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  1. #oxymoron
     
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    Prevedibile la bomba che di qui a breve esploderà. La violenza che ne scaturisce, mi investe in pieno, in pugni che non posso evitare ma a cui rispondo con altrettanta tenacia. Saremmo pur cresciuti in due famiglie diverse, ma immagino che il DNA parli da sè: della violenza abbiamo bisogno. Non sappiamo esprimerci diversamente. E quando soffriamo, quando il dolore diventa troppo grande da poter sopportare, abbiamo necessità di dargli una motivazione o di soffocarlo. Momenti come questi, aiutano a mascherare la sofferenza emotiva. Patire il dolore di una scarica di pugni dopotutto è ben più semplice che sopportare una immotivata sofferenza emotiva.
    Reagisco colpendolo a mia volta. Lo faccio fin quando un colpo più forte degli altri, non mi strappa un urlo. Porto una mano alle costole, ansimando. Lo spingo via con ferocia, chinandomi appena in avanti. “Sta fermo, cazzo.” Dopotutto se mi uccide, non conoscerà nulla della sua storia. Sputo del sangue sul pavimento, poggiando la schiena contro la parete. Fingo una resa per il dolore. Poi, inaspettato, mi muovo verso di lui. La mano contro il suo collo nel tentativo di rendergli pan per focaccia. “I miei non c’entrano niente in questa storia.” L’idea è di spingerlo verso le sbarre alle sue spalle, così da limitare i suoi movimenti e poterlo colpire ancora lì dove lui ha ferito me. “Se le cose fossero andate come chi di dovere le aveva progettate, forse ci sarei io al tuo posto. O mio fratello.” Lo colpisco ancora mentre la presa al suo collo si fa più dura. A volte tenere a bada il demone che ho dentro diventa difficile. La violenza richiama violenza in un circolo vizioso che non ha fine. “Quello che è successo alla tua famiglia, è stato un errore del cazzo. Gli obiettivi eravamo noi.” Spingo la sua testa contro le sbarre, prima di lasciarlo andare.
    Mi sbrigo a porre la giusta distanza tra noi, e non è un caso che mi avvicini di nuovo alla ragazza.
    I colpi che sto per infliggergli necessitano d’attenzione. Se il timore io possa far del male all’altra lo spingerà a darsi una calmata, ben venga. E’ per questo che la riafferro tra le braccia. Lei mugola ma sembra apparentemente ancora priva di sensi. “Non ti è mai sembrato strano che un uomo come Chesterfield si prendesse a cuore una storia come la tua? Un bambino come te? Dovevi essere davvero importante per attirare la sua attenzione. Lui si avvicina solo a ciò che luccica come una fottuta cornacchia.” Comincio a spiegargli, cercando il suo sguardo. Non mi importa ciò che accadrà di qui a breve o quali saranno le conseguenze delle mie rivelazioni. Mason non è il solo ad aver atteso a lungo questo momento. Non è il solo a desiderare vendetta.
    “Voglio dire… cosa avevi di speciale?” Gli chiedo piegando il capo. Una domanda che cerca di instillare in lui il dubbio ci sia qualcosa di estremamente incomprensibile nella vicenda che lo vede protagonista. “Avrebbe potuto raccattare tutti i poveri disperati per farne i suoi prediletti ed invece ha scelto te. Proprio te, Mason. Il testimone di un massacro le cui dinamiche non sono mai state chiarite. E poi? Poi cosa ha fatto?” Continuo a guardarlo mentre il mio tono si fa più duro e deciso. Gli disegno la verità sotto gli occhi, aspettando la accolga. Non so se ne sarà capace. “Ti ha nascosto al mondo, presentandoti con un nome diverso. Uno a cui nessuno ha mai avuto il coraggio di opporsi.” Aggiungo poco dopo, allontanandomi di un altro passo. Aspetto qualche altro attimo. Davvero tutto questo non gli è mai sembrato strano? Sul serio si è lasciato plagiare così a fondo e così a lungo da un essere così? Quasi non provo rabbia, ma pena. “Lo capisci da solo o devo dirtelo io?”


     
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