A dutiful apology

Daisy

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    Forse ci aveva creduto alla storia della Starnutaria, visto che apparentemente non ebbe nulla da obiettare. Il che era molto positivo, visto che era la persona più importante da convincere, in quel momento.
    – Ah tesoro… non saprei. Potrebbero non voler competizione in ambito sentimentale… – ridacchiò, passandosi una mano in faccia. L’aveva buttata giù come una battuta, ma sapeva che anche quella avesse probabilmente un fondo di verità. Come quasi tutte quelle che faceva, dopotutto.
    – Spiegamelo, allora… sono tutto orecchie. – mosse quelle da gatto. Che idiota. Era vero… forse non conosceva a pieno il significato di quella parola… forse credeva solo di farlo. Non si era mai preoccupato di definire termini come “amicizia” o “amore”, che lo mettevano anche un tantinello a disagio. Portavano con sé un mucchio di implicazioni scomode, come “aprire sé stessi” ed essere sempre disponibili. Cose impegnative quanto sconosciute.
    – Beh… siamo lo specchio della nostra famiglia. Il risultato della nostra storia, che crea la nostra realtà. La mia è la realtà di uno a cui certe cose appaiono spesso finte, sicuramente forzate. Mio padre non è mai stato un tipo molto social; si è sempre vantato di non aver mai bisogno di nessuno, e io concordo su questa sua presa di posizione nei confronti del mondo… senza dubbio la più sicura, non credi? Allo stesso modo mia madre… generalmente più interessata alle cose che alle persone. I suoi figli sono l’eccezione… io, in particolare. Ma a casa Barnes si è sempre preferito dar la precedenza a certi valori rispetto che ad altri. Almeno, al contrario dei miei genitori, io amo stare in mezzo alle persone. Non donarmi agli altri non significa automaticamente che mi piaccia star solo. – concluse grattandosi il dorso del naso, per poi infilare le mani nelle tasche dei pantaloni, dondolandosi, pentendosi forse subito di essersi aperto a quel modo. Eppure, lo sapeva, l’empatia funzionava così: dovevi mettere le basi per una migliore comprensione dell’individuo. Era essenziale. Magari, arrivare a comprendere un briciolo del mostro che appariva ai suoi occhi, lo avrebbe reso più umano. Non che avesse detto nulla di trascendentale; condivideva solo i dettagli più superficiali della propria vita e del proprio passato.
    – In ogni caso, non è molto carino supporlo a voce alta e farlo notare. Non credi? – un po’ si stupiva della mancanza di filtri di quella ragazza; i Tassorosso dovrebbero essere quelli gentili, dotati di gran tatto ed empatia, no? Praticamente il suo opposto. Ma forse era solo una sua sciocca idea.
    – Daisy, guardami bene nelle palle degli occhi… secondo te indosserei mai una roba simile? – una proboscide per l’arnese…e addirittura gli occhi? Che razza di depravati stramboidi giravano per il castello, usando il suo nome al posto del proprio? Cose da pazzi… se la ragazza avesse risposto di sì, si sarebbe offeso non poco. Era chiaramente più virile di così, e che cazzo. Non che ci volesse molto. Reputava strambi e depravati i gay, ma dubitava che persino loro li avrebbero usati.
    – Ti hanno fatto uno scherzo, palesemente. Fatti una domanda sul perché incrociò le braccia gonfie al petto, riproponendo la battuta irritante della bionda.
    – Andiamo, non scandalizzarti per così poco, bellina… tutti collezioniamo qualcosa. Chi francobolli del cazzo, chi vestiti che non indosserà mai, chi traumi… e chi dice che la mia collezione sia peggiore della tua? Qual è? Sentiamo. – la guardò dall’alto al basso, in attesa. Svettava visibilmente sopra di lei. Ridacchiò al pensiero della sua possibile espressione se mai le avesse citato il suo album di figurine personale… se i suoi coetanei di sesso maschile erano soliti invidiargliela, lei lo avrebbe trovato sicuramente inquietante. Ragion per cui se lo tenne per sé.
    – Ah, non le rubo di certo. Sono come le monetine lanciata alla fontana di Trevi: io sono la fontana. – le fece un occhiolino compiaciuto, da gran farfallone qual era.
    – Io? – aggrottò la fronte. – Non saprei neanche come usarle. E poi non voglio rivenderle, maledizione. Sono tue, porco Merlino. Non sottintende nessun ricambio di alcun tipo. A casa mia i regali si accettano sempre…ne rimarrei molto offeso. – un labbruccio carnoso e due occhi enormi, mentre muoveva teneramente un orecchio da gatto, stavano a mostrare tutto il suo dispiacere.
    – E poi, tanto, continuerei a mandartene un paio dopo l’altro finché non lo accetti. Vuoi davvero che la tua casella di posta venga sommersa da pacchi dorati? Che esibizionista… penseranno che tu sia piena di spasimanti. Vabbè che probabilmente lo pensano già – ridacchiò. Non c’era nulla di lecchino in quella sentenza: solo una constatazione banale. Era sinceramente una bellissima ragazza. Era abbastanza scontato. – E non vogliono nemmeno farti cambiare idea. Quello spetta alle mie azioni future. Anche se mi credi un bugiardo – cosa assolutamente azzeccata.
    – Troppo delicata per queste cose, eh? O solo troppo gentile? Ok che mi hai già spaccato il naso… – sorrise, con la sua faccia da culo, vedendo che quella non alzava un muscolo per colpirlo. Fosse stato in lei, avrebbe accolto volentieri quell’occasione per vendicarsi pacificamente.
    – Che hai da fare? – alzò le sopracciglia, preso dall’improvvisa curiosità, sentendo un frusciare d’ali proveniente dall’interno della serra. – Cosa tieni lì dentro? Un animaletto? Non ti basto io? – ironizzò, mentre cercava di guardare attraverso il vetro, alle spalle della bionda.
    – È così, eh? – essendo molto più imponente di lei, non si fece problemi ad allungare una mano per spalancare la serra e sgusciare all’interno, afferrando subito il pacco e scuotendolo leggermente vicino all’orecchio, per decifrarne il rumore.
    – Quindi i pacchi altrui li accetti… li aspetti… e il mio no. Sono mortalmente offeso. Cosa ci sarà di tanto interessante? – con un gesto tirò il nodo e iniziò a scartarlo con non chalance, guardando la bionda di sottecchi. La curiosità a quel punto era troppa. Forse ora lo avrebbe effettivamente picchiato.

     
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