile effetto di una febbre molto alta. Quello che sentivo passabilmente funzionante era l’olfatto, l’udito un po’ confuso, e la testa che, lentamente, riusciva a collegare qualche pensiero.
    Di aprire gli occhi non se ne parlava nemmeno. Non che non volessi, non si aprivano proprio. Parlare men che meno, pareva di avere una patata bollente in gola che non andava ne su e ne giù.
    Per come stavo sapevo che sarebbe arrivato il panico, lo sentivo arrivare. Era inevitabile. Mi sentivo prigioniera nel mio stesso corpo ed era una sensazione orribile ma ero ancora troppo intontita. Sentivo anche qualcosa nel braccio che pungeva, pizzicava come fosse veleno. L’unico posto in cui sentivo un po’ di fresco era la fronte, tutto il resto del corpo era caldo, bruciava.
    Decisi di arrendermi o, meglio, fui costretta ad arrendermi al sonno. Era più forte di me. Non riuscivo a star sveglia ma la bella sensazione di pace durò, a mio sentire, pochissimo e poi di nuovo male. Tanto male da farmi irrigidire. Troppo male per controllarmi. Spalancai gli occhi annaspando in cerca d’aria come chi non respira da dieci minuti. Forse tentai anche di sollevarmi ma senza la minima speranza di successo. Sollevare le palpebre di scatto sortì lo sgradevole effetto di farmi sentire gli occhi pieni di sabbia.
    Volevo chiamare aiuto volevo che qualcuno mi facesse dormire o che mi facesse morire. Qualsiasi cosa era meglio di quel tormento.
    Dalla mia bocca, per quanto impegno ci mettessi, non uscì una sola sillaba. Ed eccolo il panico. La paura di rimanere in quello stato per sempre era molto minore di quella di qualsiasi altra cosa.
    Sudavo per lo sforzo e nonostante tutto ci misi molto tempo prima di riuscire a focalizzare qualcosa. Attorno a me c’era buio, penombra. Non potevo girare la testa, il collo era rigido, sembrava di marmo, riuscivo a guardare solo avanti a me e non vedevo nulla che potesse farmi capire dove mi trovavo.
    Spossata dalla fatica rimasi ad annaspare aria e a guardare una parete che poteva essere bianca, grigia, verde. Non c’era abbastanza luce per coglierne appieno il colore e in compenso c’era nebbia. Non quella di Londra che bagnava le ciglia da settembre a marzo ma un nebbiolina opaca e secca che faceva bruciare gli occhi.
    In tutto quel caos l’unica cosa che percepivo chiaramente era un profumo. Unico, inconfondibile anche per la mia mente confusa.
    C’era qualcuno in quella che pareva una stanza ed era qualcuno che conoscevo bene. Era l’unico ad avere quell’odore, lo avrei riconosciuto fra milioni.
    Avrei voluto chiamarlo, urlare il suo nome. Chiedergli di farmi passare il dolore o di uccidermi. Lui poteva farlo, lui sapeva farlo, lui lo avrebbe fatto per me.
    Al profumo ben noto cominciarono ad aggiungersene altri. Disinfettante, medicinali, aria viziata; odori a me ben noti, tipicamente riconducibili a quelli di un presidio ospedaliero.
    Che ci facevo io in un ospedale senza camice e sdraiata piuttosto che in piedi e di corsa per occuparmi dei pazienti come ero solita fere? Cosa poteva essermi successo per essere passata da Guaritrice a malata e, soprattutto, cosa avevo esattamente, dove mi trovavo? Le luci soffuse dal colore giallognolo non erano quelle del San Mungo che tendevano all’azzurro.
    Mi sarebbe piaciuto pensare di star vivendo un incubo ma il dolore era troppo forte e reale per illudermi di potermi svegliare da un momento all’altro.

    Non riuscire a parlare era la cosa più frustrante, veniva subito dopo il dolore e il prurito che sentivo sulle braccia, sulle gambe, sulla schiena dolente ed indolenzita da una posizione mantenuta troppo a lungo.
    Mi veniva da chiedermi perché avvertivo così concretamente la presenza del mio ex compagno e non riuscivo a vederlo. Non mi spiegavo come mai fosse lì, in quel posto sconosciuto. Perché c’era lui e non Claire o il mio convivente. Dov’erano? Era successo qualcosa anche a loro? Un incidente, un agguato, un attentato. Domande che a stento riuscivo a formulare e alle quali nessuno rispondeva.
    Stare immobile non era un problema, stare calma si. Ci dovevo comunque provare, dovevo soprattutto cercare di rimanere lucida per cercare di razionalizzare quello strano contesto.
    Avevo il fondato sospetto che nelle mie vene stesse scorrendo qualcosa di molto forte che avrebbe dovuto calmare il dolore ma nel contempo mi annebbiava la mente.
    Provai a fare mente locale e riuscendo a focalizzare dapprima un aereo, poi un laboratorio enorme, tecnologicamente all’avanguardia. Un paesaggio insolito, persone che quando parlavano fra loro dicevano parole con tredici consonanti e una sola vocale.
    Non ero a Londra, ora ne ero certa e piano piano iniziai anche a capire dove potevo essere. Questo continuava a non spiegare il perché avvertivo la presenza di Walter, anzi, la spiegava ancor meno. Non avrebbe dovuto essere qui ma io lo sentivo, ero certa ci fosse come ero certa del dolore che sentivo.
    Provai a chiamarlo di nuovo, la voce non veniva e non vedevo nessuno. Panico. Panico di nuovo e con uno scatto dettato dal puro istinto di sopravvivenza mossi bruscamente il braccio che pungeva.
    Al gesto seguì un rumore assordante di vetri infranti e clangore di metallo. Se avessi potuto muovermi sarei trasalita ma niente, ero paralizzata in quel letto sconosciuto ma sapevo di non essere da sola.





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    Un rumore di vetri rotti, la voce indebolita di Venus che mi chiamava.
    Mi svegliai di botto, ignorando le fitte al collo ed alla schiena per la posizione scomoda assunta per non sapevo quanto tempo, mi misi in piedi facendo stridere la sedia sul pavimento.

    "Venus! Sì, sono qui… Sono io, Walter! Mi senti?"

    Piegato su di lei, non feci caso ai Medimaghi che, attratti dal fracasso della bottiglietta di flebo caduta a terra, si apprestavano a rinserire l'ago e disinfettare il piccolo taglio lì da dove se lo era sfilato con uno strattone.
    Venus, però non rispondeva. Teneva gli occhi chiusi, il volto veniva attraversato da smorfie di dolore, le labbra erano tremanti come se avesse freddo, i capelli appiccicati alla fronte sudata. Vi appoggiai una mano sopra. Bruciava.

    "Ha la febbre alta, datele qualcosa!"

    Feci appena in tempo a rivolgermi alle figure indefinite che avevo intorno. La donna, bianca come le lenzuola da cui era coperta, venne scossa da un tremito sempre più violento.
    Ero un Guaritore, avevo assistito a scene simili milioni di volte e milioni di volte avevo reagito pronto, freddo e distaccato per assicurare le migliori cure ai pazienti.
    Stavolta non riuscii proprio a restare distaccato. Era Venus quella, la madre dei miei figli. E non capivo cosa diavolo le stesse accadendo, perché invece di migliorare sembrava stesse peggiorando.

    "VENUS!"

    Mi fiondai di nuovo sul letto, non avevo idea di cosa avrei voluto fare, ma ciò che sentii fu una serie di mani e braccia trascinarmi via da lei, fin fuori dalla stanza.
    Invano cercai di divincolarmi, urlare mentre vedevo la sua figura venire coperta dalle schiene dei Guaritori radunati attorno a lei.

    "Dottor Brown! Dottor Brown, ascolti! Ci pensiamo noi, lei deve restare qui, ha capito? Lo faccia per lei, per la Dottoressa."

    Il Medimago Svedese che mi aveva illustrato la situazione accompagnandomi fin lì, mi aveva preso per le spalle bloccandomi contro il muro. Gli occhi fissi nei miei, la sua stretta era forte, sicura, il suo sguardo non era da meno.
    Affannato e sconvolto mi sforzai di fare un cenno di assenso. No, non ero convinto, ma fossi andato nel panico in quella stanza non sarei di certo stato d'aiuto.
    Attesi. Attesi lunghissimi minuti che mi parvero ore. Camminai avanti ed indietro, mi fermavo, poggiavo contro la parete e poi ripartivo senza sosta.
    Non sentivo stanchezza, né fame, né sete. Non avevo alcun pensiero se non per Venus. Avevo paura, una dannata paura di cosa mi avrebbero detto una volta usciti da quella stanza, perciò quando vidi il Medimago di prima fare capolino non trattenni un tremito.
    Esitò, sospirando. Non era un buon segno.

    "Ha avuto le convulsioni per la febbre troppo alta. Siamo riusciti ad abbassarla, adesso sta meglio. Però… non riusciamo a capire perché non risponda come dovrebbe alle cure. Sembra che il suo corpo le stia quasi combattendo, rifiutando. La terremo sotto stretto monitoraggio, Dottor Brown."

    Non avevo forza né lucidità per fare domande, volevo solo rivederla, non aggiunsi niente quindi. In silenzio, come un automa, rientrai nella stanza, tornando a fianco del letto della mia compagna.
    La guardai, l'accarezzai scostandole i capelli dal viso, la pelle era sempre calda ma meno bollente. Le bagnai le labbra, le ascoltai il battito del cuore attraverso le mie dita su trachea e polso. I battiti erano veloci, belli forti. Questo era un ottimo segno.
    Non conoscevo i minerali con cui era venuta a contatto, se non tramite libri e manuali di pozioni, non avevo mai avuto a che fare con quel tipo di avvelenamento. Non avevo idea su come poterla aiutare se non restando lì, vicino, facendole sentire che c'ero. Le presi una mano e la tenni stretta, per tutta la notte.
    Mi occupai di lei anche il giorno seguente e quello dopo ancora, non la lasciavo quasi mai se non per andare in bagno, darmi una sciacquata veloce o recuperare un panino e qualcosa da bere.
    Le idratavo le labbra secche, le mettevo panni freschi sulla fronte per tenerle bassa la temperatura corporea. Ogni tanto glielo passavo anche sul resto del corpo, rinfrescandola e ripulendola dal sudore.
    Le spalmavo la pomata sulle abrasioni più spesso di quanto facessero i colleghi svedesi. Non appena vedevo la pelle escoriata assorbire del tutto la medicina, la ricoprivo con un nuovo strato.
    Sotto il pigiama da ospedale, Venus era ovviamente stata lasciata nuda. Erano anni, circa sei o sette che io e lei non stavamo più insieme. In altre circostanze tutt'oggi mi bastava vederla con un vestito leggermente più corto o scollato per fare volare la fantasia, a distanza di tanto tempo, nonostante le vicissitudini, l'attrazione era rimasta la stessa dei tempi in cui ci eravamo conosciuti.
    Stavolta non provai altro che una gran pena per quel corpo martoriato e provato. La toccavo ed accarezzavo con l'unico fine di darle sollievo, di aiutarla a riprendersi.
    Non aveva più avuto ricadute, la situazione sembrava davvero stabile adesso. E ancora non mi ero deciso ad avvertire nessuno riguardo l'accaduto. A Sally avevo scritto un velocissimo messaggio in cui le riferivo di non avere ancora la data precisa del rientro, a lavoro avevo comunicato di aver avuto un'urgenza famigliare e al compagno di Venus… niente. Egoisticamente avevo deciso di non dirgli niente. Non avevo dubbi altrimenti che lo avrei visto fiondarsi lì per… cosa? Ne sapeva meno di me e conosceva Venus meno di me. Non avrebbe potuto aiutarla in nessun modo.
    Perlomeno si rendeva utile badando ai ragazzi ed, ignaro di tutto, se ne sarebbe stato tranquillo e buono senza procurarmi ulteriore ansia e nervosismo.
    La sera del terzo giorno dal mio arrivo, mentre, seduto sulla sedia di cui il mio didietro doveva aver preso ormai la forma, sfogliavo un manuale che mi ero fatto procurare alla ricerca di informazioni sui Bulbi Balzellanti, un movimento impercettibile delle dita della donna aveva attratto la mia attenzione costringendomi ad alzare il viso dal paragrafo che stavo studiando.
    Lì per lì pensai ad uno stimolo incosciente della mente. Stavo per tornare alla lettura quando la sentii sussurrare qualcosa di indefinito.
    Scattai in piedi, buttai il libro sulla sedia e mi piegai con le spalle su di lei.

    "Venus? Venus, sono Walter…"

    Le presi una mano tra le mie, era morbida, calda e meno pesante, meno abbandonata. La guardai girare la testa da una parte all'altra, cercare di sforzarsi ad aprire gli occhi.
    Era cosciente! Più o meno.
    Presi un fazzoletto pulito di tessuto, lo imbevvii di acqua fresca e glielo passai sulla bocca.

    "Stai tranquilla, sono qui. Starai meglio. Tieni è acqua, prova a bere un po'."

    Se avesse avuto forza di accogliere il fazzoletto tra le labbra e succhiare un po' di liquido sarebbe stato un ottimo segno e per lei un gran sollievo.
    Con una mano intanto le accarezzavo i capelli sperando di incontrare il mare dei suoi occhi.
    Merlino, fai che li apra.
     
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    Riemergere dal buio nel quale ero sprofondata fu strano, davvero strano. Per la stragrande maggioranza del tempo ero rimasta inerme, intontita da farmaci e pozioni che sedavano il mio volere e il pensiero. In qualche occasione avevo sentito, avvertito sulla pelle un piacevole senso di benessere che aveva dato sollievo al mio corpo dolorante che sentivo bruciare per la febbre. Era come una carezza, un fresco balsamo che dava sollievo al fuoco che pareva volesse bruciarmi. Sentivo una scia fresca, leggera, delicata sfiorarmi la pelle e in quei momenti, mentre il mio elettrocardiogramma fibrillava, mi sentivo talmente bene da trovare la forza per aggrapparmi a quelle sensazioni per non cedere alla tentazione del buio che mi chiamava.
    Quando, dopo un tempo indefinibile, cominciai a tornare in possesso di corpo e mente sentivo ancora dolori ma erano sopportabili. Avevo pensieri confusi ma riuscivo a pensare ed anche ad udire.
    Era la voce di Walter quella che pronunciava il mio nome, non avevo dubbi.
    Attesi prima di aprire gli occhi e rispondere. Non mi era ancora ben chiaro quanto tempo fosse passato da quando avevo compiuto quella semplice operazione ma ricordavo il dolore che avevo provato nel farlo.
    Provai a muovere le dita, rispondevano agli stimoli che inviavo loro. I polpastrelli saggiavano il cotone del lenzuolo sul quale stavo distesa. Chiusi anche i pugni sentendo che anche quel comando veniva recepito ed accolto. A quel punto girai il viso dalla parte dove proveniva la voce e sentii una mano stringere la mia. Non una mano qualsiasi, era proprio quella di Walter.
    Un piccolo ristoro venne dal fresco che sentivo sulle labbra, acqua. Mi resi conto di avere sete, tanta sete nel momento in cui sentii qualcosa di umido passarmi sulla bocca.
    Schiudendo le labbra ed accogliendo il fazzoletto bagnato fra esse le strinsi nel tentavo di far arrivare qualche goccia di liquido sulla lingua. Merlino come era buona, meglio del miele ma poca, troppo poca. Sollevando un braccio provai a premere sulle labbra nel tentativo di averne ancora e nel farlo entrai in contatto con la sua mano.
    In quell’istante i miei occhi si aprirono, per un momento vidi tutto scontornato ma dopo aver battuto le ciglia un paio di volte le immagini divennero più distinte fino ad inquadrare il viso del mio ex compagno.
    Walter…sei qui
    Riprendere possesso della voce mi fu di conforto. Potevo parlare, interagire e non ero più imprigionata nel mio stesso corpo senza poter comunicare.
    Un debole e stanco sorriso stirò le mie labbra, abbassai le ciglia assaporando la benefica sensazione della realtà. Non lo avevo sognato, era accanto a me.
    Il mio sguardo cominciò a vagare per la stanza, eravamo soli ma in lontananza potevo udire voci e suoni. I suoni mi erano noti, le voci no, mi giungevano indistinte e sconosciute.
    Rammentai dove mi trovavo e il motivo per cui non potevo capire il senso delle parole pronunciate da stranieri che non conoscevo.
    Portami via di qui. Subito.
    Non era certa che il tono somigliasse ad una richiesta, dava più l’impressione di essere un ordine.
    Non volevo più stare in quella stanza e mano a mano che tornavo presente a me stessa ne ero sempre più consapevole.
    Pur sentendomi meglio rispetto a qualche giorno prima non potevo certo dire di essere in forma e lo sguardo preoccupato di Walter me ne stava dando conferma.
    Aiutami ad alzarmi per favore, voglio fare una doccia.
    Mi sentivo appiccicata, sudata, avevo il bocca il sapore amaro dei medicamenti, i capelli appiccicati alla testa.
    Ripromisi a me stessa di non trattenere mai più un paziente in ospedale nemmeno mezz’ora più dello stretto necessario. Non sentirsi bene era brutto ma star male in ospedale era orribile.
    Mi rendevo conto di non poter tornare a casa mia, non subito. Avevo ben presente di essere molto lontana da Londra e non potevo certo ipotizzare di essere in grado di affrontare un viaggio di ore in quelle condizioni ma ero decisa ad andarmene da quel posto dove avevo patito le pene dell’inferno.
    Ero certa che Walter non avrebbe approvato la mia idea ma questo non fece cambiare la mia. Che fosse d’accordo o meno volevo andar via. Appoggiando il palmi delle mani sul materasso mi feci forza e sollevai il busto. Il lenzuolo che mi ricopriva mi scese in grembo mettendo allo scoperto l’anonimo camicione dato in dotazione ai pazienti negli ospedali. Conoscevo bene l’indumento, copriva totalmente la parte anteriore del corpo lasciando completamente esposta quella posteriore.
    Attingendo alle poche energie che sentivo di avere mi aggrappai alle braccia del Mago per mettermi seduta. Mi girava la testa dovetti attendere qualche minuto prima di provare a rimettermi in piedi.
    Rimasi con gambe ciondoloni giù dal letto fino a quando la stanza non smise di girare e poi appoggiai i piedi nudi sul pavimento sentendolo liscio e fresco.
    Insensibile alle proteste del mio ex compagno che, se ricordava anche solo un terzo della mia testardaggine avrebbe anche ricordato che era quasi impossibile farmi desistere da un proposito quando me lo ficcavo in testa, lo guardai quasi minacciosa.
    Mi aiuti o devo fare da sola?
    In qualche modo riuscii a raggiungere la porta del bagno dando le spalle a Walter. La scelta era fra sorreggermi e tener chiuso il dietro del camicione ma era una scelta per modo di dire in quanto senza sostegno non sarei arrivata alla doccia senza cadere.
    Chiusi la porta alle mie spalle e con qualche altro sforzo raggiusi la doccia. Aprii l’acqua e mi sedetti sul piatto di porcellana lasciando che il getto mi investisse. Era tiepida ma ne bevvi ugualmente diverse gocce traendone sollievo.
    Quando, dopo parecchio tempo a causa della mia lentezza e della difficoltà delle operazioni, tornai ad aprire la porta ero in accappatoio. Non sapevo se avevo vestiti con me e non mi importava. Sarei scappata dalla finestra nuda piuttosto che rimanere ancora in quella stanza.
    Cercai immediatamente lo sguardo di Walter. Avevo mille domande da fargli compresa quella tesa a conoscere il motivo per cui si trovava li ma c’era qualcosa di più urgente da dire che non poteva aspettare.
    Devo avvisare a casa che non tornerò prima di qualche giorno, non posso farmi vedere così dai ragazzi.
    Non sapevo dove trovare un telefono e il mio probabilmente era rimasto nella stanza n. 57 dell’hotel Abisko. Per fortuna con tutto quello che era successo la memoria non mi aveva abbandonata. Ogni minuto che passava mi sentivo più stanca ma anche più consapevole del mio stato e semmai ne avessi avuto il dubbio avevo capito che fare la paziente non faceva per me. Non volevo più essere sedata, non volevo rimanere intontita senza poter dire il mio parere ed esprimere la mia volontà circa le cure a cui sottopormi. Volevo rimanere lucida e partecipare attivamente alla convalescenza ma ero conscia di non poter fare tutto da sola. Avevo bisogno di Walter, era l’unico in grado di potersi occupare di me, l’unico del quale mi potevo fidare ma non ero affatto certa che il Mago potesse o volesse rimanere così lontano da casa per prendersi cura di una donna con la quale aveva un rapporto a dir poco conflittuale fatto di picchi, di alti e bassi che ci avevano portato a pensare di stare meglio lontani che vicini.
    Il problema era che non riuscivamo a stare ne lontani ne vicini. Il problema era ed era stato quello che, in un modo o nell'altro finivamo per cercarci e trovarci. Il fatto che fosse li forse qualcosa voleva dire. Forse si sentiva in debito di riconoscenza per averlo aiutato in alcuni momenti difficili. Non volevo far leva su questo ma non potevo nemmeno permettermi di fare la sostenuta per cui, addolcendo notevolmente il tono, abbassai le braccia lasciandole scivolare lungo i fianchi ricoperti dalla morbida spugna del bianco accappatoio che riportava, sul taschino, il logo dell’ospedale di Abisko.
    Vorrei chiederti se puoi stare con me un paio di giorni. Credo proprio di aver bisogno del tuo aiuto per rimettermi in sesto.
    Le mie labbra dicevano questo, il tono gli chiedeva molto più esplicitamente di rimanere. Non gli stavo proponendo una vacanza alla spa ma gli stavo chiedendo il suo supporto e il suo aiuto, l’unico che desideravo avere. Nel guardarlo, nell’osservare le sue mani che conoscevo così bene iniziai a capire chi mi aveva tramesso le sensazioni di benessere che avevo provato durante l’oblio.
    Il mio viso pallido ed emaciato probabilmente prese colore in quel momento e direttamente dal cuore, forse non solo da quello, arrivò un sussurro a fior di labbra mentre il mento e gli occhi si abbassavano.
    Grazie…
    Avere il padre dei miei figli accanto, la persona che mi conosceva meglio e meglio avrebbe saputo darmi ciò di cui avevo bisogno mi avrebbe aiutata a rimettermi in fretta per tornare dai miei ragazzi e dal mio compagno, a casa mia.
    Walter c’era stato nei momenti migliori e in quelli peggiori, aveva mantenuto la sua promessa. Non stavamo insieme da anni ormai, ci parlavamo lo stretto necessario, avevamo preso strade diverse ma il destino parva avesse deciso che dovessimo affrontare insieme anche questo momento.

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    Non avevo idea di cosa fosse fatta Venus, ma non era possibile fosse solo carne, sangue ed ossa.
    Non l'avevo presa sul serio quando aveva chiesto, anzi meglio dire ordinato, di tornare a casa. La maggior parte dei pazienti, più stavano male, più pretendevano di lasciare l'ospedale, salvo poi ricredersi subito non appena si rendevano conto di essere troppo deboli o doloranti.
    Ciò però, non sembrava valere per Venus.
    Mentre io sprecavo fiato ed energie per convincerla a rimettersi giù, a riposare, dicendole fosse stata molto male, lei con una forza da leonessa si era aggrappata a me, tirandosi su a sedere.

    "Venus, farai una doccia più tardi, adesso torn…"
    < Mi aiuti o devo fare da sola? >


    Niente da fare, peggio che parlare ad un sordo. Ma dove era il personale di quell'ospedale quando serviva? Avrei proposto di sedarla e metterla al tappeto di nuovo, almeno da farla stare ferma ancora un po'.
    Purtroppo ero solo, solo a fronteggiare una testona che non mi avrebbe ascoltato neppure se mi fossi messo a pregarla in ginocchio.
    Dandole tutto il sostegno possibile, un braccio a cingerle la vita, l'altro steso affinché ci si potesse poggiare l'accompagnai fino alla porta del bagno dove mi bloccai.
    Ok, e adesso?
    Abbassai lo sguardo ai suoi piedi per evitare di guardare la parte posteriore scoperta dal camicione aperto. Va bene che in quei giorni ed in passato l'avevo vista e rivista nuda da diverse angolazioni, ma non volevo approfittarne adesso, ecco.
    Aprii e chiusi la bocca più di una volta, cercando le parole giuste: "Vuoi una mano?" No, suonava malissimo. "Ti posso aiutare?" Non era tanto meglio. "Resto in bagno con te per sicurezza." Decisamente no.
    L'esitazione fu fatale, mi ritrovai la porta chiusa in faccia senza che riuscissi a dire "bah". Sospirai contro la porta ed appoggiato allo stipite decisi di aspettare lì, tendendo l'orecchio ad ogni minimo rumore. Se fosse caduta o si fosse sentita male l'avrei sentita.
    Per fortuna o per semplice grazia, Merlino questa ce la risparmiò.
    Uscendo dal bagno, Venus mi ritrovó esattamente doveva mi aveva lasciato, il volto teso e preoccupato. Lei al contrario sembrava già rigenerata. Certo, pur sempre provata e sfinita, ma perlomeno stava riprendendo colore e tono.
    < Devo avvisare a casa che non tornerò prima di qualche giorno, non posso farmi vedere così dai ragazzi. >

    "Lo faremo subito, non preoccuparti."

    Che il babbeo stesse morendo di ansia immaginando magari Venus tra le braccia di qualche bel svedese, non me ne fregava assolutamente nulla. Lui poteva restare nell'ignoto fino alla fine per me.
    I ragazzi però no, dovevano sapere la loro madre stesse bene. Ok, non sarebbe stata propriamente la verità, ma ora che ce l'avevo davanti così, tanto risoluta, non avevo dubbi si sarebbe ripresa presto.
    < Vorrei chiederti se puoi stare con me un paio di giorni. Credo proprio di aver bisogno del tuo aiuto per rimettermi in sesto. >
    La guardai, come se fosse impazzita. Da un lato perché poteva benissimo immaginare la risposta fosse scontata, dall'altro mi sorprendeva lo stesse chiedendo davvero a me. Aveva tante persone che la amavano, nelle diverse sfaccettature del termine, che non avrebbero esitato un solo istante a correre per raggiungerla ed aiutarla.
    Non mi capacitavo volesse proprio me, vicino, in questo momento di fragilità e necessità. Proprio io, l'ex compagno che l'aveva delusa a tal punto in passato da aver accantonato ogni possibilità di recuperare un futuro insieme.
    Aldilà dello stupore, ne ero, sotto sotto, in un angolino impossibile da scorgere dall'esterno, felice.

    "Certo, non devi nemmeno chiederlo."

    Avevo già deciso, per conto mio, mi volesse o meno, sarei rimasto lo stesso qualche giorno per assicurarmi le sue condizioni si fossero davvero stabilizzate e non rischiasse un altro peggioramento.
    Non avevo fretta di tornare a Londra, non sarei mai stato tranquillo ed in pace sapendola in pericolo o sofferente.
    < Grazie… >
    Non avevo idea a cosa si riferisse, se alla mia volontà di rimanere o al fatto fossi stato lì durante la sua incoscienza o ad entrambe. Non aveva importanza, per me era stato normalissimo, naturale e spontaneo agire in quel modo, nessuna forzatura nelle mie scelte. Ero felice di esserci e di esserci stato.
    Piegai un angolo delle labbra in un sorriso nello stesso istante in cui piombarono nella stanza i Medimaghi di turno. La mascella per poco non toccò loro il pavimento vedendo la paziente fino a quella mattina mezza moribonda, in piedi, in accappatoio fresca di doccia.
    Poverini, provarono anche loro a convincerla a tornarsene a letto, stare a riposo e riguardata. Io rimasi in disparte ad assistere alla scena e compatirli. Tutto fiato sprecato.
    La discussione avrebbe assunto toni accesi, se alla fine, in un barlume di consapevolezza, zitto zitto, non mi fossi avvicinato alla finestra, avessi tirato la cordicella della tapparella, mostrando il cielo scuro della notte, tempestato di stelle, aldilà dei vetri.

    "È notte ormai, avremmo non poche difficoltà a spostarci. Possiamo aspettare domattina, sempre che ci assicuriate di poter lasciare l'ospedale alle prime ore di luce e ci procuriate una passaporta."

    Non era saggio per Venus usare la smaterializzazione, era troppo debole ed avrebbe rischiato di spaccarsi. I mezzi babbani erano scomodi per chi aveva appena passato una convalescenza tanto dura. Andare a piedi neanche a parlarne.
    La mia proposta venne seguita da un lungo silenzio, poi da un nuovo acceso scambio di opinioni rotanti intorno ad una paziente ben poco convinta e felice della prospettiva di restare. Alla fine, però, aveva per forza convenuto non ci fossero grandi alternative. Sarebbe stato troppo tardi anche per trovare mezzi babbani, se proprio avesse voluto filarsela lo stesso.
    L'avevo vista abbassare le spalle, svuotare i polmoni d'aria e tornare mesta a sedersi sul ciglio del letto.
    Per rinfrancarla un minimo, decisi di andarle a recuperare telefono ed effetti personali all'hotel, di modo potesse comunicare con i nostri ragazzi ed indossare i propri abiti che l'avrebbero fatta sentire più comoda ed a suo agio.
    Non fu semplice. Non conoscevo affatto il luogo essendo stato fisso in ospedale ed i mezzi, appunto, a quell'ora scarseggiavano.
    Ci misi un bel po', la gamba zoppicante non aveva aiutato. Un paio d'ore, forse più, però almeno tornai da Venus con il bottino tra le mani scaldato da del cibo tipico svedese, sia dolce, sia salato, recuperato in una tavola calda notturna incrociata per caso.
    La trovai sveglia e scontenta sul letto. Le misi accanto il sacchetto di pietanze ed il telefono.

    "Mangia e poi avverti la tua dolce metà."

    Mi abbandonai stanco sulla sedia, senza neppure preoccuparmi di sfilarmi il mantello. Ero sfinito, ma anche bravo a nasconderlo. La preoccupazione sullo stato di salute della mia ex compagna era la maggiore delle priorità adesso.

    "Magari evita di informarlo sulla mia presenza, se non vuoi ritrovartelo qui domattina stessa. Non abbiamo bisogno di un geloso patologico tra i piedi a complicare la situazione."

    Di cosa avesse da essere geloso, poi non lo avrei mai capito.
    Era stata Venus stessa a non voler provare a ricostruire un rapporto, era stata talmente chiara dei propri sentimenti che non era passato molto tempo prima di ricevere la notizia della loro convivenza. Se avesse avuto dubbi di certo non avrebbe accettato un altro uomo nella propria vita, eppure quell'idiota continuava a puntarmi ogni volta che mi aveva intorno, come a dire "Ti tengo gli occhi addosso."
    Uno dei tanti motivi per cui preferivo evitare di entrare in quella casa.
    Sbuffai, non riuscivo a nascondere l'antipatia condivisa, Venus oramai la conosceva bene e lo sapeva.
    Aprii uno dei contenitori in alluminio, sprigionandone il calore fumante dall'interno. Con la forchettina in plastica in mano guardai quegli occhi contrariati, ma maledettamente belli, gli stessi di Claire ed Alice, quelli con cui sapevano di potermi chiedere qualsiasi cosa senza che io riuscissi a dire di no.

    "Beh allora? Ti devo imboccare?"
     
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    Assicuratevi di avere le mani pulite, prima di toccare il cuore di una persona.

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    Vedermela con Walter che mi conosceva era una cosa. Avere a che fare con il personale dell’ospedale era un’altra questione. Pareva una congiura. Perché nessuno capiva che non volevo stare in quel posto? Eppure il mio inglese, dopo anni di pratica era più che soddisfacente. Avevo provato a dirlo anche in francese che volevo andarmene usando gallici epiteti poco carini. Lo avevo fatto anche a gesti, un linguaggio universale che era impossibile non comprendere ma niente da fare.
    Rassegnata ma non arresa diedi bado a Walter che trovò nuovi pretesti per indurmi a prendere in considerazione l’idea di dover passare un’altra notte in quel posto. Pretese l’assicurazione, da parte dei Medimaghi di turno, di avere il via libera il mattino successivo e una passaporta per l’hotel.
    Rivolgendomi direttamente a quello si dava arie da supervisore gli puntai l’indice contro. Ero stanca, affaticata ma non avevo perso lo spirito.
    Voi siete…fuori di testa. Tu es fou. Non potete trattenermi contro la mia volontà. In Inghilterra si chiama rapimento!
    Girando le spalle ai vatussi pallidi rivolsi lo stesso indice, ancora sollevato e ben teso, verso Walter.
    Non c’era bisogno né di francese e nemmeno di inglese per mostrargli il mio disappunto.
    Tu sei loro complice.
    Il questa me la paghi rimase inespresso ma ugualmente ben specificato dal mio sguardo.
    Capivo, capivo tutto e tutti. Era per il mio bene e bla bla bla ma per Morgana arrapata perché nessuno capiva me? Eppure era semplice. Volevo uscire di li. Punto. Non era difficile.
    Tornai a sedermi sul letto. Affrontarli tutti insieme era troppa roba anche per una Strega in perfetta forma quale io non ero. Walter si offrì di andare in albergo a recuperare un po’ delle mie cose compreso il telefono e mi rassegnai ad attenderlo. Era necessario far sapere ai miei figli del posticipo del ritorno come era necessario che a casa sapessero come organizzarsi per i giorni a venire.
    Mi sdraiai sul letto girando le spalle a tutti, ero contrariata per quella detenzione impropria e volevo lo sapessero.
    Durante l’assenza di Walter cominciai a sentirmi un’ingrata nei suoi confronti.
    Si era preso cura di me quando non ero stata in grado di farlo, aveva fatto ore di viaggio trascurando il suo lavoro e suoi impegni personali. Lo aveva fatto per me. Non per i ragazzi ma per me. Non meritava la mia irritazione ma la mia riconoscenza. Questo non toglieva che stare in quel posto, ora che ero vigile e che il dolore era sopportabile, mi pesava moltissimo.
    Alzandomi mi accorsi di essere più stabile, non avevo vertigini anche se avevo bisogno di aggrapparmi a qualcosa per sentirmi sicura. Per far passare il tempo andai alla finestra. Era buio si ma un buio strano. Meno buio di quello di Londra. In lontananza il cielo appariva velato, in grigio sfocato che tendeva all’azzurro.
    Prima di partire mi ero documentata. Il fenomeno dell’aurora boreale era ciclico sia per frequenza che per intensità. A partire dallo scorso anno gli episodi erano ripresi dopo ben undici anni di scarsa attività.
    Solo una volta nella vita avevo assistito allo spettacolo e ne ero rimasta folgorata dalla bellezza. Purtroppo l’occasione e il periodo non erano stati i migliori ma ricordavo perfettamente l’intensità dell’emozione che avevo provato nell’assistere a quell'evento.
    Giusto per non smentire il titolo di peggior paziente del decennio che mi ero guadagnata tornai al letto e presi a premere il pulsante per chiamare il personale.
    Ben lungi da presentarsi nuovamente di persona i Medimaghi inviarono una infermiera che accolsi con un sorriso. La rassicurai subito di non aver bisogno della sua figura professionale ma di informazioni. Le chiesi se era del posto e dopo averne avuto conferma chiesi chiarimenti e delucidazioni in proposito a ciò che mi premeva sapere. Dopo aver avuto soddisfazione la donna mi lasciò sola.
    Dopo pochi minuti vidi Walter entrare dalla porta con le mie cose, il telefono e del cibo.
    <mangia e poi avverti la tua dolce metà>
    Non era insolito che, parlando del mio compagno, il tono del Mago tendesse al sarcastico. Non era un segreto per nessuno che i due non si piacessero. Claire lo trovava divertente, io un po’ meno.
    Memore del fatto che lo avevo trattato da ingrata non risposi. Prendendo in mano l’apparecchio composi il numero e fu Elsie a rispondere dicendomi che ragazzi erano a pranzo a casa di Seth e Susan e che avrebbe riferito il messaggio al loro ritorno. Mi raccomandai di rassicurare tutti quanti che stavo bene, che li pensavo e che sarei tornata non appena avessi svolto quello che era il mio lavoro.
    Riappoggiando il telefono sul letto vidi Walter sedersi sulla sedia che continuava a parlare. Appoggiai la schiena alla spalliera del letto incrociando le braccia.
    Cos’è che ti disturba tanto in lui da non poterlo sopportare? Se non ti conoscessi penserei che sei tu il geloso.
    Un tempo lo era stato, lo era di indole. Quando teneva a qualcuno mostrava il suo interesse anche il quel modo e non erano stati pochi gli episodi in cui lo aveva non solo dato a vedere ma si era anche fatto sentire a quel proposito. Non potevo essere sicuramente io a non comprendere quel sentimento, ne ero stata affetta tanto quanto lui se non di più.
    Tu hai avvisato la tua Sally che sei qui con me? E’ abbastanza aperte di vedute da averti dato il permesso?
    Quando era successo a me di dover accettare che Walter partisse per correre in soccorso di un’altra donna non lo avevo sicuramente fatto per apertura di vedute. Ero e sono piuttosto chiusa verso questo tipo di ‘vedute’. Non avevo potuto fare diversamente o, meglio, al momento avevo pesato fosse giusto agire in quel modo e avevo fatto probabilmente uno degli errori più grossi della mia vita. Col senno del poi avrei fatto meglio a pietrificarlo per impedire si compisse il disastro che ne era seguito.
    Conoscevo a malapena Sally. Non ero tipo da uscite di coppia con gli ex e sicuramente Walter lo era meno di me ma sicuramente il Mago aveva migliorato in quanto a frequentazioni anche perché, trovar di peggio di quella che aveva avuto, era non solo improbabile ma proprio impossibile a mio avviso.
    Non mi ero mai permessa di dire nulla sul conto dell’attuale compagna di Walter, non ne avevo diritto e neppure motivo visto che non c’erano rapporti fra noi. Per chi soffre di gelosia è comunque difficile riuscire a pensare a certi particolari senza sentirne i morsi.
    Mi avvolsi stretta nell’accappatoio evitando di focalizzarmi sulla questione e prima che Walter rendesse reale la minaccia di imboccarmi, sbuffando, presi la forchetta affondandola in quello che aveva l’aspetto di essere salmone. Doveva aver girato non so quanto per riuscire a trovare del cibo caldo a quell’ora di notte. Avevo bisogno di nutrirmi per riprendere in fretta le forze.
    Mi fai compagnia? Ce n’è per tutti e due.
    Non ce l’avrei fatta a mangiare tutto da sola, il mio stomaco doveva abituarsi per gradi ad ingerire cibo solido e non avevo una gran fame.
    Diverse volte avevo pensato che avrebbe potuto succedere che ci fossimo trovati di nuovo soli. Mai avrei immaginato che fosse successo in una camera di ospedale lontani miglia da casa e men che meno avrei potuto immaginare di cenare con lui in accappatoio.
    Mi coprii istintivamente le gambe e dopo aver ingerito un paio di bocconi compresi che non potevo aspettare di finire il piatto per poter riprendere la parola. Mi sentivo molto Alice in quel momento, e anche un po’ Alexander. In fondo lo ero e non mi dispiaceva aver perso del tutto la spontaneità dei bambini, non mi spiaceva nemmeno mostrarla, non a Walter che conosceva questo mio aspetto.
    Avrei una proposta da farti. Sei stato...sei …insomma non voglio che torni a casa con solo brutti ricordi.
    Di quelli ne avevamo a sufficienza e ancora mi ostinavo a non capire perché non avevamo mai trovato la giusta dimensione per riuscire far funzionare le cose fra noi. In fondo lo sapevo benissimo il perché; accettare di non essere amati è dura anche per i testardi come me. Non potevamo essere amici, non lo eravamo mai stati, non avevo mai voluto la sua amicizia, non mi bastava ed era quello il motivo per cui avevo scelto di seguire altre strade, per lasciarlo libero di poter cercare quello a cui aveva diritto. Era una cosa, giusta o sbagliata che fosse, che avevo sempre fatto con Walter. Fondamentalmente egoista pensavo fosse meglio sia per me che per lui cercare di farci ognuno la propria vita salvo poi, quando ci ritrovavamo da soli, non poter fare a meno di provare quello che non avrei dovuto sentire.
    Ci sarà l’aurora boreale domani notte. Vorrei che tu potessi godere dello spettacolo. Se non me lo prometti non mangio e scappo questa notte stessa.
    Non era una minaccia, era una promessa e il mio sguardo non ammetteva repliche.
    Mi sarei accontentata di vederla dalla finestra, mi bastava sapere che almeno lui poteva godere di quello spettacolo sublime all’aria aperta, immergendosi in quella che sapevo essere un’atmosfera surreale. C'era stato un tempo che avevo sognato di poterla vedere insieme a lui e il destino pareva essersi preso gioco di me accontentandomi. Quella situazione mi avrebbe permesso di sapere che stavamo guardando la stessa, bellissima cosa, da due punti di vista fisicamente diversi; io dal letto dell'hotel e lui dalla terrazza o dal giardino dell'albergo.
    Addolcita dalla sua presenza e grata per tutto ciò che stava facendo per me scesi dal letto, mi avvicinai ancora un po’ barcollante alla sua sedia e mi inginocchiai davanti a lui prendendo le sue mani con le mie.
    Grazie ancora. Non sai quanto bene e quanto piacere mi faccia averti qui.
    Sapevo di essere poco credibile in quella mise e in quel posto ad affermare il mio sentire dopo averlo messo in difficoltà con lo staff medico ma Walter era l’unico in grado sapermi prendere dal verso giusto cercando di domare il mio carattere poco accondiscendente. Con lui sentivo di poter respirare a pieni polmoni anche se ero acciaccata e ancora dolorante.











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    Venus sembrava essersi addolcita un po' da quando l'avevo lasciata per recuperare la sua roba, doveva aver compreso avessi preso la decisione di fare passare la notte per il suo bene e non certo per dispetto.
    Ok che i rapporti tra noi non erano più idilliaci, di solito cercavamo di non interagire troppo quando le circostanze richiedevano un nostro incontro per parlare dei bambini o partecipare ad eventi particolari che li riguardavano.
    Ci salutavamo, nemmeno stavamo a scambiarci frasi di circostanza, se c'era qualcosa di importante da comunicare bene, altrimenti finiva lì e ci impegnavamo a concentrarci su altro.
    Non perché non ci fosse interesse. Almeno da parte mia c'era eccome. Mi informavo riguardo il suo stato attraverso i ragazzi. Chiedevo a loro se fosse tutto ok a casa, ponevo domande all'apparenza disinteressate per capire se avessi dovuto mettermi in guardia per qualcosa. Ma, alla fine, non c'era mai stato motivo per allarmarsi. Venus sembrava davvero aver trovato la sua meritata serenità, finalmente. Più le stavo distante, più era questo che mi veniva dimostrato.
    < Cos’è che ti disturba tanto in lui da non poterlo sopportare? Se non ti conoscessi penserei che sei tu il geloso. >
    Alzai gli occhi al soffitto, ecco, quello era un argomento fin troppo pericoloso. Rischiava di farci discutere, non era il caso di affrontarlo.

    "Non farmi fare la lista dei motivi, andrei avanti fino all'alba e non ho proprio voglia di sprecare fiato per lui."

    Niente, non ce la facevo. Diventavo seccato e nervoso quando veniva tirato in ballo nei discorsi. Avevamo la grazia di averlo lontano miglia e miglia da noi, che restasse lì, almeno fisicamente, perché la sua presenza irritante la sentivo aleggiare sempre e comunque fra noi anche quando non c'era.
    In realtà non amavo scambiare chiacchiere sui nostri compagni, in generale. A distanza di anni, mi faceva ancora un certo effetto sapere frequentassimo altre persone ed aver accantonato definitivamente la nostra relazione.
    Perciò, quando mi chiese di Sally, tagliai corto, anche lì.

    "Emergenza di lavoro."

    Spiegai in due parole. Non le avrei mai detto dove mi trovassi davvero e con chi. Ovvio Sally non l'avrebbe accettato. C'era l'alto rischio di trovarci pure lei lì in Lapponia a chiedere spiegazioni.
    Una menzogna bella e buona, certo, ma a fin di bene e senza avere scopi malsani. La mia compagna non sapeva e sarebbe rimasta tranquilla.
    L'unico timore che avevo era magari incrociasse per pura sfiga quel lingua lunga del partner di Venus e scoprisse pure lei fosse stata trattenuta fuori dall'Inghilterra per lavoro.
    Non ci avrebbe messo molto a farsi venire dubbi ed assillarmi di domande.
    Non ci restava altro che affidarci a Merlino, Morgana e tutti i Maghi, un pensiero non rassicurante dato fosse palese non mi avessero in simpatia.
    Decisi di non condividere tale riflessione con Venus. Volevo se ne stesse tranquilla e mangiasse, quindi in silenzio mi unii al pasto. In quei giorni mi ero accontentato di roba fredda ingurgitata al volo per non lasciarla troppo tempo da sola, ora avevo tempo di assaporare il cibo, ma non così tanto appetito. Forse perché ero stanco o forse perché mi faceva strano condividerlo con Venus, da soli, senza i nostri figli intorno a far chiasso e rendere l'atmosfera non imbarazzante.
    < Avrei una proposta da farti. Sei stato...sei …insomma non voglio che torni a casa con solo brutti ricordi. >
    Alzai un sopracciglio, osservandola. Non capivo cosa intendesse.
    Solo brutti ricordi? Già essere insieme a lei ad assaggiare pietanze di un nuovo paese non sarebbe stato un brutto ricordo. Già conversare tranquillamente, scambiandoci qualche sorriso, era sufficiente per non farmi pentire di essere accorso subito senza dar adito a niente e nessuno.
    < Ci sarà l’aurora boreale domani notte. Vorrei che tu potessi godere dello spettacolo. Se non me lo prometti non mangio e scappo questa notte stessa. >
    Dapprima rimasi senza parole.
    L'aurora boreale. Come non poter pensare all'occasione in cui l'avevo vista e soprattutto con chi. Non avevo dubbi il pensiero avesse sfiorato la sua mente.
    Avere modo di poter assistere di nuovo a quello spettacolo, era un colpo di fortuna che avrei sfruttato molto volentieri, specialmente insieme alla madre dei miei figli. Avrei dato vita ad un nuovo ricordo legato ad essa, molto più felice, molto più bello. Molto più sensato.
    Sbuffai divertito pensando alla sua minaccia. Mi sembrava di sentir parlare Alice. "Papà, se non mi porti al parco, io non ti parlo mai più." Braccia al petto e broncio minaccioso.
    Lo sguardo poi era identico.
    Pensai fosse il momento di informarla anche su un ulteriore cambiamento di cui ero stato appena messo al corrente prima di raggiungerla.

    "Va bene, se ti fa piacere la vedremo insieme. Domani sera tra l'altro non saremo in hotel. Quelli della Nixen ci mettono a disposizione un nuovo alloggio, una specie di bilocale mi hanno detto. Così se avrai bisogno di ulteriori visite o ricevere cure particolari non dovremo preoccuparci di dare spiegazioni ai babbani del Hotel. Mi son preso la libertà di accettare."

    Ero abbastanza sicuro Venus avrebbe concordato con me. Avremmo avuto più spazio e meno rotture. Da quello che mi avevano fatto intuire ci sarebbe stato un via vai di Guaritori per almeno i primi giorni. Volevano assicurarsi fosse davvero stabile e non rischiasse una ricaduta. Questo, avrei aspettato a dirglielo.

    "Che fai?"

    Alzai la schiena guardandola mettersi in piedi, solo una volta inginocchiata vicino a me, compresi le sue intenzioni.
    Abbandonai le mani tra le sue, stupito. Da quanto non avevamo atteggiamenti così "intimi" tra noi? Mi faceva strano averla tanto vicina, sentire la sua pelle a contatto con la mia, recepire e metabolizzare il significato delle sue parole. Eppure sembrava davvero sincera, non era una forzatura la sua.
    Irrigidito scossi la testa.

    "Sì… Figurati… ora però torna a letto, sei stata molto male Venus, non devi fare sforzi."

    Alzandomi, tenendole sempre le mani, l'aiutai a rimettersi in piedi.
    Il movimento però fu forse troppo per le sue gambe ancora deboli. Perse l'equilibrio, cadendo all'indietro sul materasso. Per evitare si facesse male, le portai un braccio dietro la schiena e restai piegato su di lei. La cintura dell'accappatoio si era allentata, sentivo il calore della pelle scoperta e calda a contatto con il tessuto fresco della maglietta. Non osai abbassare lo sguardo. Gli occhi restarono fissi nei suoi, tanto vicini.
    Troppo vicini. Non ricordavo nemmeno quando fosse stata l'ultima volta che ci eravamo toccati ed osservati a breve distanza.
    Il tempo di connettere il cervello e realizzare, mi staccai subito.
    Feci un passo indietro, schiarii la voce. Non mi era sfuggita la smorfia di dolore nel momento in cui la schiena si era riappoggiata al letto.

    "Ehm, le… le abrasioni… Ti bruciano? Penso tu abbia bisogno della pomata."

    Con gesti meccanici e la mente confusa, presi il barattolino lasciato sul comodino e glielo porsi.
    Sentii le orecchie diventare bollenti, realizzando fino ad allora avessi svolto io quel compito. Speravo non lo capisse mai, sarebbe stato imbarazzante e chissà cosa avrebbe pensato.
    Andai verso la finestra dandole le spalle, per lasciarle privacy sufficiente a svolgere l'operazione. Se avesse avuto bisogno ero lì, ma… speravo di no. Forse.
     
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    Venus McDolan • 35 y. o. • Guaritore • PC
    Ero andata a toccare uno dei tasti dolenti che c’erano fra noi. Uno dei motivi per cui ci parlavamo il minimo indispensabile e che cercavamo di evitare il più possibile
    Nonostante non stessimo insieme da anni oramai il discorso rispettivi nuovi compagni era antipatico da affrontare. Non pensavo Walter ce l’avesse col mio convivente un particolare, non più di quanto a me disturbasse Sally come persona.
    Era questione di pelle.
    Loro od altri sarebbe stato uguale. Per quel che mi riguardava ne ero convinta.
    Era un altro dei motivi per cui non potevamo essere amici. Non sarei mai riuscita ad accettare in pieno che
    ci fosse qualcun’altra accanto a lui. Me la facevo andare bene per forza perché era andata così, perché eravamo incapaci di stare insieme ma non potevo fare finta di nulla. Mi sentivo un’egoista e una perfetta idiota. Non volevo sicuramente passasse tutta la sua vita da solo, non era giusto e Walter non era il tipo ma …c’era sempre un ma che impediva di gioire appieno della situazione.
    Sentii il mio viso distorcersi in una smorfia. A che serviva fingere quando nemmeno Walter si impegnava a farlo.
    Eravamo soli. Non c’erano i ragazzi di mezzo pronti a dire la loro e fare battute sagaci sul nostro non rapporto.
    Invidiavo chi riusciva a mantenere non solo una partenza ma una vera e sincera non conflittualità con i propri ex. Noi, io, non ci riuscivo.
    Se non lo vedevo, se stavamo lontani era più facile non pensaci, era più facile anche fingermi indifferente, credere e far credere andasse tutto bene.
    La sua vicinanza metteva tutto in discussione. Faceva riemergere sensazioni mai dimenticate e mai
    del tutto sopite.
    Walter non era perfetto ma non era nemmeno un bugiardo. Non del tipo seriale almeno.
    Se mentiva lo faceva per una ragione che riteneva valida e mi faceva strano che in quella
    occasione la ragione fossi proprio io .
    Non volevo addentrarmi nel ginepraio in cui mi sarei cacciata chiedendogli come andava con Sally.
    Lui era lì con me ora e ne ero felice. Non avrei voluto ci fosse nessuno altro e questo, come sempre, mi turbava.
    Era assurdo solo pensarci.
    Vivevo quel momento come se fossimo due ragazzini fuggiti da casa per evadere il controllo dei genitori ed invece eravamo due genitori che si ritrovavano dopo tanto tempo lontani da casa e da soli.
    Ridacchiai a quel pensiero mentre lo guardavo e masticavo di malavoglia.
    In teoria non c’era niente di male. Non avrebbe dovuto esserci niente di male dato che non era stata programmata la cosa. Era accaduto.
    Non mi sentivo in colpa. Quello era lo strano. Forse in quello stava il problema. Ero dove non avrei dovuto essere ma ero con chi volevo essere.
    Armeggiando col cibo che portavo distrattamente alla bocca senza sentirne il sapore ascoltai Walter accettate la mia proposta di assistere insieme all’evento che avrebbe avuto luogo la notte successiva. Ero emozionata all’idea. Non solo per lo spettacolo del quale avremmo potuto godere ma per il fatto di poterlo fare insieme a lui.
    Non sapevo che effetto mi avrebbe fatto realizzare un sogno fatto nel momento meno opportuno della nostra relazione. Non sapevo nemmeno che effetto avrebbe fatto a lui viverlo con me.
    Desideravo poter rinnovare le emozioni vissute rinnovandole, togliendo l’amaro e l’acido con le quali le avevo vissute la prima volta. Era talmente bello e coinvolgente quello spettacolo che meritava di poter diventare un bellissimo ricordo senza l’inquinamento di terzi incomodi.
    Appresi quasi strozzandomi della idea della Nixen di mettere a disposizione un bilocale solo per noi.
    Sicuramente sarebbe stato più comodo della stanza dell’albergo ma, in pratica, con quella proposta, avremmo convissuto, come tanti anni prima, giorno e notte insieme, da soli perché…
    Nessuna visita. Non voglio più vedere un camice fino a quando non torno a lavoro. Ci sarai tu accanto a me giorno e notte per cui non avremo bisogno di questi….
    Non sapevo nemmeno come definirli ma non piacevano i Guaritori dell’ospedale. Non mettevo in discussione la loro competenza ma i loro modi di fare. E poi non mi piaceva come parlavano. Ecco.
    L’io bambina stava tornando alla carica. Ancora non sapevo di che cosa mi ero ammalata ma immaginavo fosse per qualcosa che mi era successo in quel posto e che non era stato capito o preso in tempo.
    ...di questi zucconi che quando parlano si mangiano le vocali.
    Avevo tenuti gli occhi bassi nel dirlo, fissavo il salmone pensando che somigliasse molto al personale dell’ospedale. Tornai a guardarlo. Con un occhio solo. Speravo di commuoverlo al punto di concordare con me sul fatto che erano inutili.
    Compresi in ritardo di avere messo in difficoltà Walter col mio ringraziamento. Per sincero e spontaneo fosse stato posto il Mago pareva in difficoltà ad accettarlo. Non mi doveva niente, mi stava donando tempo ed attenzioni, ringraziarlo era il minimo potessi fare.
    Volendo rialzami strinsi le mani di Walter e una volta in piedi la testa prese a girare, le gambe cedettero mi ritrovai sul letto. Walter, sempre più attento e accorto di me, attutì l’impatto col materasso col suo abbraccio. Ci ritrovammo vicini, molto vicini.
    Le iridi azzurre a stretto contatto visivo con quelle nere. Ero già sdraiata altrimenti, molto probabilmente, sarei caduta di nuovo. Quando arrivava la pace di sensi? A che età? Non a quarant’anni. Non avevo questa sfortuna/fortuna.
    Seppur ancora lontana dall’essere in forma sentii qualcosa smuoversi dentro di me e dovetti abbassare le ciglia incapace di sostenere la potenza di ciò che il suo sguardo riusciva a farmi sentire.
    <ehm, le…le abrasioni… Ti bruciano? Penso tu abbia bisogno della pomata>
    Mi morsi le labbra per non ridere. La pomata. Non era ancora stata inventata la pomata per lenire certe abrasioni ma dovetti dargli ascolto per buona pace di entrambi.
    Non bruciano più, pizzicano. Tu sai dirmi cosa ho avuto?
    Ancora non sapevo da cosa ero affetta, la mia pelle era ricoperta di puntini, residui di qualcosa che doveva essere stato molto più evidente e per niente gradevole da vedere e, di questo ne ero certa, più doloroso da sentire.
    L’accappatoio era già mezzo slacciato e con il fatto che sapevo di non poter uscire dall’ospedale non avevo nemmeno pensato ad indossare l’intimo.
    Cominciai a spalmare l’unguento sulle gambe massaggiandole partendo dalla caviglia per arrivare al ginocchi e poi alle cosce.
    Walter mi dava le spalle lasciandomi modo di potermi scoprire senza che provassimo entrambi imbarazzo.
    Facendo scivolare l’indumento dalle spalle notai che il resto del corpo portava le stesse conseguenze degli arti rispetto a ciò che mi aveva colpita. In genere i medici o gli infermieri si concentrano più sulle parti visibili per le cure. Io invece ero stata trattata in egual misura in tutte le parti del corpo, anche quelle intime.
    Cosparsi di unguento tutta la parte anteriore del corpo senza incontrare difficoltà ma per la schiena, da sola non potevo farcela.
    In quel momento compresi che, se non avevo bruciore nemmeno nella schiena, forse non era stato uno dei salmonidi a prendersi cura di me.
    Walter mi aiuti?
    Mi rimisi seduta dando le spalle al Mago. Non c’era bisogno gli chiedessi cosa poteva fare per me.
    Con le mani a coppa che coprivano i seni attesi di sentire il tocco delle sue dita. Attesi senza sentire risposta e pensando non mi avesse sentita ripetei la domanda aggiungendo
    Per favore
    Non vendendo non potevo capire la sua espressione ma potevo udire i suoi passi avvinarsi al letto, immaginare le sue mani che attingevano dal barattolo della pomata e poi smisi di immaginare.
    Le sue dita scorrevano sulla spiana dorsale partendo dalla spalle ed allargando il gesto scendevano sui fianchi. Movimenti esperti da Guaritore ma non solo.
    Ero più che sicura di aver sentito quelle dita, quel tocco, quelle carezze quando ero incosciente. Era stato lui a guarire non solo la mia pelle ma tramite quelle carezze mi aveva dato lo stimolo per tornare presente a me stessa, per non abbandonarmi all’oblio.
    Girando il capo gli mostrai il mio profilo e con sussurro espressi la mia consapevolezza.
    Sono state le tue le mani a farmi tornare indietro. La mia pelle le ha riconosciute prima di me.
    In qualche modo riuscimmo a compiere l’operazione. Al termine mi ricoprii, provai di nuovo ad alzarmi e lo feci lentamente onde evitare che le gambe cedessero di nuovo.
    C’era elettricità nell’aria. Come sempre quando ci ritrovavamo da soli sotto lo stesso tetto succedeva una alchimia fra noi. Sarebbe sempre stato così? Non potevo saperlo ma al momento la sentivo ed erano in quei momenti che continuavo a chiedermi, pur conoscendo la risposta, per quale ragione eravamo arrivati a quel punto.
    Il mio limite lo conoscevo, conoscevo anche il suo e …mi mandava in bestia il fatto che non riuscissimo a superarli. A trovare compromessi ci avevamo provato, non era funzionato.
    Con un sospiro desolato e con la tristezza nello sguardo mi avvinai a lui evitando di guardarlo. Mi avrebbe respinta o quantomeno ripresa per ciò che stavo facendo.
    Gli arrivai tanto vicino che i miei piedi nudi toccavano le sue scarpe. Gli sfilai il mantello che aveva ancora addosso lasciandolo cadere a terra e appoggiai il viso sul suo torace. Gli cinsi i fianchi in un delicato abbraccio, senza stringerli.
    Non puoi passare un’altra notte a dormire sulla sedia. Se non vuoi dividere il letto con me vai a dormire. Sei stanco, hai bisogno di riposare anche tu.
    Avrei capito se avesse ambito ad un letto comodo tutto per se dopo notti intere passate su una scomoda sedia.



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    < Nessuna visita. Non voglio più vedere un camice fino a quando non torno a lavoro. Ci sarai tu accanto a me giorno e notte per cui non avremo bisogno di questi…. >
    Roteai gli occhi, di nuovo. Diamine, ricordavo di averne quattro di figli, non cinque. Sarebbero stati molto più ragionevoli loro, mi avrebbero risparmiato perlomeno questa battaglia.

    "Venus…"
    < ...di questi zucconi che quando parlano si mangiano le vocali. >
    Non sapevo se ridere o piangere, ma proprio come quando si deve avere a che fare con i bambini, era doveroso mantenere un atteggiamento fermo e serio se davvero volevamo avere almeno una misera possibilità di essere ascoltati.

    "Venus… Non è detto tu abbia scampato il pericolo. Potresti avere altre reazioni, altri sintomi inaspettati ed io…" soffiai fuori l'aria, era dura ammetterlo "... Non ne so abbastanza per essere certo di sapermela cavare senza conseguenze gravi."

    Le indicai il manuale sul tavolino, per farle capire stessi studiando a riguardo, riprova non fossi assolutamente afferrato sulla cura ed il trattamento di quell'avvelenamento.
    Quegli Zucconi intanto le avevano fatto riaprire gli occhi e non era poco.
    Mi gratificava sapere quanto si fidasse di me, almeno per quanto concerneva il mio ruolo da Guaritore, ma stavolta la fiducia non bastava. Dovevamo essere razionali e consapevoli dei nostri, anzi miei limiti.
    < Non bruciano più, pizzicano. Tu sai dirmi cosa ho avuto?>
    Per l'appunto, non avrei saputo spiegarle più di quanto le fosse già stato detto dai colleghi del posto.
    Alzai le spalle, in una smorfia di rammarico.

    "Il corpo ha reagito cercando di buttare fuori il veleno attraverso queste pustole che, aprendosi, hanno rischiato di infettarsi e bruciare il resto della pelle sana. Solo la pomata e le gocce - gliele mostrai - hanno bloccato il processo ed aiutato la guarigione. Non devi far passare troppe ore senza usarle."

    Avevo notato le ferite avessero iniziato a rimarginarsi per bene solo dal momento in cui avevo iniziato a trattarle con più frequenza. Il pizzicore che percepiva adesso era sicuramente segnale la pelle avesse bisogno di essere idratata e sanata di nuovo.

    "Non è detto non insorgano altre reazioni. Non solo a livello esterno, anche interno. Il fatto tu stia meglio stasera vuol dire poco o nulla…"

    Capivo di non essere prettamente rassicurante, però era giusto sapesse. Non avrebbe avuto senso prenderla in giro e dirle adesso fosse tutto ok, anche perché ci pensava già da sé a forzare la mano per farsi vedere piena di energie e pronta a sloggiare sulle gambe malferme.
    Ci tenevo a riportarle cosa avessero detto a me, nel caso si fossero riguardati dal farlo con lei per non spaventarla.

    "Devi tenermi informato su ogni più piccola variazione del tuo stato, va bene? Anche se ti sembrano solo percezioni od impressioni. Tutto. D'accordo?"

    Facile a dirsi. Durissima a farsi per due che a malapena si erano parlati negli ultimi cinque anni. Stavamo passando dal quasi niente al tutto nel giro di pochissimo tempo. Per me sarebbe stata una forzatura notevole dover condividere con la ex ogni minima reazione del mio corpo. Certi livelli di intimità a volte si faceva fatica a raggiungerli anche in coppia, dopo anni di relazione.
    Speravo per lei venisse più naturale, facendo leva sulla fiducia del mio essere Guaritore e sull'assoluta ritrosia di non voler avere a che fare con il personale Svedese.
    Intanto, riguardo al presente, un compito bello arduo da superare senza imbarazzo toccava a me.
    Ancora voltato di spalle, sentii la voce di Venus raggiungermi e rivolgere quella domanda che sapevo, ero convinto, sarebbe arrivata a colpirmi peggio di uno Schiantesimo tra capo collo.
    < Walter mi aiuti? >
    Mi passai una mano sulla faccia, in silenzio. Cercai di trovare qualsiasi diversivo esistente per mantenere la mente fredda, lucida e distaccata.
    Pensai a Sally, poi ai nostri figli, al nostro passato burrascoso, i nostri litigi, le nostre incomprensioni. Niente alla fine ebbe l'effetto sperato. I pensieri si volatilizzavano nell'istante stesso in cui ne venivo attraversato.
    < Per favore. >
    Fu il colpo di grazia, non potevo più esitare.
    Oh sì, avrei potuto chiamare qualcuno dell'ospedale che lo facesse al posto mio. Avrei potuto, ma la possibilità non mi sfiorò neppure.
    Lento mi voltai. Guardai la sua schiena nuda e mi avvicinai, un passo alla volta. Seduto sul ciglio del letto, immersi le dita nel barattolo di crema, cominciando a spalmarla dalle spalle, con massaggi circolari, sempre più un basso.
    Non lasciai un lembo di pelle, era importante e poi… così piacevole. Amavo la sua pelle. Morbida, vellutata, profumata. Ricordavo la posizione esatta di ogni neo, anche il più minuscolo, ogni segno, ogni minima imperfezione che la rendeva unica.
    Cercai di richiamare a me lo spirito da Guaritore impassibile e distaccato. Quante volte avevo visitato pazienti più o meno giovani non provando assolutamente nulla, se non la volontà di aiutarle a stare meglio, a capire quale fosse il loro problema e risolverlo.
    Peccato, però, Venus non fosse una paziente qualsiasi.
    Non c'era verso riuscissi ad avere autocontrollo con lei. Se ne andava a farsi benedire non appena la vedevo. Se l'avevo vicina, poi, era inutile anche provarci.
    Adesso… beh, era come buttare un bicchiere d'acqua dentro il cratere di un vulcano in eruzione sperando di placare le fiamme.
    Ero certo, sicurissimo, avesse sentito le mie dita fremere andando a detergere la carne in fondo alla schiena, lì dove diventava più soffice e burrosa.
    Fu allora che parló.
    < Sono state le tue le mani a farmi tornare indietro. La mia pelle le ha riconosciute prima di me. >
    Mi bloccai.
    Aveva capito. Aveva immaginato. Sapeva.
    Alzai gli occhi sul suo profilo, stringendo le labbra. Eppure, da quel che diceva… si capiva non fosse infastidita. Non sembrava nemmeno imbarazzata a dirla tutta. Lo ero molto di più io, indubbiamente, anche se non c'era motivo. Ogni azione, ogni pensiero era stato mirato solo al suo benessere. Nient'altro. Fino ad ora, almeno.
    Deglutii il vuoto, tornando con lo sguardo sulla schiena per completare l'operazione.
    Controllai voce e pensieri per riuscire a rispondere.

    "Allora cerca di non divulgare la notizia su questo super potere. Non sia mai poi mi tocchi massaggiare ed accarezzare i cadaveri per farli tornare indietro."

    L'ironia era la comoda via che mi aiutava spesso ad uscire da momenti scomodi o di imbarazzo.
    Bastava una risata per alleggerire l'atmosfera, dare l'idea, non importava se fasulla, fossi perfettamente a mio agio e per nulla turbato.
    Alzandomi, stropicciai le mani tra loro per fare assorbire la crema in eccesso.
    Bene, avevo tempo qualche ora per prepararmi psicologicamente alla prossima seduta di spalmaggio. Non potevo fare altro che sperare fosse in via definitiva di guarigione e lo facesse in fretta… giusto?
    Confuso da sconvolgimenti vari interni e non in corso, non feci troppo caso ai suoi movimenti. Pessima mossa. Mai abbassare la guardia con una donna, specialmente se rispondeva al nome di Venus. Specialmente se era convalescente, evidentemente!
    Si avvicinò, mi slacciò il mantello, poi come se fosse la cosa più naturale al mondo -non escludevo lo fosse- appoggió la testa sul mio torace, le esili braccia ad avvolgermi la vita.
    Restai paralizzato, con le mani alzate e l'espressione da pesce lesso senza comprendere cosa stesse accadendo e perché.
    Venus che mi abbracciava? L'ultima volta la ricordavo bene, impossibile dimenticarla: avevamo appena ritrovato Alexander, dopo la sua prima ed unica fuga da casa. Sollevati, felici ci eravamo stretti l'uno all'altra, con il nostro bambino finalmente al sicuro in mezzo a noi.
    < Non puoi passare un’altra notte a dormire sulla sedia. Se non vuoi dividere il letto con me vai a dormire. Sei stanco, hai bisogno di riposare anche tu. >
    Non avevo dubbi sentisse il mio cuore andare a mille nel petto. Poggiai le mani sul tessuto spugnoso dell'accappatoio, sulle sue spalle. Difficile collegare le parole al loro significato. Difficile dare un nome al sentimento che sentivo scalpitare impazzito allo stesso ritmo del muscolo cardiaco.
    Le sfiorai la fronte, delicato. D'accordo non erano deliri da febbre.
    Venus stava agendo consapevolmente e volontariamente.
    Percepivo crescere forte il desiderio di stringerla più forte contro di me. Un desiderio alimentato da un contatto prolungato che si era appena concluso, quello con la sua pelle nuda.
    Un desiderio che però non potevo assecondare.
    Le presi le spalle e… l'allontanai garbato, attento a non farle male, né forzarla quel tanto le facesse comprendere di doversi staccare.
    Incontrai i suoi occhi, adombrati di tristezza ed il mio cuore perse un battito, lo stomaco venne colpito da un pugno invisibile.
    L'espressione sul mio viso tirato, avrebbe fatto trasparire la stessa emozione nascosta dietro un cipiglio deciso che, in fondo, di deciso aveva ben poco.
    Proprio in quel frangente venni attraversato da milioni di cose da dire, chiedere, pregare di sapere. Non avrei saputo da dove iniziare. Forse dal domandare perché sembrasse così triste, ma sotto sotto ne temevo non tanto la risposta, quanto le conseguenze.
    Con enorme fatica avevamo raggiunto un equilibrio. Un equilibrio molto precario. Talmente precario che bastava un tocco nel punto sbagliato per far saltare all'aria anni ed anni di fatica e sacrifici.
    Alla fine respirai a fondo prima di socchiudere le labbra.

    "Non ti lascio qui da sola, non sarei tranquillo. Forza, mettiti buona e ferma se non vuoi che ti leghi. Sai che ne sono capace."

    L'accompagnai di nuovo a sedersi, sistemandole i cuscini dietro alla schiena, sordo ad ogni tipo di protesta e/o offesa nei miei riguardi.
    Se non avessi conosciuto Venus meglio delle mie tasche avrei potuto pure illudermi che la faccenda si concludesse lì senza questioni. Non ero più così ingenuo, neppure ci speravo.
    Le misi tra le mani un sacchetto pieno di mini briochine allo zenzero, chissà che il dolce potesse distrarla giusto il tempo per creare un altro diversivo.

    "Perciò… dimmi un po', saresti disposta a dividere il tuo letto singolo con me senza battere ciglio? A cosa devo tutta questa… generosità? E non usare la scusa della riconoscenza, perché non regge."

    Ecco, meglio buttarla su quel piano. Ironia, sempre lei, la mia più cara e fidata alleata.
    Incrociai le braccia al petto scrutandola con un mezzo sorrisetto, volevo proprio vedere che scusa avrebbe trovato adesso per convincermi ad andarmene. In fondo a me cosa cambiava passare una notte in più su quella sedia? L'avrei trascorsa pure su una roccia appuntita se questo mi avesse permesso di restarle a fianco.


     
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    Venus McDolan • 35 y. o. • Guaritore • PC
    Che il mio corpo reagisse cercando di buttar fuori il veleno avrebbe dovuto saperlo. Mi era successo un’altra volta di esserne contaminata. Si trattava di un diverso tipo di veleno i cui effetti non avevano avuto sfogo con pustole o febbre alta. In fondo stavolta mi era andata bene. Avevo sofferto di meno rispetto ad allora ed anche la ripresa pareva essere molto più veloce.
    Magari ci fosse stata una pomata anche per quell’altro tipo di veleno. Sarebbe andata a ruba.
    Almeno per questo veleno c’è una cura.
    Risposi tirando su le maniche dell’accappatoio per mostrare i puntini ancora arrossati ma ridotti di dimensione.
    Mi sentivo meglio, molto meglio rispetto a qualche ora prima ma comprendevo la sua preoccupazione per una recidiva. Mi spaventava il pensiero di poter tornare nel limbo da cui ero uscita e volevo, come probabilmente anche Walter, sapere e capire cosa mi aveva procurato quella reazione così importante.
    Non ero mai stata sola durante il tour che aveva portato me e i colleghi a visionare le ricerche e luoghi in cui venivano reperiti gli ingredienti usati per i preparati. Mi faceva strano che solo io avessi avuto quel tipo attacco così violento.
    Pensierosa e un po’ più preoccupata misi al corrente Walter di quelli che erano i miei dubbi.
    I colleghi… Come stanno?
    Se era successo solo a me sarebbe stato importante capirne la ragione.
    I salmonidi, per quel che ricordavo, non avevano accennato nulla a riguardo in mia presenza ma ero rimasta incosciente per giorni, forse lui era aggiornato a riguardo.
    Mi sentivo in gabbia in quella stanza. Rimanere inattiva per me era una tortura. Non avere nulla da fare e nessuno di cui occuparmi era una condizione alla quale non ero abituata oltre che ad una condizione che cercavo di evitare in quanto lasciava spazio ai pensieri, troppo spazio. Non era un bene, men che meno in quella situazione in cui mi trovavo debilitata fisicamente ed emotivamente scossa. Il temperamento richiedeva di reagire, di sfruttare tutte le energie per non pensare al peggio, per non pensare proprio.
    < Devi tenermi informato su ogni più piccola variazione del tuo stato, va bene? Anche se ti sembrano solo percezioni od impressioni. Tutto. D'accordo?>
    Mi dovetti sforzare per non sgranare gli occhi e guardarlo stranita. Quel ‘tutto’ rimarcato dal tono della sua voce speravo si riferisse solo ad eventuali sintomi fisici collegati alla patologia senza nome di cui accusavo gli effetti. Se avessi dovuto informarlo su tutte, ma proprio tutte le variazioni circa il mio stato non avrei saputo da che parte iniziare e nemmeno dove andare a parare tanto erano confuse e contraddittorie. Dovevo apparirgli già abbastanza strana come comportamento senza dover aggiungere anche il carico delle sensazioni che avrebbero potuto, forse, spiegarlo.
    Non pensavo affatto, ad esempio, che nel ‘tutto’ fosse compreso l’effetto che mi faceva il tocco della sua mano sulla schiena, non credevo fosse utile ai fini della guarigione dirglielo e non credevo nemmeno potesse essergli utile sapere che mi sentivo pienamente viva in quel contesto. Era una sensazione che avevo sempre provato stando con lui. Un senso di assoluta e assurda completezza. Era come se il suo tocco completasse col pezzo mancante il complicato puzzle di ciò che ero, di ciò che volevo essere, di quello che avrei potuto essere ‘se’.
    Quel dannato ‘se’ era sempre di mezzo, sempre di troppo, sempre più assurdo e sempre più deviante.
    Fra le certezze che avevo raggiunto Walter rimaneva l’incognita. La sua presenza, soprattutto se così ravvicinata, aveva il potere di mettere tutto in discussione. Da lui dipendeva ed era sempre dipeso completare l’immagine o mandarla in mille pezzi e fare tornare il puzzle ad un disordinato miscuglio di tessere separate una dall’altra.
    Le sue mani che massaggiavano non le sentivo come quelle di qualsiasi guaritore che si prende cura di una qualsiasi paziente. Per me avevano tutt’altra sensibilità, un tocco diverso, conosciuto. Gesti che somigliavano ad un musica silenziosa, ad un melodia ballata insieme, ad pranzo cucinato alla stesso fornello, ad una condivisione intima non solo di pelle ma di qualcosa di ancora di più profondo. Massaggiando la mia schiena stava massaggiando il mio cuore e questo reagiva tamburellando scompostamente sotto il seno ricoperto a malapena da mani che tremavano.
    Speravo non potesse accorgersene. Nel ‘tutto’ che mi aveva chiesto di riferire quelle sensazioni non potevo proprio esternargliele a voce. Se il corpo non mi tradiva sarebbero rimaste dentro di me a beneficio di un cuore che stava riscoprendo un battito irregolare che nulla aveva a che fare con lo scompenso cardiaco.
    Quello che proprio non riuscivo a fare era fingere di provare indifferenza. Era una strana sorta di imbarazzo quello che sentivo. Non era mai stato un problema per me mostrargli il mio corpo, mi veniva naturale quanto respirare. L’imbarazzo che provavo non era nei suoi confronti ma nei miei. Se dopo tanti anni di convivenza e altrettanti di separazione bastava un tocco per farmi sentire così vulnerabile qualcosa doveva pur dire. Possibile che fosse sempre e solo frutto della mia immaginazione?
    <allora cerca di non divulgare la notizia su questo super potere. Non sia mai poi mi tocchi massaggiare ed accarezzare i cadaveri per farli tornare indietro>
    Dandogli ancora le spalle non potevo vedere la sua espressione mentre parlava ma potevo cogliere l’ironia con la quale rispose dopo aver appreso che avevo capito chi aveva operato il miracolo di tirarmi fuori dall’incoscienza.
    Era bello sentire che avesse voglia di scherzarci sopra. Che almeno lui non provasse quel tipo di imbarazzo che io sentivo. Mi aveva colpito che alla parola massaggiare avesse accostato anche accarezzare. Forse era stata una vista, aveva aggiunto quel termine per caso, ironicamente. Probabilmente non se rendeva nemmeno conto ma il suo tocco assomigliava molto più ad una carezza che ad un massaggio.
    In caso non ti fossi accorto non sono ancora cadavere ma ti assicuro che manterrò il segreto sul tuo super potere. Non è l’unico che hai ma devo ammettere che è utile.
    La parola utile non era l’unica adatta al caso. Piacevole sarebbe stata altrettanto indicata se non più esaustiva. Emozionante sarebbe stata quella giusta per fargli capire e quella sbagliata da dire in quel contesto.
    Cominciava a piacermi quell’aspetto di essere paziente piuttosto che guaritrice. Tutto sommato aveva anche degli aspetti positivi se non fosse che andavano a toccare corde che erano rimaste in forzato silenzio per anni.
    Era dura essere da soli, senza nessun pretesto o nessun motivo che potesse distrarre l’attenzione da ciò che eravamo stati perché era lì che il pensiero andava in maniera insistente. La mente e, soprattutto, il cuore seguivano strade che non si erano mai completamente perse di vista, sentieri che per anni si erano fusi in un unico percorso, itinerari che si erano divisi senza mai riuscire a staccarsi completamente. I figli che avevamo in comune, la ragione delle nostre vite, ci avevano non costretti ma indotti a dover assumere atteggiamenti forzati ma senza i ragazzi di mezzo era difficile arrivare ad ignorare che, nonostante loro, ci fosse ancora qualcosa di incompiuto fra noi. Un discorso iniziato molto tempo prima che aveva visto pause, momenti infelici, attimi sublimi, di tutto e di più ma la parola fine io ancora non riuscivo a vederla nelle pagine del libro della nostra travagliata relazione.
    Era come se quell’occasione ci stesse dando modo di scrivere un altro capito, forse l’ultimo o forse no ma la sensazione era quella di vedere aprirsi un’altra pagina per poterla lasciare intonsa o poter riprendere dall’ultima parola detta, dall’ultimo punto scritto.
    Fu così che mi trovai ad abbracciarlo e Walter, in risposta, saggiò la mia fronte per controllare che la temperatura non fosse salita. Doveva aver preso il mio gesto per delirio. Molto più controllato di me capiva che c’erano dei limiti che non avremmo dovuto superare.
    Non ho la febbre
    Assicurai onde evitare iniziasse a chiamare i Medimagi per sedarmi o per infliggermi ben altro tipo di torture diverse da quella alla quale mi ero sottoposta volontariamente.
    Tu piuttosto, sei certo di star bene?
    Lo guardai per nulla preoccupata riguardo al suo stato fisico ma emozionata nel ritrovare, osservandolo, nel suo sguardo sfuggente la stessa emozione del mio.
    <non ti lascio qui da sola, non sarei tranquillo. Forza, mettiti buona e ferma se non vuoi che ti leghi. Sai che ne sono capace>
    La poca razionalità che c’era in me mi fece annuire alle sue parole. Non ero del tutta convinta che ci sarei riuscita ad accontentarlo appieno ma ci dovevo provare. Non dovevo dimenticare che era lì non per sua spontanea volontà ma per una circostanza del tutto imprevista.
    <devo anche stare zitta altrimenti mi imbavagli?>
    Chiesi sollevando un sopracciglio prima di girargli le spalle per dirigermi verso il letto.
    A quel punto si poneva il problema dell’accappatoio. Se andavo sotto le coperte avrei dovuto toglierlo e sotto non avevo nulla. Non avevo controllato se Walter insieme alle mie cose recuperate dall’hotel avesse pensato a portare anche il pigiama ma poi ricordai di non aver messo in borsa il pigiama ma una sottoveste. Meglio di niente anche se non era proprio l’indumento più adatto.
    Dovrei…cambiarmi. Perché non approfitti della doccia intanto? Quando torni dormirò come un angioletto.
    Forse.
    Ne dubitavo io stessa, difficile sperare di convincerlo ma giurai a me stessa di impegnarmi. Se fossi riuscita ad addormentarmi sarebbe stato più semplice affrontare la notte con lui accanto, molto accanto date le dimensioni del letto.
    Così facemmo. Non appena Walter si chiuse alle spalle la porta del bagno recuperai dal bagaglio la sottile camiciola e mi infilai sotto le coperte. Mi girai di fianco, verso la porta, lasciando a lui lo spazio per stendersi.
    Dovevo essere più stanca di quello che pensavo. Il rumore dello scroscio della doccia unito alla consapevolezza della sua presenza mi fecero addormentare quasi di colpo o così mi parve . Non avrei saputo dire come e perché ma mi trovai immersa in un viaggio a ritroso nel tempo. Immagini confuse ma note, sensazioni già vissute, emozioni mai dimenticate. Dubbi mai espressi ma sempre latenti nel più recondito angolo del mio cuore. In quello che probabilmente era dormiveglia stavo rivendo l’attimo in cui avevo capito di attendere Alexander e, come allora, sentivo il cuore il gola. Gioia immensa per una notizia inattesa e paura di doverla comunicare a Walter con la consapevolezza che non avrebbe condiviso il mio entusiasmo. Inconsciamente portai la mano al ventre come per proteggere la creatura che avevo già partorito da diversi anni ma che nel momento sentivo come fosse presente dentro di me. Come allora mi sentii ad un bivio, davanti ad una scelta dalla quale erano dipesi gli eventi e lo svolgersi del nostro rapporto. Come allora mi posi delle domande ritrovandomi a pensarla alla stessa maniera e mi accorsi di trattenere un singhiozzo.
    Lo rifarei, altre mille volte.
    Respirando irregolarmente mi resi conto di non essere più sola nel lettino. Sentivo il calore del corpo di Walter accanto al mio e nulla era più consolante. Un sorriso si dipinse sul mio viso e rilassai corpo e mente godendo di quella sensazione che non era assomigliava per niente alla pace ma che faceva parte del mio mondo, della mia vita.

    Parlato


    Edited by venus - 16/7/2021, 22:11
     
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    < Almeno per questo veleno c’è una cura. >
    Ahia, polemica in vista. Una delle consuete frecciatine che Venus mi tirava ogni tanto. Era passato il tempo ma non il bruciore della scottatura.
    Quando ero bravo, poche volte, ignoravo, stavo zitto e mi voltavo dall'altra parte.
    Quando invece già mi giravano per conto mio, molto più spesso, le rispondevo punzecchiandola, dando vita, di solito, ad una bella discussione in cui ci rinfacciavamo di tutto dalle banalità, agli errori più gravi del nostro passato, quelli che ci avevano condotto ad essere ciò che oggi eravamo.
    Non era il momento né il luogo per metterci a litigare come una coppia di vecchi Maghi rugosi, avevamo già delle belle questioni da risolvere e non era con animi litigiosi che saremmo venuti a capo di qualcosa.
    < I colleghi… Come stanno? >

    "Loro stanno bene. Guarda caso soltanto tu sei riuscita a ficcarti nei guai. Deducono tu abbia ingerito qualche componente di Bulbi Balzellanti. Ottimo tempismo per farsi venire il languirono."

    Ecco, però questa dovevo proprio dirgliela. Insomma, se si era avvelenata a quel modo, arrivando a rischiare la vita era prova fosse venuta a contatto con una dose bella significativa. Il bello era capire il come.
    Dal suo sguardo smarrito era evidente ne sapesse quanto me ed i colleghi Svedesi, ovvero niente.
    Forse non lo avremmo mai scoperto, contava solo adesso esistesse ancora la possibilità di guardarla negli occhi e parlarle. E sì, anche sentire le sue battutine irritanti. O accarezzare la sua pelle calda. O sentirla farneticare riguardo i miei super poteri.
    Se c'era qualcosa di certo in tutta quella storia era che il veleno doveva averle fatto andare di volta il cervello. Fino ad allora, compagno o meno presente, si era sempre tenuta bene alla larga, evitandomi quanto più possibile. Adesso, poteva essere grata, riconoscente e contenta di avermi lì, ma sembrava avere pure dimenticato di cosa rischiassiamo a cercarci in quel modo. Già la situazione ci remava contro da sé, o a favore, dipendeva dai punti di vista.
    < Tu piuttosto, sei certo di star bene? >

    "Una meraviglia."

    Abbracciato ad un Troll di montagna mi sarei sentito più a mio agio, probabilmente.
    Dopo averla aiutata a stendersi ed essermi assicurato avesse preso le mie minacce sul serio, accettai il consiglio di infilarmi in doccia, di modo da lasciarle libertà di spogliarsi e mettersi comoda per dormire. Speravo ci provasse, almeno, a riposare. Era molto più debilitata di quanto volesse dimostrare, il suo corpo aveva bisogno di un buon sonno ristoratore per riprendersi ed affrontare le novità previste per la giornata seguente.
    Mi trattenni sotto il getto d'acqua fresco più del necessario, finché non sentii i muscoli rilassarsi, i bollori spegnersi e la capacità di recuperare una parvenza di controllo sulle varie reazioni corporee. Restai a lungo ad occhi chiusi, il getto direttamente in faccia, i rivoli d'acqua a percorrere la pelle calda, segnata da cicatrici più o meno profonde.
    Non prendendo d'esempio Venus, non era assolutamente il caso, dopo essermi asciugato non rimasi in accappatoio, ma indossai una felpa morbida che di fretta avevo infilato nel borsone prima di fiondarmi in aeroporto.
    Fui sorpreso di trovare la donna davvero assopita sotto le lenzuola candide. Sospirai di sollievo, facendo scivolare via via sempre più la tensione.
    Il suo respiro era regolare, il volto non più segnato da smorfie di dolore. Per adesso sembrava davvero stare bene, ed il sonno tranquillo e profondo in cui era sprofondata ne era la riprova.
    Si era messa di lato, lasciando un bello spazio sul materasso. Era stata seria quando mi aveva proposto di unirmi a lei.
    Scossi la testa, sorridendo tra me e me. Sì, stava meglio, ma in quanto a deliri non c'eravamo proprio.
    Prendendo posto sulla sedia, in pochi minuti la stanchezza avvolse anche me. La testa ciondolò in avanti, chiusi gli occhi e… tra il conscio e l'inconscio sentii Venus muoversi, lamentandosi di qualcosa.
    Balzai in piedi, stordito, poggiandolo una mano sul braccio, sotto il lenzuolo.

    "Hey… tutto bene?"

    Fu solamente un lieve sussurro, non volevo svegliarla, però se sentiva male da qualche parte speravo me lo facesse capire in qualche modo. Dopo essere uscito dalla doccia avevo avvertito il personale che la situazione fosse sotto controllo e sarei stato a vegliare per chiamarli nell'ipotesi avessi notato qualcosa di strano o fossero insorte complicazioni. Prima di dare l'allarme, però, volevo accertarmi non fosse qualcosa di cui potessi occuparmi io. Venus aveva dimostrato tutta la sua insofferenza per i mangiatori di vocali.
    Restando vicino a lei, sentii la sua mano, nel sonno cercare la mia per attirarmi verso di lei. Pur provando a fare una lieve resistenza, non riuscii a sottrarmi dal contatto. Se avessi dato uno strattone avrei rischiato di farle male o di destarla del tutto.
    Maledicendo Merlino, che di nuovo stava dimostrando di non essere mio alleato nelle situazioni complicate, presi posto vicino a lei.
    La Strega, soddisfatta, percependo il calore del mio corpo, si accocoló contro di me, rendendo vano il tempo trascorso sotto la doccia fresca, intrecció le dita con le mia e le portò vicino al petto.
    Grazie Merlino, vuoi infierire ancora?
    Inutile dire ci misi ore prima di prendere sonno. Le orecchie rimasero tese ad ascoltare ogni minimo rumore in reparto, i sensi sensibili, invece, ad ogni minimo spostamento di Venus. Appena provavo ad allontanarmi un minimo, subito indietreggiava inconsciamente. La schiena contro il mio petto, le natiche contro il mio bacino e semplicemente la blanda barriera del lenzuolo a dividerci. Almeno lei continuò a dormire serena ed inconsapevole. Se avesse preso coscienza di ciò che stava accadendo… avrei avuto difficoltà a guardarla in faccia mostrando un' indifferenza ben lontana dal reale sentire.
    Probabilmente era quasi mattina quando, giusto per sfinimento, crollai. Non fu però un sonno profondo come quello di Venus, assolutamente no. Il mio fu una specie di dormiveglia tempestato da sensazioni, immagini, sogni e… odori. Il profumo inconfondibile della donna con cui avevo generato due figli, era impossibile da dimenticare. Lo assorbii, inspirai a pieni polmoni, continuò a perseguitarmi anche nei sogni.
    Specialmente in uno, quello più vivido. Sognai ovviamente lei, la donna che ora avevo tra le braccia nel letto, ma anche nell'immagine che la mia mente aveva creato sollecitata dalla sensazioni esterne.
    La Venus del sogno era ancora la mia Venus. Non era di nessun rompipalle lingua lunga, non l'avevo mai perduta, non l'avevo mai delusa né ferita. Lo sentivo e lo leggevo nel suo sguardo mentre si avvicinava a me e con voce candida e melodiosa diceva di amarmi. Un attimo dopo le nostre labbra si erano unite in un bacio intenso, profondo, avevo sentivo il suo sapore, il calore della sua lingua stuzzicare la mia. L'avevo abbracciata e stretta, per poi affondare nel suo collo, facendomi spazio tra i capelli che mi solleticavano il viso e lì le avevo sussurrato che non l'avrei mai lasciata andare, che sarebbe stata mia per sempre, prima di avvolgerla completamente contro di me e continuare a baciare, ad accarezzare la sua pelle morbida, bollente quanto la mia. Fu bellissimo lasciarsi andare, fu bellissimo abbracciarla, stringerla e sentire il suo corpo aderire perfettamente contro il mio, mentre non finivo di saggiare la carne del collo e delle spalle. Non mi farei fermato, tanto era solo un sogno…. Solo e soltanto un bellissimo sogno.
     
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    Assicuratevi di avere le mani pulite, prima di toccare il cuore di una persona.

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    Venus McDolan • 35 y. o. • Guaritore • PC
    Non era stata una notte tranquilla ma ero riuscita a riposare. Durante la notte avevo chiaramente avvertito la calda presenza di Walter e rimanere al mio posto tranquilla non era stata proprio la cosa più semplice del mondo ma in qualche modo eravamo riusciti ad evitare contatti e gesti che avrebbero potuto mandare all’aria anche il più determinato degli autocontrolli.
    Mi svegliai che albeggiava. Walter dormiva profondamente, sentivo il respiro regolare e…per il cappello a punta di Merlino…russava!
    Stavo per ridacchiare quando sentii un crampo, una fitta bella forte che mi fece sussultare. Il movimento inconsulto fece cessare il russamento e Walter si mosse, disturbato anche dalla mia gamba che aveva involontariamente colpito la sua, sollevò un braccio e lo avvolse attorno ai miei fianchi.
    Lo sentivo premere contro la mia schiena col petto e non solo. Il suo bacino era attaccato al mio dietro e…ed ebbi la netta sensazione che stesse facendo un bel sogno.
    Non potevo muovere il busto ma riuscii a girare il viso. Aveva l’espressione beata e farfugliava qualcosa che non riuscivo a capire con esattezza ma aveva attinenza con qualcuno che era suo per sempre.
    Avrei preferito non sentire, mi metteva a disagio pensare a quel che stava facendo nel sogno e a con chi lo stava facendo. Onde evitare che proseguisse facendo nomi e cognomi portai le mani alle orecchie e scivolai giù dal materasso sciogliendomi dall’abbraccio e togliendomi dall’imbarazzo di udire quello non volevo sentire.
    La giornata non iniziava per niente bene, nemmeno un po’. Mettendo i piedi a terra sentii una fitta al fianco. Inspirai un paio di volte prima di avere modo di riprendermi e piano piano, dopo aver preso dal comodino la mia bacchetta, raggiunsi il bagno chiudendomi la porta alle spalle.
    Appoggiando entrambe le mani al lavandino osservai il mio viso nello specchio. Ero ancora pallida nei mei occhi c’era la voglia e la determinazione per riprendermi. C’era anche altro ma non dovevo considerarlo, ci avevo fatto l’abitudine a rifilarlo nell’angolino più triste e recondito della mia mente. Ero consapevole di non poter rinfacciare a Walter di avere fatto un bel sogno, sarei stata ingrata ed egoista dopo quello che stava facendo per me ma non volevo nemmeno la sua compassione. Non l’avevo mai voluta. Nemmeno nei momenti più difficili della nostra storia avevo trovato pretesti per farlo rimanere accanto a me contro la sua volontà. Lo avevo amato al punto di lasciarlo libero ed ora, per una stupida contaminazione dal stupidi bulbi balzellanti meno che meno. Non ero in pericolo di vita, non mi sentivo male al punto da insistere nel chiedere a Walter di rimanere piuttosto che inseguire il suo sogno.
    Mi lavai il viso cominciando a maturare la mia decisione. Evidentemente era destino che andasse così.
    Se fossi tornata in camera e lo avessi visto dormire saporitamente probabilmente mi sarebbe mancato il coraggio o, peggio, mi avrebbe sgamata. Se fossi tornata in camera e lo avessi sentito farfugliare di nuovo cose che non volevo sentire probabilmente non avrei resistito alla tentazione di soffocarlo col cuscino quindi era meglio adottare il piano B o C o Z e comunque era meglio non tornassi affatto di là. Ormai era giorno, la città si stava svegliando e potevo pensare a come raggiungere il bilocale.
    Sullo sgabello del bagno c’erano gli abiti smessi dal Mago la sera prima. Doveva averli appoggiati la sera precedente, prima di fare la doccia.
    Senza perdere tempo li indossai. Non si poteva certo dire fossi elegante, mi ballavano addosso e dovetti stringere la cintura dei pantaloni fino all’ultimo buco per non rischiare di perderli per strada. Infilai la sua camicia chiedendo all’olfatto di essere clemente e di ignorare il suo profumo che mi arrivava alle narici facendomi venire istinti maghicidi e pensieri tutt’altro che sereni.
    Per le scarpe purtroppo non trovai la maniera di risolverla. Erano decisamente troppo grandi quelle di Walter ma in compenso i pantaloni erano abbastanza lunghi da coprire i piedi scalzi.
    Non avendo altro modo di avvisare Walter senza incorrere nella sua ira o per ravvivare la mia usai il dentifricio per lasciargli un messaggio sullo specchio.
    Continua a sognare
    Avrei voluto aggiungere che non volevo disturbare il suo sogno, che non volevo spiarlo ma che non potevo nemmeno assistere o ascoltare rimanendo indifferente. Il tubetto non era abbastanza capiente per poter poter scrivere tutto.
    Così agghindata presi lo sgabello e lo posizionai sotto la finestra, ci salii in piedi e feci scattare la serratura della maniglia. Con le mani aggrappate alla cornice e una spinta di reni riuscii a salire sul cornicione e da lì, con un balzo, ad atterrare nel giardino dell’ospedale.
    Mostrare disinvoltura in quello stato non era cosa da poco ma ormai ero in ballo e tanto valeva ballare. Percorsi diversi metri prima di svoltare l’angolo dell’edificio. Per raggiungere l’ingresso principale dovetti camminare un ‘altro bel po’ e fortuna volle che nei pressi della scalinata che portava all’entrata ci fosse un’auto con il logo della Nixen sugli sportelli.
    Confidando sul fatto che avevo chiaramente espresso il vivace desiderio di potermene andare quella mattina stessa i Medimaghi dovevano avere già predisposto il mio trasferimento mandando il mezzo a prendermi.
    Cominciai seriamente a rivalutarli per l’organizzazione e con una buona dose di faccia tosta andai a bussare al finestrino dell’auto.
    La persona seduta al posto di guida, una donna giovane e carina, abbassò il vetro chiedendo se mi serviva qualcosa. Il suo inglese era tutt’altro che perfetto ma almeno qualche vocale, fra una consonante e l’altra, riusciva a metterla.
    Dopo averle detto chi ero e come mi chiamavo e dove dovevo andare la ragazza mi invitò a salire dicendo che mi avrebbe accompagnata a destino essendo l'addetta all'incarico.
    Viaggiammo per circa quindi minuti. Ci lasciammo alle spalle il centro per dirigerci verso la periferia della piccola cittadina. L’auto imboccò un viale poco trafficato, sulla destra il nulla assoluto, sulla sinistra una fila di piccole casette fatte di un materiale che somigliava al legno tutte uguali, col tetto di ardesia spiovente e colorate di rosso, la stessa tonalità di rosso del logo della Nixen.
    Gentilissima la ragazza mi aiutò a scendere, mi accompagnò alla porta consegnandomi le chiavi. Dopo averla ringraziata e salutata aprii la porta.
    I locali dovevano essere stati arieggiati di recente, l’aria era pulita, non c’erano odori fastidiosi. Le imposte erano aperte, la luce filtrava da gialle tendine che rendevano la stanzetta adibita a soggiorno/cucina allegra e luminosa.
    L’immancabile camino occupava buona parte della parete alla destra della stanza, di fronte una porta chiusa che probabilmente portava alla camera da letto con bagno annesso.
    Affisse ai muri tante mensole, sfasate una rispetto all’altra, sulle quali erano stati posti oggetti di dubbia manifattura raffiguranti renne in legno, in vetro, in plastica e in metallo. Tutte quelle corna urtavano la mia sensibilità e finirono tutte, nessuna esclusa, dentro all’ultimo cassetto della credenza della cucina completa di stoviglie , piatti, bicchieri e qualche pentola. Aprendo gli stipiti trovai provviste in abbondanza. Pasta, scatolame vario, marmellate, pane di segale, biscotti e frutta sciroppata.
    Un frigorifero ronzante e grande quanto una televisione babbana conteneva acqua, l’immancabile salmone, verdure fresche, latte, formaggio una vaschetta di carne, sicuramente di renna.
    Sulla mensola del camino invece, in bella vista, un paio di barattoli di pomata, la stessa che avevo usato in ospedale per tenere idratata la pelle e le gocce curative che i Medimaghi avevano prescritto e fornito per il completamento della cura.
    Non avevo idea di che ora fosse ma sicuramente era già passato fin troppo tempo dall’ultima applicazione, la pelle tirava e il prurito a contatto con i vestiti si stava facendo sentire.
    Prendendo uno dei barattoli mi diressi verso la porta di quella che, per qualche giorno, sarebbe stata la mia camera.
    Trovai anche qui le finestre aperte, ed una camera accogliente. La mobilia era bianca, bianco l’armadio, i comodini e la testata imbottita del letto a due piazze. Il materasso era ricoperto da un leggerissimo e candido piumino. Controllai non ci fossero altre renne in giro prima di andare ad esplorare il minuscolo bagno.
    Come avessero fatto ad infilare una vasca in uno spazio così angusto sarebbe rimasto un mistero. Si passava a malapena fra i sanitari.
    Tornata in camera con l’intenzione di applicare la pomata ebbi solo il tempo di estrarre dalla tasca la bacchetta e di appoggiarla sul comodino quando sentii tuonare. D’istinto girai il viso verso la finestra. Non c’era il sole ma non mi pareva ci fosse sentore di tempesta nell’aria. Fosse frutto e meno della mia immaginazione il suono mi mise in allerta. Impugnai la bacchetta ed attesi il ripetersi o lo sparire del trambusto che sentivo all’esterno.

    Parlato


    Edited by venus - 17/7/2021, 14:54
     
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    Il brutto di fare bei sogni, soprattutto QUEI bei sogni, è che quando ti risvegli ti senti uno schifo. Non per quello che hai sognato ovviamente, ma per il senso di insoddisfazione che ti terrà con l'amaro in bocca per l'intera giornata.
    Fu proprio lo stato in cui mi ritrovai non appena aprii gli occhi, rendendomi conto di essere da solo su quel letto da chissà quanto. Tutto profumava di Venus, ma lei non c'era.
    Alzai il capo, strinsi gli occhi, dando un'occhiata veloce attorno. Era mattina, la stanza era completamente illuminata dalla luce dell'esterno.
    Dedussi fosse in bagno, la porta era chiusa. Meglio, avrei approfittato per ricompormi un minimo.
    Mi misi seduto, poggiai la testa tra le mani, inevitabilmente le immagini fin troppo vivide del sogno tornarono a far capolino, rendendo lo sforzo vano. Ora che ci riflettevo…. Salazar, come avrei potuto fare finta di niente con Venus? Se si era svegliata prima di me, sicuramente si era accorta di tutto.
    In che razza di situazione mi ero ficcato. Se Sally avesse avuto solo il sentore di ciò mi avrebbe staccato la testa… e qualcos'altro.
    Optai per un caffè alla macchinetta in fondo al corridoio, mi avrebbe aiutato perlomeno a svegliarmi e magari dimenticare quel maledetto sogno.
    Lo sorseggiai amaro, gustandone il sapore sorso dopo sorso, mentre guardavo e salutavo gli altri Medimaghi di passaggio. Ormai ero di casa e li conoscevo tutti, solo che avevano dei nomi impronunciabili.
    Tornato in camera, constatai Venus non fosse ancora uscita dal bagno. Mi insospettii ed andai a bussare. Una, due, tre volte. Niente.

    "Venus? Venus sei lì?"

    Abbassai la maniglia, un pessimo presentimento adesso mi ostruiva la gola. La porta si aprii, cigolando.

    "Venus…?"

    Inorridito trovai la stanza vuota. Venus non c'era. Ma che…
    Non volevo realizzare la palese realtà dei fatti, mi guardai intorno cercando segni del suo passaggio lì dentro e… li trovai. Sullo specchio una scritta: continua a sognare.
    Cosa voleva dire? Perché diamine se ne era andata senza dirmi niente lasciandomi un messaggio del genere?
    Forse… forse era rimasta infastidita dalla mia presenza? Ma no, lei stessa mi aveva chiesto di restare e condividere il letto!
    Forse avevo fatto qualcosa nel sonno che le aveva dato noia? D'accordo, ma se così fosse stato… stavo solo dormendo, possibile non lo avesse capito?
    Appena la trovo gliele canto!
    Poi… dal riflesso dello specchio, notai la finestra aperta, lo sgabello proprio sotto di essa e compresi. Era scappata.
    Non c'era tempo per perdersi in congetture, mi fiondai in camera, presi la borsa mia e di Venus senza pensare nemmeno a cambiarmi.
    Uscendo nel corridoio urtai uno dei Guaritori che si era occupato del caso e ci aveva assicurato di firmare le dimissioni per quella mattina stessa.

    "Oh Dottore, lei è ancora qui? Pensavo fosse andato via con la Dottoressa."
    "Dov'è lei?"
    "L'hanno… l'hanno accompagnata circa un'ora fa nel locale di cui le avevo parlato ieri. Non… non lo sapeva?"


    Strinsi i denti, innervosito. Più ci pensavo, meno capivo perché si fosse comportata in quel modo. Fuggire come una ragazzina! Che senso aveva?
    Tagliando corto, chiesi una passaporta per raggiungere l'abitazione, la sera prima ci avevano assicurato l'avrebbero procurata ed in effetti si dimostrarono di parola.
    Il collega svedese, captando la mia tensione, evitò di fare altre domande e si prodigò a darmi una statuetta in legno a forma di renna, lo strumento che mi avrebbe portato immediatamente da Venus.
    Ebbi almeno la decenza di borbottare una specie di ringraziamento l'attimo prima di sparire sotto i suoi occhi per apparire, con un forte schiocco in quello che doveva essere il giardinetto adiacente al locale a noi assegnato.
    Non bussai, non mi annunciai in alcun modo, spalancai la porta, buttai le borse a terra e senza fermarmi mi guardai attorno alla ricerca della donna.
    Alla fine la trovai, in camera da letto. Portava i miei abiti, ma dato lo sconvolgimento emotivo in cui versavo non ci feci caso. C'era altro che mi premeva molto di più chiarire.

    "Eccoti qui!"

    Sospirai, poggiandomi allo stipite della porta provai, aldilà dell'agitazione, un forte sollievo.
    Stava bene, per grazia ricevuta stava bene e non le era accaduto nulla.
    Tempo di riprendermi pochi secondi, lo sguardo si indurí e la rabbia passò oltre a tutto il resto.

    "Si può sapere cosa ti è saltato in testa? Scappare in quel modo, senza dirmi niente…. Ma perché?? Che avevi intenzione di fare, eh?"

    Il tono della voce era abbastanza alto ed adirato da far comprendere a lei ed ai vicini, se ce li avevamo, che mi girassero altamente.
    Varcai la soglia della stanza e mi avvicinai alla Strega, zoppicante come mio solito.

    "Prima mi chiedi di restare e poi scappi via dalla finestra come un'adolescente senza cervello, ti rendi conto che mi hai fatto spaventare a morte?"

    No, forse non riusciva neppure ad immaginare quanto mi spaventasse l'idea di saperla sola, debole ed in pericolo.
    Le diedi le spalle e tornando indietro mi passai le mani tra i capelli. Soltanto pensare a cosa sarebbe potuto accadere se avesse avuto una crisi di qualsiasi tipo e non ci fosse stato nessuno vicino a lei mi metteva i brividi.
    Mi voltai ancora, fulminandola.

    "Cosa avresti fatto se ti fossi sentita male, qui da sola? Sentiamo, quale brillante idea hai deciso, tanto per cambiare, di non condividere con me?"

    Nelle nostre litigate, quel discorso usciva spesso. Lei mi rinfacciava di non essermi mai aperto veramente nell'esporre il mio sentire, io di fare sempre di testa sua, senza volermi coinvolgere nelle proprie intenzioni dietro la giustificazione che non avrei capito o non intendesse sorbaccarmi di inutili preoccupazioni. Quanto mi irritavo quando mi rispondeva così.
    Speravo stavolta si risparmiasse, non avrei retto senza dare di matto, ancora di più.

    "Ah Venus, mi farai impazzire!"

    Premetti pollice ed indice sulle meningi e chiusi gli occhi.
    Calma Walter. Calma. Lo sai bene che non è questo l'approccio giusto con lei.
    Però stavolta aveva davvero esagerato!
     
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    Assicuratevi di avere le mani pulite, prima di toccare il cuore di una persona.

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    Venus McDolan • 35 y. o. • Guaritore • PC
    Abbassai il catalizzatore appoggiandolo nuovamente sul comodino.
    Non potevo dirmi o mostrarmi sorpresa di vederlo piombare come una furia dentro quella piccola stanza. Immaginavo mi avrebbe trovata come immaginavo che si sarebbe arrabbiato.
    Forse era meglio, si sarebbe sentito meno in colpa in caso avesse preso la decisione di andarsene e inseguire il suo sogno. Lo avrei compreso e gli avevo servito l’occasione calda calda. Non lo avevo fatto per pura generosità, non volevo nemmeno provare a nascondermi dietro quel pretesto.
    Non reggevo, mi seccava sapere che pur essendo con me sognava di essere altrove con altre persone, persone che amava, chiunque fossero.
    Ora che ci guardavo meglio la stanza la stanza non era poi tanto grande. Fino a quando ero stata da sola non me ne ero accorta.
    La testa di Walter sfiorava il lato superiore della porta alla quale era appoggiato e la sua figura la occupava quasi
    completamente.
    Buongiorno anche a te. Hai dormito bene?
    Ultimo baluardo della difesa degli indifendibili era il sarcasmo. Arma a doppio taglio che, ne ero convinta, avrebbe procurato altri guai. Sapevo non averne molte a diposizione e capitava spesso di scegliere quelle sbagliate.
    Dove avrei dovuto essere se non lì. Avevo l’autonomia di un un motorino in riserva, la fuga mi aveva stancata e la fitta ogni tanto si faceva sentire ma non volevo si preoccupasse o mi commiserasse per cui non ci badai. Sollevai le maniche della sua camicia e cominciai a spalmare l’unguento intimamente felice che la sua presenza riempisse, forse ancora per poco, la casetta.
    Mi faceva fosse lì, anche se era arrabbiato. Questo non era onorevole ma umano ed io mi sentivo molto umana in quel momento, tanto umana da rispondergli con relativa calma.
    Dormivi così bene che non ho voluto svegliarti.
    E fin li forse potevo anche essermela cavata senza aver bisogno di scendere in dettagli che si sarebbero sicuramente ritorti contro di me. Pregai il suo Merlino e la mia Morgana che non andasse ad indagare oltre ma ovviamente i due dovevano avere altro da fare che stare ad accogliere le mie intercessioni.
    La voce si alzò di parecchi decibel e quello che uscì dalla sua bocca era la sconcertante verità.
    Gli avevo chiesto io di rimanere con me per poi fuggire come una adolescente, una vigliacca adolescente che non era stata in grado di reggere il suo sogno.
    Non mi era nemmeno passato per la mente che avevo potuto interpretarlo in maniera errata, ero certa di quello che avevo sentito premermi contro, un po’ meno certa delle parole farfugliate che avevo udito ma come confessargli quanto e come mi avevano turbata, infastidita. Come spiegargli una cosa che somigliava molto alla gelosia quando sapevo benissimo di non aver nessun diritto di provarne. Come spiegargli che mi ero sentita di peso dopo che lui era rimasto accanto a me per giorni a curarmi ed assistermi. Come spiegargli questi non trascurabili particolari senza ammettere tutte le mie contraddizioni mentre la sua espressione adirata mostrava tutta la preoccupazione che provava?
    Nella maniera più sbagliata ovviamente. Passando dalla gattaiola piuttosto che dalla porta.
    Non sono proprio scappata. Ti ho preceduto. Mi mancava l’aria in ospedale e tu…dormivi.
    Fuori il cielo era appena velato ma dentro tuonava.
    Gli occhi di Walter erano saette che precedevano e seguivano il rombo della sua voce che si alzava di livello ad ogni frase che mi rivolgeva. Mi sentivo piccola e stupida e tale dovevo apparirgli.
    Cosa avresti fatto se ti fossi sentita male, qui da sola? Sentiamo, quale brillante idea hai deciso, tanto per cambiare, di non condividere con me?"
    Il braccio sinistro era già impomatato, il destro avrebbe dovuto attendere un altro po’. Rimisi a posto la manica e mi alzai in piedi sapendo bene di trovarmi non solo dalla parte del torto ma anche da quella più debole visto il mio stato ancora parecchio precario ma non potevo affrontarlo seduta se lui era in piedi.
    Avrei voluto continuare a fare la vigliacca e tenere gli occhi bassi e invece decisi di fare quello che, alla fine, facevo sempre ed avevo sempre fatto con lui.
    Diceva il vero riferendosi al fatto che il mio cervello non funzionava a dovere. Purtroppo subiva l’influenza del cuore, del sentire ed ascoltare fin nei dettagli le sensazioni, sbagliate o giuste che fossero. Quell’atteggiamento, il mio, senza una verità soggettiva che lo sorreggesse in passato aveva dato adito a fraintendimenti che avevano portato a non poche liti, anche per motivi più futili di quelli che stavamo affrontando.
    Le abitudini erano dure a morire quando venivano sollecitate dalla frustrazione di sentirsi sbagliati e in torto marcio per cui se fino ad allora il Mago era stato il solo a gridare ora eravamo in due, come ai bei vecchi tempi.
    In due a passeggiare per la stanza, in due a guardarci torvo. In due. Sempre solo noi due, più vecchi ma sempre gli stessi in certi frangenti.
    Non lo so, non ci ho pensato e non voglio pensarci so solo che ..si…è vero. Non ho voluto condividere qualcosa con te ma non si tratta di una MIA IDEA.
    All’inferno i buoni propositi di voler essere generosa a tutti i costi. Troppo spesso il mio voler essere generosa aveva creato più danni di un erumpet appena evitato senza anestesia che caricava un vetrina di cristallo.
    Mi fermai di botto quando mi disse che lo facevo impazzire.
    Benvenuto nel Club, sono socia onoraria. Ingresso gratuito e bevute senza limiti.
    Avevo girato solo il capo per guardarlo e lo vidi, ad occhi chiusi, premersi le meningi.
    Brutto segno. Era al limite della sopportazione ed io ero troppo debole per continuare ad inveire. Non ce la facevo a vederlo così, non ce la facevo a continuare.
    Uscii dalla stanza con l’intenzione di andare a prendere un bicchiere d’acqua, Passando dal salottino l’occhio corse alla sua borsa da viaggio. Mi fermai di scatto. Se la vista non giocava brutti scherzi era la miniatura di una renna quella che era appoggiata sul borsone.
    Non ci potevo credere eppure dovevo perché era esattamente una renna.
    Col fiato corto, ancora arrossata in viso i miei occhi scintillarono di gioia. Avevo trovato il capro espiatorio su cui sfogare le ultime energie che mi erano rimaste. Sapevo fosse infantile, sapevo anche fosse stupido ma provavo l’insano desiderio di estinguerla. La presi fra indice e pollice e la appoggiai sul bordo del camino, feci appello non verbale alla bacchetta che la puntai sull’ inerme e non colpevole oggetto con cattiveria.
    Incendio
    Rimasi a guardarla bruciare; il fuoco pareva calmasse, almeno in parte, il mio animo, il mio respiro e il mio cuore in affanno.
    Walter, comprensibilmente preoccupato che mi fossi bevuta anche l’ultima goccia di cervello mi raggiunse.
    Era evidentemente preoccupato, forse più per la mia salute mentale che per quella fisica a quel punto. Prima di dargli motivo di continuare la sua ramanzina chiedendomi conto del suo gesto pensai fosse necessario, per la salute di entrambi, decidermi a spiegargli perché ero fuggita senza avvisarlo.
    Sperai che attendesse un attimo prima di appendermi al muro. Avevo davvero bisogno di un po’ d’acqua.
    Andai a prenderla, a piedi ancora scalzi e con suoi pantaloni che mi scendevano dai fianchi. La trovai in frigo, accanto ad una bottiglia di vino elfico che era sfuggita alla prima ispezione. Versai l’acqua in un bicchiere per me e il vino in un altro per lui.
    Tornando in salotto tesi il bicchiere col vino a lui e bevvi un paio di sorsi dal mio.
    La gola, ma solo quella, ne trasse beneficio. Eravamo davanti al camino, l’ex renna, ridotta in cenere, fumava ancora.
    Ero un po’ meno tesa ma affatto tranquilla nell’esporre il mio sentire.
    Hai ragione. Non avrei dovuto. Scusami. E’ stato più forte di me. Non ho saputo resistere e non per via dell’ospedale. Hai sognato stanotte, stamattina presto in verità. Ti ho sentito. In tutti i sensi. Farfugliavi e …ti muovevi. Mi sono sentita di troppo.
    La dannata fitta si fece sentire nuovamente facendomi storcere la bocca. Dovevo tenere duro, non appena detto quello che dovevo dire mi sarei seduta e sarebbe passata. Respirai profondamente per ricominciare da dove avevo lasciato e la mia voce cambiò di tono. Abbassando il volume divenne seria ma non c’era più traccia di irritazione nel dire.
    Gli occhi bassi fissavano il pavimento in legno lucido, la mano a stento reggeva il peso del bicchiere.
    Tornerò in ospedale se ti fa stare più tranquillo, chiamerò casa, chiederò a lui di venire ad occuparsi di me. Capisco tu abbia il desiderio di …tornare al tuo sogno. Non devi rimanere per senso del dovere. Starò bene, non devi preoccuparti.
    Era tutto vero quello che stavo dicendo ma non era quello che volevo, non era quello che desideravo, non era quello che il mio cuore mi suggeriva di dire. Ci stavo provando a fare la ragionevole, non mi era mai riuscito molto bene.
    Le labbra dicevano la verità della ragione. Gli occhi, alzandosi a cercare il suo sguardo, esprimevano quella del cuore.
    Stavano parlando insieme affidandosi alla sensibilità del Mago che forse avrebbe potuto udire chi gridava più forte.


    Parlato


    Edited by venus - 18/7/2021, 00:17
     
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