Fear death

Privata

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    Lo aveva in pugno. Sarebbe bastato poco per porre fine a un incubo durato dieci anni, sarebbe bastato tagliargli la gola e del mostro che aveva terrorizzato la comunità magica di mezzo mondo non sarebbe che rimasto soltanto un brutto ricordo da tramandare alle generazioni future. Andromeda non era più in sé dalla rabbia quando gli rivolse quella minaccia, arrivò vicina a sporcarsi le mani del suo sangue… nessuno l’avrebbe biasimata per aver estirpato definitivamente quel genere di male. Scostò il volto di scatto per ritrarsi a quel contatto, come disgustata, e affondò di più la punta della bacchetta nella pelle dell’altro quando lo sguardo si soffermò sul volto di Justin, mortalmente pallido e inerme. Sembrava immobile e forse fu proprio quel dettaglio a restituirle la lucidità perduta. La distrazione le costò cara: Wargus le sfuggì, smaterializzandosi con un’ammonizione, e Andromeda dovette fare dei respiri profondi per la botta che aveva incassato all’addome. Stordita più per lo shock che per il dolore si precipitò barcollante verso il capezzale di Justin, chinandosi su di lui per controllare che fosse ancora vivo. Il bibliotecario respirava a malapena così la strega non perse tempo a farsene carico per smaterializzarsi al San Mungo, sperando di non essere intervenuta troppo tardi.

    Al loro arrivo erano seguite ore d’inferno. Il bibliotecario era stato condotto d’urgenza alla sala operatoria del reparto veleni magici e la sua vita era rimasta sospesa a un filo per tutta la durata dell’operazione. Non era stato il solo: aveva saputo che Corinne Miller era stata soccorsa dagli Auror e giunta sul posto prima di loro. Andromeda aveva spiegato per sommi capi le dinamiche ai medimaghi, consegnando loro la fiala di antidoto perché la analizzassero: non somministrarla a Justin aveva fatto la differenza per entrambi, nessuna vita era stata spezzata quella notte e quando le avevano dato quella notizia la strega era crollata nella sala d’attesa, sollevata di non aver causato la morte di nessuno dei due. Aveva fatto rapporto a Dell, che l’aveva raggiunta in ospedale, e quando l’avevano rassicurata che entrambi gli avvelenati non erano in pericolo di vita immediato era tornata a casa, crollando per la stanchezza.
    Quando le avevano detto che Justin aveva ripreso conoscenza sollievo e panico l’avevano assalita. Voleva vederlo, ma era terrorizzata dal modo in cui l’avrebbe accolta: per anni erano stati lontani, eppure ancora una volta per causa sua lui ci era andato di mezzo. Ne era uscito ferito come in passato, e le cicatrici che riportava sulla schiena e sulla faccia non facevano che ricordarglielo ogni volta che lo guardava. Esattamente come in quel momento.
    Per alcuni secondi Andromeda rimase ferma davanti alla porta. Ogni domanda, ogni parola le parve superflua: si sentì sciocca e disarmata, come lo era stata la ragazzina di sedici anni in procinto di affrontare la sua prima luna piena. Avanzò nella stanza, lasciando dei fiori e un libro sul ripiano accanto al letto. Quando gli fu vicino si protese per abbracciarlo, nascondendo la faccia nel cuscino in modo che non potesse vederla.
    Non ti biasimo per odiarmi.”, sussurrò, per poi trattenere il respiro.
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