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Roxy

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  1. - cracked soul
     
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    Studente Grifondoro
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    Sarebbe bello potersi estraneare da ciò che siamo. Un'anima che attraversa le pareti del nostro corpo, che osservasse da fuori ciò che l'inconscio ci spinge a fare, guidando una macchina di muscoli che si agitano e merdate che vengono fuori dalle nostre bocche. Se solo fossi intangibile, la non concreta fotocopia irrealizzata di me stesso, mi inorridirei al punto da porre un freno al rivoltante spettacolo di cui sono preda. Bloccherei i miei polsi, tapperei la mia bocca, risucchierei via dal cervello marcio che mi ritrovo tutto ciò che lo rende tanto instabile, corrotto al punto da non distinguere più cosa sia il bene e cosa sia il male. Ne vedo le forme rimescolarsi, assumere le mie sembianze e sovrapporsi poi a quelle di Roxy. Un disegno sbagliato, la contaminazione del mio male nei confronti di qualcosa di troppo bello perché il mio veleno lo infetti. E' sempre stato così, ma ora non me ne rendo conto. Tra i tanti dettagli che sfuggono all'evidenza che l'assuefazione calpesta, forse il più peccaminoso è questo, il modo in cui il mio male annienta ciò che per me si è rivelato candido sin dall'inizio. Nonostante i moniti di mia madre, la possessività con cui ha riposto poca benevolenza nei confronti della Jackson, pur nascondendone l'evidenza ai suoi occhi, meno ai miei, ho perpetuato nell'immaginario di una salvatrice che potesse liberarmi da ogni male. L'ha fatto vendendomi le prime dosi forti della mia vita, ha continuato accogliendo e rispettando la mia disintossicazione, e di nuovo adesso spero forse in un ritorno alle origini, nella comprensione che mi riservava quando ero solo un ragazzetto spaesato a cui bastava zittire un po' il mondo per andare avanti. Quand'è che tutto questo è cambiato? Non trovo risposta al rimodellarsi delle cose. Mi sembra di impastare informi poltiglie che scivolano giù dalle mie mani. Non assumono un senso, non c'è forma che allevi i miei dubbi. Solo lo scalpello infuocato di chi infierisce ancora di più sulla creta asciutta del mio malessere indecifrabile. Non batto ciglio alle parole della Jackson; non me ne faccio niente delle sue preoccupazioni, perché mi è impossibile collegarle alla realtà. Mi rendo conto solo dopo, quando sono le parole giuste - per meglio dire, le parole sbagliate - a raggiungermi, di quanto abbia scavato a fondo in questo rapporto. In noi. Vi ho riposto più speranze di quanto le nostre bocche abbiano avuto il coraggio di pronunciare. Si sono mischiate tante di quelle volte le nostre labbra, i nostri corpi, ma mai una sola volta siamo stati un po' meno codardi, un po' più sinceri. Quella realtà però mi tira uno schiaffo in pieno volto, risvegliandomi dal torpore innaturale che mi ha quietato sino ad ora. Al ringhio di quel "Se io ti mancassi davvero..." non mi serve aspettare il proseguo per accendermi di una furia che mi annienta. "Non devo tenere in considerazione un cazzo, Rox. Io sto bene!" Ferito, urlo quella realtà incurante dell'ambiente che ci circonda, incurante di chi osserva o ci ascolta. Non me ne frega più un cazzo di niente, di nessuno, di me. Perché dovrei frenarmi? Perché addormentarmi sperando di non aprire mai più gli occhi? Ci sono già passato e non mi va. Vorrei solo Roxy fosse in grado di capire. Ed io vorrei comprendere perché lei non abbia la possibilità di farlo. "Non ho fatto niente." Ribadisco, calmo, freddo, raccogliendo il fiato che mi è venuto a mancare a seguito delle mie urla. Il volto si quieta, le vene si ritraggono, il rossore improvviso che l'ha colto svanisce per ridonarmi il pallore che mi spegne. A rimanere vivida è però la mia sofferenza, quel dolore per niente muto che attecchisce ai sibili che torno a rivolgerle. "Vuoi decidere tu cosa sia vero? Vuoi anche decidere cosa debba provare o meno?" Altre le frasi sconnesse da ogni logica che le piombano alle orecchie. Immagino lei ci sia abituata, ma quanto male le farà riceverle proprio da me? Quante crepe dell'anima sto squarciando con le dita febbrili di chi non è capace di prendersi cura di qualcun altro? La verità è che l'egoismo di cui mi veste me lo sento addosso. Lo faccio costantemente, nei confronti suoi, di mia madre, di chiunque. Mi convinco di essere l'effetto collaterale di due persone buone, il cui unico errore è stato concentrare i propri difetti in un unico prodotto. Positivo più positivo, dà il negativo che mi contraddistingue. Merito davvero di essere ascoltato? Merito di essere convinto di dettagli che non voglio vedere, né ascoltare? Per un po' resto in attesa di una sua reazione, qualunque essa sia. Poi, stanco di essere ferito, ma ancor più di ferirla senza capirne il perché, recupero da terra il mio scatolone. Tento malamente di sollevarlo, di dare un ordine vago alle mie cose perché è l'unica cosa che mi resta da provare. Ma quella roba non è la mia vita. Ne fa solo parte, ma ordinarla non significherà mettere a posto i miei casini. Se fosse così semplice, sarei fuori di qui a godermi l'ordine di una passeggiata al parco, non a lasciarmi risucchiare dal caos di una dose mancante, di un'astinenza prepotente. "Smettetela di starmi col fiato sul collo. Sei peggio di mia madre." Forse il più erroneo dei paragoni mai avanzati. Il loro amore nei miei confronti veste panni totalmente diversi. Sono due titani che si scontrano, l'affetto e la possessività che fanno a botte, l'altruismo e l'egoismo che esplodono devastandomi. Ed io non so più da che parte propendere. Non so più neanche come fare a sistemare me stesso. "Se tu non vuoi aiutarmi però, dovrò trovare un altro modo." Un monito? Forse un avvertimento. Oppure un ultimo latente disperato grido d'aiuto che nemmeno io sono in grado di riconoscere.
     
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6 replies since 14/3/2022, 08:31   140 views
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