a litany for survival

Soren

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    Lo sguardo di Daphne percorse la folla di presenti passando dai volti di coloro che erano vittime e guerrieri allo stesso tempo, per poi spostarsi sulle persone che stavano loro accanto. Terapeuti, volontari, professionisti di varia natura, tra quel variegato pubblico la Morrow poteva distinguere anche organizzatori e responsabili di rifugi che offrivano accoglienza e protezione alle vittime di abusi domestici. Molte di loro, sia tra chi prestava aiuto che tra chi lo riceveva, erano donne.. ma vi era anche qualche uomo, armato delle migliori intenzioni o colpito da una violenza che andava oltre il concetto di genere. Uomini come i due che erano al suo fianco su quel piccolo palco, suo fratello e il suo migliore amico, pronti a metterci la faccia e a porsi in prima linea per quel progetto. Avevano parlato di Theresa a lungo, risposto a diverse domande, Jerome aveva gestito il progetto di comunicazione nel migliore dei modi, arrivando laddove Daphne non sarebbe riuscita ad arrivare, mancando dell'esperienza in certi ambienti e con determinate realtà. Ora, quando ogni parola sembrava essere già stata detta, Daphne aveva deciso di salutare i presenti con parole che non erano frutto della sua persona, ma che in qualche modo le appartenevano, com'erano appartenute alle donne che quella appassionata poetessa aveva voluto rappresentare e come appartenevano a tutti i presenti.
    Quando siamo amate abbiamo paura che l’amore svanirà, quando siamo sole abbiamo paura che l’amore non tornerà. E quando parliamo abbiamo paura che le nostre parole non verranno udite o ben accolte, ma quando stiamo zitte anche allora abbiamo paura. Perciò è meglio parlare ricordando.. "
    Si schiarì la voce, alzando gli occhi dal foglio prima di concludere. Fu in quel preciso momento che il suo sguardo azzurro incontrò un cielo terso che era lo specchio dei suoi occhi, ma che pareva sempre conservare molta più freddezza: quasi che quel cielo fosse immerso in un perenne Inverno, senza la speranza di una Primavera. La danese esitò, solo per un istante.
    ..Non era previsto che sopravvivessimo.
    Ogni vittima rimasta in vita era una persona sopravvissuta. Sopravvissuta contro ogni previsione. Lei stessa lo era. Ma il suo aguzzino, colui che si era elevato a maestro del dominio e della tortura psicologica della sua giovane mente, non era incline ad arrendersi. Era una presenza costante, instancabile. Talmente invadente da risultare presente persino in sua assenza. Eppure, quel giorno, la sua presenza era decisamente fisica, reale. Cosa ci faceva il giudice Bachskov lì?
    Lei, Jerome e Bram ringraziarono i presenti. La folla si disperse per approfittare del leggero rinfresco offerto nella sala adiacente. Daphne si guardò attorno: voleva avvisare il fratello della presenza di Soren, ma ora non ne vedeva più l'algido e austero profilo tra la gente che si muoveva nella stanza. Doveva averlo immaginato. Non poté fare a meno di sentirsi sciocca e inutilmente spaventata proprio dopo aver ricordato a sé stessa e a tutte quelle persone la necessità di affrontare la vita, di riprendersi la vita nonostante la paura.

    Dopo il rinfresco si era attardata da sola a sistemare della documentazione. Sapeva che Jerome e Bram avevano entrambi degli impegni e lei stessa di lì a poco si sarebbe dovuta recare al Ministero per le sue ore di tirocinio, tuttavia aveva ancora un po' di tempo ed intendeva sfruttarlo per fare un po' d'ordine. Catalogare, sistemare, fare liste e organizzare, era sempre stato fondamentale per lei e ora sfruttava questa cosa per dare corpo e struttura al progetto a cui avevano dato vita. Uscita dall'edificio si recò verso un vicolo che le offrisse la privacy sufficiente per smaterializzarsi e fare una tappa alla sede legale di Theresa, prima di recarsi al Ministero.
    Ma quegli occhi, il riflesso più freddo delle sue iridi, erano ancora in agguato. Si era convinta di averli immaginati - aveva preferito credersi instabile e paranoica piuttosto che accettare la realtà della sua vicinanza - eppure per tutto quel tempo erano sempre rimasti fissi su di lei. L'avevano osservata mentre pronunciava i versi di Audre Lorde, forse anche durante tutto il discorso fatto prima, gli interventi delle persone, le domande. E forse prima ancora.. forse Soren aveva saputo della raccolta fondi dai Dubois, di tutto ciò che era stato messo in piedi da quando, per la prima volta, Daphne aveva trasformato il nome di suo madre in quello di una fondazione. Tutto era avvenuto sotto il suo sguardo, diretto o indiretto che fosse. Era ciò che Jerome le aveva preannunciato, ciò che Daphne aveva sempre saputo di doversi aspettare. E tuttavia essersi preparata non bastava. Niente poteva bastare, quando suo padre era a pochi metri da lei, in un vicolo deserto.
    Non ti avvicinare.
    Gli intimò, ma senza estrarre la bacchetta. Non riuscì nemmeno a pensarci, poiché puntare la bacchetta contro suo padre era ancora un gesto del tutto innaturale per lei. Si limitò a fissarlo: ogni muscolo del suo corpo in tensione, la mente affollata di pensieri e speranze irrealizzabili. Sperava che Jerome apparisse dal nulla al suo fianco, che la strada si riempisse improvvisamente di gente, che Soren scegliesse di dileguarsi.
    Non saresti dovuto venire.
     
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    Non avrebbe potuto prendere bene la notizia di quel che Daphne e quel depravato di suo fratello avevano messo su. La sua collera si era scagliata contro il fedele elfo domestico ed oggettistica varia all’interno del suo studio. Poi, dopo aver provato a placare la sua furia, aveva ragionato sul modo giusto di agire. Per quanto far saltare in aria quel progetto, allettasse di gran lunga la sua psiche, optò per un’alternativa differente. Non era con la violenza che aveva irretito Daphne, e nemmeno quella volta lo avrebbe fatto. Avrebbe agito per vie trasverse, piantando in lei il seme del dubbio, la possibilità di un errore. Un soggetto così tendente al perfezionismo, si sarebbe lasciata corroborare dall’eventualità di un errore, e così, resa debole, Bachskov avrebbe attaccato.
    Aveva deciso di prendere parte a quell’evento. Lo aveva fatto senza porre su di sè particolare attenzione. Non erano pochi i personaggi di spicchi a quell’evento ed in effetti non se ne meravigliava: erano tanti gli ipocriti a popolare la loro classe sociale. Prendere parte a quei momenti, sembrava in qualche modo potesse ripulire le loro coscienze delle nefandezze che quotidianamente compivano. Non era così.
    Quando la serata era arrivata al suo termine, aveva atteso lontano dal luogo che la rossa si liberasse. Lì, sola, aveva agito. Si era avvicinata a lei braccandola in quel vicolo buio. Non l’aveva attaccata, o anche solo toccata. L’aveva seguita palesando la sua presenza.
    Non si aspettava un saluto. Ricambiò la sua arroganza tuttavia con un sorriso cortese.
    “Perchè no?” Le chiese piegando appena il capo, incredulo quasi Daphne ponesse a lui una domanda che appariva tanto stupida. “Non posso assistere ai successi di mia figlia?” Aggiunse poco dopo, scuotendo il capo ed accompagnando quelle parole con una leggera risata. “Diventare il volto di un programma sociale così importante, richiede delle attenzioni a cui noto tu non hai pensato.” Indicò il luogo in cui erano e la mancanza di scorta con cui la ragazza se ne andava in giro di notte. Folle in qualsiasi caso. “Gli svitati esistono Daphne e camminare di notte da sola non è una mossa così intelligente. Per fortuna ci sono io con te.” Distese le sue labbra in un sorriso fintamente rassicurante, prima di scuotere il capo. Attaccarla sarebbe stato semplice, e forse lo avrebbe fatto. In quel momento però gli premeva volgere la propria attenzione, e quella di Daphne su altro.
    A quel punto, estrasse la bacchetta. La mosse con un gesto veloce per far comparire tra loro una cartella ricolma di documenti che lasciò librare verso di lei. Immaginava che quei gesti repentini avrebbero potuto spaventarla, ma non se ne preoccupò.
    “Leggili pure con calma.” Le disse, mentre i documenti arrivavano a lei. Sulla copertina di quel plico giallognolo, spiccava in bella vista il nome di sua madre: Theresa Morrow. “E’ l’intera cartella clinica di tua madre. Una copia, ovviamente.” Annuì, indirizzando il proprio sguardo glaciale sull’altro, come a voler carpirne ogni dettaglio. “Hai creato un’associazione col suo nome. Ho pensato volessi conoscerla sul serio. Capire che tipo di persona fosse.” Si prese un attimo. All’interno di quel plico era riportato ogni momento della vita clinica di quella donna. Una donna senz’altro disturbata che aveva apportato danni a sè stessa e agli altri. “Sai quante volte ha tentato il suicidio? Come? Sai quante volte è stata riportata a casa dagli auror dopo aver commesso scelleratezze? Sai cosa ha fatto a suo figlio?” Pose l’accento su quell’ultima domanda, come a voler porre le distanze tra quella che cercava di far apparire come un mostro e Daphne. Cercava di farle capire che lei era migliore di quella donna e che prendere le parti di quel fantasma non avrebbe di certo giovato a nessuno, di sicuro non a lei. “Era una donna malata con manie paranoiche e suicide. Violenta verso sè e gli altri. Io lo sono mai stato con te?” Lui non lo era stato. Aveva cresciuto Daphne viziandola di privilegi. Aver preteso da lei rispetto e onore, faceva di lui un mostro? “E’ davvero questo il volto che vuoi dare alla tua associazione?”


     
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    Liberarsi della presenza di Soren nella sua vita sembrava impossibile. Sarebbe stato difficile allontanarlo dai propri pensieri anche se l'uomo avesse mantenuto una costante distanza fisica da lei, ma lo spettro di nuovi incontri rendeva quell'impresa ancora più ardua. L'incontro lavorativo a Copenaghen, l'acquisto del Fairy Tale e ora anche la presenza del Bachskov ad un evento della fondazione: lui la perseguitava, stanandola ovunque con la perizia di un instancabile segugio. L'aveva sempre considerata una sua preda, Daphne ne era certa, ma infondo non si poteva negare che avesse buoni motivi per farlo. La danese era stata in balia di suo padre così a lungo, quasi totalmente assoggettata alla sua volontà, stregata dal suo carisma, affamata del suo amore. Anche adesso, incontrandolo in un vicolo cittadino e avvertendo la propria incapacità di afferrare la bacchetta e puntargliela contro.. Daphne avvertiva ancora chiaramente i loro ruoli: preda e cacciatore.
    Ma il giudice Bachskov non era un cacciatore qualunque. Era subdolo, raffinato nella sua tecnica e per questo letale. Parlava dei "successi" della figlia lasciando implicito quanto in realtà li considerasse deprecabili, mischiava abilmente lusinga e condanna, sottolineando quanto fosse osceno ai suoi occhi che la giovane donna che aveva cresciuto utilizzasse i propri strumenti e le proprie capacità contro di lui. Ma la Morrow non sarebbe stata al suo gioco. Si impose di non replicare alle sue osservazioni, ma non poté fare a meno di ribattere quando lui accennò al suo trovarsi lì da sola.
    Non è ancora così tardi.. e sarei già a casa, se non fossi arrivato tu.
    Deglutì. Perché lo aveva fatto? Il cielo si era appena scurito, la sua permanenza in quel vicolo sarebbe durata pochi istanti prima della smaterializzazione.. certo, erano tutte ragioni valide perché lei potesse sentirsi libera da eventuali minacce. Senza contare l'ovvia verità per la quale lei avrebbe avuto il diritto di girare da sola anche in piena notte senza dover avere paura, ma quella era naturalmente una verità che non poteva collimare con la realtà dei fatti. Tolto ciò, Daphne era convinta di non essersi esposta a chissà quali rischi: ma perché sottolinearlo per Soren? Perché era bastato che lui insinuasse che una sua mossa "non era stata intelligente", per spingerla a mettersi sulla difensiva. La verità era che lei ancora faceva il suo gioco. La mano scattò verso la bacchetta - offrendole almeno la consapevolezza di un briciolo di istinto di sopravvivenza - quando Soren estrasse la propria. Sussultò di fronte a quel movimento repentino, pronta a proteggersi, ma tutto ciò che la raggiunse fu una corposa cartella. Daphne fissò il nome di sua madre, le labbra dischiuse per la sorpresa, per secondi che parvero interminabili.
    Quindi.. cosa credi di dimostrare?
    Sollevò di nuovo lo sguardo sull'uomo. Non aveva aperto il fascicolo, ma la verità era che le dita le prudevano per il desiderio di farlo. Si tratteneva per non dargli soddisfazione, ma se lui avesse cercato di riprenderlo Daphne sentiva che le sue mani avrebbero istintivamente trattenuto l'oggetto, opponendo resistenza. Nonostante questo, il suo sguardo rimase fermo sul volto del padre, gli occhi azzurri della ragazza animati da un guizzo di pura rabbia.
    Jer mi ha detto come lo trattava. Il fatto che lei abbia fatto del male ad altri e a sé stessa cancella la gravità di quello che le hai fatto? Era questo che Soren tentava di insinuare? Voleva screditare Theresa mostrando alla figlia le lacune psichiche della donna, la sua instabilità? La rossa avvertì un senso di profondo disgusto, difficile da analizzare Vuoi convincermi che Theresa non era una vittima perfetta.
    Quell'osservazione le sfuggì dalle labbra come una semplice costatazione della realtà. Già, Theresa non corrispondeva affatto al profilo che si sarebbe facilmente ricondotto al concetto di vittima. Aveva negato il suo amore al figlio, lo aveva picchiato e traumatizzato emotivamente. Aveva senza dubbio ferito molte altre persone, era stata un pericolo per l'incolumità di altri oltre che di sé stessa. Daphne si rese conto che il disgusto che provava era anche verso sé stessa: perché in passato le era sembrato dannatamente facile ritenerla una vittima poco credibile proprio a causa di tutto questo. Di tutto ciò che la rendeva meno attendibile di Soren Bachskov, un predatore con abiti di alta sartoria.
    Mia madre era mentalmente disturbata, ma che mi dici allora dell'uomo che l'ha stuprata? Il fatto che fosse malata rende il tutto ancora più orribile.
    Si sentiva una persona migliore nell'aver preso coscienza di sfumature troppo a lungo ignorate, ma il fatto che si fosse dovuta allontanare da casa per liberarsi, almeno in parte, dei condizionamenti paterni in realtà le causava una certa vergogna. Era stato così facile credere alle sue verità per tutto quel tempo, alla sua rettitudine. Per vent'anni, Soren era stato davvero il centro del suo universo. Scosse la testa, un sorriso amaro sulle labbra.
    Lo sai, io pensavo che fossi tu quello perfetto. Per anni ricevere anche un singolo gesto d'affetto da parte tua è stato il mio desiderio più grande. Ogni mio traguardo, ogni mia scelta.. aveva come unico obbiettivo il tuo amore, padre.
    La voce le tremò appena: di commozione e al contempo di rancore. Era la prima volta che gli rivolgeva una confessione così accorata, così sentita e completamente sincera. Lui ovviamente sapeva già tutto, anche se Daphne era convinta che non fosse in grado di comprenderlo davvero, con la sensibilità emotiva di qualunque altro essere umano. In ogni caso, anche se Bachskov era già a conoscenza dell'importanza che la figlia gli aveva sempre attribuito, ciò non toglieva che lei si stesse esponendo più di quanto non avesse mai fatto prima. Non aveva potuto farne a meno: non davanti a suo padre che le parlava di violenza sui figli, come se si trattasse di qualcosa che non lo riguardava affatto.
    Parli come se non te ne ricordassi.. ma tu sei stato violento con me. Ed è stato il tuo primo schiaffo ad aprirmi definitivamente gli occhi.
     
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2 replies since 3/4/2022, 17:09   28 views
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