truth, the whole truth, and nothing but the truth

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    Aveva accolto Mason nuovamente nella sua casa. Avrebbe potuto sbattergli la porta in faccia ed ignorare la sua muta richiesta d’aiuto. Avrebbe potuto punirlo per la lontananza e le libertà che si era concesso, ma non fece niente di tutto quello. Si comportò come il padre di quella novella, il figliol prodigo, lasciando che fosse il senso di colpa del ragazzo ad agire. Infatti, non lo caricò di lavoro, ma fu lui a cercarne. Era Mason a voler buttarsi nuovamente in quel tipo di vita da cui si era sentito estraneo ed Hubert non glielo aveva vietato. Lasciò che fosse lui a scegliere i casi in cui agire ed il modo in cui farlo, riducendo al minimo i contatti con lui e qualsiasi scambio d’opinione. Mantenne quel regime fino a quel giorno, dove lo raggiunse nella sua camera della villa ad Hogsmeade. “Giornata stancante?” Gli chiese mentre lo guardava indossare i vestiti eleganti che aveva fatto preparare per lui per l’evento a cui avrebbe dovuto accompagnarlo. Sul pavimento poco lontano, vi erano mal riposti gli indumenti ancora inumiditi del sangue con cui erano macchiati. “Puoi sempre tirarti indietro se non ti senti all’altezza.” Disse quasi a pungolarlo, mentre riportava lo sguardo su di lui. Si concesse un attimo prima di estrasse dalla tasca interna della giacca una boccetta. Ad un occhio attento non sarebbe passato inosservato il suo contenuto: polisucco. “Volevi saperne di più sugli Hollingsworth.” Non gli aveva spiegato nulla di quel che avrebbero fatto di lì a breve. Implicitamente lo metteva alla prova. Testava la sua fiducia nei suoi riguardi e di rimando cercava di intuire quanto saggio fosse fidarsi di lui. Averlo di nuovo in casa non necessariamente significava aver ripreso a fidarsi di lui. “Bevilo.” Gli disse mentre si allontanava, per attenderlo oltre accanto alla passaporta già pronta.

    Il loro aspetto mutò dopo il primo sorso della pozione. Non sarebbero stati i Chesterfield nel luogo in cui andavano, ma i Lenchster, padre e figlio di una famiglia inglese che nessuno conosceva se non di nome. Il loro patrimonio tuttavia apriva porte che altrimenti sarebbero rimaste chiuse. Fecero il loro ingresso in una galleria sotterranea. Superarono condotti apparentemente malridotti prima di arrivare ad una cantina colma della classe più facoltosa del mondo magico. “Non fare niente di avventato. Qualunque cosa tu veda.” Era quello il regno degli Hollingsworth. Gli eventi che una volta al mese mettevano su per esporre la loro merce, uomini e donne tenute in gabbia, marchiati e soggiogati, al cospetto di maghi pronti a fare la loro offerta per averli. “Noti qualcosa?”
     
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    Tornare indietro, un sinonimo spicciolo del regredire. Ha rivolto lo sguardo al passato, perché incapace di cogliere il futuro nella sua diversità. Da esso ha ripercorso il brullo cammino della criminalità, dell'adattamento ad una forma scomoda nella sua imprecisione, priva di curve, ricolma di spigoli pungenti. Le sue giornate lo sono, affilate come i più acuminati dei coltelli. Ogni movimento è una ferita, ogni ordine eseguito un buco nel petto. Un foro che nessuna presenza riempie, perché quel diritto di comprensione l'ha perso nel momento in cui ha serrato gli occhi sulla realtà. Hubert l'ha riaccolto con quello spirito anomalamente nascosto sotto infinite coltri di distacco. Ha accettato il suo ritorno, riconfermandosi più coinvolto di quanto non si sia mai concesso di mostrare. Ci è voluto poco o nulla perché si piantasse di nuovo nella mente del ragazzo il seme della gratitudine, di quella profonda osannante ammirazione che ha riportato tutto alla normalità di un tempo. La più paradossale, per chi si è scoperto diverso. Allontana quella diversità dedicandosi a più di quanto lo stesso uomo gli chieda. Riempie di mansioni d'ogni tipo le proprie giornate. Ne chiede ancora ed ancora, quasi fosse un lupo che dilania le proprie colpe, spolpandole sino a ripulirle e lasciare le tracce di riconoscenza che gli deve. Patetico. E' una voce che gli rimbomba nella testa, l'assordante ticchettio di un cambiamento che ha allontanato. La voce di lei, senza alcuna sorpresa, che nei loro sporadici incontri unicamente dediti ad un intenso allenamento non emette più un singolo fiato a riguardo. Lo tiene vivo il desiderio di giustizia, la sete di vendetta. Lo manda avanti quell'insieme di sensazioni che trovano riscontro solo nella sporca violenza firmata Chesterfield.

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    Quella sera, vestito di tutto punto e polisuccato nel corpo di un individuo a lui anonimo, si aggira tra i corridoi di villa Hollingsworth. Altri ricordi sono quelli che si affacciano alla sua mente, prima di venir brutalmente scacciati dall'obbiettivo della serata, ancora sconosciuto ma già vagamente spaventoso. Resta rigido ed impassibile, desideroso di smentire i dubbi del padre. Dimostra di sentirsi all'altezza. Di esserlo. Lo fa, affiancando l'uomo silenziosamente, sino a quando quell'assurdo scenario non si palesa davanti ai loro occhi. 'Sono dei cazzo di... schiavi?' Sussurra incredulo, celando all'occhio esterno lo stupore che nessuno dimostra nei riguardi di quegli uomini ingabbiati e marchiati d'orrore. La sua voce lo tradisce appena, ma è solo ad Hubert che le sue parole arrivano. 'Assassinio e adesso anche commercio di persone?' Elenca debolmente i crimini degli Hollingsworth, trattenendo rabbia e disgusto per quella realtà, come per il suo modo di macchiare indirettamente il suo sangue già lercio. Attraversano lo spazio gremito di gente di quella cantina senza battere ciglio. Cenni di assenso scorrono tra l'uno e l'altro facoltoso mago lì presente, mentre gli occhi vitrei del ragazzo si posano su ognuno dei miseri uomini costretti in quelle gabbie come carne da macello. La sua sete di azione, che sia immediata o posticipata al termine di una dilatata attesa, lo costringe ad un quesito. 'Loro dove sono?' Immediatamente seguito da un dubbio ancora più impellente. 'Qual è il piano?'


     
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    “E’ merce.” Lo corresse poco dopo, sminuendo quella inutile emotività. Non erano certo lì per commentare gli atti indegni con cui gli Hollingsworth si procuravano da vivere. Il mondo in cui vivevano dopotutto, non li rendeva paladini della giustizia. Anche loro avevano i loro giri d’affari che non avevano nulla a che fare con la legalità. Hubert non era interessato alla moralità di quell’evento. L’unico scopo era muovere Mason ad una decisione e al contempo dargli quello che lo aveva riportato da lui: la vendetta. Soltanto così si sarebbe assicurato per sempre la sua lealtà oltre che la sua fiducia, e per quanto avesse ancora delle remore nei suoi riguardi, era a quello che ambiva. “Arriveranno a breve. Presenteranno l’asta.” Gli spiegò, avanzando in quell’androne affollato mentre rubava un flutè da uno dei babbani con la mente soggiogata che giravano tra i presenti con vassoi e lo sguardo perso.
    Si concesse un sorso del prestigioso champagne, prima di continuare il suo discorso.
    “Faremo finta di fare un’offerta. Ovviamente, non vinceremo.” A quel punto però l’intervento di Mason, lo spinse a ricercare il suo sguardo. Si fermò ad osservarlo prima di afferrarlo per un braccio e portarlo altrove, in un luogo appena più lontano da orecchie indiscrete. Lì, dal fondo della sala, attese che la folla intorno a loro scemasse prima di parlare sottovoce a lui. “Pensi siamo venuti qui per attaccarli davanti a tutti questi testimoni?” Sarebbe stato stupido. Un atto suicida. Hubert non lo era, nè avrebbe osato tanto per una guerra che non gli riguardava e che avrebbe anzi potuto ritorcersi contro di lui. Avrebbe spinto Mason ad agire in altro modo. L’unico che avrebbe potuto dare ad entrambi una vittoria. “Volevi la verità. E’ questa.” Aggiunse poco dopo, indicando la platea di compratori e gli schiavi in gabbia. “Gli Hollingsworth hanno creato un regno. Tuo padre non era d’accordo. Quando ha minacciato di distruggere tutto questo… oh, eccoli.” Si interruppe quando i padroni di casa fecero il loro ingresso raggiungendo il piccolo palco lì presente. Gli ospiti si avvicinarono, presto lo avrebbero fatto anche loro. “Vuoi vendicarti?” Chiese a Mason guardandolo serio. “Non è con il sangue che lo farai. Se vuoi avere la tua rivalsa, devi smontare questo impero pezzo per pezzo. Una lotta ti farà solo perdente.” Battè il pomello del bastone contro il suo petto, ridestandolo, prima di invitarlo ad avvicinarsi al palco. “Sta a te decidere.”


     
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    Cela nel tono di voce atono note di un accentuato disprezzo. La mascella dura tradisce in parte quella finzione d'indifferenza, prima di essere celata da un sottile calice recuperato a sua volta dal ragazzo per mandare giù un po' di tortuosità. Ne ha bisogno. Ascoltare le incentivanti parole del padre senza reagire è forse lo sforzo più grande che abbia mai compiuto. Una maschera, quella che indossa, che fa astrazione a ciò che è stato sino ad ora. Rigida. Fredda. Costretta ad un'obiettività che non l'ha mai rappresentato. Esclude dai propri istinti ogni commento disgustato. Non proferisce parola nei riguardi di ciò che Hubert gli insegna. Silente ascoltatore di quella scomoda realtà, stringe appena il pugno chiuso, nascosto dietro il tessuto elegante delle tasche dei pantaloni. Resta sospeso nella frase mozzata dell'uomo, quando i coniugi Hollingsworth fanno il loro ingresso trionfale. L'imponenza che li caratterizza gli dà la nausea. Rispecchiarsi in parte del loro stesso DNA lo reclude alle sbagliate consapevolezze che l'hanno condotto sino a lì. Tra il rassegnato e l'infastidito, lascia traboccare l'intero contenuto di un nuovo flute dritto dalle sue labbra, un rivolo alcolico ripulito col fazzoletto da taschino, l'intento di non destare sospetti sempre più attecchito alla sua pelle. Se solo fosse presente qualcuno capace di leggere nei suoi occhi però, vi scorgerebbe le fiamme di dissidio che caratterizzano il cupo sguardo del Chesterfield. 'Posso sempre fare entrambe le cose.' Pronuncia scuro, quasi come gli insegnamenti del padre gli arrivassero in modo ovattato. Non può trarne giovamento in questo preciso istante; si adegua tuttavia alle sue indicazioni, temporeggiando appena mentre la base d'offerta viene piantata al centro della sala. Germogliano i primi affari, numeri bassi, vicini tra loro. Non è mai stato un ragazzo dedito alla logica, la sua impulsività ha padroneggiato ogni suo gesto, accompagnandolo in quel cammino tortuoso ora pronto ad immergersi in tecniche nuove. Nulla che sappia controllare. Nulla che potrebbe gestire, se alle sue spalle non trovasse l'appoggio di Hubert. 'Duemila.' Pronuncia sicuro, il tono convincente di chi ha già fronteggiato eventi del genere. Cinquecento galeoni in più dell'ultima offerta. Un mormorio diffuso quello conseguente, prima dell'intervento di una nuova voce. 'Duemilacento.' 'Duemilacinquecento.' Pausa. Borbottii. Stupore sparso. 'Tremila.'. La sfida, fissa nei suoi occhi. 'Tremilauno.' Le iridi alla ricerca di Hubert, di un qualsiasi cenno a porre fine a quel gioco di cui non ha ancora compreso le intenzioni.


     
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    Quando le cifre proposte arrivarono ad alte vette, bloccò Mason prima che continuasse ad alzare la posta. Lasciò che fossero gli altri a proseguire l’asta, mentre osservava l’andazzo e silenziosamente imponeva al ragazzo di avere pazienza. Quando quello spettacolo raccapricciante ebbe fine e il mezzosangue fu assegnato al compratore vincitore, uno dei camerieri si avvicinò a loro per porgergli una carta dorata, senza nome o numeri. Ringraziò con un cenno del capo, prima di spingere Mason a seguirlo per allontanarsi dalla folla, così da poter parlare in pace. “Questo è un priority pass. Viene dato a coloro che fanno alte puntate ma non riescono a vincere, così che la prossima volta possano partire da posizioni privilegiate.” Annuì, guardandolo. Il piano che gli offriva era semplice ed avrebbe comportato, ad entrambi, numerosi vantaggi. Ci aveva pensato su parecchio. Aveva pensato ad ogni dettaglio. A Mason non spettava altro che prendere un’unica decisione e di conseguenza agire.
    “Viene fornito in anticipo, data, ora e base d’asta. Ma soprattutto il luogo.” Continuò a spiegargli, mentre gli porgeva la carta aspettando l’afferrasse.
    “Quindi, ti chiedo di nuovo Mason, vuoi ucciderli o distruggerli?” Gli chiese puntando lo sguardo in quello del suo figlioccio. Si guardò poi attorno per assicurarsi non fossero presenti occhi ed orecchie indiscrete. “Se vuoi ucciderli ti basterà andare lì con un esercito e dare inizio ad una sanguinosa battaglia. Forse avrai la meglio o forse no.” Una scelta stupida che non avrebbe appoggiato. Probabilmente in un contesto simile Mason non ne sarebbe uscito indenne, ma la scelta sarebbe stata sua.
    “Ma se vuoi distruggerli, devi giocare d’astuzia. Raccogli prove della presenza di ognuno di questi ipocriti a questi eventi, testimonia questi eventi. Fai in modo che questo giro venga allo scoperto e gli Hollingsworth perderanno il loro impero.” Lo fissò, cercando di fargli capire quanto in realtà fosse quella la strada giusta da percorrere. Soltanto dopo averli distrutti, ucciderli avrebbe avuto un senso.

     
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    Torna al proprio posto, seguendo alla lettera le direttive di Hubert. Non gli è chiaro quel piano, sino a quando quel cartoncino dorato e le spiegazioni annesse non giungono alla sua conoscenza. Difficile appoggiarsi all'idea di dover attendere, di dover intraprendere un percorso di vendetta tanto lungo quanto estenuante. Se però il risultato sarà efficace, volto finalmente a ciò che gli spetta, ne varrà la pena. Per una volta, lo farà. 'D'accordo.' Risponde calmo, convinto. 'Chiaro.' Continua deciso, gli occhi pregni delle consapevolezze che lo stesso Hubert vi ha installato. Porta avanti quella pantomima ancora per un po', fingendosi il perfetto acquirente che chiunque vorrebbe, meritevole di quel pass furbamente ottenuto. Mischiarsi a quella melma, attimo dopo attimo, gli è sempre più semplice. Perché è il desiderio di vendetta a ricostruire la sua maschera, il futuro in cui quella famiglia di sporchi assassini crollerà schiacciata dal proprio malsano impero.

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    Al termine dell'evento, sente ancora il sangue bruciare delle informazioni apprese nel corso della serata. Paradossale voler vendicare con altre morti un gesto nobile come quello del padre. Amaro comprendere quanto diversi siano. Ma è un dolore che passa in secondo piano, annullandosi rispetto al pensiero di poter ripagare quella gente della solitudine che l'ha braccato per anni, con tutte le conseguenze ad essa legate. 'Verrai con me ad ogni incontro?' Rompe il silenzio così, ormai rientrati nel salotto della loro casa. Una in cui ancora, per forza di cose, tende a sentirsi un estraneo. E' l'assenza ad averlo costretto a tale condizione o quel briciolo di lucida necessità che tenta di separarlo da quel veleno da cui si era appena distaccato? 'Che succede se la copertura salta?' Un dubbio lecito, viene fuori dalle sue labbra quasi timidamente. Non è paura, non del tutto. E' una necessità più grande, strettamente dedita a tutti gli ideali germogliati nel corso della sua adolescenza nel suo cuore. Ed ora, da adulto, reduce di tutti gli elementi traballanti di quel rapporto interrogativo, si ritrova ancora una volta vittima del bisogno di appartenere a qualcosa. 'Voglio fare le cose per bene.' Di essere importante per qualcuno. 'Farò di tutto per non deluderti di nuovo.'


     
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    “No.” La risposta al suo quesito, fu decisa. Schietta. Non era cattiveria quella che gli rivolgeva, solo la realtà dei fatti. Non avrebbe potuto aiutarlo per una serie di ragioni ovvie e meno ovvie. Quella era la sua battaglia, non la propria. Si era già esposto fin troppo per tenerlo a sè, a quel punto lui si sarebbe fatto da parte. Sarebbe stato un confidente ed un tutore, ma nient’altro.
    “Sarebbe un rischio troppo grande. Immagino tu possa capirlo.” Aggiunse quindi poco dopo, sistemandosi sul divano del salotto di casa sua, mentre pian piano tornava ad assumere le sue sembianze. La serata era andata bene e tutto era filato liscio. Azzardare un simile pericolo ogni volta però sarebbe stato spropositato. Era un gesto folle che non poteva permettersi di compiere. “Fai in modo che non succeda.” Gli rispose, volgendogli lo sguardo. “E se succede, non lasciare testimoni.” Un chiarimento dovuto che avrebbe palesato l’unico modo d’agire qualora si sarebbe trovato in una situazione simile. Sperava sul serio non sarebbe accaduto. Non sarebbe servito a nessuno.
    Quando lo sentì pronunciare quelle parole, attese. Si tirò in piedi per raqggiungerlo, così da poter guardarlo meglio negli occhi. “Non è per me che lo fai. Non è questo il tuo lavoro.” Voleva che gli fosse chiaro. Non lo stava certo mandando a fare una carneficina, sebbene in definitiva quel tipo d’azione avrebbe fatto bene al suo ego e ai suoi affari. Il motivo per cui aveva deciso di far luce su quella storia, era per tenerlo lontano dalla verità e soddisfare la sua sete di vendetta. “Le mie mansioni per te sono altre e mi aspetto che tu le rispetta quotidianamente.” Chiarì poco dopo, immaginando Mason potesse intuire facilmente a cosa Hubert alludesse. Il traffico d’oggetti ed il controllo della zona. “Questa è solo la verità di cui necessitavi. Io ho usato i miei mezzi per conoscerla e te ne faccio dono ma non devi dimostrarmi nulla. Questa è la tua famiglia. Sei a casa ora.”

     
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    Si ritrova ancora una volta zittito dalla realtà, costretto a fare i conti con quei dettagli sfuggiti al proprio controllo. C'è caos nella sua mente, uno che non è più riuscito a gestire da mesi. Le persone che vi albergano si rimescolano tra loro, i doveri e le volontà diventano un tutt'uno. C'è una massa indefinita nella testa compromessa del ragazzo, reduce di effetti di Azkaban che non ha ancora rimesso a posto e di eventi che ne hanno solo peggiorato le condizioni. Non essersi preso cura di se stesso è l'errore più grave che abbia mai commesso in vita sua. Si crogiola però nell'autocommiserazione, nelle colpe che giustifica attribuendo ad altri quell'onere scomodo. Si ripete quotidianamente di non aver avuto nessuno che si prendesse cura di lui quando ne avrebbe avuto bisogno. E lo fa, credendoci per pochi istanti ma con grande intensità, perché troppo codardo per affrontare la realtà. 'Capisco.' Pronuncia comprendendo parte di quelle motivazioni, incapace però di renderle il trampolino di lancio di cui ha bisogno. Perché continua a sentirsi solo ed è una condizione, quella, che non deriva da nient'altro che lui stesso. Vanno sciogliendosi quei lineamenti che non gli appartengono, lasciando riflettere finalmente il suo volto rigido e crucciato allo specchio dell'ingresso. Un profilo tratteggiato, incompleto. L'incolmabile vuoto intrappolato nei suoi occhi lucidi. E' l'immagine patetica che gli appartiene, che nessun affare o violenza riesce a scacciare. Probabilmente gli servirà tempo anche per questo. Riuscirà mai a concedersi davvero la tregua necessaria a guarire? 'Farò conciliare tutto.' Rinnova allora quella promessa, voltandosi verso Hubert solo in quell'istante, nel tentativo vano di lasciarsi cullare dalle sue ultime parole. Di affidarsi alla dolcezza di quelle lettere accostate in una sinfonia rassicurante. Casa. Famiglia. Ha bramato così tanto quella concretezza. Perché non riesce a sentirsene felice? Perché ne ha quasi paura, adesso? 'Lo so.' Secco, dopo una manciata di secondi, lascia quell'affermazione sospesa nel silenzio venutosi a creare. Si fionda subito dopo in camera, incontrando oltre la porta il festoso ed agitato Green, genuinamente felice di vederlo tornare a casa. 'Ehi, bello! Ti sono mancato, eh? Certo che sì!' Si colora per un po' di vitalità quella stanza, la giusta distrazione per lavare di dosso i pessimi dettagli della serata trascorsa, infilatisi con prepotenza tra le nicchie dei suoi sbagli più atroci. E dopo essersi concesso un attimo di tregua, pochi minuti di innocenza in quel gioco puramente affettuoso, afferra il guinzaglio con l'intento di staccarsi da quel contesto scomodo. Da quella casa, famiglia, che non riesce più a ritenere tale come un tempo. 'Passeggiata notturna, ma non farci l'abitudine.' Un modo per porre rimedio all'ennesima consequenziale notte insonne prima che il panico lo avvolga irrimediabilmente. Per farlo illudendosi di non essere solo. Non del tutto.


     
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7 replies since 13/5/2022, 18:31   56 views
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