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Arriccio le labbra scrutando attentamente la mia immagine riflessa nello specchio: quello che vedo non è esattamente di mio gradimento. Cosa dovrei indossare esattamente? Hilde mi ha chiesto di accompagnarla ad una sottospecie di festa. Un party privato, per poche persone scelte e sotto invito per di più. Solo che alla sottoscritta le feste non piacciono, per lo meno non questo genere di avvenimento. Avrei di certo trovato delle persone poco piacevoli: quello che ci provava spudoratamente, quello ubriaco o quella troppo snob da rivolgerti solo sguardi sprezzanti dall'alto verso il basso, pronta a giudicarti per la ciocca di capelli in disordine. A tal proposito, sciolgo la folta chioma castana lasciando liberi i capelli da quello stretto chignon che mi donava un'aria frigida e casta, insomma mi rispecchia decisamente troppo poco. Sbuffo. Ancora, di nuovo. Adesso le mando un gufo e le dico di aver contratto qualche strano virus intestinale dopo la visita in Accademia la scorsa settimana. Mi mordo il labbro inferiore pensando a quanto sia una pessima amica e che Hilde proprio non se lo merita questo affronto, non dopo tutto quello che fa per me. Ok, posso farcela. Tolgo via la felpa, i pantaloni di tuta, apro l'armadio e che la sfida abbia inizio. Nero, è assolutamente il colore da preferire. Un tailleur con gonna, stretto aderente, un foulard rosso per contrastare il pallore del mio viso e sono pronta. Poco importa se assomiglio ad un hostess di viaggio babbana. Hilde dovrà accontentarsi. Esco, in fretta, sono già in ritardo di un quarto d'ora, e la mia amica già mi aspetta fuori casa, nervosa. Almeno le ho fatto capire quanto sia entusiasta della cosa! Le rifilo un sorriso di circostanza, di quelli che si accompagnano ad uno sguardo di supplica e perdono a cui non si può restare a lungo indifferenti. «Oh andiamo! Lo sai che sono impedita per queste cose!» La supplico inseguendola, un passo dopo l'altro, e arriviamo alla suddetta festa da personaggi importanti del mondo magico. Mi guardo intorno, spaesata, non riconoscendo anima viva. Il disagio continua ad aumentare, così decido di non lasciarla sgattaiolare via, ma di starle alla calcagna più che posso. Permesso, mi scusi. Mi faccio strada tra la folla, sgomitando qua e la, cercando di non perdere di vista quella chioma bionda familiare finchè non urto qualcuno con la schiena e, probabilmente, pestando più di un piede a qualche malcapitato. Mi volto sentendomi picchiettare sulla spalla. Un giovane, molto educato, mi passa il foulard che fino a qualche istante prima era legato al mio collo. Forse nel muovermi come una forsennata, e con davvero poca grazia, deve essersi sfilato tra l'intralcio di quei corpi ammassati. «Si, ti ringrazio. E scusami per esserti finita addosso.» Mormoro leggermente imbarazzata e sorridendo appena, muovo con una mano la frangia dei capelli per nascondere in parte il mio viso arrossato: «Deve essermi caduto per cercare la mia ami-» Mi volto. Destra, sinistra. Dò un'occhiata più in avanti. Niente. Hilde se l'era svignata lasciandomi in balia di gente sconosciuta, che non conosceva me e che probabilmente non sarebbe stata così amichevole. O almeno per me è così. «Merda.» Credo di averlo pensato più che detto, ma la realtà dei fatti è ben diversa. Devo averlo proprio esclamato a gran voce se il tizio che mi ha fermata poco fa ha iniziato a sghignazzare. Mi volto, sul mio viso deve esserci un misto di imbarazzo e sconcerto ed ho iniziato a mordermi di nuovo l'interno delle guance, a sangue. Ehm, credo di aver perso la mia amica. Per caso la conosci? Merlino, ma quanto può essere idiota un quesito del genere? Siete più di cento persone in questo cavolo di ricevimento o chissà cosa e te ne esci con una domanda del genere?! Certo che non lo sa, razza di imbranata. Mi passo una mano sul viso, scuoto leggermente la testa, cercando di riordinare le idee e torno con lo sguardo sul tizio che mi guarda divertito. Non sembra un tipo fuori posto, anzi. Magari può aiutarmi a cercare Hilde, oppure ad uscire da questo posto e tornare a casa, la mia amica se ne farà una ragione: sa che non amo restare da sola in luoghi affollati. Allungo la mano verso il moro: «Scusami. Sono... - ci rifletto su e alla fine decido di non dire il mio nome, o almeno non quello ufficiale - ..Jane. E tu sei?»
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