Posts written by freckle`

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    Benvenuti!
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    Benvenuti ad entrambi! ☺️
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    Welcome <3
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    Lo guardo confuso, interdetto, incapace di rispondere. La sua domanda mi coglie di sorpresa. A me sta bene? E’ un interrogativo che nessuno mi hai mai posto nel corso dei grandi cambiamenti che hanno sconvolto la mia vita. Mi sono ritrovato costretto a seguire la marea senza avere la possibilità di oppormi. Costretto a vivere un trauma sulla mia pelle, costretto ad un trasloco, ad una nuova scuola, ad una nuova vita, a partenze, ad addii, a nuovi arrivi. Mi è sempre stata tolta la possibilità di scegliere. Mi chiedo se questo non abbia influito sulla mia pessima capacità di giudizio. Sulla mia impossibilità ad allontanare il peggio quando avanzava con prepotenza nella mia vita vestito di amicizie che hanno approfittato della mia ingenuità. Sulla mia impossibilità ad evitarmi il degrado in cui sono finito a crogiolarmi.
    Faccio spallucce evitando di rispondere, seguendo piuttosto il suo discorso. “Perché tu lo sei.” Per me lo è sempre stato. Una figura presente, integra. Non importa ciò che si è celato dietro il nostro rapporto, o gli screzi che hanno rischiato di rovinarci. Jonas ha tenuto fede alla sua promessa di non sparire ed è rimasto. E’ l’unico che l’ha sempre fatto.
    Rido alle sue parole, smorzando la tensione provata. Non sono del tutto d’accordo con ciò che dice. Sapere che anche gli altri abbiano dei lati negativi non mi fa sentire migliore. In qualche modo sono troppo egocentrico per poter badare agli altri in tal senso. Troppo incentrato sul mio male per rivolgere lo sguardo a quello altrui. “Non voglio rovinarle questa cosa. Credo ne abbia bisogno.” Sono convinto sia così. Immagino abbia a che fare con Bachskov ed il non essere riuscita a vedere prima che razza di mostro fosse. Non posso immaginare il modo in cui si sia sentita, nè quindi mi va di giudicarla o smorzare i suoi tentativi di rivincita.
    Piego le labbre, tormentandomi una guancia con i denti prima di riuscire a parlare di nuovo. “L'uomo con cui è cresciuta, nostro padre, ha abusato di nostra madre che ha poi partorito noi.” Una rivelazione che gli ho taciuto, quella su mio padre. A volte provo a dimenticarmene. Essere un mostro, figlio di un diavolo. E’ una realtà a cui provo a scappare da tutta la vita. Dal proprio DNA però non si può scappare. “Ho scoperto di tutto questo solo qualche anno fa, ma conoscevo mia madre. Lei era, assente e quando non lo era, era orribile. Però era lei.” Aggiungo poco dopo, indirizzando lo sguardo verso di lui. Uno sguardo pacato che appare inconsapevolmente lucido. Parlare di Theresa smuove tasselli che mi impegno a tener fermi. Rievoca dolori che credevo dimenticati. “Daphne è cresciuta con una persona che non ha mai conosciuto invece. Quando ha scoperto chi era, le è caduto il mondo addosso. Lui l'ha cacciata di casa e ora che Daphne ha messo su l'associazione probabilmente vorrà farci fuori. Ci ha già provato. Un’altra rivelazione che aggiungo quasi come se non avesse importanza. Perchè più di ogni cosa, persino più della mia incapacità di sentirmi accettato, c’è questo: la consapevolezza di essere in pericolo. E non è per me che sono preoccupato. La morte non mi spaventa. E’ il dolore che potrebbe conseguirne che mi rende inquieto. Attribuisco anche all’ansia provata, il mio desiderio incontenibile di stasi, la necessità di mettere a tacere la paranoia che mi consuma. In questo, i miei eccessi chimici mi aiutano. Lo fanno le droghe quanto il sesso. “Dirle che mi sento tirato fuori perché inadeguato mi farebbe sentire solo cattivo ed egoista ed io non voglio esserlo.”



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    Ciao e benvenuta :)
    Rispondo in ordine alle tue domande.
    Attualmente non ci sono lezioni, solitamente ne vengono fatte comunque poche durante l'anno. Puoi cominciare dall'anno che preferisci :) puoi già muovere il pg all'interno della scuola come se avesse già frequentato. È possibile avere più account. Per quanto riguarda gli eventi ti consiglio di leggere questa discussione oltre la storia del forum.
    Per altre domande non esitare a scrivermi 🥰
    Ancora benvenuta ♥️
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    Lo guardo con un’espressione bonaria prima di chinare lo sguardo e scuotere il capo. “Lo sai che non era uno sbaglio. Non era come non vedere qualcuno ed urtarlo, era una cosa diversa.” Era una cosa da pazzi. La comprendo la sua tendenza a coprire i miei sbagli, a renderli meno ostici, più semplici da sopportare. E’ esattamente quel che farei al suo posto ma certe volte comportarsi così è deleterio. Fingere la realtà non sia quella che abbiamo davanti, non può essere utile. Non lo è mai. Si finisce solo per alienarsi. Ci si ritrova in un mondo fittizio e prima o poi ci si schianta contro la dura superficie della verità. Non aiuta nessuno.
    La sua domanda e la confusione che ne deriva, mi fa sentire un coglione. Essermi lasciato scivolare notizie che avrei forse dovuto tenere per me, rientra tra le cose di cui non vado fiero e che vorrei non mi appartenessero. Fare un passo indietro però è a questo punto impossibile. Quel che posso fare è semplicemente parlare. Essere sincero. Chissà che non riesca comunque a trovarne giovamento.
    Prendo un bel respiro, grattando la nuca mentre riorganizzo i miei pensieri. “Daphne ha fondato un’associazione per le vittime di violenze.” Comincio a spiegargli, grattando un sopracciglio. “Ha il nome di mia, nostra madre.” Gli lancio uno sguardo eloquente. Non siamo mai andati nel dettaglio di questa storia. Quel che Jonas conosce è un accenno di tutta la verità. Dopotutto quella parte di storia, tendo a celarla anche a me. A volte vorrei semplicemente dimenticarmene. “Ha chiesto a me di farne parte. E a Bram.” Continuo poco dopo, annuendo. “So che non dovrei esserne geloso. E’ il suo migliore amico, era chiaro che lo facesse. Probabilmente anche io ti vorrei al mio fianco in una crociata simile.” Ed ha senso. Se fossi motivato a costruire qualcosa che per me è importante, vorrei al mio fianco tutte le persone di cui mi fido. Tutte quelle persone su cui saprei di poter contare. Ecco perchè continuo a sentirmi decisamente fuori luogo per lei. Come posso essere io, Jerome Morrow con la sua malattia, la persona più adatta ad un ruolo come questo? “E’ che non riesco a non pensare che in fondo l’abbia fatto perchè sa che sono inaffidabile.” Mi confido poco dopo, tirando su lo sguardo colpevole ed affranto verso di lui. “E nessuno dei due ha fatto nulla perchè io mi sentissi così eh ma mi sento inutile. Loro sembrano sempre sapere cosa fare, cosa dire e come muoversi. Io invece cosa so fare?”

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    Mi fermo, assecondando le sue parole. Mi reggo a lui per riuscire a mantenere l'equilibrio perso e lo stesso lui fa con me. La cosa mi strappa un sorriso. È sorprendente quanto, in qualsiasi contesto della nostra esistenza, ci rifugiamo nel tocco reciproco, nel sostegno senza cui vivere sarebbe un bel po' più complicato. Tutto questo, la nostra complicità, mi era mancata.
    Ascolto ciò che ha da dirmi. Conoscevo già della sfuriata di Daphne in caffetteria, se n'è parlato per giorni nei corridoi delle torri al Campus, e sebbene intristito e mortificato da ciò che Jonas ha dovuto subire, non me ne sento del tutto sorpreso.
    “Sembra una cosa da lei.” Affermo infine con un sorriso in parte colpevole, come se avessi potuto fare qualcosa, in parte rassegnato. In quel periodo, ero troppo preso da me stesso per riuscire ad essere un bravo amico o anche solo una brava persona.
    Gli sorrido, in risposta al suo.
    “Anche io.” Chiarisco ciò che per mesi deve essergli sembrata una bugia. Mi fido di lui. Molte volte ho peccato di ingenuità nei rapporti, ma sono sicuro e sincero quando affermo che è attualmente l'unico amico che sento di avere. Il mio porto sicuro.
    Eppure non riesco a liberarmi del tarlo che tormenta i miei pensieri. Ed è per onor di sincerità che mi spingo a continuare.
    “Ti fideresti di me anche per cose importanti?” Gli chiedo quindi, guardandolo serio.
    “Intendo, tipo... non so, se dovessi affidarmi qualcosa di burocratico, o magari economico. Qualcosa di adulto.” Qualcosa di impegnativo insomma che richieda una mente stabile, una persona responsabile ventiquattro ore al giorno. “Sapendo come sono, quello che posso diventare e quello che ho fatto, ti affideresti comunque a me?” È una cosa che mi sono sempre chiesto. Per chi mi conosce e sa i miei limiti, è facile affidarsi a me? O sarò sempre il ragazzo un po' fuori di testa da tenere lontano in determinati settori? Da affiancare per evitare che il suo peggio rovini ogni cosa. “Puoi essere sincero, non mi offendo. Ho solo bisogno di capire cos'è che pensa di me il resto del mondo. Sono un buon amico secondo quel che dici, ma sono anche una persona affidabile? E una persona affidabile drogherebbe il ragazzo del suo amico? O provocherebbe alla persona a cui vuole bene una crisi d'astinenza buttando via le sue medicine?” Lo rendo testimone del vortice di pensieri che mi assilla, cercando in lui un punto di vista diverso dal mio. Forse spero solo in un diniego. In qualcuno che metta a tacere le mie paranoie. Ed in ogni caso so che non servirebbe. “Sono un coglione. Me la prendo tanto per tutta questa storia dell'associazione, ma sono il primo che non si fida di se stesso.”

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    “Beh, si sa che tu hai gusti opinabili.” Lo prendo un po' in giro, sminuendo in parte il suo commento. Non è così. Non credo abbia gusti pessimi, di sicuro però la sua visione delle cose pare distorcersi quando il suo sguardo è rivolto verso di me. Io almeno non sono mai riuscito a vedermi nel modo candido in cui riesce a fare lui. Di recente poi, la mia immagine si è distorta del tutto. Il mio riflesso allo specchio, appare opaco. Sudicio. Come un elastico tirato troppo e troppo a lungo, mi sento sfibrato. Tornare alla mia lunghezza iniziale, appare impossibile.
    “Uhm. Chissà.” Faccio spallucce, storcendo il muso. In silenzio mi limito a seguirlo, tenendogli la mano ed adeguandomi al suo passo. Non lo faccio da mesi, adeguarmi agli altri. Ho dato ascolto solo a me stesso e ad i miei istinti, spingendo il piede sull'acceleratore quando il silenzio assordante dei miei pensieri cominciava ad opprimermi. Stavolta è a lui che mi affido e dovrei festeggiare per questo perchè, anche se tra le mani di tutti, nessuno è mai riuscito a stringermi. Jonas invece riesce a toccarmi. Il calore che ne deriva, scioglie le mie difese.
    “Nessuno.” Scuoto il capo, avanzando ancora di un passo sul ghiaccio spesso. E per un attimo fermo, mi perdo a guardare la superficie sotto i nostri piedi. Le bolle ghiacciate che creano giochi simmetrici, il blu nelle sue infinite sfumature. “No, davvero. Credo siano solo mie sensazioni.” Aggiungo poco dopo, provando a dissimulare per non creare inutili preoccupazioni. L'ho fatto di continuo in questi mesi. Ho dissimulato, nascosto il mio fastidio, il mio malessere. Volevo che qualcuno si occupasse di me, ma sentivo di non meritarmelo. Ho ricercato le attenzioni di cui necessitavo in anfratti angusti e non ne ho ricavato nulla se non disgusto e disprezzo verso me stesso, a volte comunque troppo offuscato da agenti chimici per essermi palese. “Lo sai, sono pazzo. La mia realtà è sempre diversa da quella del mondo reale.” Scherzo sulla mia condizione, con una nota amara. Ho sempre avuto la convinzione di vedere il mondo come da uno specchio. Quando lo attraverso, non mi ritrovo però nel paese delle meraviglie, ma nel disastro che ho creato e che ho finto di ignorare. Ed ora mi ritrovo di nuovo nel mio caotico mondo, circondato da demoni che vogliono spingermi sotto la lastra di ghiaccio sulla quale camminiamo. Mi ci impegno per lasciarmi andare. Per aprir bocca e gridare l'aiuto di cui necessito piuttosto che farmi affogare. “Mi sento come quella maglia vecchia che hai nell'armadio da secoli e che non metti mai. La tieni lì nel mucchio per guardarla e dirti che dopotutto non sei così sprovvisto di vestiti, ma in fondo sai che di lei non ti interessa, né la indosserai mai. Non so, magari perchè di lei non ti fidi. Potrebbe metterti in imbarazzo a causa di un buco che non avevi visto ma che sai esserci.” L'esempio che gli riporto, è apparentemente futile. Infantile. Utilizzare metafore piuttosto che eventi certi, mi aiuta a chiarire quel che a parole non riuscirei ad esporre e ad essere più dettagliato di quanto non sarei se usassi solo la verità. Al contempo, mi allontana dalla realtà. Mi aiuta, in qualche modo, a vederla da una prospettiva esterna. A volte questo la migliora, altre volte invece è solo il contrario. “E poi hai quella maglia che le somiglia, ma che è nuova, priva di buchi e ti calza a pennello. Quindi, è lei che indossi, così che tutti possano vederla su di te e dirti che sei davvero fortunato ad averla.” Aggiungo poco dopo, concludendo il mio esempio bislacco. Forse crederà soltanto che io stia farneticando. Magari è così. “Se fossi meno me e più Bram ad esempio, tutti si fiderebbero. Persino tu l'hai preferito.” E mi lascio andare, esponendo un cruccio che continua a tormentarmi da quando Daphne ha parlato ad entrambi di qualcosa che credevo sarebbe stata solo nostra e che fino a qualche anno, credevo sarebbe stata sempre e soltanto mia. In parte continuo a crederlo. Espormi però, mi fa sentire stupido e sbagliato. A disagio, avvampo, alzando lo sguardo su di lui e scuotendo il capo. “Scusami. Scusami, davvero, non dovevo dirlo.” Rilascio la sua presa e provo a tornare indietro. È sempre così che succede: quando qualcuno mi dà la mano, io lo trascino verso il basso. Non dovrei stupirmi se gli altri non è me che scelgono.

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    “Ohw. Ma che carino. Parli già come un signore attempato.” Lo prendo in giro, rifilandogli una leggera gomitata. Adeguarsi ad un equilibrio come questo, mi fa bene. Per un po' mi sembra di dimenticarmi della cupezza in cui mi sentivo immerso nella quotidianità caotica della vita accademica. Qui, solo con lui, sotto il cielo limpido di un paesaggio che sembra quasi dipinto, mi sembra di tornare pulito. L'idea di ritornare a Londra e rivivere i miei angoli bui, mi angoscia. Mi impongo di non pensarci e di lasciarmi andare a questa parentesi di serenità, con lui. Ne ha bisogno. Ne abbiamo bisogno entrambi.
    Lo guardo sorpreso, aggrottando le sopracciglia quando mi chiede di osare. Non ho problemi a farlo. Vedere lui libero dagli schemi rigidi in cui si imprigionava, mi strappa però un sorriso.
    “Sicuro? Dopo il pranzo di tua madre ho assunto il peso specifico del piombo.” Gli chiedo, prima di dargli la mano e azzardare un passo. Farlo mi libera della pesantezza del quotidiano. Mi riporta a momenti di una vita fa, all'ingenuità di quel ragazzo che sembra non esistere più.
    Mi prendo qualche attimo prima di rispondere alla sua domanda. Soltanto dopo qualche passo, fermo, mi decido a parlare. “Non lo so come sto. Non me lo chiedo più tanto spesso.” Non lo guardo. Mi limito a fare spallucce mentre gli confesso il mio problema più grande: l'incertezza. Da quando la mia vita è cambiata, mi è sembrato di non riuscire più a trovare stabilità. Ho trovato appiglio nel caos osceno del Fairy Tale, ma questo non mi ha fatto sentire meglio. Allevia soltanto il mio dolore, offuscandolo con luci stroboscopiche e scariche d'adrenalina.
    Gratto un sopracciglio, prima di alzare il capo per incontrare il suo sguardo. “Non ho superato l'esame di Erbologia applicata. E sì, era la seconda volta che lo provavo.” Gli spiego, afflitto. Non c'è assolutamente nulla di sbagliato in un esame saltato, sbagliato. Non riesco però a prenderla nel modo corretto. Il peso che do a quest'esame è eccessivo. “E' colpa mia, chiaramente. Avrei dovuto studiare di più. Lavorare e dormire di meno.” Non è solo l'esame a pesarmi, o l'aver fallito nell'unico impegno che mi ero prefissato. È la consapevolezza inconscia ed involontaria, di essere rappresentato dal voto del mio esame. Così la mia realtà muta da ho fallito l'esame a sono un fallito. “E poi mi chiedo se cambierebbe davvero qualcosa se, da domani per esempio, decidessi di impegnarmi di più. Di smettere con quello che sono diventato.” Scuoto appena il capo, lasciandomi andare ad un fiume di parole che solitamente tengo per me. A considerazioni che in questi anni non sono più riuscito a fare. Mi sono nascosto dietro mille e più maschere e a cosa è servito se mi sento di nuovo così perso? “Forse non servirebbe a nulla comunque.” Arreso e senza speranze. “Insomma, non dovrei stupirmi se le persone a cui tengo continuino a preferire altri a me. Pure io preferirei altri a me. Non sono affidabile né capace.” E mi lascio andare a pensieri divaganti di verità di cui non gli ho parlato, né ho confidato ad altri. Lo faccio senza volerlo. “Sono solo un casino.”

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    Avere di nuovo Jonas in stanza, mi riporta ad equilibri che credevo persi. Molte delle dinamiche tra noi sono cambiate, e se questo all'inizio mi preoccupava, mano a mano mi quieta. Tra i vari cambiamenti che si sono succeduti tra noi ed in noi, ciò che proprio non è mutato è il rispetto reciproco ed il desiderio costante di prendersi vicendevolmente cura l'uno dell'altro. Non abbiamo più parlato di quello che è successo. Dei miei limiti infranti o delle sue cicatrici. Non abbiamo dimenticato chi si cela dietro i nostri rispettivi volti ma abbiamo capito di dover darci tempo, darci spazio. In qualche modo le cose funzionano. E quando la realtà è diventata pesante a causa di ultimi avvenimenti di cui non abbiamo parlato ma che ha evidentemente ed in modo reciproco scosso entrambi, andare via insieme è sembrata l'unica alternativa. Jonas ci ha concesso una pausa dalla vita all'interno del Campus e dai problemi che rispettivamente ci angosciano, ed io non posso fare a meno di essergliene grato. Respirare aria nuova, sembra purificarmi e distendere i nervi rimasti contratti. La sua famiglia, sua madre almeno, mi concede quel tipo d'amore di cui sono sempre stato privo e questo mi riscalda il cuore. Come se fossimo bambini, ci lasciamo cullare da quell'atmosfera calda e da azioni leggere, concedendoci una pedalata tra i luoghi in cui Jonas è cresciuto.
    “Stai tranquillo. Ricordo ancora come si pedala.” Lo prendo in giro, affiancandolo per poter indirizzare un colpo scherzoso al suo fianco.
    “Direi lago.” Giro verso destra, voltandomi a guardarlo per assicurarmi mi stia seguendo. Inspiro l'aria fredda a pieni polmoni. Le temperature sono quasi glaciali ma rinvigorenti.
    Quando poco tempo arriviamo al lato, la lunga distesa d'acqua appare ghiacciata. Mi ricorda Durmstrang ed in qualche modo questo suscita una nota malinconica in me. Salto giù dalla bici, accantonandola contro un albero prima di raggiungere la riva. “Ci saltiamo su?” Gli chiedo fingendo di prendere la rincorsa verso il lago, prima di fermarmi ed alzare le mani. “Scherzo, scherzo.” Rido per un attimo, sedendomi poi su uno dei massi posizionati sulla riva. Sfrego le mani l'un l'altra, concedendomi uno sguardo approfondito sulla bellezza della natura che ci circonda.
    “Sei stato fortunato a crescere qui. In Texas c'erano principalmente rocce e deserti. O deserti rocciosi.” Piego appena il capo, parlando di una realtà così lontana che sembra quasi finta. Mi avrà di parlare quasi della vita di un altro. “E comunque non è che avessi molto modo di girovagare.” Aggiungo poco dopo in modo quasi involontario. Mi pento persino di averlo detto. Non voglio rovinare il nostro momento di pace, macchiandolo con vecchie e nuove tristezze. Ultimamente però, mi sembra di non riuscire a smettere di pensare a lei. Per anni ho finto di dimenricarmene. Mi sono impegnato a fingere di rimuovere lei dalla mia mente, l'idea di un padre che non ho mai avuto e la verità biologica che mi opprime. Gli ultimi avvenimenti sembrano impormi il contrario. Il nome di mia madre continua a venirmi spiattellato in faccia, in modo che non comprendo e qualche volta non tollero. Quello di mio padre, si staglia come una nube scura su ogni possibilità di serenità. Credevo questo posto, la lontananza da tutti quei fattori che mi opprimono, avrebbe aiutato a purificarmi. Mi libero di quel peso con un respiro profondo e mi concedo di riprovarci. Mi volto così a guardarlo, sorridendogli. “Come stai? Oggi non te l'ho chiesto.” Un'abitudine che ho preso da quando quella cicatrice si è stretta sul suo collo. Il desiderio di prevenire un'ulteriore dramma. Di sentirmi utile.

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    Bentornata ♥️
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    Benvenuta tra noi ♥️
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    Benvenuto ♥️
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    Vederli parlare, discutere, mettersi in gioco e prepararsi al futuro mi fa sentire come se fossi nel posto sbagliato. È anche una mia guerra, l'ho vissuta quasi sulla mia pelle ma non riesco a sentirmi all'altezza delle loro aspettative. Di quelle di Daphne. Il mio problema è che non riesco mai a sentirmi all'altezza di nessuno. Continuo a vedermi al di sotto delle aspettative di chiunque, ed ancor peggio, delle mie. Esser tirato in mezzo in un progetto così grande, mi spinge a dover fare i conti con quello che sono, quello che volevo essere ed in quello che non sono più capace nemmeno di sperare. Vederli così fieri ed orgogliosi di un'idea meravigliosa che prende forma, non mi motiva a mia volta, ma mi fa sentire piccolo. Escluso, non da loro, ma dalla mia incapacità di mettermi in gioco. “Forse è il mio nome che dovresti oscurare allora.” Lo dico con ironia ma nascondo nelle mie parole una reale intenzione. Non è per timore delle conseguenze che propongo una simile alternativa, quanto per la considerazione, reale, di non valere abbastanza per poter essere implicato in un progetto così ampio. Che merito ho dopotutto? Ho lasciato morire mia madre per colpa di un tormento di cui, in fondo, ero fautore. Far parte di un'associazione con il suo nome, non laverà il sangue che il coltello sulla sua gola, ha schizzato via fin sopra la mia anima.
    Sospiro, grattando un sopracciglio. Avere a che fare con le conseguenze di Bachskov, sarà un dramma che ci porteremo avanti per anni. “Agirà per vie trasverse, questo è certo.” Sono certo però del fatto che non sarà diretto. Non attaccherà l'associazione, o noi. Cercherà altro. Dopotutto non c'è niente che possa ricondurlo a Theresa. Se ci fosse stato anche il più minimo sospetto che i due fossero in qualche modo congiunti, forse sarebbe stato più facile per Nick trovare qualcosa a cui aggrapparsi per poter agire. “Dovresti avvertire Nick. Posso mandargli un gufo. Sono sicuro vorrebbe saperlo.” Annuisco. Sono certo che darà il suo contributo economico e morale, dopo essere esploso in una serie di reazioni spropositate circa la pericolosità di un atto simile. Immagino però sarà in qualche modo orgoglioso d'avere finalmente qualcuno su cui fare affidamento. Io sono inutile anche in quello. Sbuffo sonoramente, tirandomi in piedi. Ho bisogno di prendermi una pausa e di respirare. “Beh, ci siamo detti tutto, credo. Quiiiindi... quando iniziamo?”

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    “Sì. Potrebbe essere un'idea funzionale.” Rimugino su quella possibilità, facendo spallucce. Più dei soldi, che sono necessari al funzionamento di una struttura così ben organizzata, bisogna lanciare l'idea. Dare a tutti la sicurezza di avere un appiglio quando il dramma diventa soffocante. Quando sembra non esserci alcuna via d'uscita.
    Storco il muso in silenzio, lasciando che sia Daphne a parlare per entrambi. Avrei giurato Bram fosse a conoscenza di tutto visto il tipo di legame che mostra di avere con lei, ma non sono stupito più di tanto nel capire non sia così. Nemmeno io l'ho mai detto a nessuno. Solo Ioan conosceva questo particolare ed ora l'ha dimenticato.
    Gratto un sopracciglio, distogliendo lo sguardo. Non è facile parlare di ciò. Non me ne sento degno. Ho vissuto per anni il suo dolore senza capirlo. Ho dato la colpa dei suoi comportamenti alla sua malattia e ho ignorato ogni suo tentativo di annunciarci la verità. Non mi sento migliore di Soren. Sono solo un altro degli uomini che l'hanno schiacciata. “Mia madre... Nostra madre era bipolare.” Spiego al Dubois. Non è una spiegazione dovuta, nessuno me l'ha chiesta, ma se deve far parte di questo progetto è giusto conosca qualche dettaglio in più. È giusto sappia quanto complicata sia la faccenda in cui siamo immersi ed in cui, sebbene in modo indiretto, sta decidendo di infilarsi anche lui. “Dopo lo stupro la sua mente si è accartocciata. Ha passato la sua vita a letto e quando era più in sé riversava su di me la sua angoscia.” Aggiungo poco dopo, scuotendo il capo mentre stringo le labbra. “L'ha distrutta.” Una sommessa rivelazione, colma di tristezza e rammarico. Di senso di colpa da cui, ancora adesso, mi sento sopraffatto. “E non è l'unica donna che ha distrutto. Ma è un giudice e puoi immaginare com'è che funzioni.” I soldi possono modificare ogni realtà. Plasmarla a proprio piacimento. Così Soren si è comprato la sua immunità e nessuno mai oserebbe accusarlo.
    Capisco l'intento di Daphne. Non avere mezzi legali con cui attaccarlo deve essere estenuante per lei che crede così fermamente nella giustizia. Questo è di sicuro un progetto in cui crede, ma è anche un modo di attaccare Soren e non l'ha negato.
    Sospiro, mordendo il labbro inferiore mentre rimugino. È d'improvviso che un'idea illumina la mia mente. “Potremmo fare una raccolta fondi in anonimato.”

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