Una situazione di merda non poteva essere chiamata con nomi differenti.
Quella che vivevo non possedeva sinonimi e non era una novità, sebbene dovessi fare i conti con una confusione differente. Questa era tangibile e molto più insistente di qualsiasi altro periodo avessi vissuto.
Cominciavo a chiedermi se esistesse una parentesi spazio temporale diversa da quello schifo. Una in cui avrei potuto fingermi una persona normale, con una vita normale.
Non ero destinato a questo, mio padre lo sapeva dall’inizio. Mi aveva educato a sopportare uno schiaffo ed il resto era venuto da sé. La sua morte, la sopravvivenza, il carcere, la tortura.
Avevo smesso di sperare davvero in qualcosa e non era un male per quelli come me. Quando non ci si aspettava più nulla, non si contavano più le cicatrici.
Io ne avevo collezionate anche troppe. Alcune erano sbiadite, altre fresche ed ancora pulsanti. Eppure, ogni piccolo marchio, mi aveva portato ad una svolta. Così mi ero ridotto ad alti e bassi continui.
Vissuto il mio picco, scendevo e quello, era il momento della discesa.
Quando la realtà si stringeva a ridosso del paradossale, sulla scia dello sfiancante, il rimedio era una via di fuga.
Per quanto misera, per quanto breve, per quanto poco salutare.
La mia era nell’eccesso e si consumava proprio come mi consumavo io col tempo. Mi sembrava di perdere pian piano consistenza, di avere un corpo troppo stanco per reggere il peso degli accadimenti.
Frequentare bettole aiutava per qualche ora ad alleviare quel senso di nausea crescente al centro dello stomaco ma l’alcol era solo una proiezione immaginaria. Un mero palliativo.
Uno d’incendiario. Farfugliai al barista, ormai consono alle mie ordinazioni. Non che fossi più così abituale in quell'ambiente.
Sfilai distrattamente la giacca, tirando giù il cicchetto con un sorso dopo essere scivolato con lo sguardo tutt’intorno. Alla mia destra, una ragazza dai capelli bruni, sguardo stranito, vagamente familiare. Mi ricordava qualcuno che avevo già visto nelle mie memorie.
Che cazzo guardi? Esordii dopo qualche istante di contemplazione, lo sguardo fisso sullo shottino vuoto. Feci cenno di riempirlo nuovamente e spostai gli occhi plumbei nei suoi, una sforbiciata con le sopracciglia a esortarla di parlare.