A dutiful apology

Daisy

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  1. × Oliver ×
     
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    Era passata circa una settimana dal party incriminato, settimana nel quale Oliver si chiuse totalmente in sé stesso, prendendo le distanze dalla sue solite compagnie, la quale lealtà ora era quasi sicuramente a rischio. Si era mostrato seccato nei loro confronti, dichiarando apertamente che fossero state delle teste di cazzo ad aver strafatto a quel modo, deviando dalle sue direttive così chiare, e dandogli la colpa del casino successo, ignorando bellamente ogni replica. Tuttavia Oliver sapeva bene che la direzione decisiva di quella serata l’aveva causata con le sue stesse mani, portando a un epilogo pericoloso per l’intera casata, ma soprattutto per la sua permanenza in quella scuola e il nome dei suoi genitori. Rick aveva ragione… quel casino andava sistemato il prima possibile; aveva preso le giuste precauzioni nei confronti dei propri compagni, occupandosi di far trovare a tempo debito, qualora fosse stato necessario, le prove sotto le zampe dei malcapitati. Tuttavia il guaio sarebbe stato evitabile nel caso in cui Daisy non si fosse dichiarata vittima di quella sera, puntando i riflettori su tutti loro… su di lui. Quindi pensò di agire, e provare a tamponare la situazione come meglio poteva. L’aveva notata, nell’ultima settimana, andare spesso in giro con uno strano aggeggio babbano… dal quale fuoriusciva musica, a quanto pare. Curioso. Si era informato in merito, e aveva scoperto che quelle cose nelle orecchie servivano a “sparare” la musica, come possedute; tuttavia le cuffie della ragazza non dovevano avere un grande isolamento, perché si sentiva in lontananza se le passavi vicino. Così gli venne l’idea: le avrebbe regalato delle “cuffie da musica” in segno di scuse. Sì, avrebbe trovato le migliori. E così fu: un paio di cuffione gialle che circondavano la testa, non ancora in commercio, completamente isolanti. Possibilmente avrebbe apprezzato quel regalo così costoso, sembravano fatte praticamente d’oro… forse lo erano? Non le aveva osservate molto, le aveva fatte incartare e basta, spinto da un esperto nel campo babbano. Ci aveva aggiunto anche un piccolo fiore raccolto per caso attorno al castello, preso da chissà quale sciocchezza per la testa. Però non ci aveva scritto niente, per paura che buttasse il pacchetto senza neanche aprirlo. Senza neanche dargli quella chance.
    Qualche giorno dopo, la beccò nei dintorni delle serre. Si avvicinò quatto quatto, osservandola da dietro un albero. Poi, come ulteriore sintomo di sciocchezza, si fece spuntare due orecchie da gatto e miagolò da dietro il tronco. L’entrata in scena meno terrificante che potesse fare, quantomeno. Sapeva di dover tastare il terreno con calma misurata, per non far sì che scappasse come una gazzella impaurita. In quel momento si sentiva davvero un dannato predatore della savana… ma sperava che le orecchie morbidose gli dessero un’aria meno “pericolosa”; di solito con le ragazze funzionavano.
    Fece capolino da dietro l’albero, sbilanciandosi con la testa piegata verso destra e il piede alzato verso sinistra, cercando di darsi un’aria minimamente impacciata.
    – Buongiorno, Locke… non voglio spaventarti –, sottolineò alzando le mani accanto al viso.
    – Vengo in pace… nessuna bacchetta, nessuna cattiva intenzione – non era una bugia: quella mattina l’aveva scordata sul comodino. E chi se la faceva più tutta quella strada?
    – Volevo solo… – fece un respiro profondissimo, rilasciandolo lentamente insieme alle parole successive: – … scusarmi, ecco. Per quella sera. Io… sono stato un mostro. Ma, vedi… mi hanno messo qualcosa nel drink… a mia insaputa – portò avanti la sua versione, che comunque, per quanto ne sapeva, poteva anche essere la realtà. – Non mi sarei mai comportato così, altrimenti. – Evitò di avanzare, ma appoggiò la schiena all’albero, mordendosi le labbra mentre cercava la cosa giusta da dire. – Ti è…piaciuto il regalo?...Le cuffie. – precisò, con una mano al collo, temendo la sua reazione.

     
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