brotherly jelousy

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    Difficile. Difficile è dover far fronte al mondo intero quando non ti senti parte di esso. Ci ho provato sul serio ad allontanare la pessima idea che avevo di tutto questo, di me, ma non è servito. Più mi impegno a sembrare parte del meccanismo, più noto differenze che mi fanno sentire alieno. E’ come se fossi troppo grande per una porta troppo piccola, o troppo piccolo per una stanza troppo grande. Qualunque sia la mia grandezza, è sempre quella sbagliata ed io non posso fare a meno di sentirmi fuori luogo. Forse non esiste al mondo un posto in cui io possa sentirmi realmente al mio agio. Forse questo mondo non è il mio mondo.
    Provo comunque ad assecondare Daphne e le sue richieste, a starle dietro mentre lei è presa ad un livello in cui io non riesco a dimostrare d’essere, perchè non lo sono.
    “Daphne, devo dirti una co…” E ci provo, giuro, a parlarle, a dirle quel che provo così come Jonas mi ha consigliato da fare, ma la sua tendenza a sparire per correre lì dove la sua presenza è importante - come se con me non lo fosse - mi toglie le parole e alimenta la mia frustrazione. Di certo non aiuta vederla interagire con Bram. E sì, lo so, la gelosia è un sentimento ignobile ma non riesco a frenarla. Non posso fare a meno di sentirmi inutile.
    E’ per questo che sparisco per l’intera serata.
    Mentre gli ospiti si susseguono facendo sfoggio dei loro bei discorsi, io me ne resto in disparte, nel retro della sede dell’associazione seduto su un bidone. Una bottiglia di vodka tra le mani ed una sigaretta mezza finita tra le labbra.
    Quando la serata finisce e gli ospiti vanno via, Daphne mi raggiunge. Io sono ancora qui, seduto a fissare il cielo e a fumare l’ultima sigaretta del mio pacco. Avrei voluto risolvere in altro modo il mio disappunto, magari mettendolo a tacere con una di quelle pillole che dovrebbero farmi tanto male ed invece mi fanno sentire così bene, ma ultimamente le mie finanze hanno ripreso a scarseggiare. “Hai finito di fare la reginetta del ballo?” Nemmeno la guardo mentre le pongo, con tranquillità un commento che cela una caustica sensazione. “Tranquilla, puoi anche andare. Pulirò io quando ne avrò voglia.”



     
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    Quella sera si erano presentate così tante persone che Daphne aveva trascorso buona parte del tempo ad aiutare i volontari a trovare nuove sedie da aggiungere a quelle già presenti nella stanza principale della sede di Theresa, dove si svolgevano gli eventi più importanti. La Morrow era decisamente elettrizzata dall'impressionante afflusso di gente e stava imparando a sopportare - all'incirca - la costante di un inizio ritardato di certi eventi, dovuto alla necessità di accogliere un interesse e una partecipazione sempre maggiori che mettevano alla prova la capacità fisica dell'edificio.
    Sì, tra un attimo..
    Mollò una pila di sedie tra le braccia del fratello, stringendogli poi l'avambraccio in un gesto affettuoso mentre si precipitava ad accogliere un paio di adolescenti che si erano appena affacciati timidamente nell'ingresso e sembravano aver bisogno di un piccolo incoraggiamento. Se non era scoppiato un incendio al piano di sopra, Jerome avrebbe dovuto aspettare, così come Bram e chiunque altro. Le sedie erano ormai finite - la rossa si appuntò mentalmente di acquistarne altre - ma i nuovi arrivati si accontentavano di restare in piedi, consolandosi con il té freddo o qualsiasi altra cosa il rifresco poco pretenzioso ma abbondante offrisse loro. Quando finalmente poterono dirsi pronti per iniziare, Daphne tirò sospiro di sollievo e soddisfazione, abbandonandosi naturale svolgimento della serata, senza tuttavia mai perdere il controllo della gestione organizzativa.
    L'improvvisa assenza di Jerome non passò inosservata. Né a lei né a chi lo conosceva come un punto di riferimento per la fondazione: un paio di domande ricevute in merito bastarono a Daphne per sentirsi travolta da un'ondata di crescente nervosismo. Non riusciva a giustificare i modi distratti e approssimativi del fratello, non quando si trattava di Theresa, né poteva negare di sentirsi sopraffatta dalla quantità di lavoro che quella fondazione portava con sé e di necessitare per questo di tutto il supporto che i suoi due principali collaboratori e soci potevano darle. Era stato un impeto di orgoglioso risentimento a spingerla a non cercare il gemello finché l'evento non era giunto al termine, oltre alla necessità di non lasciare il Dubois da solo in balia delle responsabilità che gravavano su di loro.
    Mi chiedevo dove fossi finito.
    Solo dopo aver salutato tutti si era messa alla ricerca, trovando Jerome fuori dall'edificio, sul retro, intento a dedicare la sua attenzione ad un pacchetto di sigarette e a una bottiglia di vodka. La danese arricciò il naso con disappunto: in parte per la vodka bevuta direttamente dalla bottiglia, in parte per il bidone su cui sedeva il gemello che le sembrava davvero una pessima scelta. Ma fu la nota di scherno presente nel commento di Jerome a far scattare un suo sopracciglio verso l'altro, mentre sul volto della ragazza si dipingeva un'espressione sdegnata.
    Scusa? domanda retorica, un incipit passivo - aggressivo che denotava la somiglianza tra i due gemelli sotto quello specifico punto di vista La "reginetta del ballo" avrebbe avuto bisogno del tuo aiuto stasera.
    Rincarò la dose, sollevando il mento ed incrociando le braccia sotto il petto mentre un senso di fastidio la infiammava dall'interno. Con che coraggio Jerome la accusava di.. cosa? Egocentrismo? Proprio dopo essersi dileguato venendo meno all'impegno che avrebbe dovuto impiegare in quella serata. La verità era che bastava davvero poco ad offendere la rossa quando si andava a mettere in discussione il suo comportamento, soprattutto se ciò aveva a che fare con un'attività in cui aveva messo il cuore.
    Ha preso parola anche Justin, quel ragazzo che hai portato tu due settimane fa. Ti cercava con lo sguardo.
    Fu proprio quell'offesa a renderla particolarmente acida, spingendola a servire al fratello una buona ragione per sentirsi in colpa. Justin era un ragazzino di sedici anni, picchiato dal padre fin dal giorno in cui aveva fatto coming out. Il genere di storia che proprio grazie a Jerome era stata inclusa in ciò che Theresa andava ad affrontare, dal momento che inizialmente il pensiero di Daphne era stato rivolto principalmente alle donne.
    Ho dovuto dire ad un paio di persone che non ti sentivi bene e non so neanche se è vero.
    Di sicuro bene non stava, a giudicare dal modo in cui si era isolato quella sera. Ultimamente Daphne lo vedeva molto meno coinvolto e si chiedeva se questo dipendesse da uno di quei crolli umorali che affliggevano il gemello o se vi fossero invece altre ragioni. Forse era arrivato il momento di parlarne, se solo lei fosse riuscita ad addomesticare il suo fastidio.
    So solo che bevi troppo.
    Gli strappò la bottiglia di vodka dalle mani e versò il contenuto restante lungo un canale di scolo. Una mossa prepotente, forse, ma era noto il suo autoritarismo quando vedeva le persone che più amava farsi del male.
     
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    Le lancio uno sguardo scocciato. Ferito. Vorrei non farlo. Vorrei tenere per me quello che provo così come ho fatto finora ma mi sembra di essere arrivato ad un punto in cui le mie emozioni traboccano. Non so se è dovuto ad uno dei miei cicli o se sono semplicemente troppo infantile per affrontare la vita degli adulti privo di questi inutili problemi, ma lasciar correre mi sembra impossibile.
    “Si? E quando? Quando eri impegnata con gli ospiti o a parlare col tuo amico?” La mia bocca si muove prima che io possa dare lei l'ordine di non farlo. Mi ritrovo così a sputare una dose di veleno evitabile che mi provoca imbarazzo. Mi concedo un altro sorso quasi a voler nascondere le gote rosse.
    Stringo i denti quando cita Justin, cercando di reprimere, in modo inutile ovviamente, il senso di colpa su cui immagino Daphne volesse fare leva. Ora mi sento uno stronzo oltre che un bambino, e non posso darle certo colpe per questo.
    “Sí è vero. Non sto bene.” Mi limito a rispondere, incrociando le braccia al petto. Fermento la mia rabbia in silenzio per qualche attimo prima di sporgermi verso di lei per tentare di riafferrare la bottiglia che mi ha strappato. Ho bisogno di qualcosa in cui annegare il mio disagio.
    “Non ho bisogno più di una madre. La mia é morta.” So quel che sembra. Una cannonata. Lo è per me quanto immagino per lei.
    Ho sempre portato avanti l'idea di un me genuino e ingenuo. Pulito da colpe che invece ho quotidianamente. Mi sento di nuovo un verme ed è questo a spingermi alla fuga. Alla solitudine. Sento di meritare nient'altro che questo. “Senti va via. Lascia tutto com'è. Sistemerò io.” Provo quindi a mandarla via, sperando di averla ferita abbastanza da spingerla alla fuga.



     
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    Daphne aggrottò la fronte, leggermente confusa e decisamente indispettita dall'atteggiamento del gemello. Era una sua impressione o il ragazzo stava insinuando che lei non avesse davvero sentito la mancanza del suo supporto e del suo aiuto nel corso della serata? Sembrava quello il senso della sua osservazione espressa con un tono spiccatamente acido, eppure quell'evidenza non sarebbe potuta essere più chiara di così, secondo la danese. Gli eventi di Theresa erano quanto di più importante le fosse mai capitato di organizzare e gestire, di conseguenza le sue competenze nell'organizzazione eventi non potevano bastare a farla sentire tranquilla di fronte alla possibilità che tutto gravasse sulle sue spalle. Aveva bisogno dell'aiuto di Bram e Jerome, ma quello di quest'ultimo quella sera le era decisamente venuto a mancare.
    In entrambi i casi, visto che noi tre dovremmo collaborare. sottolineò, piccata Hai qualche problema con Bram?
    A dirla tutta, la rossa si trascinava dietro quel dubbio da un po'. Inizialmente non aveva voluto dare molto credito a quel sospetto, dal momento che le sembrava privo di fondamenta: Bram e Jerome erano in buoni rapporti - si poteva quasi dire che fossero amici - quando ancora i due gemelli si detestavano, cosa poteva essere cambiato da allora? Se avessero litigato per qualche ragione di certo Daphne lo sarebbe venuta a sapere. E tuttavia era da un po' che la Morrow percepiva una bizzarra tensione tra i due, una tensione unidirezionale.. più che altro. Non si era sorpresa del disagio che aveva captato tra i due il giorno della "nascita" della Fondazione, né aveva potuto biasimarli: la rottura tra Bram e Drayton era ancora fresca e un po' di imbarazzo era naturale, considerato che il biondo era il migliore amico di Jerome. Ma l'idea che quest'ultimo potesse invece nutrire qualche forma di ostilità nei confronti del Dubois le risultava invece incomprensibile.
    Era così concentrata nel cercare di capire quanto la sua osservazione fosse fondata che rimase stordita quando la conversazione si spostò invece su Theresa Morrow. Jerome l'aveva citata con tutta la naturalezza del mondo ma, nel farlo, aveva sferrato una freccia avvelenata diretta al cuore della sorella. Interdetta, la rossa si prese qualche istante per mandare giù lo sconcerto e l'amarezza.
    Oh, fantastico. Cosa ti aspetti che faccia ora? Che ti ricordi che era anche mia madre?
    Era profondamente offesa, ma abbastanza lucida da rendersi conto che ciò era proprio quanto Jerome - per qualche strana ragione - si aspettava da lei. Non era disposta a dargliela vinta, sebbene le poche parole del gemello fossero bastate a farle percepire un profondo senso di rifiuto nei propri confronti.
    Lo sai benissimo. Anche se sembra che ti piaccia farmi sentire come se fossi solo la figlia di Soren Bachskov.
    Non gli avrebbe dato addosso con rabbia o lacrime, ma non poteva comunque sorvolare sulla crudeltà della parole di suo fratello. Era stato lui a proporle di adottare il cognome materno, il che rendeva ancor più orrenda la sua affermazione. Ma la rossa sapeva anche che a pesarle più di ogni altro aspetto era il fastidioso pensiero che vi fosse del vero nelle parole appena ascoltate. Theresa era sua madre solo biologicamente parlando: non era stato concesso loro di stabilire alcun tipo di legame.
    Dopo aver svuotato completamente la bottiglia del suo contenuto, Daphne la buttò nel cassonetto del vetro per poi tornare a fronteggiare il fratello, decisa a non dargli tregua.
    Non ci provare. gli intimò, sollevando un sopracciglio e ponendo le mani sui fianchi con l'aria di chi non ammetteva repliche Senti, Jer, con me non funziona questa tecnica.. chiaro? Non girerai attorno al problema così da fare in modo che io ci arrivi da sola, mentre ti crogioli nelle attenzioni dovute alla mia insistenza. dichiarò, con la sicurezza di chi sapeva esattamente quale dinamica si stesse ritrovando ad affrontare Faccio lo stesso gioco da quando avevo sei anni: sono la regina dell'aggressività passiva. E non sono disposta a subirla.
    No davvero, non ci pensava proprio. Nel ritrovarsi "dall'altra parte", non poteva fare a meno di chiedersi come le persone potessero sopportare quando era lei a farlo: era estremamente frustrante ritrovarsi a dover interpretare i messaggi in codice di qualcuno che voleva farle comprendere quale torto riteneva di aver subito. Lo era soprattutto dal momento che la persona in questione era diventata davvero importante per lei negli ultimi anni.
    Parla chiaramente.
     
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    Sbotto in uno sbuffo ironico, prima di alzare le mani, ovviamente infastidito dal modo in cui, pur senza palesarlo, sembra voler difendere il suo amico. “Io? Figurati. Nessuno potrebbe mai avere problemi con San Bram.” Ed in realtà non ho davvero nulla nei suoi riguardi, oltre che un filo di rancore per la crociata fatta a Jonas nel volerlo far passare come un carnefice. In una relazione, si è vittime e carnefici sempre in due. Il mio sguardo resta incollato alla parete di mattoni che ho di fronte mentre Daphne ruba la mia bottiglia e la finisce. “Tranquilla. Ricevo già abbastanza attenzioni da molte persone. Non ho bisogno anche delle tue.” Incrocio le braccia al petto, irrigidendo la mascella. Mento. Non mi è mai sembrato di essere così solo come negli ultimi anni, sebbene sia costantemente circondato di persone, molte delle quali sono per me solo volti senza nome.
    Non replico alle sue parole, non subito. Mi prendo un attimo per rimuginarci su, prima di decidermi a rimettermi in piedi, allontanandomi dal punto in cui ero. Faccio per superarla, quasi volessi andar via senza degnarla di alcuna risposta. Mi sento però impossibilitato a farlo. Prima di sparire del tutto, torno sui miei passi, fronteggiandola. L’apatia sul mio volto man mano svanisce, lasciando il posto ad un’incapacità alla tranquillità. “Perché non cominci tu ad esserlo, Daphne?” Le chiedo, allargando appena le braccia mentre la invito alla sincerità di cui tanto parla. Non sono lucido, è chiaro io non lo sia e questo potrebbe essere un problema. Lo sarà di certo. “Perché non sei sincera e non mi dici che il motivo principale per cui hai deciso di ficcarmi in questo progetto è solo per avere il permesso di utilizzare il nome di mia madre? Perchè sì, è mia madre! Tu nemmeno la conoscevi!” Il mio tono si alza, mentre le riverso contro un po’ dell’ingestibile furia che mi porto dentro. “Cerchi solo di ripulirti la coscienza.” E non so perchè la mia voce, più alta del solito, trema. Non so nemmeno se credo realmente in quel che le vomito addosso. Mi sento solo come compresso in una pentola che sta per esplodere. Sento solo il bisogno di urlare, per la prima volta farmi sentire.
    L’esplosione non è insolita per me. Sono cicli già vissuti, debolezze di cui sono vittima costantemente. Domani avrò solo voglia di morire mentre mi lascerò affliggere da un’incombente, ingestibile, senso di colpa. “E comunque fanculo! Lei non se lo meritava questo! Era una psicopatica che ha fatto passare l’inferno a chiunque le offrisse affetto e tu la idolatri come fosse una santa quasi come se… ma certo, sì.” Lascio ricadere le braccia lungo i fianchi, esordendo in una risata amara mentre scuoto il capo, quasi come se avessi finalmente capito il nocciolo della questione. “Anche lei è migliore di me, no?” Assurde le mie parole, assurda la mia paranoia.


     
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    Il sarcasmo di Jerome era talmente evidente da non lasciare spazio ad alcun dubbio. I sospetti che Daphne aveva deciso di trascurare - tutt'altro che contenta all'idea di ritrovarsi nella scomoda posizione che un conflitto tra il suo gemello e il suo migliore amico avrebbe comportato per lei - erano ben più che semplici ipotesi, corrispondevano ad una realtà che non le sarebbe stato più possibile ignorare. Tuttavia, la rossa ancora non riusciva a capire.
    Okay, quindi mi confermi che hai problemi con lui. Quali, di grazia?
    Ciò su cui Jerome aveva ironizzato era una costatazione tutt'altro che esagerata: era davvero difficile, dal punto di vista della danese, avere qualche problema con Bram. L'americano erano una persona genuinamente buona, senza contare che Daphne aveva sempre pensato che i due addirittura si assomigliassero sotto certi aspetti e che avrebbero potuto essere ottimi amici, se non ci fosse stato Drayton di mezzo. Era possibile che fosse ancora quella relazione - finita da tempo - a creare dissapori tra i due "uomini della sua vita"?
    Se fosse vero non avresti appena messo in scena questo dramma, lo sappiamo entrambi.
    La rossa non metteva in dubbio il fatto che suo fratello ricevesse anche altre attenzioni, oltre alle sue. Tra i due gemelli, lui era senz'altro quello con il carattere più affabile - quantomeno quando le sue problematiche non prendevano il sopravvento - e sicuramente era sinceramente amato da tutti i suoi amici, riuscendo a legare con il suo prossimo più facilmente della sorella. Quello di cui dubitava, invece, era che Jerome non sentisse il bisogno delle attenzioni della sua gemella: in questo erano piuttosto simile, la Morrow ne era convinta, il che le permetteva di leggere senza difficoltà le richieste che si celavano dietro all'aggressività che ora il ragazzo le stava rivolgendo contro. Il problema era che non le risultava altrettanto facile capire cosa, di preciso, lo turbasse.
    Cosa? Spero che tu stia scherzando...
    L'attacco di Jerome la lasciò inizialmente sbigottita per la sua assurdità. Il fatto che lui potesse pensare che non fosse stato il desiderio di averlo al proprio fianco in quel progetto a spingerla a coinvolgerlo nella creazione della fondazione era per lei sconcertante, al punto che si sarebbe sentita profondamente colpita e forse lo avrebbe stretto in un abbraccio rassicurante se tutto si fosse fermato lì. Ma il ragazzo non aveva alcuna intenzione di fermarsi, c'era evidentemente ben altro che desiderava dirle.
    Quindi.. è questo che pensi?
    Ripulirti la coscienza. Quelle parole risvegliarono il fantasma mai sopito dei sensi di colpa, quelli che Daphne si portava dietro da quando aveva sbattuto di faccia contro la verità. Si era arrovellata un'infinità di volte scandagliando i propri ricordi alla ricerca dei momenti in cui avrebbe potuto aprire gli occhi da sola, se solo fosse stata un po' più attenta. Un po' meno fiduciosa nei confronti dell'uomo che l'aveva cresciuta.. meno dipendente, meno smaniosa del suo amore. Sapeva che quei momenti dovevano per forza essersi verificati, ma provava a dirsi che non ve ne era mai stato uno tanto eclatante da essere inequivocabile, così palese da definirla come una persona che si era voltata dall'altra parte. Come sarebbe sopravvissuta se si fosse resa conto che era questa la sua reale identità?
    Capisco. Dunque è colpa mia se nostro padre ha stuprato Theresa e molte altre donne! O forse è colpa mia se mi ha strappata a lei e non mi ha dato la possibilità di conoscerla! Magari è colpa mia se sei cresciuto da solo con una donna troppo spezzata per amarti!
    Si rese conto che stava gridando. La sua voce si era alzata rapidamente portandola a sbraitare contro il fratello come non aveva assolutamente previsto di fare. Se qualcuno fosse passato di lì probabilmente si sarebbe fermato a guardarli, vinto dalla curiosità, ma a Daphne non importava. Non ci stava proprio pensando. Non si chiedeva come suonasse la sua voce, più alta del normale e carica di una tensione sul punto di esplodere, né si preoccupava del fatto che i suoi occhi azzurri pizzicassero in modo piuttosto allarmante.
    No, tu non pensi tutto questo.. sai benissimo che è folle. Sai benissimo che Theresa era anche mia madre. Credi che non mi faccia male sapere che non avrò mai nemmeno la possibilità di guardarla negli occhi?
    Ogni tanto ci pensava, anche se non era solita parlarne. Non si trattava solo dell'invidia provata di fronte a coloro che avevano una madre fantastica e amorevole - come Sayuri o Bram - anche se quello rappresentava buona parte della sua sofferenza e dei suoi problemi relazionali. No.. a volte, semplicemente, si chiedeva come sarebbe stato poter guardare Theresa negli occhi almeno una volta, anche se quella donna probabilmente avrebbe saputo solo respingerla.
    Quello che pensi davvero è che io avrei dovuto capire che uomo è Soren Bachskov. Pensi che io sia stata cieca, che non abbia voluto vedere, pensi che lui mi abbia cresciuta a sua immagine e somiglianza e che non potrò mai guarire da questa colpa.
    La sua voce ora si era notevolmente abbassata, così come il suo sguardo che perlustrava il selciato sotto di loro. Le sue parole ribadivano la convinzione che Jerome aveva appena condiviso con lei, ma davano anche voce a quello che era anche un pensiero della stessa Daphne. Una paura, per essere precisi. Se sul suo cuore gravava davvero quella colpa, che razza di persona era? È questa la verità.. giusto? Sono macchiata, irrimediabilmente. Che razza di donna sarebbe potuta diventare, a prescindere dagli sforzi per garantirsi un promettente futuro? Certe macchie non potevano essere cancellate, non c'era via di guarigione da quella colpa.
    I suoi occhi azzurri vagarono senza meta, intercettando lo sguardo del fratello per un solo istante. Era troppo doloroso, adesso, soffermarsi su una comunicazione non verbale che era diventata parte del suo quotidiano, quasi un vago spettro di quello che sarebbe stato il rapporto tra loro se solo fossero cresciuti davvero come due gemelli. Daphne avvertiva quella profonda "sintonia in potenza" ormai, le era capitato perfino di chiedersi se tutto ciò sarebbe stato recuperabile adesso che erano finalmente insieme. Ma forse era proprio questo a renderle lo sguardo di Jerome così doloroso e temibile, in quel momento.
    Theresa non era perfetta, anzi, da quello che mi hai raccontato, era un disastro. Ma le vittime non sono tutte perfette.. non sono tutte madri affettuose, persone altruiste, fragili vergini in attesa dell'amore della loro vita. Le vittime di stupro possono essere stronze, egoiste, alcolizzate, tossiche, bipolari, prostitute. Ma restano vittime, donne a cui è stato strappato qualcosa. Per questo Theresa è il nostro simbolo.
    Spiegò, le parole che si libravano nell'aria come se il loro significato fosse indipendente dalla deriva che in quel momento aveva preso la loro conversazione, come se niente potesse toccare il profondo valore di quel progetto. E forse era così. Ma di certo ciò che Jerome aveva detto aveva il potere di toccare lei.
    Credevo l'avessi capito. Credevo.. che tu mi avessi capita.
    La sua voce si arrese e si spezzò quando gli occhi la tradirono, lasciandosi sfuggire qualche lacrima. La danese si sentì improvvisamente inghiottita da un profondo senso di vacuità, una solitudine che conosceva bene, il cui talento era sempre stato quello di sapersi manifestare senza alcun preavviso e con un'insorgere devastante nella sua violenza.
    Lo sai, Jer.. ogni tanto mi chiedo se davvero mi merito l'amore che cerco così disperatamente di ricevere dagli altri. Tu oggi mi hai dato la tua risposta. era evidente che non lo meritava affatto, non se l'amore per suo padre l'aveva corrotta così inesorabilmente Quindi per favore non.. fingere che ti importi qualcosa di me o di quello che penso di te.
     
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    Avrei dovuto evitare il confronto, me ne rendo conto adesso. Non è la possibilità di avere un diverbio ad annichilirmi quanto la, ormai palese, possibilità di non essere capito. Non le do colpa in questo. Persino io a volte, troppe, faccio fatica a seguire il filo dei miei pensieri e d'altro canto anche lei come me è ferita da un mondo che non le è stato amico. Non posso biasimarla. Ho già visto quanto male faccia ricevere il carico dei miei problemi. Mi ero ripromesso di tenere per me i prossimi pesi ed invece ho di nuovo gettato contro qualcuno le mie indisposizioni. Cerco negli altri la soluzione al mio malessere perché è impossibile parlare con me. Tendo a dimenticare un punto essenziale: per quello che sono non c'è soluzione.
    Mi allontano da lei e da eccessi che non saprei controllare. È contro il cassonetto in ferro che riverso la mia ansia, colpendolo con un calcio che mi fa vibrare la tibia per il dolore. “Io non ho problemi con nessuno, cazzo! Tanto meno col tuo amico perfetto come te. Chi mai potrebbe avere problemi con voi dopotutto, no?” Lo urlo. Il viso rosso, la voce rotta. Non avrei mai pensato di esordire dinanzi a lei con una scenata di gelosia. Una gelosia insana che non vede in lei, in loro, il fine ultimo del mio sentimento ma che rispecchia tutte le mie mancanze. Non è Bram ad innervosirmi o il loro rapporto, ma la turbolenza causata dalla convinzione di non essere abbastanza, di essere, troppe volte, instabile. Ed è così che mi sento adesso, mentre parlo, mentre urlo. La terra sotto i miei piedi vacilla e sentirla parlare, apportare le sue tesi, accogliere le sue convinzioni, non mi aiuta. Anzi il contrario. “Non ho detto questo.” Accogliere il messaggio che le è arrivato mi ferisce quasi quanto le sue convinzioni facciano con lei. Straparlare mi ha condotto a ferirla più di quanto avrei voluto. Non sono migliore di mia madre o di mio padre. Forse in effetti Theresa non aveva tutti i torti: sono un dissennatore. Sono nato per uccidere l'altrui felicità.
    Accogliere le sue ultime parole mi spiazza e mi ferisce. Non sarei voluto arrivare a questo punto. Mi sembra inutile a questo punto continuare a ribattere. Siamo vicendevolmente feriti.
    “Come vuoi. Resta qui a prenderti l'amore ed il supporto di chi è interessato a te. Io ho chiuso.” Non aggiungo altro. Peggioro la mia situazione lasciandomi coccolare dal rancore, e abbandonandola alla sua tristezza vado via.

    Il silenzio non mi è sembrata la scelta più giusta ma di sicuro l'unica che fossi in grado di prendere. La furia che mi ribolliva dentro mi rendeva incapace di parlare. È per questo che sono andato via. Avrei voluto chiederle scusa, provare a toglierle dalla testa i tarli che le mie paranoie avevano creato nella sua testa ma non ci sono riuscito. Ho così fatto l'unica cosa che mi riesce sempre senza particolari problemi: distruggermi. Ho imparato a farlo in molti modi e quello a cui mi rivolgo spesso si traveste sempre da altro. Da divertimento ad esempio. Troppo. Eccessivo. Lo sono io. Dopotutto dopo aver ingerito più alcol di quanto dovrei concedermi è facile lasciarsi andare. L'ho fatto.
    Mi sono lasciato convincere, ancora una volta, da mani adulte e sguardo profondo. Da spalle grosse e da un viso rassicurante. Quasi paterno. E poi...
    Riapro gli occhi. Mi ritrovo qui, la felpa sul pavimento, io scomposto sul divano dell'associazione. Quello che mi ritrovo dinanzi è una scena raccapricciante. Lo è il delirio che ha invaso questa stanza. Le sedie capovolte, le pareti imbrattate di insulti. Mi rimetto in piedi, ci provo. Mi richiede più di un tentativo. È a tentoni e con lo sguardo appannato che osservo ciò che mi spezza il cuore: la cassaforte è divelta dal muro. La porta aperta lascia intravedere l'interno vuoto.
    Quando mi volto, gli occhi sbarrati, sobbalzo. Daphne e pochi altri volontari sono qui davanti a me probabilmente attirati dall'allarme magico che è presente all'interno della struttura. Tutto ciò che posso fare, mentre li guardo smarrito, ubriaco ed ancora a petto nudo è alzare le mani tremanti. “Non sono stato io, lo giuro.”

     
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    Aveva mollato la presa, per qualche giorno. Dopo quella che aveva tutta l'aria di essere stata un' overdose in piena regola, Bram le aveva tolto l'Adderall e lei si era dovuta prendere del tempo per imparare a convivere con la cosa. Non era stato facile. In alcuni momenti era arrivata a provare un furioso risentimento verso il suo coinquilino, ma le parentesi di lucidità l'avevano costretta a riconoscere quanto dovesse essere stato pesante per il Dubois apprendere del suo abuso di farmaci in quel modo. Tanto era bastato per alternare alla rabbia i sensi di colpa, rendendola consapevole della fortuna che aveva avuto nel trovarselo ancora accanto, soprattutto dal momento che Harumi aveva invece scelto di prendere le distanze. A farsi sentire era stata anche l'assenza di Jerome al suo fianco: il gemello non aveva assistito al suo collasso al Fairy Tale e Daphne aveva fatto promettere ai tre ballerini che l'avevano soccorsa di tenere la bocca chiusa. Non sapeva se i ragazzi avessero rispettato la sua volontà - Chase aveva la lingua lunga e Bradley era parecchio apprensivo, Phil dal canto suo era troppo spesso ubriaco per essere ritenuto affidabile - ma, in ogni caso, la rossa non era sicura che suo fratello sarebbe stato toccato dalla notizia. La loro ultima conversazione era stata terribile e la danese non era ancora riuscita ad elaborare il dolore che le aveva lasciato dentro, eppure ciò non le aveva impedito di sentire il bisogno di lui durante quelle ore infinite di vuoto e spossatezza, perseguitata da una "mancanza chimica" che solo il suo gemello avrebbe potuto comprendere.
    Erano passati giorni dall'ultima volta che aveva messo piede nell'edificio che ospitava la sede legale di Theresa, nell'attesa di rimettersi in sesto Daphne aveva dovuto optare per un'alternativa che in passato non le era mai sembrata auspicabile: delegare. I volontari si erano così guadagnati l'opportunità e il merito di ricevere dalla rossa più approvazione di quanta ne avesse mai ricevuta chiunque avesse dovuto soddisfare le sue direttive in un qualsiasi contesto. Volendo guardare il lato positivo, Daphne aveva così scoperto di avere collaboratori realmente appassionati e meritevoli, ma restava il fatto che fosse un sollievo per la rossa potersi di nuovo mettere in prima linea. Solo Theresa le avrebbe permesso di smettere di pensare al fatto che Haru l'aveva lasciata, che lei e Jerome non si parlavano, che ogni sua scorta di Adderall era stata requisita e che non era ancora riuscita a licenziarsi dal Fairy Tale.
    Adesso era lì, con il suo solito aspetto splendente e perfetto: i capelli profumati di shampoo, il viso truccato con cura, gli abiti eleganti e femminili in modo assolutamente professionale. Si mostrava sicura di sé, decisa ed efficiente, al punto da risultare convincente per chi le era attorno, anche se in realtà il suo cuore non aveva smesso di sanguinare.
    Fu il grido di Agnes, una volontaria da poco unitasi alla Fondazione, ad intaccare la bolla di perfezione all'interno della quale Daphne aveva deciso di galleggiare. La Morrow poté cogliere distintamente il momento in cui la bolla esplose, mentre i suoi tacchi già battevano sul pavimento segnando l'accelerare dei suoi passi. Quello che vide, una volta superato l'ingresso di Theresa, le gelò il sangue nelle vene. Avrebbe passato qualche istante in più spaesata ad osservare lo spettacolo che le si presentava davanti, se un pensiero non avesse istantaneamente perforato la sua mente. Forse i suoi occhi avrebbero indugiato sulle sedie capovolte, i manifesti strappati, il lampadario distrutto e gli oggetti in frantumi disseminati sul pavimento. Forse avrebbe esitato sugli insulti osceni e violenti che occupavano le pareti, forse sulla figura di Jerome steso sul divano. Fu questo che accadde agli altri volontari, ma Daphne Morrow, un tempo Mikkelsen, era una giovane donna che aveva attinto ad ogni briciola del suo senso pratico, organizzativo - "imprenditoriale", in un certo senso - per mettere in piedi una Fondazione.. e forse fu questo a guidarla direttamente verso il danno più grande, in termini economici. Non si sorprese nel vedere che la cassaforte era scomparsa, lasciando solo un cratere al proprio posto, ma questo non le impedì di provare un vibrante senso di annientamento. Per un lasso di tempo che a lei parve eterno non disse niente.
    Hai portato qualcuno qui dentro?
    Solo allora il suo sguardo si spostò su Jerome. Ignorò le sue parole, era ovvio che non fosse lui l'artefice di tutto ciò. Almeno, non direttamente. Ma era anche tragicamente evidente che Jerome aveva dormito lì, probabilmente fatto, mentre la sede veniva rapinata e vandalizzata.
    Jerome, cazzo, chi è stato?!
     
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