A dutiful apology

Daisy

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    Era passata circa una settimana dal party incriminato, settimana nel quale Oliver si chiuse totalmente in sé stesso, prendendo le distanze dalla sue solite compagnie, la quale lealtà ora era quasi sicuramente a rischio. Si era mostrato seccato nei loro confronti, dichiarando apertamente che fossero state delle teste di cazzo ad aver strafatto a quel modo, deviando dalle sue direttive così chiare, e dandogli la colpa del casino successo, ignorando bellamente ogni replica. Tuttavia Oliver sapeva bene che la direzione decisiva di quella serata l’aveva causata con le sue stesse mani, portando a un epilogo pericoloso per l’intera casata, ma soprattutto per la sua permanenza in quella scuola e il nome dei suoi genitori. Rick aveva ragione… quel casino andava sistemato il prima possibile; aveva preso le giuste precauzioni nei confronti dei propri compagni, occupandosi di far trovare a tempo debito, qualora fosse stato necessario, le prove sotto le zampe dei malcapitati. Tuttavia il guaio sarebbe stato evitabile nel caso in cui Daisy non si fosse dichiarata vittima di quella sera, puntando i riflettori su tutti loro… su di lui. Quindi pensò di agire, e provare a tamponare la situazione come meglio poteva. L’aveva notata, nell’ultima settimana, andare spesso in giro con uno strano aggeggio babbano… dal quale fuoriusciva musica, a quanto pare. Curioso. Si era informato in merito, e aveva scoperto che quelle cose nelle orecchie servivano a “sparare” la musica, come possedute; tuttavia le cuffie della ragazza non dovevano avere un grande isolamento, perché si sentiva in lontananza se le passavi vicino. Così gli venne l’idea: le avrebbe regalato delle “cuffie da musica” in segno di scuse. Sì, avrebbe trovato le migliori. E così fu: un paio di cuffione gialle che circondavano la testa, non ancora in commercio, completamente isolanti. Possibilmente avrebbe apprezzato quel regalo così costoso, sembravano fatte praticamente d’oro… forse lo erano? Non le aveva osservate molto, le aveva fatte incartare e basta, spinto da un esperto nel campo babbano. Ci aveva aggiunto anche un piccolo fiore raccolto per caso attorno al castello, preso da chissà quale sciocchezza per la testa. Però non ci aveva scritto niente, per paura che buttasse il pacchetto senza neanche aprirlo. Senza neanche dargli quella chance.
    Qualche giorno dopo, la beccò nei dintorni delle serre. Si avvicinò quatto quatto, osservandola da dietro un albero. Poi, come ulteriore sintomo di sciocchezza, si fece spuntare due orecchie da gatto e miagolò da dietro il tronco. L’entrata in scena meno terrificante che potesse fare, quantomeno. Sapeva di dover tastare il terreno con calma misurata, per non far sì che scappasse come una gazzella impaurita. In quel momento si sentiva davvero un dannato predatore della savana… ma sperava che le orecchie morbidose gli dessero un’aria meno “pericolosa”; di solito con le ragazze funzionavano.
    Fece capolino da dietro l’albero, sbilanciandosi con la testa piegata verso destra e il piede alzato verso sinistra, cercando di darsi un’aria minimamente impacciata.
    – Buongiorno, Locke… non voglio spaventarti –, sottolineò alzando le mani accanto al viso.
    – Vengo in pace… nessuna bacchetta, nessuna cattiva intenzione – non era una bugia: quella mattina l’aveva scordata sul comodino. E chi se la faceva più tutta quella strada?
    – Volevo solo… – fece un respiro profondissimo, rilasciandolo lentamente insieme alle parole successive: – … scusarmi, ecco. Per quella sera. Io… sono stato un mostro. Ma, vedi… mi hanno messo qualcosa nel drink… a mia insaputa – portò avanti la sua versione, che comunque, per quanto ne sapeva, poteva anche essere la realtà. – Non mi sarei mai comportato così, altrimenti. – Evitò di avanzare, ma appoggiò la schiena all’albero, mordendosi le labbra mentre cercava la cosa giusta da dire. – Ti è…piaciuto il regalo?...Le cuffie. – precisò, con una mano al collo, temendo la sua reazione.

     
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    Mi voltai, sentendo il suono che avrebbe voluto essere di un gatto ma che non gli somigliava affatto. Non mi sarei di certo immaginata di trovarmi davanti una faccia parzialmente trasfigurata con delle orecchie da gatto. Sbuzzai gli occhi ancora prima di rendermi conto su chi fossero spuntate quelle orecchie! Sembrava uscito dal musical di Cats e forse in un altro contesto mi avrebbe fatto anche ridere. Dal momento però che la prossima settimana mi sarei trasformata mio malgrado in un lupo mannaro in modo estremamente doloroso, trovavo particolarmente disturbante il fatto che lui plasmasse i propri tratti per dargli un aspetto animale, e questo disturbo andava a sommarsi a tutto il resto che aveva combinato. Dati i precedenti quindi voltai per afferrare un vasetto di coccio contenente una pianta dall'aspetto bizzarro per alzarlo fin sopra la testa, pronta al lancio.
    Cosa hai alla faccia?!? Per quale motiv.. Stai fermo lì!!!
    Con l'altra mano muovevo l'indice come a indicargli di rimanere esattamente dove si trovava perché avevo un vaso e non avevo certo paura di usarlo!... almeno questa era l'impressione che volevo dargli. Il serpeverde sembrava un eccellente attore nel cambiare i suoi modi oltre che al farsi crescere varie appendici in faccia: poco era rimasto dello sbruffone di appena una settimana prima in cortile. Questo non fece altro che aumentare la mia diffidenza invece di sopprimerla: ogni membro di quella casata sembrava avere a disposizione un'infinità di maschere da tirare fuori e sfoggiare pronte all'uso a seconda dell'occasione. E non sempre queste maschere erano tali. Non del tutto.. Aveva ragione Marsilda, non era come nei film. Non potevo davvero pensare che ci fosse del buono in tutti. Non in lui, non dopo quello che aveva fatto...
    Si stava scusando, dicendo che qualcuno gli aveva messo qualcosa nel drink e che il suo comportamento era dovuto a quello. Tuttavia il mio vaso rimaneva alzato, calando di qualche centimetro solo perché mi si stava stancando il braccio.
    Che ti hanno messo nel drink?
    Non sapevo come prenderle quelle scuse. Non lo conoscevo, non sapevo assolutamente niente di questo tizio. Ma Karen mi aveva sempre detto che per scoprire le bugie delle persone dovevi fare delle domande molto precise, chiedendo più dettagli possibili. E, quando mentivi, di prepararti sempre una risposta, una storia di sfondo che fosse sensata in modo da non arrivare impreparata. Puzzava di alcol, ricordavo l'odore, e quello ben poco c'entrava con l'avere qualche pozione nel bicchiere.
    E perchè se sono tuoi amici avrebbero dovuto farlo?
    "Ti è…piaciuto il regalo?" Ecco un'altra prova che non ci si poteva fidare. Arretrai di un altro passo, riportando il vaso in alto.
    NO!! Tu devi tenere le tue mutande fuori dal mio dormitorio e dalla mia posta!! Non so quali problemi tu abbia con gli animali ma non voglio vedere nessuna proboscide, razza di maniaco!
    Quasi non riuscii a sentire la parola "cuffie" mentre gli parlavo sopra. Quindi era stato lui? Aggrottai la fronte, visibilmente confusa: non avevo idea di chi fosse il mittente e come ogni cosa anonima il mio cervello si era impegnato a pensare a mille scenari possibili, cercando quello più plausibile, quello più.. sensato. Non ero arrivata molto lontano, pensando che fosse stato mandato dai miei genitori e che il biglietto si fosse perso. Avevo quasi pensato venisse da Caitlin ma avevo allontanato questa ipotesi: non mi sembrava il tipo da perdersi nella tecnologia babbana. E infine avevo pensato a qualcun'altro che sapeva che mi piaceva la musica e che non amava firmarsi ne scrivere biglietti. Anche se non aveva senso farlo.
    Stavolta il braccio si abbassò, posando il coccio sul muretto della serra.
    Te le farò riavere. Non le voglio.
    Era mia intenzione in ogni caso farlo, mettendo un annuncio in bacheca per poterle restituire. Quel gesto tuttavia non voleva simboleggiare una resa nei suoi confronti: rimasi comunque abbastanza vicino per poterlo prendere se fosse servito per avere qualcosa con cui difendermi. Lo guardai qualche secondo, prima di alzare il mento in una sicurezza che poche volte riusciva ad uscire.
    Se credi che delle cuffie o qualcos'altro possa comprare la mia fiducia nei tuoi confronti o il mio silenzio sappi che puoi scordartelo.
    Non dovevo mostrargli che avevo paura di lui. Anche se ne avevo. E non sapevo neanche se ero capace di nasconderlo davvero. La sensazione di sentirsi all'angolo la ricordavo bene, il senso di oppressione, il non vedere vie di fuga.. il voler tirare in ballo anche tutti gli altri, creando una situazione impossibile da gestire.. io questo lo sentivo tutti i giorni. Alcune volte meno, altre di più. Succedeva con la magia involontaria, e ancora di più con la luna. Su quello non potevo farci niente.. ma su questo.. su di lui.. sì.
    Non ho alcun motivo per farti questo favore Barnes e non ho alcuna intenzione di farlo. Perché non ti credo.
     
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    Sembrava un coniglietto spaurito. Un’immagine tenera, se vogliamo. In quel momento si chiese come aveva potuto reagire a quel modo. Insomma, okay i drink di troppo… ma aveva un’aria così delicata… debole… che per sovrastarla dovevi essere proprio un vero stronzo. E lui lo era, evidentemente. In quel momento fu lieto di non averla veramente toccata, di non averle veramente fatto quelle cose… che fosse solo una scopa. Sarebbe stato un pensiero fastidioso, altrimenti.
    Un sopracciglio saettò verso l’alto mentre la tassorosso afferrava un vaso con tanto di abitante.
    – Sai, credo che a qualsiasi cosa ci sia dentro quel vaso non farebbe piacere essere scaraventato contro la mia brutta faccia – ironizzò il serpeverde, con i sensi all’erta per eventuali cannonate.
    – Cos’ho in faccia…?! – se la tastò in vari punti, senza capire. Poi si toccò le orecchie. – Ah, dici queste? Devi avere un problema con le misure… – le mosse in maniera buffa, – Puoi toccarle se vuoi… oh…uhm…magari no, lascia perdere – ormai tutto suonava come una possibile molestia. Dannazione. Il serpeverde si scompigliò i capelli animatamente, cercando di sopprimere il disagio. Se ora avesse cambiato anche colore, avrebbe potuto spaventarla ancora di più…
    – Della Starnutaria –, rispose con sicurezza inconfutabile, – Ne ho trovato delle radici tra gli effetti personali di uno dei miei compagni di stanza. Avrà fatto qualche intruglio da rifilarmi alla festa… il motivo non saprei dirlo con certezza, se me lo chiedi. L’unica cosa che posso supporre, è che qualcuno, o chi per lui, abbia cercato di farmi fuori appena rimesso piede al castello. Devo essere una persona scomoda. – alzò le spalle a quella prospettiva, di certo non distante dalla realtà. Quella scusa se l’era preparata bene, in ogni minimo particolare. Il modo in cui parlava era tranquillo e rilassato, senza pause di riflessione. Senza mostrare alcuna incertezza.
    “E perchè se sono tuoi amici avrebbero dovuto farlo?”
    Un sorriso ironico gli increspò le labbra piene, dirigendo lo sguardo altrove, verso gli alberi, incrociando le mani dietro la testa. – Dipende da cosa intendi per amici, tassina. – fece una breve pausa. – Di amici di bevute ne ho quanti ne vuoi. Anche di chi si direbbe “amico”. Ma se intendi qualcuno che ti copra le spalle per puro affetto o bontà del proprio cuore, senza pretendere nulla in cambio… un amichetto del cuore con cui improvvisare un pigiama party mentre ci facciamo una pedicure e ci apriamo sui nostri più profondi segreti… non ne ho alcuno. E diffido da chi possa presentarsi come tale – affermò con noncuranza, prendendo una grossa boccata d'aria estiva attraverso le narici. Si soffocò con la sua stessa aria, però, alla frase successiva.
    – Di che cazzo stai parlando, Locke? Mutande? Proboscide? – la sua espressione mostrava la confusione più totale. – Cosa staresti insinuando…? Ti ho mandato solo quelle cazzo di cuffie… e non sono solito restituire le mutandine. Ma puoi star certa che non invio le mie per posta. – non si fece problemi nel fare quell’affermazione, tutti sapevano che fosse un donnaiolo… nulla di strano. Tuttavia si guardò bene dal fare battute sul mostrare o meno una certa proboscide, nonostante fu dura, avendola servita lì su un piatto d’argento. Ma la Locke non doveva vederlo come un pervertito… doveva spingerla a fidarsi, in qualche modo.
    – Non sta bene restituire i regali, sai… specie dopo tanto impegno nel reperirlo – era la verità… ci aveva dedicato un pomeriggio intero. Un prezioso. Pomeriggio. Intero.
    – Volevo solo fare un gesto carino… va bene? Non pretendo nulla. Sono davvero dispiaciuto per l’accaduto… dammi un modo per rimediare. Questo lo abbassiamo, okay? Sta facendo versi strani… – approfittò dell’abbassarsi di quell’arma, di quel coso che non sapeva cosa fosse, e cercò di spostare delicatamente il suo braccio verso terra.
    – Se vuoi colpirmi… puoi farlo a mani nude. È più soddisfacente, te lo garantisco – si impostò davanti a lei, con le braccia conserte sulla schiena e gambe leggermente divaricate.
    – Vai… scatenati. Non risponderò. Me lo merito. – chiuse gli occhi, in attesa del contatto.

     
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    Dannazione, non avevo la benchè minima idea di cosa fosse la Starnutaria! In realtà non avrei saputo le proprietà di nessuna cosa avesse risposto, eppure era stata la prima cosa che mi era venuta in mente di chiedere. Non dissi niente quindi, limitandomi ad osservarlo con le braccia incrociate.
    Forse hanno i loro motivi per farlo.. te ne viene in mente nessuno?
    Probabilmente se fossi andata a riferire l'accaduto al Preside lo avrebbero sospeso... o forse no. Si poteva sospendere o espellere qualcuno perché aveva creato una situazione veramente inquietante, usato la magia per, potenzialmente tirarmi su a mezz'aria per disarmarmi e farmi bere alcolici a forza per pareggiare l'umiliazione di aver provato a rispondergli a tono? Io non avevo visto che cosa era successo dopo. Ma lui forse non lo sapeva. In ogni caso la sensazione di impotenza e paura continuavano a tenermi ben ancorata a una diffidenza viscerale: non volevo mai più trovarmi in una situazione simile o temere che potesse farlo di nuovo. Ai miei occhi Hogwarts e il mondo a cui apparteneva erano già sufficientemente ricchi di insidie e violenza per aggiungerne altra. E la sua descrizione di "amici" non mi spingeva affatto a mettere da parte tale diffidenza.
    Non intendo niente di ciò che hai appena detto... è evidente che non hai proprio idea del significato del termine "amici".
    Non era la prima volta che incontravo qualcuno tra le mura di quella scuola che ritenesse gli altri solo persone di cui diffidare e da cui vedersi. La bontà d'animo in amicizia c'entrava poco, questo ragazzo non aveva la benchè minima idea di che cosa volesse dire avere qualcuno che teneva a te, tanto da non saperne neanche la definizione e non riuscire ad immaginare l'istinto di protezione verso qualcun altro mosso semplicemente dall'affetto nei suoi confronti. Disinteressato? Non del tutto.. l'amicizia come ogni altra cosa andava guadagnata e costruita.
    Se non hai nessun amico forse dovresti farti qualche domanda..
    Lui non avrebbe fatto niente per nessuno in cambio di niente, e questo era ciò che riceveva in cambio. Avrebbe forse dovuto farmi pena, eppure, data la prima impressione di poche sere fa, non riuscivo neanche a provare una vena di compassione per una persona evidentemente sola. La sua mancanza di empatia era evidente e da quella semplice frase, aveva del tutto senso.
    E poi c'era la questione delle mutande oscene. Sollevai le sopracciglia davanti alla sua sorpresa, cercando di resistere in modo stoico all'imbarazzo circa la questione, sopratutto quando ripetè "proboscide".
    Non sto insinuando un bel niente: c'era il tuo nome su delle mutande sul mio letto a forma di elefante con la proboscide per il.. e le orecchie e addirittura degli occhi sopra!
    In ogni caso, mi ritrovai aggrottata come un carlino per quello si sentì in dovere di specificare.
    ....nel senso che tu conservi le mutande di altre persone?!?
    Continuava comunque a sostenere di non saperne niente e che lui mi aveva spedito solo le cuffie, sottolineando lo sforzo incredibile nel reperirle e sottintendendo il valore economico che avevano. In effetti erano delle buone cuffie, niente di paragonabile al mio banale auricolare ma non le volevo. Non da lui.
    Mi dispiace che tu abbia perso tempo: sono sicura che potrai rivenderle velocemente o usarle tu stesso. Non voglio sentirmi in debito con te ne farti credere che bastino dei regali per farmi cambiare idea sul tuo conto. Darti il beneficio del dubbio è un rischio che non voglio correre.
    Poi si avvicinò, mossa sbagliata.. che sicuramente non contribuiva a migliorare la sua situazione. Arretrai finendo contro la porta della serra. Il serpeverde chiuse gli occhi, invitandomi a colpirlo in faccia per pareggiare i conti.
    Rimasi immobile qualche secondo, scrutandolo, nella sicurezza di non essere vista. Non avevo voglia di colpirlo. Non ero arrabbiata con lui, non era quella la sensazione principale. Io avevo paura di lui e la mia risposta alla paura tendenzialmente era la fuga, non l'attacco.
    In quel momento tuttavia, un rumore sordo proveniente dalla serra mi informò che il mio pacco era arrivato.
    Il motivo per cui mi trovavo lì era ricevere la consegna della pozione antilupo per quel mese. Mi trovavo più a mio agio a riceverla fuori dall'ufficio del Preside, come se in qualche modo fosse più difficile essere scoperta recandosi alle serre, generalmente vuote, che non puntualmente una settimana prima della luna piena assieme all'altro tizio con la cicatrice in faccia.
    Il pacco era sempre ben imballato, tuttavia il mio disagio aumentò ulteriormente nella paranoia di essere scoperta. Mi portai ben davanti all'ingresso della serra, poggiando le mani su entrambi gli stipiti, per impedirgli di entrare e curiosare.
    Ho da fare Barnes, hai finito? Riavrai le cuffie stasera stessa.
    Vattene e basta... con questo caldo la pozione si rovinerà di sicuro, non posso tenerla in una serra per troppo tempo...
     
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    Forse ci aveva creduto alla storia della Starnutaria, visto che apparentemente non ebbe nulla da obiettare. Il che era molto positivo, visto che era la persona più importante da convincere, in quel momento.
    – Ah tesoro… non saprei. Potrebbero non voler competizione in ambito sentimentale… – ridacchiò, passandosi una mano in faccia. L’aveva buttata giù come una battuta, ma sapeva che anche quella avesse probabilmente un fondo di verità. Come quasi tutte quelle che faceva, dopotutto.
    – Spiegamelo, allora… sono tutto orecchie. – mosse quelle da gatto. Che idiota. Era vero… forse non conosceva a pieno il significato di quella parola… forse credeva solo di farlo. Non si era mai preoccupato di definire termini come “amicizia” o “amore”, che lo mettevano anche un tantinello a disagio. Portavano con sé un mucchio di implicazioni scomode, come “aprire sé stessi” ed essere sempre disponibili. Cose impegnative quanto sconosciute.
    – Beh… siamo lo specchio della nostra famiglia. Il risultato della nostra storia, che crea la nostra realtà. La mia è la realtà di uno a cui certe cose appaiono spesso finte, sicuramente forzate. Mio padre non è mai stato un tipo molto social; si è sempre vantato di non aver mai bisogno di nessuno, e io concordo su questa sua presa di posizione nei confronti del mondo… senza dubbio la più sicura, non credi? Allo stesso modo mia madre… generalmente più interessata alle cose che alle persone. I suoi figli sono l’eccezione… io, in particolare. Ma a casa Barnes si è sempre preferito dar la precedenza a certi valori rispetto che ad altri. Almeno, al contrario dei miei genitori, io amo stare in mezzo alle persone. Non donarmi agli altri non significa automaticamente che mi piaccia star solo. – concluse grattandosi il dorso del naso, per poi infilare le mani nelle tasche dei pantaloni, dondolandosi, pentendosi forse subito di essersi aperto a quel modo. Eppure, lo sapeva, l’empatia funzionava così: dovevi mettere le basi per una migliore comprensione dell’individuo. Era essenziale. Magari, arrivare a comprendere un briciolo del mostro che appariva ai suoi occhi, lo avrebbe reso più umano. Non che avesse detto nulla di trascendentale; condivideva solo i dettagli più superficiali della propria vita e del proprio passato.
    – In ogni caso, non è molto carino supporlo a voce alta e farlo notare. Non credi? – un po’ si stupiva della mancanza di filtri di quella ragazza; i Tassorosso dovrebbero essere quelli gentili, dotati di gran tatto ed empatia, no? Praticamente il suo opposto. Ma forse era solo una sua sciocca idea.
    – Daisy, guardami bene nelle palle degli occhi… secondo te indosserei mai una roba simile? – una proboscide per l’arnese…e addirittura gli occhi? Che razza di depravati stramboidi giravano per il castello, usando il suo nome al posto del proprio? Cose da pazzi… se la ragazza avesse risposto di sì, si sarebbe offeso non poco. Era chiaramente più virile di così, e che cazzo. Non che ci volesse molto. Reputava strambi e depravati i gay, ma dubitava che persino loro li avrebbero usati.
    – Ti hanno fatto uno scherzo, palesemente. Fatti una domanda sul perché incrociò le braccia gonfie al petto, riproponendo la battuta irritante della bionda.
    – Andiamo, non scandalizzarti per così poco, bellina… tutti collezioniamo qualcosa. Chi francobolli del cazzo, chi vestiti che non indosserà mai, chi traumi… e chi dice che la mia collezione sia peggiore della tua? Qual è? Sentiamo. – la guardò dall’alto al basso, in attesa. Svettava visibilmente sopra di lei. Ridacchiò al pensiero della sua possibile espressione se mai le avesse citato il suo album di figurine personale… se i suoi coetanei di sesso maschile erano soliti invidiargliela, lei lo avrebbe trovato sicuramente inquietante. Ragion per cui se lo tenne per sé.
    – Ah, non le rubo di certo. Sono come le monetine lanciata alla fontana di Trevi: io sono la fontana. – le fece un occhiolino compiaciuto, da gran farfallone qual era.
    – Io? – aggrottò la fronte. – Non saprei neanche come usarle. E poi non voglio rivenderle, maledizione. Sono tue, porco Merlino. Non sottintende nessun ricambio di alcun tipo. A casa mia i regali si accettano sempre…ne rimarrei molto offeso. – un labbruccio carnoso e due occhi enormi, mentre muoveva teneramente un orecchio da gatto, stavano a mostrare tutto il suo dispiacere.
    – E poi, tanto, continuerei a mandartene un paio dopo l’altro finché non lo accetti. Vuoi davvero che la tua casella di posta venga sommersa da pacchi dorati? Che esibizionista… penseranno che tu sia piena di spasimanti. Vabbè che probabilmente lo pensano già – ridacchiò. Non c’era nulla di lecchino in quella sentenza: solo una constatazione banale. Era sinceramente una bellissima ragazza. Era abbastanza scontato. – E non vogliono nemmeno farti cambiare idea. Quello spetta alle mie azioni future. Anche se mi credi un bugiardo – cosa assolutamente azzeccata.
    – Troppo delicata per queste cose, eh? O solo troppo gentile? Ok che mi hai già spaccato il naso… – sorrise, con la sua faccia da culo, vedendo che quella non alzava un muscolo per colpirlo. Fosse stato in lei, avrebbe accolto volentieri quell’occasione per vendicarsi pacificamente.
    – Che hai da fare? – alzò le sopracciglia, preso dall’improvvisa curiosità, sentendo un frusciare d’ali proveniente dall’interno della serra. – Cosa tieni lì dentro? Un animaletto? Non ti basto io? – ironizzò, mentre cercava di guardare attraverso il vetro, alle spalle della bionda.
    – È così, eh? – essendo molto più imponente di lei, non si fece problemi ad allungare una mano per spalancare la serra e sgusciare all’interno, afferrando subito il pacco e scuotendolo leggermente vicino all’orecchio, per decifrarne il rumore.
    – Quindi i pacchi altrui li accetti… li aspetti… e il mio no. Sono mortalmente offeso. Cosa ci sarà di tanto interessante? – con un gesto tirò il nodo e iniziò a scartarlo con non chalance, guardando la bionda di sottecchi. La curiosità a quel punto era troppa. Forse ora lo avrebbe effettivamente picchiato.

     
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    Sollevai le sopracciglia senza riuscire a frenare la mia lingua
    Però ne hai di autostima eh?
    Poco c'entrava con l'aspetto fisico: trovavo difficile pensare che potesse avere tutto questo successo con le ragazze per via del suo atteggiamento e del suo modo di parlare. Tutta quella confidenza non aveva basi, se l'era presa e basta affibbiando nomignoli e invadendo gli spazi altrui. Lui non era abituato a sentirsi dire di "no". Non sapeva accettarli e probabilmente li trovava inconcepibili. La storia della sua famiglia mi fornì in qualche modo conferma di questo. Il preferito dalla madre, sicuramente messo su un piedistallo, circondato da qualsiasi cosa avesse sempre voluto. Ricompensato con qualche oggetto di valore per mancanze.
    Queste persone non avrebbero mai dato importanza a nessun'altro che non fosse loro. Il mondo girava intorno a loro. Tutto quel che succedeva attorno era un effetto collaterale. E probabilmente avrei dovuto sentirmi in colpa per quello che gli avevo detto.. ma non ci riuscivo. Forse aveva ragione Axel.. forse dovevi davvero attaccare per primo. Forse funzionava davvero così nel mondo dei maghi: dovevi mostrare i denti e far capire a chi avevi davanti che non eri inerme. Infondo cosa ci avevo guadagnato a fare diversamente? Se anche fossi stata gentile con Oliver in cortile, non sarebbe cambiato niente. Avrei dovuto mollargli un calcio ben assestato o un immobilus e togliermi di torno. La luna stava per cambiare.. aveva iniziato a crescere e ogni volta in quei giorni era più facile essere meno tolleranti, più rabbiosi in un misto di preoccupazione, ansia e paura. E forse anche di influenza del satellite.
    Incrociai quindi le braccia, stringendo con le dita il lembo della manica della maglia, aggrappandomi a esso come a cercare una rigidezza che non sentivo di avere. Sforzandomi, come un gatto che gonfiava la coda e alzava il pelo, di apparire più risoluta e meno delicata di quanto non mi sentissi.
    Mi dispiace, hai ragione.. non avrei dovuto mostrare tanta insensibilità. E' piuttosto ovvio che non sei mai stato criticato in vita tua. Avrei dovuto essere più delicata verso il tuo.... fragile ego di carta.
    Axel ti guardava negli occhi quando voleva metterti a disagio e cercai di sforzarmi di farlo anche io, cercando di non abbassare lo sguardo ma di sostenerlo. Non sapevo quanto minaccioso potesse essere... speravo solo non fosse vergognosamente impaurito. D'altronde il suo discorso sulle mutande non era affatto rassicurante ma contribuiva a renderlo solo terribilmente.. viscido.
    Sai chi sono dei grandi collezionisti di solito? I serial killer...
    Mi stavo pentendo di aver lasciato il vaso. Non avevo ancora recuperato la bacchetta.. non avevo niente a disposizione. Avrei solo potuto sperare in una magia involontaria, del tutto imprevedibile nella manifestazione e negli esiti.. una smorfia disgustata mi apparve sul viso all'immagine che qualcuno gli lanciasse addosso le proprie mutande.
    Buon per te..
    commentai asciutta. Non sembrava voler mollare neanche per le cuffie: come detto non sembrava capace di accettare un "no". Ma quella era una questione che avrei affrontato in un altro momento.
    Il serpeverde decise che sarebbe stata un'ottima idea dimostrare la sua bontà d'animo offrendo la sua faccia come sacrificio per le offese arrecate.
    Non mi interessa picchiarti Oliver: voglio solo che tu mi lasci in pace. Torna dalle tue fan ad ampliare la collezione, riceverai sicuramente tutto ciò che chiedi e l'attenzione che tanto brami.
    Doveva solo andare via. Era così difficile? Non aveva altro da fare?? Il ragazzo avvertì la mia voglia di averlo fuori dalle scatole e sembrò trovare così uno stimolo proprio nel rimanere.
    Sono questioni familiari: non è gentile immischiarsi.
    Fu la mia risposta precipitosa, detta con un tono di voce più acuto del normale, spostandomi per occupare più spazio possibile sulla porta della serra.. eppure già lo sapevo, riuscendo a vedere quella scintilla nello sguardo: più mi frapponevo e più avrebbe voluto entrare. Lui come Axel si divertiva a mettere in soggezione chi aveva davanti, a cercare una posizione di vantaggio per avere il coltello dalla parte del manico. Si divertivano entrambi a giocare con gli altri come se fossero prede. Il modo di agire del bulgaro però era meno chiassoso e meno sfacciato, almeno con me, di quello del serpeverde che avevo davanti. Non ci mise molto quindi a scostarmi e superarmi, raggiungendo il pacco con la Antilupo in pochi passi. Sentii chiaramente tintinnare il vetro delle fialette e strinsi le labbra ed i pugni, temendo che si rompessero.
    Una sensazione di panico iniziò a farsi strada mentre il mio cervello era allo stesso tempo vuoto e pieno di domande su che cosa avrei dovuto fare. Non potevo toglierglielo di mano, anche se era il primo impulso. Era più alto, era più forte. E in quel momento mi faceva genuinamente paura per più di una ragione. Quando iniziò a scartare il pacchetto tuttavia sapevo che non sarei riuscita a fermarlo sfidandolo o aggredendolo. Se avessi detto la cosa sbagliata lo avrebbe aperto e avrebbe scoperto tutto.
    Sei sotto Starnutaria anche adesso?
    Non sembrava poi diverso dal ragazzo che una settimana prima era ubriaco in cortile. Aveva scelto un animale meno innocuo, sicuramente meno inquietante, ma rimaneva comunque lì davanti a imporre la sua presenza, trasfigurandosi i tratti e invadendo gli spazi altrui. Feci qualche passo in avanti, allungando la mano per afferrare un estremità del pacchetto e tentare di riprendermelo
    O sei così e basta?
     
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