Recovery

Helena

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    Tormentato. Si rincorrono l'un l'altro i crucci che la sua stessa mente affibbia al Chesterfield. Conosce ormai a memoria ciascuno di quei dettagli; il senso di colpa, quello di inadeguatezza, la reclusione ad una porzione di esistenza isolata, il peso asfissiante dell'incomprensione, il martirio del sangue che schizza sulle sue nocche, sui vestiti, l'adombrarsi di una morale che ha tentato di resistere invano. Non è una sorpresa si ritrovi sempre a dover fare i conti con le conseguenze delle proprie azioni, dei propri pensieri talvolta. Rimugina per giorni sul modo brusco con cui si è rivolto ad Helena, dandosi contro, come sempre, a danno ormai compiuto. Non progetta però alcun ritorno. Si dice di doversi ritagliare del tempo, quello sufficiente a sbollire e rimettere in ordine concetti e priorità. Il destino non gliene dà modo. È per le stradine di Hogsmeade, in un sabato pomeriggio dell'imminente estate, che incontra di nuovo il suo volto, da lontano. Lei però non è da sola. Con le gambe scompostamente intrecciate a quelle di un ragazzino, condivide con lui una coppetta di cartone. Gelato, probabilmente, il suo preferito. Pinky, presente anche lei, contribuisce alla morsa che stringe il suo stomaco. È un quadro sereno, naturale. Felice. Normale. Lontano, troppo da lui. Ed in un attimo ogni cosa nella sua mente si fa più chiara. Cristallina. Evidente. Vedere Helena con un altro ragazzo, probabilmente della sua età, l'aria pulita, i modi gentili e privi di tormento, è il sigillo mancante che ha ricercato nel loro ultimo incontro. Lo stipularsi della loro rottura, definitiva, incancellabile. Si fa del male, profondamente, rimanendo spettatore di quella scena troppo a lungo. Abbastanza da vedere il modo buffo con cui la volpe si pone fra loro, col suo solito fare da principessina. Abbastanza da assistere all'incontro delle loro labbra e sentirne la potenza frantumare ogni sua vana, misera, incompresa speranza. Solo quando ne ha abbastanza ed il rammarico lascia il posto ad una profonda desolazione, si allontana da quell'immagine. Si allontana da loro, da lei. Trattiene in sé il dolore provato, affidandosi all'unica scappatoia che possa riempire per qualche ora il vuoto che avverte, zittire per un po' il caos nella sua mente.

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    Da quell'ultima potente sbronza sono passati diversi giorni. Ha celato ad Hubert il proprio malessere, ma qualche pecca ha tradito la sua scarsa concentrazione. L'uomo ha discretamente finto indifferenza e Mason gliene è stato grato. In fondo, è sempre stato abile a leggere la sofferenza di cui ogni tanto i suoi occhi sono intrisi. Più di chiunque altro, si dice. Ha tentato di allontanare dalla mente ogni pensiero legato a ciò che è andato, ciò che ha perso, ma niente gli è sembrato appetibile. Così si è ritirato dinanzi alla ricerca di una o più compagne d'Accademia per riempire d'altro le proprie notti. Allo stesso modo, ha puntualmente riposto il biglietto da visita donatogli da Hubert anni prima ogni volta che l'idea di pagare per un po' di compagnia ha sfiorato la sua mente. Solo, si è dedicato alle ricerche sulla propria famiglia. 'Che ne sia valsa la pena!', questo è ciò che pensa. E ripone ogni briciolo della propria attenzione nel nuovo evento cui ha deciso di presenziare, tenutosi in un lussuoso hotel della ricca Richmond londinese. Davanti all'enorme cancello aperto, pronto a trovare un angolo appartato per polisuccarsi, stavolta nel comune corpo di un cameriere avvistato appena un'ora prima in un bar del quartiere, è certo che niente e nessuno possa irrompere nella sua determinazione.


     
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    Era fuggita dallo studio della psicologa che frequentava ormai almeno una volta a settimana. Parlarle non era sempre proficuo, non per lei che avrebbe preferito imparare a non sentire nulla sul serio. Le sue parole risvegliavano pensieri assopiti, o peggio, ne alimentavano altri creduti inesistenti.
    Quel pomeriggio Helena si era lasciata andare alla confessione di voler sbottornarsi, più che letteralmente, con un ragazzo conosciuto ad Hogwarts. Il suo “ragazzo”. Le aveva confidato di non provare assolutamente nulla nei suoi riguardi ma di essersi avvicinata a lui per la sua bontà. Aveva poi aggiunto la sua intenzione, ossia quella di voler superare i suoi traumi e liberarsi dell’incapacità di essere sfiorata.
    La risposta della psicologa l’aveva tormentata per ora. Quel “non forzare i tempi perchè hai paura di quel che potrebbe accadere”, l’aveva spinta ad esplodere e poi alla fuga. Quel che aveva detto, rispecchiava perfettamente la realtà dei fatti.
    Quando Helena aveva paura di ciò che sarebbe potuto accadere, afferrava la situazione e le dava una spinta. La convinzione di essere fautrice del proprio destino, la illudeva di avere il controllo e di non poter soffrire ancora. Una bugia che si era raccontata più volte nella sua vita e che di certo non l’aveva aiutata.
    Così, aveva deciso comunque di attuare il suo piano: liberarsi delle sue paure. Un bel più complicato da fare dopo l’incontro avuto con Mason, ed il suo sguardo intercettato tra la folla in una seconda occasione. La sua decisione però era presa. La sera stessa quindi aveva invitato il ragazzo a raggiungerla nella sua camera per lasciarsi andare ad atti che sebbene da lei stessa proposti, non le fecero bene. Il suo corpo era stato chiaramente rigido durante l’atto, il suo volto contratto, il suo sguardo lontano e le domande continue di rassicurazione dell’altro, ebbero presto il potere di infastidirla. «Cazzo, basta, smettila.» Lo spinse via, sgusciando via e rivestendosi senza troppi preamboli. «Vaffanculo a me che ho accettato di stare con un perdente come te.» Una reazione eccessiva che non riuscì ad evitarsi. Il ragazzo d’altro canto si mostrò stupito e afflitto da un senso di colpa che non aveva motivo di esistere. «Non voglio più vederti.» A quel punto, lanciategli contro le sue cose lo spinse fuori dalla sua stanza.
    Aveva bisogno di tempo. Aveva bisogno di spazio, ma soprattutto aveva bisogno di Mason. In tutti quei mesi aveva finto di poter andare avanti senza di lui, lasciando in sospeso parole inespresse. Si rendeva conto di non poterlo fare. Il pomeriggio seguente era corsa in accademia per cercarlo. Aveva dovuto torchiare il suo compagno di stanza per riuscire ad ottenere delle informazioni sul dove trovarlo e quando era riuscita ad ottenere ciò che voleva, lo aveva raggiunto.
    Ritrovarsi al di fuori di un lussuoso hotel come quello, le fece accapponare la pelle. Per un attimo si affollarono nella sua mente ricordi ancora vividi, fomentati dall’ingresso all’interno dell’edificio di individui ben vestiti che le era sembrato di riconoscere.
    Si costrinse a far forza, ricacciando in fondo il proprio fastidio. Lo cercò tra la folla, superando individui ben vestiti. Quando il suo sguardo intercettò la sua figura, si fiondò verso lui, afferrandolo per un braccio per richiamare la sua attenzione. «Mason.» Aveva uno sguardo concitato, preoccupato. Il suo fiato era mozzo figlio del panico che stava cominciando a crescere perchè presente in un ambiente come quello. Eppure si costrinse a mantenere la calma, decisa a puntare su di lui la sua attenzione, a parlargli priva dell'effetto delle medicine che aveva vomitato poco prima di raggiungerlo. «Cosa diamine stai facendo tra questa gente?»

     
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    Non ha mai trovato intoppi nel percorso incanalato. Persino allontanatosi dalla presenza di Hubert, spettatore lontano di quella storia che non lo riguarda, ha sfruttato i suoi aiuti ed insegnamenti per procedere nella propria battaglia. E' sempre andata bene. Ha funzionato. Lo ha fatto perché il Chesterfield non aveva più altro di cui tenere conto. Non aveva qualcuno che lo intralciasse, che gli desse da pensare. Qualcuno che lo bloccasse o limitasse. Qualcuno che irrompesse all'improvviso durante uno dei suoi rischiosi appostamenti. Fino ad ora. Prima ancora di sentirsi strattonare per un braccio, avverte quella voce. La sua voce. Helena è lì, riportandolo in quell'alternativa alla realtà che non è più stato capace di gestire. Stringe tra i denti un'imprecazione, reggendo saldamente la pozione quasi rovesciata sul terreno mentre incredulità e stupore si affollano nella sua testa. Ad occhi sgranati, nel tentativo celere di mettere a fuoco la ragazza, si lancia in un'irruenza figlia dello spavento preso. 'Io? Che cazzo ci fai tu qui tra questa gente.' E normalmente le sarebbe chiara la premura celata in quell'esubero d'impulsività, ma considerati i risvolti degli ultimi tempi, il ragazzo dubita lei possa rendersene conto. E forse è meglio così. 'Cercavi me?' Si lascerebbe andare a quel punto ad un momento di stasi, un'unica parentesi in cui fermare il tempo e comprenderne gli spigoli ed anfratti. Come può fargli ancora quell'effetto? E' però l'avvistare i connotati degli Hollingsworth in avvicinamento ad allarmarlo, a lasciar prevalere su tutto il resto la necessità di proteggersi. Ed in fondo, lo sa bene, quello di proteggere anche Helena. Soprattutto lei. 'Cazzo. Vieni, svelta!' La trattiene a sé, che lei ne sia volente o meno. Non ha felpe o accessori con cui camuffarla ed il vialetto d'uscita è gremito di gente, troppa per poter sgattaiolare tra quella senza farsi notare. Col cuore in gola ed il solo monito di tirarla fuori da quel guaio a picchiettargli nella testa, raggira questo e l'altro ostacolo per raggiungere il retro della struttura. Una finestrella alta, sottile, dà tutta l'impressione di appartenere ad una stanza riservata al personale. Uno sgabuzzino forse. Molla la presa su Helena solo per recuperare dalle tasche dalla capienza ampliata l'aggeggio di cui ha bisogno. E' un nuovo marchingegno progettato per Hubert; lo poggia sul vetro della finestra, rendendolo intangibile fintanto che i loro corpi siano arrivati dall'altra parte. 'Salta su!' La aiuta - in parte, glielo impone - ad oltrepassare il vetro sbiadito di quell'unica scappatoia disponibile. Conta di fare lo stesso subito dopo, di raggiungerla ed aspettare lì che la folla si sia smaltita. A quel punto la lascerà andare e tornerà a seguire il piano originario di infiltrarsi a quel deplorevole evento. Non ha intenzione di tirarsi indietro. Non al momento.


     
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    Vedere la sua reazione la portò per un momento a qualche mese prima, solleticando quella fiamma che aveva creduto assopita e che in realtà aveva solo ignorato. Non c’era fastidio ma preoccupazione. Interesse. La cosa straordinaria era che quel sentimento era reciproco, nonostante i loro trascorsi e la loro distanza. «Fidati che è l’ultimo posto in cui vorrei stare.» Non mentiva. Vederlo immerso tra persone che l’avevano ferita la destabilizzava. Era sbagliato, come lo era per lei l’idea che Mason avesse bisogno di trovarsi lì per dare un senso al suo passato. Era anche quello il motivo per cui aveva sentito la necessità di allontanarsi: i loro bisogni li portavano verso strade che reciprocamente ferivano l’altro.
    Non oppose resistenza nè disse molto altro. In seguito alla sua reazione concitata non potette fare a meno che lasciarsi andare. Si fece guidare fino al retro di quel palazzo costoso, uno decisamente similare a quello in cui per niente al mondo avrebbe più messo piede. Morse il labbro inferiore mentre si aggrappava a lui per tirarsi su e scavalcare la finestra da raggiungere. L’attimo dopo fu dentro in quello che sembrava essere uno spogliatoio. Si spinse in avanti per certificare non ci fosse nessuno. Quando tornò alla finestra Mason era dentro con lei. Non gli diede il tempo di riprendersi, lo colpì alla spalla con un colpo. «Che cazzo… Perchè sei qui?» Sembrava non essere passato più di un giorno da quando si erano allontanati. Le loro abitudini, in quel momento, sembravano essere quelle di sempre. Tirò indietro una ciocca ribelle, mentre lo sguardo preoccupato ricercava quello dell’altro. Umettò le labbra prima di riuscire a parlare. «Le persone lì fuori… lo sai chi sono? Ho riconosciuto almeno metà di quegli stronzi e dovrebbero essere in galera insieme a Volhard.» Il fiato era mozza mentre esplicava quella realtà per lei incontrovertibile. Ed avrebbe aspettato la sua risposta, sguardo ancora fermo nel suo, se d’improvviso un nuovo ingresso in quella stanza non l’avesse fatta sobbalzare. Ansante, lanciò lo sguardo verso l’uomo che aveva fatto il proprio ingresso. Dal vestiario doveva essere il capo del personale. Indirizzò verso di loro uno sguardo lungo e silente prima di aprir bocca. «Ancora così? Vestitevi e muovetevi. Tra meno di cinque minuti vi voglio in sala con un vassoio in mano.»

     
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    Riconosce una vitalità familiare, quella che sembrava perduta. Si posa sulle azioni dell'altra, accarezza il suo sguardo vispo, donandole quelle parti di sé rimaste assopite per un po'. Di rimando, si accende una scintilla negli occhi del ragazzo, troppo impegnato però a badare al contesto che li circonda per poter indagare su quel mare in tempesta. Una furia che un tempo avrebbe vestito i panni della normalità e che in quell'istante rimbomba come un'anomalia. Un vortice di cambiamenti, quello, che lo trascina e destabilizza più di quanto non dia a vedere. 'Lo so.' Risponde di getto, nessun fronzolo, niente giri di parole. Conosce i trascorsi di Helena con quel tipo di gente. Nello specifico, con diverse delle persone lì presenti. Con quel giro tossico in cui è stata trascinata dall'inconsapevolezza e dall'avidità di una malata possessione. Questo ciò che rende ancora più stonata la sua presenza lì. 'Sono qui per questo, per incastrarli.' Le spiega celermente, rilasciando briciole di informazioni che non ha più ricevuto, della realtà da cui si è discostata ed in cui lui è immerso ora più che mai. E vorrebbe spiegarle di più, trascinarla via, forse persino mandare a monte i propri piani pur di portarla al sicuro, se solo l'ingresso di un responsabile dell'hotel non urtasse la loro tranquillità, lasciandoli sobbalzare ed imponendo al ragazzo di nascondere l'altra dietro di sé. Di provarci, almeno. E nonostante la minaccia apparentemente sventata, arriva fulminea la consapevolezza di non poter più tirarsi indietro, di doversi piuttosto adattare alla situazione, renderla agevole per entrambi sino a quando non sarà giunto il momento propizio per darsi alla fuga. 'Merda.' Un azzardo balena nella sua mente e proporlo ad Helena è l'unica scappatoia che azzeri ogni possibilità di notorietà. 'Va bene, non possiamo più stare qui dentro.' Recupera dalle proprie tasche la boccetta precedentemente nascostavi. La porge all'altra, spiegandole in fretta cosa abbia attraversato la sua mente, certo il tizio che li ha ripresi abbia già dimenticato i loro volti. 'E' una polisucco. Bevila, inventati un nome d'emergenza, allarga la divisa e non fare niente che dia nell'occhio.' Pochi e semplici i moniti che le dà, attendendo lei li accolga o meno mentre corre dinanzi ad uno specchio, la bacchetta puntata sul proprio viso, un incanto a posarsi su di esso. I suoi lineamenti si deformano, abbastanza da renderlo quasi irriconoscibile. Un metodo improvvisato per camuffarsi, studiato in caso di emergenza, perdita della polisucco o fine del suo effetto. Non molto efficacie, ma adatto ad impiegare il tempo necessario per procedere. Per provarci. Comincia a quel punto a liberarsi dei vestiti, sostituendoli con la divisa da cameriere lanciatagli poco prima dal responsabile. 'Restami vicino, ok? Non possiamo andarcene adesso, ma ti porto via alla prima occasione buona.' Darebbero nell'occhio, considerata l'orda di gente che attraversa il largo androne del palazzo ed il suo vialetto. Mantenere un profilo basso equivale a perdersi nella massa. Adeguarsi. Mischiarsi. Qualcosa che non le chiederebbe, se non fosse strettamente necessario. Su uno ed un solo dettaglio però è più che certo. 'Fidati di me. Non ti torceranno un solo capello.' Le porge la mano a quel punto, per stringerla ed infondervi la sicurezza necessaria a procedere. Ed è estremamente sincero nel dirlo. Lo è, perché presente in quella situazione, lì con lei. Una sincerità che trasmette ai suoi occhi smarriti, attendendo speranzoso Helena scelga di adeguarsi al suo piano.


     
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    Provò a seguire Mason ed il suo ragionamento ma l'ansia, il timore che qualcosa di terribile stesse per accadere, rese impossibile la lucidità. Il panico rendeva le idee del ragazzo frettolose, la paura i gesti di Helena lenti. «Incastrarli?» Eppure dinanzi a quella rivelazione non potè fare a meno di ribattere scioccata con un quesito che chiariva quanto poco propensa fosse ad accettare quella considerazione. Sapeva di non avere alcun diritto alla parola in quel frangente. Non era più la sua vita ed aveva deciso volontariamente di allontanarsene, eppure era per lei un'idea così stupida, così folle, che non avrebbe potuto star zitta. Non era l'idea della giustizia a frenarla, sebbene avesse smesso di credere in essa anni prima, ma la consapevolezza che quel mondo sarebbe stato impossibile da battere. Ogni gesto sarebbe stato inutile e controproducente. Incastrarli non sarebbe servito a nulla.
    Riuscire a farsi ascoltare dall'altro così preso dalle sue elucubrazioni però sembrò impossibile. Le riversò contro una serie di ordini, un piano organizzato in fretta e furia in cui si ritrovò pedina e non complice. In cui, ancora, avrebbe figurato come dama da salvare e non compagna. Non avrebbe potuto accettarlo. Per troppo tempo le persone che le erano state intorno, lui in particolare, avevano sacrificato loro stesso per lei. Quindi, afferrò un suo braccio, attirando la sua attenzione e tentando così di fargli riprendere per un attimo fiato. «Vaffanculo.» Chiariva la sua volontà di mettere fine ad una versione di sé che non poteva più sopportare. «Non ti lascio solo in questo covo di vipere.» Passò di nuovo a lui la polisucco. Non avrebbe indossato una maschera in cui non si sarebbe sentita a suo agio. Chiuse gli occhi piuttosto, concedendosi qualche attimo per concentrarsi. Mano a mano i suoi capelli mutarono, schiarendosi fino ad un biondo chiaro che non sarebbe stato a lei attribuibile. Anche i suoi occhi cambiarono colore. L'attimo dopo, nascose i lunghi capelli sotto un cappello ed indossati sul naso degli occhiali grossi provvedete a liberarsi dei suoi vestiti per indossare la divisa.
    Furono le sue parole a richiamare la sua attenzione. Portò su di lui il suo sguardo. Concesse ad entrambi quel contatto visivo da cui per mesi era fuggita. «Lo so.» Era ben conscia di quella promessa e della verità celata. Mason non avrebbe promesso a nessuno di farle del male, non lì. Nemmeno lei.
    Lo invitò ad uscire, rassicurandolo con uno sguardo.
    Si precipitarono nella sala attigua poco dopo. Dei vassoi in mano a spostarsi tra persone troppo impegnate a guardare altro per prestare a loro l'attenzione. Ed Helena impiegó qualche istante per capire che quello che attirava la loro attenzione era un degrado sociale in grado di provocarle nausea e brutti ricordi. Non riuscì a spiegarsi il motivo di persone in catene, chiuse in gabbie. Non riuscì a spiegarsi il motivo di quel parlottare di essere umani come fossero merce ma provò disgusto. Provò orrore nel rivedere quei volti che l'avevano ignorata, derisa ed offesa alla sua festa di compleanno sputare ancora una volta sulla dignità umana senza avere alcun rispetto.
    Il suo respiro accelerò mentre la presa sul vassoio si fece più forte. Fu quando uno di quei ragazzi sentí il bisogno di posare le sue mani su una ragazza inerme che trattenersi le sembrò impossibile. Così, quasi dimentica del posto in cui erano e dei testimoni lì presenti, il vassoio in mano come un'arma, avanzò tra la folla col tentativo di liberare la donna da un dolore che lei aveva conosciuto e che le sembrava di non aver mai smesso di provare.

     
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    Le parole di Helena lasciano dissipare ogni dubbio sino ad ora sostenuto. Non è certo di cosa nello specifico le abbia ridato quelle sembianze conosciute, quei dettagli che sanno di lei, ma non ha il tempo per indagarvi su. Non è il momento per farlo. Col silenzio, accondiscende alla sua ferrea, ferma volontà. Sta ad osservare il lento tramutarsi dei suoi capelli, lo sfumarsi degli occhi in picchi di colore che non le appartengano. In un altro contesto, resterebbe estasiato dalla capacità dell'altra di maneggiare con facilità quella tavolozza di sembianze. Ora però, in fretta, non può far altro che mettere via la boccetta rifiutata ed attendere che l'altra sia pronta, prima di entrare in scena in quella farsa. Ripone le proprie speranze in lei, come lei gli ha indirettamente rivelato di fare. Se solo bastasse questo a frenare le possibilità pronte a voltarsi verso risvolti aggravati da rischi impulsivi, non cadrebbero mai in errori di cui sono già stati protagonisti in passato. Tra uno sporco riccone e l'altro, vaga reggendo in perfetto equilibrio il vassoio, propinando a ciascuna di quelle persone una cortesia che non gli appartiene. I suoi occhi restano però incollati alla figura della ragazza, rendendosi partecipi del mare in tempesta che in poco tempo la assale. Non dovrebbe succedere, sotto l'effetto delle medicine. Ma quella considerazione crolla di getto nell'istante in cui le iridi dell'altra si colorano di vendetta, di rivalsa, di una furia che non è pronto a comprendere con tempestività. Gli basta però, dopo un attimo di temporeggiamento, puntare le pupille attente sul bersaglio da lei evidentemente individuato. In un attimo, i contorni di quell'inspiegabile situazione si fanno più vividi, concreti. Non è sufficiente. Il tempo si è già consumato tra dubbi ed incredulità. Avanza a passo svelto verso di lei, lasciandosi risucchiare in un vortice di dimenticanza ed elusione dal contesto. La sua prontezza non basta. La rapidità con cui si muove, una mela marcia in quell'insieme di lenta e superiore ottemperanza, desta già i sospetti dei più. Attira l'attenzione. E prima ancora di poter arrivare alle spalle dell'altra, accelerando ulteriormente il passo, urta questo e l'altro ospite. Incurante, alza il proprio profilo a limiti vertiginosi. E d'improvviso, volutamente, il vassoio ancora trasportante tre calici colmi di champagne va a rovesciarsi sull'elegante giacca di un aristocratico dal volto nero, i lineamenti oscuri ed arcigni, il suo borbottio insistente ad unirsi al tintinnare del cristallo infranto sul pavimento. 'Ti hanno educato in una porcilaia, storpio?' Il tono grosso ed impostato richiama l'attenzione di tutti, compresi quelli sino ad ora distratti. Compresi i coniugi Hollingsworth, allertati da un intoppo mai verificatosi durante i loro eventi. 'E' stato un incidente.' Ribolle di furia il sangue del Chesterfield, esposto ora più che mai, colto da un improvviso senso di irrequietudine mai provato prima. Quegli occhi puntati addosso, i loro occhi... Potrebbe andare tutto a monte. Il suo pensiero però non fa che correre ad Helena. Solo a lei. Per questo, incurante delle ripetute lamentele dell'uomo e della cerchia di nobiluomini lì attorno, si volta per raggiungerla, per assicurarsi di averla bloccata prima che l'inevitabile accadesse. Prima che si mettesse nei guai. Distratto, non è stato capace di osservare le sue mosse. Nell'avvicinarsi però, ormai certo di non avere scampo, le rilascia un ordine, un altro, che spera lei accolga senza battere ciglio. Per lui è forse troppo tardi. Lei ha ancora una speranza. 'Devi andartene.' Sussurra inudibilmente ad un passo dalla ragazza, prima che fitte corde si stringano attorno al suo corpo, la bacchetta di un addetto alla sicurezza puntata verso di lui. 'Via. Scappa.' Le intima a tono strozzato, soffocato da quella presa poco a poco più fitta. Tramortente.


     
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    Bastò la presa che sentì sul proprio polso a riportarla alla realtà. Mani sconosciute e rudi sulla propria pelle che innescarono in lei una scintilla di violenza in quei mesi mal trattenuta. Mise in atto una delle poche mosse di autodifesa apprese in quei mesi. Un colpo ben assestato, veloce, ed il naso rotto della sua vittima poco dopo. Una reazione che per quanto giustificata, almeno per lei, scatenò l’ira e lo sconcerto dei presenti. Un vociare indistinto attirò l’attenzione dei pochi distratti che a quel punto puntarono su di lei e su Mason, ancora imprigionato, la loro attenzione. Più uomini della sicurezza si avvicinarono a loro nel tentativo di braccarli e per quanto motivata alla fuga, Helena immaginò come sarebbe potuta finire di lì a poco. Lo sguardo incollato in quello supplichevole di Mason, mute scuse sulle sue labbra.
    Fu un ragazzo a bloccare l’intervento delle guardie. Si frappose fra loro, guardandola con attenzione, quasi stesse cercando di capire se avesse dinanzi realmente la persona che aveva pensato fosse. Ed era così. «Ma io ti conosco.» Helena lo guardò e ricordò perfettamente il giorno in cui lo aveva conosciuto: quello del suo compleanno. Ricordò di avergli chiesto aiuto mentre ubriaca e col labbro spaccato da una violenza che non aveva meritato era affiancata dal suo carceriere. Ricordò di essere stata derisa ed ignorata. Fu invasa dalla rabbia e dallo sconcerto, emozioni forti che avrebbe trattenuto se ancora sotto controllo farmacologico. Bastò una scintilla a far avvampare l’incendio che si portava dentro. Mentre una guardia ancora la tratteneva, il ragazzo portò una mano sotto al suo mento come a volerle tirar su il volto ma il contatto con quel passato, la rese irrequieta. Ingestibile. Non seppe dire come di preciso, ma riuscì a liberarsi dalla presa di chi la voleva immobile. Poi accadde tutto troppo in fretta perchè potesse essere cosciente delle sue azioni. In vaghi flash di lucidità, ricordò di aver recuperato la bacchetta, forse nemmeno la sua, e tra urla eccessivamente assordanti che causarono vetri rotti ed alcuni svenimenti- urla troppo forti perchè potessero essere definiti normali - mosse la bacchetta in un violento lampo rosso. Mentre la sua vista si offuscava, la pelle del malcapitato si squarciò. Dalla gola, zampillante scie rossastre macchiarono i presenti. Lei, Mason. Poco dopo, si accasciò al suolo.

    Fu un sonno tormentato, colmo di ricordi osceni e dolori tangibili. Il suo corpo provato, pallido, rispondeva lentamente agli stimoli ma era viva. Aveva già avuto diverse occasioni di cedimento al proprio autocontrollo, ma nessuno aveva mai raggiunto una simile entità. Il suo corpo ne aveva così risentito, necessitando di un riposo appena più lungo del consueto e comunque poco rassicurante visto il pericolo a cui erano scampati. Perchè erano scampati.
    Ricordò di averlo fatto. Sebbene poco in uno stato confusionario, ricordò di Mason libero e diretto verso di lei. Ricordò la lotta per uscire da quella che era diventata una caccia alla lepre, in cui le prede erano loro. Ricordò le urla, l’annaspare di un uomo incapace di respirare. Il sangue. La stanchezza ed il terrore provato a quel punto, crearono immagini sconvolgenti nella propria testa. Nei suoi sogni agì come nella realtà: mosse la bacchetta con furia, urlando, ma il suo incanto colpì Mason che, boccheggiante, crollava a terra in un fiume scrociante di denso sangue vermiglio. Fu quello a risvegliarla. Si rimise a sedere portandosi le mani alla gola. La fame d’aria la costrinse ricurva a ricercare un modo per respirare. «Mason.» Urlò il suo nome, mentre si aggrappava a quello che riconobbe essere un divano. Uno su cui aveva dormito con lui tante volte, in quella baita.
    Non ebbe però modo di porsi domande o porle a lui. Quando lo vide, con gli occhi colmi di lacrime, toccò il suo collo come ad assicurarsi di aver solo sognato un disastro a suo discapito. Poi, si fiondò tra le sue braccia, abbracciandolo come non era stata più riuscita a fare. «Sei vivo.»


     
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    E' un ripetersi di dettagli poco chiari quello che li circonda. Il Chesterfield presta la massima attenzione ad uno ed un solo elemento, mentre il resto si trasforma in una scia indefinita lontana, uno sfondo le cui conseguenze si rifletteranno in un futuro che Mason non indaga nell'immediato. L'adrenalina spinge le sue azioni sconfiggendo lo shock figlio dei gesti dell'altra. Libero dalla presa di aguzzini distratti dall'incontenibile esplosione della ragazza, riesce a raggiungerla in quel panorama sanguinolento. Si macchia di quel crimine sfumato nell'incertezza, afferrandola senza timore per trascinarla via, tra i vani tentativi altrui di trattenerli ancora. Bacchetta alla mano, Helena sottobraccio, rilascia gli ultimi rivoli di devastazione nella sala gremita di sconcerto ed agitazione. Svaniscono nel nulla, raggiungendo l'unico rifugio sicuro su cui il ragazzo senta di poter contare.

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    Tra le mura della baita ogni dramma viene messo a tacere. Funziona costantemente, come attimo di pausa che accoglie le loro fatiche, i corpi stremati da esse, per avvolgerli nella pace, nel silenzio, nell'immobilità. Adagia Helena sul divano, quel divano che per anni è stato loro, costretto a raccontare adesso l'ennesimo epilogo sfinito di un enorme malessere. La ripulisce delle tracce rosse che le macchiano la pelle e la spoglia subito dopo della divisa che non le appartiene, rivestendola di una larga maglietta che la copra fin sopra le ginocchia. Veglia su di lei, mentre si ripulisce lui stesso di quell'incidente. Ascolta l'agitazione di cui i suoi sospiri sono pregni, tuffa gli occhi sul suo viso contratto dalla paura. Mugugni sofferenti ed irrequieti accompagnano quel sonno disturbato di cui il Chesterfield non resta che un mero spettatore. E' solo al suo termine che si concede di reagire. Quando Helena urla il suo nome, in un attimo le è di fronte, chino sulle ginocchia, gli occhi immersi nei suoi. 'Sei vivo.' Comprende parte di quei timori sino ad ora ipotizzati, stringendo la ragazza a sua volta in un abbraccio caloroso ed altrettanto bisognoso. Scioglie in esso l'angoscia dell'aver potuto perderla, rilassandosi solo adesso nel realizzare siano scampati ad un pericolo sconfinato. Almeno per adesso. 'Sì, sto bene. E' tutto a posto.' Sussurra mentre le dita stringono la sua pelle, le braccia a racchiudere la sottile gabbia toracica. Un contatto di cui si serve per rifocillarsi, aiutando lei al contempo a calmarsi, ad allontanarsi dal panico provato. Dopo poco, sebbene non ancora sazio di quell'adiacenza condivisa, slega quell'abbraccio per afferrare il suo volto, delicato, premuroso, in parte ancora silenziosamente complice. Racchiude nelle ampie mani tremanti quei contorni altrettanto traballanti, tastandone il pallore, ricercandone la pace. 'Tu stai bene?' Scruta gli occhi nuovamente colorati delle loro sfumature naturali per afferrarne la sincerità. I propri, ambrati di interrogativi sempre più vividi, non li lasciano andare per un secondo. Comunicano apprensione, sciogliendo nel nulla un rimprovero che non troverebbe riscontro nella necessità. 'Cazzo, ti avevo detto di starmi accanto.' Il tono è flebile, rammaricato dall'averla trascinata ancora in quella crudele realtà. Aveva scelto di allontanarsene e le è bastato avvicinarsi solo per pochi minuti per venirne malamente risucchiata. Solo per stargli vicino. Solo per supportarlo in un mondo che non ha mai accettato. Se i suoi gesti non fossero stati abbastanza chiari, basterebbe quella chiara consapevolezza per dimostrargli l'amore che Helena gli rivolge ancora, forse inconsciamente. A palesare quel legame indistruttibile, come sempre armonioso in un contesto stonato, rotto. Ma quella vitalità è indice di altro. Il ritorno a qualcosa che il Chesterfield ha riconosciuto per tutta la sera e che non riesce adesso ad ignorare. Di cui le chiede conferma, addentrandosi con calma, coi polpastrelli che rassicuranti scivolano sui suoi zigomi umidi, in quella realtà che lui non è a sua volta stato capace di accettare. 'Non hai preso le medicine, mh?' Il tono risonante di una retorica dalla risposta scontata.


     
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    Ritornare tra le sue braccia, fu un loop strano da rivivere. La prima cosa che le capitò di pensare, mentre si riappropriava del suo profumo e della sua pelle era che le era mancato. Le era mancato in un modo in cui non avrebbe saputo spiegarsi ed infatti non l’aveva fatto fino a quel momento. Ora che stringeva di nuovo la sua presenza tra le sue mani si faceva palese invece l’incombente vuoto che la sua assenza aveva lasciato. Helena aveva provato a farsi forte, ad immaginarsi grande ed indipendente, appigliandosi alla falsa convinzione che sarebbe bastato tener lontano qualcosa, o meglio qualcuno, a cui teneva per ritrovare se stessa. Non era stato così. Faticava ancora a sentire la sua voce nel caos che le vorticava nella testa, ma averlo accanto accendeva una luce sul suo presente. Non era lui a spegnerla nella sua interezza: lui la aiutava a tenere accesa in lei il barlume di assopita speranza. Così ora si aggrappava a quella luce per tornare a vedere il suo presente. «Credo di sì.» Stare bene era un concetto così labile e intangibile che non avrebbe saputo rispondergli con sincerità. Le sue considerazioni si rifacevano esclusivamente all’aspetto fisico. Era viva, respirava. Stare bene era tutt’altro.
    Corrugò la fronte alla sua domanda. Le medicine. Da un paio di anni la sua vita si era rifatta esclusivamente a quello e lei si era adeguata a quel destino per il timore di soffrire. Negli ultimi tempi aveva capito però che al mondo esisteva qualcosa di realmente più doloroso della morte. Di quella fisica almeno. «Quale delle tante?» Rispose quindi con un pizzico di ironia, mentre sistemava i capelli e si guardava intorno. Il posto in cui era riportò alla mente momenti di una vita passata, dove era facile vivere di speranze. Ora, entrambi cresciuti, si guardavano in quegli occhi sofferti, notavano quei volti frustrati. La vita li aveva piegati ed ora erano di nuovo a quel punto.
    Seduta sul divano si curvò in avanti, portando le mani a coprire il volto. Lasciò che i ricordi dell’evento a cui erano stati affiorassero nella propria mente. Ricordava il panico, l’urlo, il sangue. Tornò a guardare Mason con una nuova consapevolezza nello sguardo, negli occhi un muto quesito. «L’ho fatto davvero?» E non ci sarebbe stato alcun bisogno di risposta. Il suo volto le donava le risposte di cui necessitava. «Non l’ho sognato.» Aveva davvero squarciato la gola di un uomo. Non pianse, non urlò. Poggiò la schiena contro la testiera del divano, le spalle basse e lo sguardo vacuo. «E’ morto?»



     
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    Nella beffa della vita ci si sono sempre persi. Concessioni di affetto e vicinanza si stringono ogni volta tra fitte rampicanti di tragedie, soffocanti di una morsa di timore ed azioni ad esso collegate che toglie loro il fiato, o anche solo la possibilità di riappropriarsi di quella comprensione che nessun altro gli offre. Nonostante l'affermazione dell'altra, non è difficile leggere ciò che si nasconde dietro la circostanza. Non è solo il dolore che urlano i suoi occhi, quello che Mason riconosce, quanto i segni stanchi ed affranti di cui ogni suo gesto è invaso, di cui il tremore della sua voce si fa portatore. Lascia che scivoli via dalla sua presa, rimuginando appena sulle alternative da renderle per mettere in chiaro le cose. Sceglie la verità, sedendo accanto a lei tra i cuscini pesti del divano. Annuisce un sì, perché è davvero successo ciò che ricorda. Scrolla un no con la testa, perché non è parte di un incubo o un qualsiasi sogno. Solo all'ultima delle sue domande, riesce a far avanzare la voce in una decisione più ferma e concreta. 'Sembra di no.' Ha sfruttato gli insegnamenti di Hubert per carpire le notizie principali degli avvenimenti di quella notte. Mentre Helena riposava, ha eseguito più di una ricerca, tenendosi tuttavia nascosto dal padre e dai consequenziali rimproveri che scaturiranno dall'aver creato un simile trambusto. Una fortuna non essere stato riconosciuto, ma quanta certezza si può riporre nelle azioni potenti di chi smonterebbe la legalità pezzo per pezzo pur di giungere alla verità? Sono preoccupazioni che lascia da parte, concentrandosi anche stavolta su Helena e su ciò di cui ha bisogno: supporto ma, soprattutto, sincerità. 'Non è messo bene, ma dicono abbia buone probabilità di sopravvivere.' E' davvero una notizia positiva? E' ciò in cui devono sperare, considerate le ultime parole pronunciate prima di rimanere vittima dell'impulsività della ragazza? Osserva le sue reazioni, tentando mestamente di capire quali siano le sue sensazioni in merito. Cerca l'attimo dopo il suo sguardo, per infonderle sicurezza e la promessa, forse non più così scontata, di essere al suo fianco per aiutarla. 'Lo conoscevi?' Un modo tenue di scavare in quella realtà rovesciata, il lato opposto all'apparenza palesatasi agli occhi di tutti i presenti. Il giuramento marchiato sulla sua pelle, sui suoi gesti, nelle intenzioni, tra il senno ed il cuore, di fare qualsiasi cosa per liberarla dall'ennesimo fardello con cui ha fratturato la sua tranquillità. 'Qualunque cosa sia, puoi contare sul mio aiuto.' Se non l'avesse raggiunto in quel covo di merda, non sarebbe stata risucchiata ancora una volta dalla costanza distruttiva del suo universo criminale.


     
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    A volte si chiedeva come sarebbe stata la sua vita se solo avesse avuto un minimo di autocontrollo in più. Non che non ci provasse quotidianamente ma quando concitati eventi si affollavano lungo il suo percorso, le sembrava di perdere aderenza dall'asfalto della pacatezza. Perdeva il controllo, zigzagando lungo strade che sperava di non raggiungere e come ci si sarebbe potuto aspettare, il più delle volte, andava a sbattere. L'impatto con la realtà non l'aveva mai lasciata indenne ma in quel momento, ritrovarsi dinanzi alla possibilità non così remota di aver sfiorato un mondo di cui aveva sempre avuto paura, la terrorizzò. E a tormentarla non era la perdita di controllo sulle sue capacità, ma il desiderio che l'aveva spinta a tanto. la volontà inconscia ed ingestibile di mettere a tacere il ragazzo contro cui si era sfogata. Di vederlo cessare d'esistere. «Cazzo.» Biascicò tra sé, lo sguardo perso in un punto qualsiasi del pavimento dinanzi a sé.
    Quindi, era accaduto. L'aveva fatto sul serio. Aveva agito nell'unico modo in cui non avrebbe mai dovuto ed era ad un passo dall'essere un'assassina. In qualche modo lo era già, poco importava il malcapitato fosse ancora vivo. Forse dopotutto, viste le parole incerte di Mason, lo sarebbe stato per poco.
    Gli lanciò uno sguardo triste prima di sospirare e lasciarsi andare contro lo schienale del divano. Le spalle basse, i denti a tormentarsi le guance.
    «Era un suo amico.» Si concesse a quella rivelazione dopo qualche attimo di pesante silenzio. Era certa non ci sarebbe stato bisogno di chiarimenti circa il soggetto insito di quella frase. Dopotutto, per quanto lontano, la sua ombra continuava a persistere nella sua vita. Le toglieva il fiato, un respiro alla volta.
    Sospirò alzando gli occhi al cielo mentre ritornava alla sera del suo compleanno, alla paura provata, alla consapevolezza terribile di essere e sentirsi sola. Persino le sue mani tremarono a quel ricordo.
    «Era al mio compleanno. Gli ho chiesto aiuto per fuggire da Lorence e lui mi ha riso in faccia. Mi ha detto che ero drammatica. Anche se avevo un labbro rotto le mie lamentele per lui erano eccessive.» La prigione in cui Lorence l'aveva rinchiusa non era solo quella fisica dell'ultimo periodo prima del suo arresto. L'aveva spinta in un mondo in cui lei era invisibile. Lorence era l'unico in grado di poterla vedere e l'unico da cui Helena non voleva essere vista.
    «Mi ha riconosciuto. Mi ha visto in viso e ha capito chi fossi.» Aggiunse poco dopo, puntando il proprio sguardo timoroso verso l'altro. Cosa avrebbe dovuto dirgli? Giustificarsi? E a cosa sarebbe servito? Era andata da lui cercando di ricostruire qualcosa di cui si era privata per timore ed aveva rovinato di nuovo ogni cosa. «Ho perso il controllo ma se lo meritava.» Era chiaro, fin troppo. E a quel punto, senza alcuna ragione apparente esordí in una risata divertita. Rise così tanto da diversi piegare in due ed asciugare le lacrime. «Scusami, lo so che non c'è nulla di divertente.» Gli disse tra una risata e l'altra cercando di riprendere fiato, atto concettualmente impossibile. «E' che... cioè, ci pensi? Riesce a rovinarmi la vita anche da dietro le sbarre.» Di nuovo, rise mentre scuoteva il capo e le lacrime le solcavano il viso. La consapevolezza di aver fatto una cazzata era palese. Qualcuno l'aveva di sicuro vista e quando il ragazzo si sarebbe ripreso, avrebbe di certo fatto il suo nome alle autorità. Sarebbe finita ad Azkaban esattamente come Lorence. E lì come avrebbe potuto salvarsi?
    Asciugò le lacrime, calmando lentamente le risa.
    «Prenditi cura di Pinky quando verranno ad arrestarmi.»

     
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    I chiarimenti di Helena giungono chiari tra un sospiro ed aliti di repliche irrazionali. Risa nervose si mischiano a lacrime silenti, i suoi occhi, come sempre, sono quelli che urlano la paura provata, il dolore ad incrinarne le iridi vittime di quel tremore liquido. Non è nuovo a quei cedimenti umani, eppure se ne sente ugualmente annientato, mai pronto ad afferrarne i lembi fragili con la prontezza di chi vi ha partecipato sin troppe volte. Troppe, senza mai essere in grado di prevenirle. Si estranea da quel dolore, il solo scopo di tamponare quella ferita ad irrompere nella decisione di prendersene carico senza trasformarla in una propria sofferenza. Raccoglie in sé l'alienazione di cui ha bisogno per rimodellare l'unica soluzione che appare cristallina tra le sue idee, un punto di forza maggiore che si fa spazio tra le frastagliate pareti di un malessere da cui si è detto guarito senza esserlo davvero. Visualizza nella propria mente il sangue, quello che gli ha sporcato le dita, che macchiava le appiccicaticce ciocche dei suoi capelli piombati sul pavimento con la pesantezza di macigni di colpa che hanno schiacciato entrambi. Ci vede lei, la sua innocenza incrinata, ed è solo da lì che riparte per ripulire quel delitto prima che diventi tale. E sebbene sorgano spontanei nelle proprie prospettive i dinieghi che Helena gli rivolgerà, altrettanto potente sarà la decisione con cui metterà in atto ciò che è pronto a suggerirle. Che deve suggerirle, perché agire nell'ombra aggroviglierebbe ulteriormente l'insieme di timori che le tolgono il fiato. 'Non ci andrai.' Esordisce quindi alla sua ultima rassegnata esalazione. Di prigioni ne ha già visitate tante, rinchiusa in questo o quell'altro limite, impostole da carnefici di ogni sorta. Per stavolta forse riuscirà ad evitarle l'unica che non l'ha ancora sopraffatta: quella tangibile. 'E' l'unico a sapere chi tu sia, ma non può farlo se non si sveglia.' Antepone quella prospettiva alle immagini più catastrofiche che si sono piantate nella testa della ragazza. Le afferra quindi le mani, il solo scopo di richiamare a sé i suoi occhi, di puntare in quel mare in tempesta le rassicurazioni che capeggiano il suo sguardo scuro. 'E lui non si sveglierà.' Chiarisce così le proprie volontà, irremovibili e dettate tanto dall'amore quanto dalla caparbietà con cui si rovinerebbe per esso. Per lei. Così, con occhiate estremamente approfondite, le confessa chiaramente che a macchiarsi di quel delitto non toccherà a lei. Sarà lui a prendere il suo posto, prima che ogni colpa possa ricadere sulle sue impulsive fragilità. 'Hai capito?' Si aspetta lei lo faccia. Immagina dovrà fronteggiare il suo rifiuto, ma è pronto a lasciarsene travolgere. Probabilmente lo calpesterà. Di nuovo, la ferirà con l'intento di proteggerla. Non è mai andata diversamente; il loro percorso si ritrova destinato a procedere entro gli stessi tossici confini. 'Non saresti stata lì se non fosse stato per me.' Le offre infine il suo punto di vista, marcando ancora una volta la propria ferrea decisione. 'Quindi questa cosa la sistemo io.' Segnando pesantemente la propria rassegnata natura da assassino.


     
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    Com’era potuto accadere? Continuava a ripeterselo mentre il dramma della notte precedente e di tutto ciò che da quel momento sarebbe potuto scaturire, si affollava e ripeteva nella propria mente. Aveva sempre avuto un fuoco dentro di sè, una rabbia a volte implacabile, e nonostante l’ira, la violenza mal celata, si era sempre detta inconsciamente di non essere capace di oltrepassare quel limite che da tanto e per tanto aveva condannato a Mason. Ora era lei ad avere le mani insanguinate. Si ritrovava a guardare con sguardo perso il suo passato ed il suo prossimo futuro. Che tipo di persona sarebbe stata da quel punto in poi? Come sarebbe cambiata la propria esistenza? O forse era già cambiata. L’aveva in effetti già fatto. Ed avrebbe potuto incolpare Lorence per tutto il male che aveva sporcato la sua esistenza, per quella violenza che le si era impressa addosso, ma forse avrebbe mentito a se stessa. Quel tumulto se lo portava dentro da tempo prima. Forse era nato con lei.
    Non si stupì della proposta di Mason. La sua reazione era ovvia, quasi scontata conoscendolo. Ed avrebbe potuto inveirgli contro, scostarlo, cominciare a battibeccare com’erano sempre stati troppo bravi a fare, ma non lo fece.
    Accolse le sue parole, la sua idea. Accolse quella che era una realtà che, in un modo o nell’altro avrebbe dovuto concretizzarsi. C’era solo da capire quale mano avrebbe preso a macchiarsi. Quale anima tra le loro si sarebbe spezzata ancora un po’. Ed inutile sarebbe stato opporsi: era quello il loro destino.
    Fu per quello che non esordì con rabbia alla sua proposta, nè si scostò dalla sua presa. Inaspettatamente anzi, si avvicinò a lui d’impeto, come non aveva più fatto da tempo.
    Lo baciò. Cercò le sue labbra in un bacio carico di parole non dette, di ringraziamenti taciuti, di paure nascoste, di promesse fatte ad entrambi. Era chiaro che non si sarebbe fatta da parte, lasciando a lui tutto l’onere di quel peso ma non lo giudicava. Accettava di accogliere con lui quel fardello, di essere sua partner e non soltanto una bambina da proteggere. Liberò le mani dalle sue solo per portarle sul suo volto, avvicinando il corpo a suo, tenendolo stretto in quella presa che avrebbe chiarito tacitamente le sue volontà: non lo avrebbe lasciato solo. Se c’era l’inferno oltre la porta del domani, lo avrebbero affrontato insieme. Non avrebbe ammesso repliche.

     
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