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Privata, Mason

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    Non ho mai fatto niente di simile: non ho mai sentito l'esigenza di sbronzarmi in solitudine al bancone di un bar dalla morale dubbia. Sì, ho sentito il bisogno di distruggere tutto ciò che toccavo, fare del male a qualcuno, sfogarmi su persone ed oggetti... ma non ho mai avuto tendenze autodistruttive. O almeno, non consapevolmente come stasera. Per la scelta del posto sono andata ad esclusione: alla testa di porco non potevo andarci, no, avrei rischiato di incontrare Logan. Ai tre manici non se ne parla, avrei rischiato di beccarci qualche professore. Almeno che non decidessi di farmi venire il diabete a Mielandia l'unica alternativa disponibile restava il Dark Angel, che ho frequentato in circostanze molto diverse da quelle di stasera. Sono consapevole di cosa mi abbia spinto ad infilarmi un vestito, la giacca e gli stivali per trascinarmi in un posto simile.
    Il rumore. La confusione. E al massimo se incontro qualche compagno, faremo finta di non esserci visti.
    La rabbia repressa. Sì, anche lei ha messo in moto il mio cervello e animato le mie intenzioni. Forse soprattutto lei, una vecchia amica che per un po' ho messo da parte ma che in realtà non ho mai davvero dimenticato.
    "Fammene un altro" la musica sovrasta la mia voce, o per meglio dire, io non riesco a sentire la mia stessa voce. Ma sono sicura che in realtà stessi urlando in faccia al barista esitante "lo vorrei entro stasera" che cazzo avrà tanto da guardare, come se in questo posto non fosse abituato a vedere qualcuno che ha alzato un po' di più il gomito. Come se fossi l'unica qui dentro. E invece no, non sono l'unica, sono una dei tanti. Solo uan dei tanti. E questo mi piace.
    Al quarto gin tonic comunque, sento che forse la mia coscienza sta cedendo. Forse il quinto? Dopo aver tentato di mettermi in piedi invece, confermo che hanno ceduto sia la mia coscienza che il mio senso dell'equilibrio. Sembra che io abbia portato a termine la sfida con me stessa e che sia riuscita ad ubriacarsi in solitudine. Realizzandolo scoppio in un'isterica risata liberatoria. Finalmente, finalmente non capisco un cazzo e posso focalizzarmi solo sul tentativo di restare in piedi e poi... e poi fare cosa? Tornare a scuola? Così? Che cazzo faccio, offro da bere a qualche caposcuola dicendogli "ehi, collega, io sono un prefetto e posso fare tutto"! Non ho neanche una stanza, ma quei divanetti sembrano comodi, accanto alla coppia intenta a pomiciare. Che ridere, questa si che è una prospettiva esilarante! "PORCA PUTTANA, CHE CAZZO FAI" "Mhn? Che cazzo vuoi?" Sento la gamba bagnata. È freddo, bene, non è pipì. Ah, ops, sembra che io abbia fatto cadere il cocktail a qualcuno e che adesso a questo qualcuno, girino le palle. Oddio che cosa stupida "che fai ora, mi porti ad Azkaban? Insieme agli assassini?" riprendo a ridere simulando le mani ammanettate. Sì, proprio come quelle dei criminali, come dovrebbero essere quelle di chi uccide "sei pazza?! Me lo ricompri" "non ho più soldi" faccio spallucce "e anche se li avessi non li userei per te" biascico per via della perdita di sensibilità alla lingua però, oltre a sorprendermi per aver azzeccato tutti i congiuntivi, continuo a ridere, isterica. E accaldata soprattutto. La giacca mi scivola dalle spalle fermandosi ad altezza gomito, metto con fatica un piede davanti all'altro spintonando il tipo che mi si para davanti. Mi coglie un capogiro e la porta del locale mi appare davanti come la luce in fondo al tunnel "mi hai sentito??" proprio lì, sulla pelle nuda, mi sento stringere dalle mani del tizio isterico mai visto prima "ho detto che mi devi pagare, stronza!" capisco che la mia serata è giunta alla conclusione perché qualcuno ha deciso di metterci la ciliegina sopra prendendosi un'eccessiva confidenza "NON TOCCARMI, COGLIONE!" è lì che istintivamente lo spingo lontano da me infuocandogli la giacca. Ed è in quel momento che ho perso il mio anonimato, non sono più una dei tanti ma una che ha dato fuoco alla giacca di un tipo per caso.
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    Approfitto della confusione generale, tanto ci sono i suoi amici a soccorrerlo. Che poi capirai, era solo un piccolo fuoco, vedessi la fine che ha fatto l'albero nella tenuta della scuola. È stato fortunato. È stato un incidente. Ma una parte dentro di me, per la prima volta, è contenta che si sia verificato.
    Scompaio nella folla, spalanco la porta che dà all'esterno. Il suolo è ancora coperto per metà dalla neve ma non sento freddo, non sento nulla, neanche il mio corpo. Forse sono accaldata. Forse anche un po' troppo, non lo capisco. Con la mano adagiata alla parete del locale mi trascino fino a svoltare l'angolo, è forse per miracolo che ci arrivo. E poi il miracolo, decide di esaudirsi appena mi fermo. Sono io che sto facendo una piroetta o è il mondo che gira più veloce? E soprattutto, come ci sono arrivata per terra? Sono caduta? Ma è una barca? Ondeggia tutto, sembra di stare su una barca...





    Edited by Kynthia - 21/2/2022, 19:44
     
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    L'impotenza è la più vertiginosa curva solcatasi sul viso del Chesterfield. Un mix d'incomprensibili sensazioni a vorticare nella sua mente, a rendere la sua apatia preda di un'ambiguità che maschera a chiunque il disagio provato. Persino a se stesso. Non dà una forma al proprio malessere, perché in fondo le sue radici sono piantate da innumerevoli parti. E tra di essere se ne distingue forse una con più evidenza, l'impatto forte segnato a ferro e fuoco nell'animo devastato dal senso di colpa e dall'incapacità di agire come avrebbe potuto. Voluto. Dovuto. Prendersi del tempo per sé è solo il riflesso del lasciare spazio a chi fa parte della sua vita. Non ristora se stesso, quanto piuttosto dà agli altri una tregua dalla sua tossicità. Non è infatti benessere quello che prova, né il desiderio di una malsana scappatoia che lo guiderebbe di norma sin oltre la porta del locale erto dinanzi a lui. Vi lancia diverse occhiate, stanche, spente, rendendosi conto di non avvertire almeno per il momento il richiamo che più volte in passato l'ha messo alle strette. Un vizio, quello dell'alcol, che ha solo contribuito a mandare in rovina la sua integrità. E se in altre circostanze avrebbe ceduto, certo di non poter sperare in una redenzione che pulisca le innumerevoli colpe di cui già la sua coscienza si è macchiata, adesso resta fermo nell'immobilità di chi non ha una direzione da prendere. Non una negativa, né tantomeno una positiva. Quasi una fortuna, se solo le conseguenze non si piantassero nella sua mente come semi di indecifrabile tristezza che lo spingono ad una resa di cui non ha bisogno. Di cui nessuno, nella sua vita, ha bisogno. Di possibilità sul proprio cammino ne ha tuttavia perse parecchie ed è questo che lo induce a credere che la coincidenza di cui è improvvisamente spettatore non sia un nuovo segnale di potenziale riscatto a cui affidarsi. E' solo una fatalità, a seguito di eventi che scombussolano l'integrità che il fato ha inconsapevolmente costruito per lui. Quando una ragazza barcollante si accascia sul pavimento, è uno strano istinto di protezione quello che si risveglia nel suo cuore fermo, messo in pausa per un tempo indeterminato. In quella ragazza, rivede un altro volto. Rivive congruenze con la storia incisa sul suo passato e senza badare a superflui ragionamenti che lo stringano nella volontà di girare i tacchi e tornare ai propri affari, non tentenna neanche un secondo nell'avanzare verso di lei. Nell'offrirle un aiuto, aperto alla possibilità di un rifiuto che comunque non lo scalfirebbe. Nulla riuscirebbe a spingerlo a tirarsi indietro in quel frangente di desolazione. 'Ehi.' Pronuncia una volta avvicinatosi a lei, chinandosi sulle ginocchia con cautela per non violare il suo spazio. Piccola, minuta... forse troppo giovane per puzzare così tanto d'alcol. Anche questo è un copione ripetuto che rimbomba nella sua testa, nella sua coscienza bucherellata. 'Stai male? Ti serve una mano?' Le chiede ancora serio, poco cortese ma comunque calmo e, in qualche modo contorto, disponibile. 'Ti aiuto a rimetterti in piedi, ce la fai?' Propone infine, allungando con ancora più cautela le braccia verso di lei.


     
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    Affondo le mani in qualcosa di freddo ed umido che mi conferma che sì, mi sono decisamente accasciata a terra. Che schifo, nell'unico sprazzo di ragione che mi resta riesco solo a pensare a come mi sono ridotta pur di non riflettere su nulla e non concentrarmi sulla mia rabbia. Domani probabilmente mi sveglierò sentendomi ancora di più una merda rispetto a quanto non mi sentissi fino ad un'ora fa, fino a prima che mi ubriacassi da far schifo.
    Poi mi accorgo di non essere più sola e che ho attirato l'attenzione di qualcuno, la cui voce mi rimbomba nella testa provocandomi anche una fastidiosa, fastidiosissima fitta "sto benissimo" mi schiarisco anche la voce come se questo potesse aiutare. Perchè la gente non si fa gli affari suoi? Essere vista in questo modo senza più un briciolo di dignità addosso mi provoca un fastidio indicibile "non mi serve nulla" e faccio quello che mi riesce meglio ultimamente: lo respingo. Non l'ho manco guardato in faccia, anche perchè temo che se alzassi la testa mi coglierebbe un senso di nausea che non sarei in grado di contrastare.
    "Che vuoi, ho rovesciato da bere anche a te? Non me ne fotte niente del tuo drink di merda" è chiaro che io stia confondendo gli eventi. Almeno, agli occhi degli altri credo sia evidente ma non ai miei. Quel braccio teso in quel modo, mi provoca così tanto fastidio che mi viene naturale scostarlo violentemente. Non lo voglio vedere. Non voglio aiuti, significherebbe coinvolgere terzi in affari che sono solo miei. Poi forse sto ingigantendo la cosa ma non è forse uno degli effetti collaterali del'alcool? Questo tizio è solo uno sconosciuto che casualmente si è trovato davanti questa scena pietosa ma poco importa, la mia è diventata una legge universale: non coinvolgere altre persone, stai per i fatti tuoi dove non puoi danneggiare nessuno. Lo sai fare, lo hai già fatto. Per esprimere questo concetto con i gesti, cerco a tentoni la parete dietro di me in modo da avere un appiglio a cui aggrapparmi per provare a rimettermi in piedi. Sottolineo provare, perchè al momento mi sembra un'impresa titanica.
    Ho caldo. Non è normale, mi ripeto. Ed un attimo dopo, lo dimentico. Con tutto il peso contro la parete del locale, mi tolgo impacciatamente la giacca che mi scivola dalle mani e poi faccio un sorrisino soddisfatto. Alla faccia tua sconosciuto, mi sono messa in piedi da sola. Non era così complesso, vedi, posso fare tutto "togliti, devo andare" lo scosto scalfendo l'aria con il braccio ed è quando provo a fare un passo in avanti iniziano i problemi, è quasi come se mi fossi dimenticata come si fa a camminare. Le mie ginocchia vacillano come se fossero fatte di burro ma la sola cosa che non vacilla è il mio orgoglio, che proprio si rifiuta di accettare la carità di un passante. Un altro passo incerto e proprio come un bimbo che muove i suoi primi passi, abbandono il mio appoggio provando a sostenermi con le mie sole forze.
    Ma non è che stia funzionando proprio bene: un improvviso conato mi fa perdere l'equilibrio già di per sè precario, quasi finisco faccia a terra ma per fortuna riesco a rannicchiarmi prima di cascare del tutto. Brava Kynthia, hai fatto due passi.
    Resto lì chiusa in me stessa, ci resterò finchè non avrò recuperato l'energia necessaria per riprendere a camminare.
    Due minuti. fra due minuti riparto. Sto per vomitare. Me lo sento, me lo sento cazzo!




    Edited by Kynthia - 3/3/2022, 13:50
     
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    'Ah, lo vedo.' Si limita a commentare gli interventi dell'altra, palese lo scetticismo insito nella sua voce, sebbene dubiti la ragazza sia in condizioni di comprenderne le fattezze. Al contempo, le intenzioni del Chesterfield - già di norma discutibili - non devono esserle del tutto chiare. Potrebbe reggerla di prepotenza, metterle le mani addosso solo per sorreggerla e riportarla a casa, al castello o ovunque quella ragazzina abbia necessità di andare. Resta tuttavia fermo, ad una leggera ma percettibile distanza da lei, in attesa delle sue direttive. Non è lucida, ma è abbastanza in sensi per farsi indietro, per contrattaccare a parole che non capisce siano avanzate in suo supporto. L'ultima cosa che spera in quel contesto è turbarla. E' stufo le sue buone intenzioni finiscano inevitabilmente in tragedia. Quando la vede liberarsi della giacca, scuote il capo tra sé e sé. Persino quella caparbietà gli è familiare, come un'eco di vicissitudini che sono fissate con estrema chiarezza nella sua menta. Un profilo ribelle che ben si sovrappone a quello protagonista dei suoi pensieri quotidiani. Prima ancora di poter intervenire in tal senso, scostandosi prima che la sferzata improvvisa della ragazza lo colpisca, la vede barcollare malamente sino a giungere di nuovo sul pavimento, frenatasi appena da non beccarsi il marciapiede dritto sul naso. Una fortuna che potrebbe decisamente non trovare alcun seguito e che sembra anzi destinata ad esaurirsi sotto l'incombenza dei conati di cui sembra improvvisamente vittima. 'Sì, stai decisamente bene.' Ribatte ancora, chinandosi di nuovo alle sue spalle, pronto a sorreggerla persino in caso di vomito. Sarebbe forse più semplice a quel punto convincerla a seguirlo, a lasciarsi aiutare invece di perpetuare in quell'arroganza papabile. L'orgoglio, l'ha imparato, non giova mai a nessuno, ancor meno a chi lo prova. 'Te lo ripeto, voglio solo aiutarti, ok? Non sei in condizioni di rifiutare, fidati.' Tenta così di distogliere la sua attenzione dai retroscena sconosciuti della serata appena passata. Deve aver avuto dei problemi con qualcuno, gli affari di alcol non sono mai particolarmente sottovalutabili. Lei però risulta talmente inebriata da non ispirare particolare fiducia a riguardo. Riporne nella sua incertezza sarebbe ingenuo. Mason non lo è mai stato. 'Dimmi solo dove abiti e ti ci porto. Sei una studentessa? Hai una casa qui nei dintorni?' Domande che si susseguono lentamente, la chiarezza di chi si rende conto di avere a che fare con qualcuno che necessita particolare attenzione, mentre le sue mani sostano con un pizzico di prepotente decisione in più sulle sue spalle. Un ultimo tentativo, conscio di essere prossimo all'arrivo di un pugno dritto sul muso, prima di chiamare la resa e tornare alla propria fredda impotenza.


     
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    Sta per succedere qualcosa di immensamente schifoso, lo so, lo sento. Per essere precisa lo sento nello stomaco e nella bocca, questo retrogusto amaro... non è indice di niente di buono. La voce del tipo mi arriva lontana ma, anche se non sembra affatto, non sono così rincoglionita da non coglierne l'ironia velata. Che cazzo, maledetto alcool, se non ci fosse lui in mezzo ai piedi. E se non ci fosse manco questo tizio, che mi tocca, cosa cazzo tocca "non starmi addos-" oh no. Ci siamo. Il momento che ho tanto rimandato e scansato un po' per fortuna e un po' per forza di volontà ed orgoglio, adesso è arrivato. Mi copro la bocca con le mani a causa di un vero e proprio conato al sapore di schifo che frena bruscamente la mia risposta che comunque, io mi ostino a tentare di dargli. Sto per fare una figura di merda epocale. Mi attacco alla mia dignità come se fosse l'ultima cosa che mi resta al mondo, a costo di non crollare preferisco rimandare giù tutto.
    Rimanda giù tutto, rimanda giù tutto, Kynthia cazzo ripigliati! Un altro brivido, un altro conato... ma questa volta non mi va bene come la prima. Ecco qua, mi ritrovo a rigettare quello che ho assunto, ecco il magnifico risultato di una serata di frustrazione. Mi tengo i capelli e li scosto via dal volto, ci manca soltanto che in mezzo a tutta questa merda ci vadano di mezzo pure loro. Dio, quanto sono patetica. Mi fermo, in realtà chissà ancora quanta roba devo buttare fuori per riprendermi del tutto. l'odore pungente dell'alcool è nauseabondo e mi fa storcere il naso, ma non è abbastanza potente da provocarmi una seconda rigettata. O, cosa molto più probabile, sono io che pur di non farmi vedere ancora in questo stato preferirei morire.
    Che serata di merda.
    "Non abito qui" scosto le ginocchia all'indietro in una safe zone in cui quantomeno non dovrei sporcarmi. Ora cosa cazzo faccio, no che non abito qui "no no no, non posso tornare ad Hogwarts così" fuori questione "devo andare a Londra" mi smaterializzo. No, ma che cazzo dico?! E rischiare di arrivare con la testa al posto dei piedi?! Fortuna che mi resta un briciolo di ragione in corpo "prendo il treno" certo, a quest'ora.
    Forse mi sta andando il sangue alla testa, ho bisogno di rimettermi in piedi: mi poggio alla prima cosa che mi capita sotto mano, in questo caso la schiena del ragazzo chinato vicino a me. Ho buttato fuori qualcosa ma la testa, che sta girando rapidissima, mi suggerisce che la strada verso la guarigione è ancora lunga "senti, grazie, mi dispiace" punto i piedi cercando di farmi sostenere dalle gambe "io... ah! Sì, andrò da un'amica" cazzata. Me la sono appena inventata "sto un po' meglio, lei abita... tipo qua vicino" muovo le mani indicando l'area circostante in maniera vaga, troppo vaga. Non mi crederebbe nessuno. forse se l'avessi raccontata ad un ubriaco come me se la sarebbe anche fatta andare bene, ma lui è sobrio, troppo sobrio per credermi. Mi arrendo. Devo ammettere come stanno le cose, sennò questo qua rischia di infilarmi in situazioni ancora più scomode"no ok senti, sono un prefetto ad Hogwarts quindi non posso tornarci così, capisci?!" un prefetto. Fa ridere già così "non mi ci portare, piuttosto lasciami dormire qua" è meglio questo, vomito ancora un pochino, mi riprendo e dormo qualche ora, tanto mi butterebbero fuori comunque.




    Edited by Kynthia - 30/3/2022, 17:50
     
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