Head on fire

Kensal Green Cemetery

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    HUGO
    31 Gennaio, ore 21.30.

    La visita al Noxious era stato un buco nell’acqua. Mason era da un pezzo che non serviva più clienti dietro il sudicio bancone del negozio, come il losco figuro con cui Hugo aveva scambiato poche parole aveva suggerito. Non restava che ricorrere a malincuore al piano b, in cui l’incontro con Mason non sarebbe stato più frutto del caso, bensì figlio di una richiesta vergata a chiare lettere su un foglio di pergamena. Un incantesimo di appello consentì al Dubois di richiamare a sé un pennuto ululante appollaiato sui rami secchi di un platano. Dopo aver accuratamente piegato il messaggio un paio di volte, allungò le dita verso la zampa sottile del volatile, che in tutta risposte conficcò il becco appuntito nella carne del ragazzo. «Vaffanculo!» Un rivolo di sangue scivolò lungo il polso ed un paio di gocce tinsero di cremisi un lembo della pergamena ripiegata.
    «Devi trovare Mason Chesterfield.» Intimò al pennuto, ora quieto dopo aver comunicato ad Hugo tutto il suo disprezzo. Lo osservò spiegare le ali grigiastre e seguì con lo sguardo la traiettoria del suo volo, sbattendo un paio di volte le palpebre per non perderlo di vista tra la foschia. Quando non fu che un puntino scuro all’orizzonte, Hugo distolse gli occhi chiari dal cielo per puntarli sull’acciottolato ai suoi piedi. Con noncuranza assestò un calcio ad un sasso, mentre entrambe le mani corsero a coprire nuovamente il capo con il cappuccio scuro.
    Aveva dato appuntamento a Mason di lì a poco, ma non aveva tenuto conto della sua posizione. Preso dalla foga di avere notizie di Helena, non aveva perso nemmeno un istante a riflettere su dove il ragazzo avrebbe potuto trovarsi. Aveva dato per scontato che alloggiasse nel dormitorio dell’Accademia, o in prossimità di questa, ma finì per pentirsi della superficialità di quella supposizione, del tutto priva di fondamento. In fin dei conti non lo conosceva che attraverso i miseri racconti di Helena, che ben si guardava dal rivelare informazioni di lui che non fossero l’indirizzo dei suoi studi o poco più. Ecco, quindi, che l’immagine del Chesterfield beatamente affondato in un morbido letto dell’Accademia, una canna in bocca e il sorriso da stronzo stampato in faccia, aveva prepotentemente fatto irruzione nel suo cervello non appena le dita avevano acciuffato la piuma dalla tasca.
    Un’ora gli era parso un tempo sufficiente per raggiungerlo via gufo e dargli modo di smaterializzarsi nel luogo designato, tuttavia quella certezza così solida si era pian piano sgretolata, lasciando posto al tormentoso dubbio di dover intraprendere lui stesso un viaggio a vuoto. Pazienza! Rettificare luogo e ora dell’incontro l’avrebbe fatto sembrare nient’altro che un coglione - impressione che si sarebbe volentieri risparmiato di dargli - così incrociò le braccia al petto e si avviò verso l’uscita del villaggio.
    Il cigolio di un tram sui binari accolse Hugo non appena sbucò dal Paiolo Magico. Londra non gli era affatto mancata. L’odore di cibo lungo le vie, il luccichio sfavillante delle insegne e la calca davanti alle vetrine dei negozi gli facevano ogni volta desiderare ardentemente di trovarsi nella quiete delle rive del lago nero, un romanzo tra le mani e nient’altro che il silenzio ad avvolgerlo. Salì su una metro, poi su un’altra ed infine su un’altra ancora prima di veder spuntare tra la fiumana di babbani l’ingresso del cimitero di Kensal Green.
    Il motivo di quel luogo, peraltro così distante da Nocturn Alley, gli era sconosciuto. Aveva letto distrattamente il nome del cimitero su un volantino di qualche setta religiosa babbana, così aveva pensato di riproporlo sul biglietto. Di certo non avrebbe invitato Mason a bere una burrobirra ai Tre Manici o a fumarsi una canna alla Stamberga, sebbene questa seconda opzione avrebbe forse potuto allettare l’altro. Serviva un luogo qualunque, lontano da occhi e orecchie babbane. Non una cosa semplice, a Londra. Qualcosa come un cimitero, il cui alone di tetro mistero teneva lontani i più, gli era parsa la scelta più azzeccata. Curioso come proprio in un cimitero i loro destini si erano incrociati esattamente tre mesi prima.
    Sciolse quindi le braccia che ancora teneva incrociate al petto e fece correre lo sguardo sull’orologio regalatogli dallo stesso Chesterfield al termine della lezione di Magingegneria. Da quando Lucréce se n’era andata lo teneva sempre stretto al polso, pronto all’uso qualora avesse sentito il bisogno di rivedere per un solo istante il suo viso delicato. Fino a quel momento, ad ogni modo, non era mai accaduto, e gli occhi luminosi della bambina gli avevano fatto visita soltanto in sogno.
    Un lungo sospiro accompagnò lo sguardo all’orario. Le 21 e 29. «Dai, cazzo.» Sussurrò, quasi le sue parole potessero raggiungere un distante Chesterfield e convincerlo a presentarsi all’appuntamento.
     
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    La libertà ha un sapore amaro. Sa di sconfitta, sebbene le catene delle ingiuste angustie subite si siano definitivamente spezzate. Fuori da Azkaban i colori non hanno ancora ripreso la loro brillantezza. Si spengono sotto la patina dell'angoscia provata tutte le sensazioni che prima della prigionia avvertiva già a stento. L'unico sollievo è essere stato messo al corrente dell'incolumità di Helena. Non gliene frega un cazzo delle ramanzine di MacDuff, degli avvertimenti scorbutici ed indispettiti degli auror. La sua ragazza è libera. Viva. Tanto basta a non farlo crollare, nonostante la voglia incommensurabile di strapparsi di dosso la sua stessa pelle ed i segni di quella battaglia persa che reca con sé. Attende notizie da parte di lei o di chiunque altro. Passa le giornate al dormitorio, chiuso in camera con Merc a fargli da sporadica compagnia, Green a tenerlo impegnato. Pochi i giorni trascorsi dall'assoluzione che gli è stata concessa. Assordante il silenzio che prepondera sull'atmosfera. A romperlo, quella sera del 31 gennaio, il picchiettare di un gufo alla finestra della stanza. Una missiva da parte di un pennuto sconosciuto, che non reca però le informazioni sulla cui attesa il Chesterfield ha basato il proprio interesse. La firma apposta a piè pagina è fonte di indignazione e contrarietà. Qualcosa che normalmente lo infastidirebbe vagamente, alimentando l'attimo dopo la voglia di rivalsa che prova ancora nei confronti di quel ragazzo e del riflesso accorato impresso nelle memorie di quella notte al cimitero. E si chiede perché ricerchi la sua presenza. Perché gli imponga un appuntamento, ad un cimitero, a quell'ora. Perché proprio a lui? Interrogativi che risuonano tra le pareti della sua testa dolente con un'insistenza che lo costringe fuori dal letto. Ancora vestito della tuta, una giacca pesante a coprirlo dall'aria gelida di un inverno pieno, avverte il compagno di stanza di un impegno di pochi minuti. E' ciò che spera.

    Rtk1H8G
    Raggiunge il cimitero al limite del tempo dall'altro richiesto. Hugo Dubois: cosa potrebbe mai volere da quello che ha palesemente dichiarato come un acerrimo nemico? Il peso di quella lotta infantile è nullo rispetto al resto. Si apposta però al confine di uno stato d'animo traballante di precaria pazienza. Attuare la solita solfa di diffidenza e noncuranza alla coda dei traumi subiti perde d'efficacia nel tempo. Lo fa se i contorni di quei drammi assumono i connotati di una delle prigioni più oscure esistenti nel mondo magico. Temere per la propria vita, non sapere se se ne verrà fuori o meno, è forse il giochetto psicologico peggiore che quel luogo propina. Aguzzini e dissennatori fanno il resto. Si trascina stanco sino al punto concordato, intravedendo la figura incappucciata di quello che parrebbe essere Hugo. Meglio per lui che lo sia. Di trappole e sotterfugi ne ha già subiti abbastanza. Fortuna vuole che lì di fronte sia proprio il volto del francese a palesarsi in una rigidità dal retrogusto di spocchia. Forse una visione meramente ferma alle convinzioni del Chesterfield. Un dettaglio che poco gli importa, in quel frangente, comprendere le intenzioni di quel ragazzo adombrato di negatività. 'Bene, sono qui. Che vuoi, Dubois?' Pronuncia secco alla sua volta, reggendo lui stesso ancora il cappuccio del giaccone sulla propria testa. Braccia incrociate. Aria superba. Eppure ogni suo gesto, ogni parola, ogni sospiro porta con sé il peso dell'angoscia provata. 'Taglia corto, ho già i miei cazzi per la testa.' Gli intima ancora, spento, piatto. Indolente.


     
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    L’attesa lo rendeva inquieto. Non solo per l’incapacità di prevedere se il suo sostare nei pressi di un cimitero sarebbe stato del tutto vano, ma specialmente perché l’immobilità di quella situazione richiedeva uno sforzo notevole per tenere ordine tra i suoi pensieri scomposti. Dar loro una direzione, una linea da seguire, consumava le già poche energie del francese, i cui occhi celesti si posavano ora sulle lancette dell’orologio, ora sulle statue ingrigite all’ingresso del Kensal Green. L’autodisciplina era l’unica cosa in grado di tenerlo a galla nel mare di sofferenza in cui altrimenti sarebbe annegato. Obbligarsi a non pensare, a chiudere nel più recondito cassetto della sua mente le immagini dai contorni ormai sfocati che tormentavano le sue notti era diventata un’abitudine consolidata. Aveva ignorato le ferite ancora fresche, sedando il dolore pulsante con droghe di qualsiasi tipo anziché dedicar loro le cure necessarie. E lì, al limitare di un luogo carico di malinconia, si rese conto di quanto arduo sarebbe stato attendere Mason ancora a lungo. Abbassare il sipario sugli occhi chiari di Lucréce, dimenticandone momentaneamente il piccolo viso emaciato, significava solo aver raggiunto un equilibrio precario. Così precario che l’idea di una Helena in pericolo l’avrebbe fatto crollare come un castello di carte. Ed ecco quindi che i pensieri cui avrebbe potuto dedicarsi nell’attesa si riducevano drasticamente. Era tutto così maledettamente un tabù per la sua fragile psiche!
    Mosse un paio di passi in circolo per combattere l’intorpidimento delle membra, paralizzate dall’umidità londinese, e gettò uno sguardo al lato opposto della strada. Una figura snella aveva appena svoltato l’angolo, il passo trascinato e il volto coperto dal cappuccio di un giaccone scuro. I movimenti rallentati, pregni d’una apatia che difficilmente avrebbe associato al sanguigno Chesterfield, lo convinsero a condurre altrove i suoi occhi chiari. Non era lui. Di nuovo lo sguardo corse alle lancette, ora perfettamente allineate sull’orario da lui stabilito. Un sospiro spezzò l’aria, ed una nuvola di perlacea condensa appannò per un istante il quadrante. Era stato troppo fiducioso nel confidare che un gufo grigio avrebbe raggiunto per tempo una persona dall’ubicazione sconosciuta. Dopotutto, di Mason conosceva pressochè nulla. Associava la sua persona unicamente a quella dell’amica, dimenticando che una vita è fatta anche d’altro.
    Fece per riassestarsi il cappuccio sul capo quando comprese che il personaggio aveva puntato dritto verso di lui. Possibile che quel lento avanzare appartenesse all’altro? Lasciò che la luce di un lampione ne bagnasse il volto prima di svelare il proprio volto scavato alla figura, ormai a un paio di metri dalla sua posizione. Incredulo si ritrovò a fissare l’espressione arcigna di un Chesterfield che avrebbe preferito essere ovunque tranne che lì, con lui. «Chesterfield.» abbassò impercettibilmente il capo in un garbato cenno di saluto. Sentimenti contrastanti scalpitavano nel petto, difficili da domare senza svelare all’altro d’esser profondamente turbato. Inalò una boccata d’aria gelida e lasciò che l’ossigeno gli riempisse i polmoni prima di posare gli occhi celesti sul viso del ragazzo. Il lampione poco distante gettava ombre scure sotto gli occhi di Mason, contribuendo a donargli un aspetto logoro che ben si sposava con l’andatura pesante di poc’anzi. Un velo di scortesia ne colorò le parole, che sprezzante rivolse ad Hugo. Se da un lato avrebbe volentieri tergiversato, rimandando la domanda che sgomitava sulla sua lingua per esser pronunciata, dall’altro era conscio che il Chesterfield non avrebbe apprezzato inutili giri di parole. Una convocazione del genere, diverse ore dopo il calar del sole, meritava prima di tutto una spiegazione.
    «Non ti avrei mai scritto se non fosse per un motivo valido.» Una precisazione doverosa, che sputò come un’amara medicina in faccia all’altro, mantenendo a fatica un’aristocratica pacatezza nel tono. «Helena manca al castello da un mese.» Sentenziò, lo sguardo che rapido si staccò dalle iridi del Chesterfield per perlustrare inquieto il terreno ai suoi piedi. Era certo di palesare un’ovvietà, il che, forse, rendeva quel discorso ancor più ostico. Ad ogni parola pronunciata sentiva il suo orgoglio schiacciarsi pian piano, assottigliato sotto il peso della consapevolezza di essere completamente indifferente alla Haugen. Tanto indifferente da non meritare alcuna spiegazione, e costringerlo a trovarsi lì, in una gelida sera di gennaio, a confrontarsi con l’ultima persona sulla faccia della terra a cui avrebbe chiesto informazioni su Helena. «Sto cominciando a preoccuparmi.» Non aggiunse altro, ma si limitò a mordersi nervosamente l’interno del labbro, evitando accuratamente di incrociare lo sguardo del ragazzo.
     
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    La faida aperta tra i due non pare essersi spenta. Persino nel pieno della necessità chiaramente avanzata dal francese non si esaurisce la miccia del dissapore covato nei confronti dell'altro. La rigidità dei loro volti incappucciati parla chiaro. Il modo in cui si tengono a distanza, pur condividendo quel pezzetto di tempo e di spazio racchiuso nell'esigenza, racconta un rapporto tutt'altro che amichevole. La collaborazione agli ultimi rintocchi di una notte sgravata al cimitero si è disintegrata consequenzialmente nel ritorno alla realtà. Ed ora, ognuno oppresso dai propri pesi sorretti sulle spalle, faticano a trovare un punto d'incontro che assuma i connotati richiesti dalla civiltà. E' infatti una nuova vagonata di disprezzo quella che si infrange contro il viso del Dubois, gli occhi taglienti di Mason ad impazzire in un cortocircuito improvviso nel sentirgli pronunciare il nome di Helena. Lasciare che l'associazione dei loro contorni accostati picchietti nuovamente sulla sua pazienza, rende scontata la reazione che segue le sue incertezze. 'Ah perché, sono improvvisamente diventato meritevole di sapere dove sia?' Mason non è mai stato un tipo particolarmente rancoroso. Non ha mai avuto tempo perché il seme del male piantasse profonde radici nel suo orgoglio, sin troppo abituato a risolverle sul posto e con immediatezza tutte le questioni in grado di pizzicare i suoi nervi. Helena però è una faccenda a parte. Tutto ciò che la riguarda resta avvolto in una perenne irrequietezza, braccata nella costante paura di perderla a causa di qualcun altro ed, in primis, di se stesso. Sarebbe più facile se riuscisse a staccarsi da quelle parti peggiori che lei ha tanto bramato svanissero, soffiate dalla brezza dell'amore di cui gli ha fatto dono. Il cliché di un lupo che perde il pelo e mai il vizio gli si è però cucito all'anima sino a diventarne una parte inestinguibile. Quella la consapevolezza che alimenta i suoi timori. Ed essi, di conseguenza, reagiscono con l'acido di cui adesso Hugo è vittima. 'Arrivi tardi comunque. Sta bene, adesso.' Lascia quindi quella considerazione quasi ricalcandone una colpevolezza irrazionale. Non è certo colpa di nessuno dei due ragazzi ciò che le è capitato, eppure affranto dal dolore di non aver reagito per tempo, non può fare a meno di includere l'altro nei propri contorti sfoghi. Helena sta bene, adesso. Ma non grazie ad Hugo, né a se stesso. Si è salvata da sola, ma anche quella speranza di resurrezione ha celato in sé i misfatti di un dramma acerbo cui soccombere. In fondo quel genere di cosa l'hanno già vissuta. Più sommessa, giusto un pizzico meno meschina e longeva, ma dal ricalco permanente, seppur sbiadito, nelle coscienze di entrambi. Ecco perché fa anche più male. Un errore è accettabile, ma lasciare che si ripeta è da stupidi. Da deboli insignificanti. Le dita infreddolite si tuffano nelle tasche a ricercare la propria consueta fonte di sfogo. Il cilindro bianco di una sigaretta riposta tra le labbra va bruciandosi sotto l'incanto della bacchetta, riposta l'attimo dopo per chiarire la propria posizione. Non ha voglia di duellare con l'altro. E se anche uno scontro fosse destinato a scoppiare, l'arma migliore del Chesterfield resta sempre la fisicità di cui fa costantemente vanto. 'Dovresti leggerti un quotidiano. I giornalisti stanno banchettando con la notizia della sua prigionia a casa del fidanzato.' Sbuffa una nuvola di rancore e nervosismo, più nel ripensare al Volhard che a soffermarsi sull'insistente presenza di Hugo. A quel punto, un ultimo quesito sorge spontaneo dalle sue labbra. 'Non ne sapevi nulla?' E' certo che la voce sul presunto matrimonio della Haugen si sia sparsa a macchia d'olio, raggiungendo le più disparate mete. La domanda che mentalmente il ragazzo si pone è piuttosto quanto il Dubois sappia di quella merda.


     
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    Mettere da parte l’orgoglio non era affatto semplice, ma la circostanza richiedeva a Hugo di allontanarsi da quell’ideale di umano inscalfibile che aveva in mente per sé stesso. Vestire, per un istante, i panni di chi manifesta una viva preoccupazione senza vergognarsene era diventato un bisogno quasi impellente. Mesi di repressione del dolore avevano condotto il Dubois verso uno stato catatonico, e lui stesso faticava a riconoscersi nell’immagine sbiadita che lo specchio ogni mattina gli restituiva. L’angoscia bruciante per le sorti di Helena, però, aveva in qualche modo vinto le resistenze del suo animo indurito dalla sofferenza, spingendolo a compiere un’azione che avrebbe altrimenti evitato, anche con una certa arroganza.
    Chiedere aiuto al Chesterfield poteva significare l’aver messo un punto al suo menefreghismo cronico, facendo tornare a scorrere vita in quelle vene inaridite, così come poteva, al contrario, segnare la disfatta più totale. Mostrarsi premuroso nei confronti della Haugen, e dunque vulnerabile, sarebbe stato nient’altro che un’arma nelle mani del Chesterfield, capace un domani di ferirlo.
    Non era così che aveva immaginato il suo riemergere dalla condizione di fantasma in cui si era adagiato per mesi. Non era così che si aspettava il suo ritorno ad una psuedo normalità, ritto davanti ai cancelli di un cimitero ad ascoltare i toni sprezzanti di un rabbioso Mason.
    Avrebbe dovuto accettarlo, però. La vita non va mai come speriamo, e Hugo aveva da tempo imparato a convivere con questa consapevolezza.
    «Non è facile per me essere qui.»
    Ammise, abbassando lo sguardo all’asfalto grigio ove lasciò gli occhi celesti per un’innumerevole manciata di istanti.
    «E se non lo sai tu, non saprei davvero chi altri potrebbe conoscere dove si trovi.»
    Sentenziò, sollevando bruscamente il mento, ma evitando il contatto visivo con l’altro. Non era pronto a leggere nei suoi occhi qualcosa di cui non sarebbe andato fiero. Compassione, forse. O un amaro sorriso di vittoria, figlio della consapevolezza che il Dubois non fosse degno nemmeno di un gufo di avviso.
    Era già abbastanza difficile così, senza che il compiacimento del Chesterfield aggravasse la penosa condizione in cui il Serpeverde versava, minando ulteriormente la sua già vacillante sicurezza, quella stessa di cui un tempo andava così fiero.
    Le parole di Mason, per giunta, gli confermarono che i suoi sospetti erano fondati: aveva notizie di Helena, sebbene non rassicuranti. Sottolineare che adesso la ragazza non fosse in pericolo seminò il dubbio che prima la situazione fosse diversa. Il cuore di Hugo saltò un battito.
    'Dovresti leggerti un quotidiano. I giornalisti stanno banchettando con la notizia della sua prigionia a casa del fidanzato.'
    Helena aveva un fidanzato? Hugo aveva ingenuamente creduto che l’affetto che la legasse al Chesterfield fosse traducibile in una sorta di storia d’amore, tanto da non aver mai sospettato dell’esistenza di un terzo giocatore. Il fatto che la notizia fosse comparsa su tutti i giornali, inoltre, non contribuì a spianare le perplessità.
    Isolarsi dal resto del mondo, cibandosi di droga piuttosto che di notizie l’aveva reso inevitabilmente ignorante, condizione che non poteva essere più lontana dalla naturale propensione di Hugo alla conoscenza. In un altro tempo avrebbe divorato almeno un quotidiano al giorno, avido di notizie, e quella sulla presunta prigionia di Helena non gli sarebbe di certo sfuggita.
    Pallido in volto, cercò con insistenza gli occhi di Mason, un senso di impotenza ad irrigidirne i lineamenti.
    «Io..no, non ne sapevo nulla.»
    Una seconda ammissione, questa volta sussurrata con voce tremante. Il senso di colpa s’affacciò prepotente, schiaffeggiandolo con irruenza mentre cercava conforto nell’espressione criptica del Chesterfield. Dentro di sé una lotta silenziosa impazzava furibonda, vedendolo da un lato, vittima di una circostanza sfortunata, a chiedere all’altro di fornirgli qualche indizio in più; dall’altro, invece, l’orgoglio feroce gli imponeva di tacere, richiudersi in quell’alone mistico di sofferenza e fuggire lontano.
    «Se dici che ora sta bene, come mai non torna al castello? Hogwarts è il luogo più sicuro al mondo, probabilmente.»
    Optò per una via di mezzo. Le gambe non si mossero di un millimetro, ma non chiede ulteriori informazioni sulle vicende di Helena, intimando a sé stesso di acquistare una copia della Gazzetta del Profeta l’indomani.
     
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    0uUpayf
    Si fronteggiano come bestie feroci gli orgogli dei due ragazzi. Sebbene entrambi emotivamente coinvolti in quella faccenda - chi più, chi meno - continuano a limitare i propri interventi, a soffocare il desiderio di lasciarsi andare alle proprie considerazioni, a chiedere di più, a rimuginare sul senso di colpa che per un verso o per un altro stanno patendo quasi all'unisono. Per il Chesterfield risulta tuttavia difficile comprendere le motivazioni del Dubois e buona parte di quel limite è dettato dalla voglia nulla di soffermarsi sul suo stato d'animo. Non l'ha mai realmente vestito come un rivale; ha però temuto quelle parti umane probabilmente più inclini all'esposizione delle proprie. Perlomeno con Helena. Ed incapace di lasciarle evidenti scorci del proprio malessere in più occasioni, gli è impossibile non inciampare nella convinzione persino Hugo sia una persona migliore per la ragazza. Ecco cosa lo frena. Ecco cosa veste di rigida supponenza la sua espressione, la postura quasi fiera, sebbene di soddisfacente non ci sia nulla nel modo sommesso con cui il ragazzo gli si rivolge. Un tempo si sarebbe cibato di quell'insicurezza per elevarsi al di sopra dell'altro. Adesso, reduce della morbidezza di cui proprio Helena gli ha fatto scoprire le fattezze, prova solo un senso d'inadeguatezza anche maggiore. Abbastanza da infervorarlo negli istanti successivi, nonostante l'implicita promessa di contenere i propri aspetti più pungenti. Così, a seguito della domanda genuina e forse particolarmente ingenua di un Dubois totalmente estraneo ai fatti, la risposta repentina di Mason è quella di sbottare. 'Porca puttana, secondo te? Mi ascolti?' Caccia via dalla bocca acidità ed un'ingente quantità di fumo, sapore di nicotina e condensa che sferza l'aria gelida di febbraio. Hugo è solo il pretesto per sfogare qualcosa di più grande. Il capro espiatorio che lo costringe a rimuginare su eventi che ledono il proprio autocontrollo. 'Il suddetto fidanzato l'ha rapita. L'ha tenuta in ostaggio per un mese e conoscendo il tipo avrà abusato di lei nei modi più inimmaginabili, cazzo.' I pugni stretti chiariscono il suo malessere. L'espressione rigida ed infiammata di rancore prendono il posto dell'apatia con cui si è protetto fino ad ora. Ed un calcio incontenibile sferrato contro la ringhiera del cimitero rilascia parte dell'odio covato nei riguardi di quella faccenda. Del Volhard, che ha affrontato senza ottenerne alcun risultato positivo. Sospira pesantemente, dando le spalle all'altro per racimolare la calma necessaria per mandare avanti quella che sperava potesse limitarsi ad una conversazione pacifica. Ogni buon proposito è però ormai probabilmente andato a farsi fottere, sospinto altrove dalla mancanza del silenzio necessario. Un palliativo all'impotenza provata che non ha mai sortito l'effetto sperato. Così, dopo diversi sbuffi d'incontenibile amarezza, si volta di nuovo verso il proprio interlocutore. Il tono appena più basso non lascia comunque trasparire la calma indifferenza avanzata sino ad ora. Il coinvolgimento del Chesterfield si palesa sotto gli occhi spaesati del Dubois. E' la consapevolezza di starsi esponendo troppo a mantenerlo saldamente ancorato all'inflessibilità di cui fa sfoggio. 'Senti, so meno di quanto tu credi, ok? E questa storia mi sta già facendo impazzire abbastanza senza che tu mi costringa a pensarci, Cristo.' Le poche informazioni ottenute a riguardo, non aver ancora avuto la possibilità di incontrarla, di constatare coi suoi occhi in che condizioni sia, lo annientano. E' in una posizione pessima e nessuno pare preoccuparsene - perché dovrebbero? Da solo, si fa strada in quel percorso di consapevolezza ed accettazione. E solo il buio ed il silenzio gli sono di conforto in tal senso. Solo nell'ombra può fingere che nulla sia accaduto, sino a quando non poserà gli occhi sugli effetti delle proprie mancanze. 'Devono visitarla, raccogliere testimonianze, indagare e spremere da lei fino all'ultima prova che possono ottenere. Ti è più chiaro così?' Dettagli, quelli, che non troverà schiaffati tra le righe degli articoli impressi su vuote e meschine pagine di giornale. Qualcosa a cui si può arrivare, ma su cui i tabloid non si esprimono: le conseguenze psicologiche da cui la vittima del prezioso articolo su cui lucrare verrà irrimediabilmente divorata. 'Non so quando tornerà al castello. Non so neanche se ci tornerà o se riuscirà ad uscire di casa senza avere paura del mondo intero.' Decide a quel punto di spostare l'attenzione altrove. Gli ha dato alcune informazioni, più di quanto avrebbe voluto. Niente che entri in dettagli che la Haugen non esprimerebbe, perché di quelli anche lui non conosce nulla. A premere sulle sue preoccupazioni, adesso, è tutt'altro. Qualcosa che ha covato per mesi e che in questo momento ha l'occasione di sbattere in faccia al Dubois ed alla sua dannata ambiguità da due soldi. 'Ma chiariamo una cosa, pezzo di merda. Se continui a ronzarle intorno con quell'aria da miserabile cagnolino in calore, ti cambio dal primo all'ultimo connotato.' Una prova di gelosa possessione che non riesce a tenersi dentro, avvicinandosi pericolosamente a lui, fronte contro fronte, ad una spanna dal suo viso.


     
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