Welcome to Italy.

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    Le ricerche erano durate ben più di tre settimane.
    Partii dalla prima tappa, l'enorme villa dei Martinengo senza nutrire grandi speranze.
    Di fatto Azzurra, alla fine, non si trovava lì. Sarebbe stato troppo semplice, troppo scontato.
    Avevo chiesto indicazioni a sua zia, una strega stramba, senza peli sulla lingua, l'unica che avesse acconsentito a ricevermi e darmi delle non risposte.
    Mi avevo riso in faccia quando non mi ero attardato in inutili, stupidi convenevoli ed ero passato subito al dunque, chiedendole dove potessi trovare sua nipote.

    "E così è lei l'insegnante di Pozioni."

    Senza smettere di ridacchiare tra sé e sé, aveva ricambiato il mio sguardo accigliato e confuso.



    "Mia nipote è un'ingenua, i guai sono il suo pane quotidiano. Però ha buon gusto in fatto di uomini, questo va riconosciuto."

    La risata gracchiante che ne era seguita mi aveva fatto storcere la bocca e fatto alzare la voce, invitandola a non perdersi in sciocche chiacchere e darmi risposte. Ma i toni minacciosi non avevano sortito effetto.
    Diceva di non sapere dove si trovasse. Diceva fosse partita senza lasciare indicazioni a nessuno.
    Mi congedai con l'amaro in bocca.
    Primo buco nell'acqua.
    La seconda tappa andò leggermente meglio, almeno per quanto riguardava le informazioni, perché per arrivarci fu una vera e propria scalata infernale, che mi richiese due settimane piene di ricerche.
    Trovai Kurt solo dopo essermi scontrato con altri Oscuri, aver lottato, aver camminato e girovagato per chilometri al freddo della notte, sotto le intemperie, all'ombra di boschi sperduti o popolati da strane creature, viaggiando da un lato all'altro del paese, seguendo sue tracce, orme, segni del suo passaggio che la maggior parte delle volte erano accompagnati dalla morte.
    Lo scovai una sera umida, con il cielo in tempesta, nei pressi di una minuscola cittadina sulla costa Scozzese.
    Anche lui mi accolse ridendo. A quanto pareva la faccenda doveva essere particolarmente divertente, peccato che io non trovassi affatto la parte comica della situazione.

    "Non è qui."

    Rispose, ancor prima gli rivolgessi qualsiasi domanda.
    Ad uno sguardo veloce il Mangiamorte non se la doveva passare bene. Era forse più magro di quanto lo ricordassi, il volto scavato e segnato da tumefazioni, sotto gli occhi l'ombra di grosse occhiaie.
    Io comunque non stavo tanto meglio di lui. Da quando me ne ero andato da Londra avevo ripreso a mangiare in modo frugale, i vari scontri intrapresi avevano peggiorato di nuovo la mia gamba, costringendomi all'uso di un bastone ricavato dal ramo di un albero, il viso segnato dalla mancanza di sonno e dalla preoccupazione.

    "Ho un conto in sospeso da saldare con te, Walter Brown. Ti dirò dov'è andata. È partita per l'Italia, nella sua città natale, Venezia. Ma non la troverai più lì. Le stanno addosso."

    Aveva sogghignato crudele alle ultime parole.

    "Il piccolo Brown è in pericolo."

    Cantilenando, aveva alzato l'indice, muovendolo al ritmo di un pendolo che scandiva un tempo troppo breve.
    Non venne fuori altro di interessante ai fini della ricerche, perciò il giorno dopo ero partito per Venezia, dove ovviamente, come predetto da Kurt, non trovai Azzurra.
    Fu il suo Elfo Domestico ad accogliermi, anzi, a NON accogliermi alle porte della villa.
    Mi aveva squadrato da capo a piedi, prima di parlare.

    "Un burbero Mago ombroso e scorbutico, azzoppato della gamba destra, privo di due falangi nella mano sinistra, con segni evidenti di scontri su braccia o altre parti visibili del corpo… Lei deve essere Walter Brown."

    Lo avevo scrutato interdetto, non propriamente felice della descrizione appena ricevuta sebbene, dovessi ammetterlo, attinente alla realtà.


    "Chi…?"
    "La Signora Padrona ha parlato a Tippy di lei. Ha detto a Tippy che se si fosse presentato alla porta Walter Brown di sbattergliela in faccia, dopo avergli fatto presente che la padrona non è qui, né la troverà mai qui…"


    Avevo aperto bocca nel tentativo di bloccare lo sproloquio senza senso dell'Elfo, ma lui aveva proseguito imperterrito.

    "Signor Walter Brown, la Signora Padrona non è qui, né la troverà mai qui."
    "Sì, ma…"


    Mi ritrovai il legno levigato del portone di ingresso a pochi centimetri dal mio naso, richiuso con un tonfo sordo.
    Ripresomi da quel bizzarro e fugace incontro/scontro, iniziai a borbottare tra i denti una sequela di epiteti poco carini indirizzati alla Martinengo.
    Quella ragazza sconsiderata era in pericolo, perché lo era davvero dato che il suo stesso amato maritino lo aveva affermato divertito, ed invece di accettare il mio aiuto preferiva deridermi con il suo Elfo e prendermi per i fondelli in quel modo irrispettoso.
    Non appena l'avessi trovata, gliene avrei cantate… ah sì, se lo avrei fatto. Suonate no, ma solo perché era incinta.
    Ci vollero quasi due mesi, prima della svolta. Fino ad allora i miei viaggi si erano conclusi con amara delusione e crescente irritazione.
    Seguendo le sue tracce, sembrava fossi quasi sempre lì lì per raggiungerla, salvo poi ritrovarmi, come uno stupido Troll a girellare per le aree toccate da Azzurra senza mai raggiungerla.
    Fu grazie a sua zia che il mio girovagare trovò finalmente una meta.

    CITAZIONE
    Azzurra è un pericolo e con lei il figlio che aspetta. So tutto e non si chieda come. E’ a Venezia ma non ci starà per molto. Se le importa del bambino si dia una mossa prima che sia troppo tardi.
    Theodora

    Quando mi arrivò la lettera io mi trovavo in un paesino sperduto del sud Italia, lì dove sapevo fosse giunta anche lei.
    Non avevo idea di quando Theodora avesse spedito il Gufo, non c'erano date. Sicuramente il suo animale ci aveva messo un po' a trovarmi, dato che non soggiornavo in hotel o luoghi dai quali avrebbero potuto risalire a me, tramite le generalità.
    Il mio rifugio era una piccola, mezza rotta, vecchia tenda rimediata in un mercatino dell'usato magico un paio di mesi prima.
    Mi ero comunque subito messo in viaggio, tanto valeva tentare, e stavolta quando mi ritrovai di nuovo il malefico Elfo Tippy non mi lasciai incantare dai suoi sproloqui.

    "So che è qui, lasciami entrare!"
    "No Signor Brown signore, lei non può accedere!"


    Tippy aveva alzato una mano nodosa contro di me.
    Sapevo gli Elfi avessero poteri non indifferenti, anche senza l'uso della bacchetta.
    Sapevo però bene pure di non avere più pazienza. Ero stanco, sfibrato, stufo, svuotato da qualsiasi briciolo di pazienza.
    Sapevo quindi che se avessi sfoderato la bacchetta contro l'Elfo gli avrei fatto male. Molto male.
    E la mia parte razionale mi bloccava dal farlo. Quella creatura, per quanto insopportabile, non c'entrava nulla in tutta questa faccenda. Stava semplicemente obbedendo agli ordini di quella sciocca, odiosa, testarda della sua padrona.
    Perciò gonfiai i polmoni di rabbia, irritazione e ossigeno prima di urlare a gran voce all'interno dell'abitazione alle spalle di Tippy.

    "MARTINENGO!!!!! MARTINENGO VIENI SUBITO FUORI, LO SO CHE SEI QUI!!!"

    L'Elfo sobbalzò spaurito, ma coraggiosamente, non abbandonò la sua posizione. I suoi enormi occhi verdognoli mi fissavano con cipiglio battagliero.
    Ringhiai, non avendo ricevuto alcuna risposta.

    "MARTINENGO FATTI VEDERE O GIURO SULLA MIA GAMBA SANA CHE SFONDO LA PORTA E MANDO ALL'ALTRO MONDO QUESTO MOSTRO PETULANTE CHE HAI COME SERVO!!!"

    E la tentazione era bella forte. Oh sì, se lo era.
     
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    Aveva girato mezzo mondo Azzurra. Non rimaneva nello stesso posto per più di qualche giorno. La paura di essere inseguita e intercettata l’aveva resa una girovaga errante che si portava appresso una pancia che cresceva e pesava ogni giorno di più.
    Era stata in Scozia, in Grecia, negli Stati Uniti. Aveva raggiunto i luoghi i cui pensava di poter avere notizie di suo marito. Voleva solo accertarsi che fosse vivo e che stesse bene. Niente altro. Non poteva avere niente altro dall’uomo che amava, nemmeno l’illusione di portare in grembo suo figlio.
    Conor, l’unico erede degli Hoffmann era protetto dalla rete famigliare dei Martinengo. Azzurra dopo ogni tentativo andato a vuoto passava qualche giorno col primogenito ravvisando ad ogni visita la somiglianza del ragazzo col padre.
    Amava suo figlio ma non era una madre chioccia come non lo era stata sua madre con lei. L’educazione, nella sua famiglia, consisteva nel rendere responsabili i ragazzi delle loro azioni e dei loro pensieri lasciandoli liberi di seguire la propria indole. Conor di base era un Hoffman. Deciso, inarrestabile se e quando perseguiva un obiettivo. Da Azzurra aveva preso il modo di parlare, quello di muoversi e l’italiana caratteristica di gesticolare mentre parlava. Aveva gli occhi Kurt, il suo sguardo penetrante e probabilmente, crescendo, ne avrebbe acquisito anche la figura snella ed elegante.
    Molte volte Azzurra si era chiesta come sarebbe stato il figlio che stava per nascere. Non aveva voluto sapere il sesso ma aveva seguito la crescita del feto con costanza sottoponendosi a tutti gli esami e gli accertamenti necessari per assicurarsi che fosse sano.
    Era tornata a Venezia dopo l’ennesimo viaggio in Germania. Visitava spesso il Paese di Kurt travestita nei modi più improbabili per non farsi riconoscere. Si era aggirata spesso nei pressi della Foresta Nera, dove il marito aveva casa, senza mai avvicinarsi più di tanto per non mettere a rischio la vita del suo amato più di quello che già non fosse.
    Negli ultimi tempi viaggiare la stancava. La schiena era sottoposta a dura prova e le caviglie, a tarda sera, si gonfiavano per il peso che dovevano sopportare.
    Azzurra era cresciuta solo nella pancia, il suo viso appariva smagrito rispetto all’inizio della gravidanza e l’incessante vai e vieni consumavano tutte le energie che si sforzava di incamerare con pasti numerosi e sostanziosi.
    Non aveva più avuto notizie di Brown, padre biologico di suo figlio, dal giorno in cui lo aveva informato di attendere un bambino da lui. Pensava di aver risolto il problema e di essere stata chiara. Si era assunta la responsabilità del suo errore, aveva rinunciato a Kurt e tenuto il bambino solo perché nelle vene di Walter scorreva una parte del sangue di suo marito cosa della quale, ne era certa, il Pozionista non apprezzava affatto. A suo pensare dopo aver saputo della lontana parentela che lo legava a Hoffmann, se avesse potuto, si sarebbe fatto cambiare tutto il sangue anche se, a volte, le parso di scorgere nello sguardo dell’inglese un moto di apertura nei confronti del pro pro pro cugino. Aveva risolto il dubbio facendosi persuasa che pur di dar contro a lei Walter avrebbe abbracciato anche i riti vudù.
    Troppo ossessivo e troppo possessivo il Brown per il carattere libero e ribelle di Azzurra abituata da sempre ad agire in autonomia senza bisogno di approvazioni o divieti da parte di nessuno.
    La gestazione stava volgendo al termine. Gli ultimi giorni erano i più lunghi da far passare. Azzurra stava spesso sdraiata o in poltrona, coi piedi sollevati per evitare di ritrovarseli come pagnottine appena sformate al calar della sera.
    Delle urla animalesche arrivarono ad interrompere il suo quotidiano riposo del dopo pranzo. Dapprima lasciò correre. In Italia si gridava tanto. Venditori porta che cercavano di bypassare lo scudo elfico di Tinny suo protettore fin da quando era bambina. La magica creatura era affidabile tanto e forse più del catalizzatore di Azzurra. Nessuno Mago sano di mente osava sfidare l’ira di un Elfo che proteggeva la sua padrona. La magia elfica era potente, difficilmente arginabile anche per i Maghi più esperti e incavolati
    Non era la voce di Tynni quella che aveva destato Azzurra del pomeridiano pisolino bensì una voce umana che aveva del bestiale.
    Reggendosi le reni l’erede dei Martinengo dondolando si diresse verso la scia delle urla e…
    Toh’ chi si vede. Quali amabili propositi ti portano a Venezia? Ti servono consigli su dove mangiare polenta? Hai bisogno di referenze per trovare studentesse da mettere incinta?
    Sarcasmo maschera stupore. Così almeno Azzurra sperava. Come diavolo aveva fatto a beccarla solo Merlino lo sapeva. Merlino e, forse, quella boccaccia larga di zia Theodora che stava insistendo da nove mesi per convincerla a farsi viva col padre di suo figlio.
    Azzurra sapeva di essere in pericolo, lo fiutava come il cane fiuta l’osso ma non voleva arrendersi. Supponeva di non essere lei l’oggetto della rivalsa dei nemici di Kurt. Loro volevano suo figlio. Erano convinti che Azzurra attendesse un bambino da suo marito ma a casa sua si sentiva al sicuro. Da tutti meno che da Walter.
    Con te facciamo i conti dopo
    Uno sguardo torvo all’Elfo che sarebbe corso a stirarsi le mani e le orecchie fece sparire la creatura lasciando Azzurra e Walter faccia a faccia.
    E quindi…vuoi stare a gridare sulla porta o entri?
    A Venezia i pettegoli erano sempre all’erta e i Martinengo preferivano lavare i loro panni dentro le mura di casa.
    Spostando prima la pancia e poi il resto di se stessa Azzurra si fece da parte per lasciare il posto all’ospite indesiderato.
     
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    Sebbene qualcosa nel mio istinto mi suggerisse che quella fosse davvero la volta buona di imbroccare Azzurra, rimasi lo stesso meravigliato di sentire rumore di passi - umani - eccheggiare tra i lunghi corridoi di villa Martinengo.
    Rimasi a fissare, in attesa, nello spiraglio tra la porta e lo stipite, al di sopra dell'Elfo che sembrava essersi irrigidito del tutto.
    Spuntò prima la sua pancia di lei.
    Merlino, sembrava fosse sul punto di scoppiare.
    Possibile il parto fosse davvero così imminente?
    Se facevo un conto veloce, ora su due piedi… sì, dovevano mancare un paio di settimane, forse tre.
    L'avevo trovata in tempo. O meglio… Theodora aveva voluto questo accadesse. E ora comprendevo il perché.
    Sapeva il bambino sarebbe venuto alla luce a breve, così come doveva aver saputo che sua madre non fosse in grado di proteggerlo.
    L'ascoltai alzando gli occhi dal ventre pronunciato per incontrare i suoi e fulminarla con lo sguardo alle sue derisorie parole di accoglienza.
    Mi aveva fatto impazzire in quei mesi, anzi, mi aveva fatto impazzire da quando la conoscevo.
    Avevo piantato Venus ed i ragazzi per trovarla, per assicurarmi fosse in grado di rispettare la parola data, ovvero essere in grado di dare sicurezza alla creatura in grembo anche una volta che fosse stata messa al mondo, facile preda dei suoi nemici.
    Avevo lottato, duellato, ero stato ferito, ero scampato all'assalto di strambe creature notturne, avevo girato in lungo ed in largo, giornate e nottate intere per trovarla e adesso… Adesso che si era degnata di incontrarmi, si permetteva pure di trattarmi in quel modo?
    No era troppo. Sarebbe stato troppo per chiunque, figuriamoci per un tipo affatto paziente ed accomodante come me.
    Entrai, ormai il passaggio era sgombro della fastidiosa presenza di Tippy, sbattei il portone alle spalle ed infischiandomene altamente dell'arredo sfarzoso di cui quell'ambiente strabordava mi fiondai su di lei. L'ingombro del pancione forzò il mio arresto, altrimenti le sarei andato ad un palmo dal viso e sono certo, avrebbe notato senza fatica le vene di irritazione pulsarmi sul collo.



    "Non sono venuto fin qui, dopo averti cercato per due mesi, DUE MESI, per farmi prendere per il culo da una ragazzina superficiale e sciocca, quindi chiudi il becco e stammi a sentire…"

    Parlai senza prendere fiato, la tentazione di prenderla a male parole, offenderla e riversarle addosso tutta la frustrazione maturata negli ultimi tempi era fortissima, ma, fortunatamente per lei, non c'era un momento da perdere e non potevo sprecare fiato per questo.
    Semmai più tardi, con calma, se ci fosse stata occasione.

    "Mi avevi assicurato avresti messo al sicuro mio figlio e come credi di farlo? Stando qua, a casa TUA, nella tua città natale, a gingillarti come una stupida nel primo posto in assoluto dove verranno a cercarti?"

    Ancora non avevo ben chiara l'identità degli aguzzini della Martinengo. Kurt? Altri Oscuri? Nemici storici della sua famiglia?
    Tutti loro?
    In ogni caso, più aspettavamo lì, più incorrevo il rischio di scoprirlo.
    Non capivo proprio perché Azzurra avesse deciso di tornare nel luogo meno sicuro in assoluto per la sua/loro incolumità, ma non mi importava adesso.
    La bruna fece per ribattere, senza successo. La interruppi con un gesto stizzito, non volevo ascoltarla.

    "Non me ne frega nulla di quel che pensi tu, prenditi qualche cambio da portare dietro e andiamo. Adesso vieni via con me."

    E non osasse ribattere. L'avrei altrimenti presa per un orecchio e portata via di peso, di certo a me non interessava affatto se fosse stata costretta a portare lo stesso paio di mutande e stracci da lì a… tempo indeterminato.
     
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    Con la mole imbarazzante con la quale si ritrovava a fare i conti i movimenti di Azzurra apparivano a dir poco goffi e impacciati. A furia di sentirsi dire che doveva mangiare per due lei lo aveva fatto ma pareva che il cibo, oltre a nutrire la creatura che portava in grembo, avesse alimentato anche il lato impertinente del suo carattere.
    Le seccava ammetterlo ma si sapeva di non essere in perfetta forma. Non era agile come qualche mese prima, era più lenta nell’agire, si stancava facilmente; a volte anche di pensare.
    Per chi non lo aveva provato era difficile comprendere come si sentiva. Lontana da suo marito, braccata dai suoi nemici, in attesa in un figlio che non aveva cercato concepito in un momento di leggerezza con un uomo che non amava, che la detestava e che era venuto fino a Venezia per tormentarla.
    Non appena il portone di casa Martinengo si chiuse Azzurra non potè fare a meno di sbuffare e di alzare gli occhi al soffitto sperando che gli amorini affrescati che facevano da cornice all’ingresso scagliassero una freccia per colpire in piena fronte l’uomo che la stava trattando come una bambina irresponsabile e capricciosa.
    Lei non voleva essere assolta dai suoi peccati, non gliene fregava niente della redenzione; voleva solo essere lasciata in pace.
    Onde evitare che la voce di Walter giungesse alle orecchie di altri abitanti della casa Azzurra prese per la manica l’uomo e mentre continuava a sorbirsi le sue rimostranze gli fece percorrere metà del corridoio per poi fermarsi davanti ad una porta bianca intarsiata di orpelli dorati che aprì cedendo il passo al Mago.
    Lo spinse ad entrare in un salottino tappezzato di verde. Un tendaggio spesso, color panna, scendeva morbido alla portafinestra lasciando intravvedere uno squarcio di giardino.
    Sul lato destro della stanza c’era una enorme pendola con annesso calendario perpetuo che segnava gli anni, i mesi, i giorni della settimana e le ore. Nella parte superiore del singolare oggetto era visibile una sezione vetrata che indicava il luogo di ubicazione di alcuni dei componenti della famiglia di Azzurra. Suo padre era nel suo studio in riunione con una mezza dozzina fra parenti e colleghi, sua madre era dal lato opposto del parco con una coppia di amici, in cucina e in varie stanze c’erano ben quattro elfi oltre a Tippy. Conor era nella sua stanza col Precettore assunto per presiedere ai suoi studi e poi c’era…Kurt. La posizione del Mangiamorte non era precisa ma l’orologio indicava che si trovasse ad un centinaio di chilometri da Venezia. Bel poca distanza per chi ha sangue magico nelle vene.
    Indicando a Walter di prendere posto sulla poltrona alla sinistra della stanza Azzurra andò a sedersi sul divano. Appoggiò la schiena al bracciolo e distese le gambe per dar loro sollievo.
    Kurt è nei paraggi. Sono al sicuro e lo è anche lui.
    Toccandosi il ventre con la mano Azzurra cercò di mostrarsi più sicura di quel che non era con quella affermazione. Hoffman poteva essere in giro con lo scopo che lei sperava ma non poteva esserne certa. Il momento del parto era prossimo e lei lo sentiva. Dove altro avrebbe potuto andare se non a casa sua per dare alla luce suo figlio.
    <non me ne frega nulla di quel che pensi tu, prenditi qualche cambio da portare dietro e andiamo. Adesso vieni via con me.>
    Sapeva che lo avrebbe detto. Ne era certa. Quell’uomo impossibile non voleva proprio farsi i fatti propri.
    Non hai altri problemi da risolvere? Altre donzelle da soccorrere? Altri figli di cui occuparti?
    Era chiaro che la risposta non poteva essere che si ma nonostante questo era venuto fino a Venezia esponendosi ad un rischio enorme e per cosa? Per un figlio che non aveva scelto di avere concepito con una donna che non poteva vedere.
    Non andrò da nessuna parte prima di aver partorito, men che meno con te.
    Le pareva di essere stata chiara. Anche potendo Walter non sarebbe mai riuscito a costringerla a desistere dalla sua decisione e forse quell’orologio gli avrebbe chiarito le idee meglio e più delle parole in quanto al fatto che non poteva obbligarla a seguirlo.
    Non manca molto, se proprio ti fa star meglio ti faccio preparare una stanza. Sarai mio ospite fino al lieto evento e poi ognuno per la sua strada.
    Azzurra sperava che una volta nato il piccolo Walter si tranquillizzasse o si rassegnasse a dimenticarsi di quella brutta esperienza. Se non altro doveva provarci.
     
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3 replies since 4/10/2022, 20:47   58 views
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