my best ex girlfriend

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    La routine degli Hollingsworth, la mia, è scandita da precisi step da rispettare. La sveglia suona prima che il sole sia sorto del tutto. Mi alleno per un'ora o due, lavo via il sudore e ripeto la lezione del giorno così da essere preparato ed anticipare nozioni che i professori dovrebbero darci nell'arco della giornata. Prima che le lezioni comincino, raggiungo poi la caffetteria del Campus per recuperare un caffè nero con cui fare colazione. Solitamente procedo con una sniffata veloce sul dorso della mano, prima di seguire le prime lezioni della giornata.
    Una volta messo piede fuori dalla caffetteria però, il mio sguardo ricade su una figura a me conosciuta. Il suo profilo risveglia nella mia mente ricordi apparentemente assopiti. Immagino dovrei evitare di avvicinarmi al mio passato, fingendo noncuranza. Andando avanti. Non riesco a farlo.
    Non sono un tipo sentimentale, la mia famiglia non mi ha mai permesso di esserlo, ma la mancanza d'amici, persone reali con cui parlare e non soltanto immagini vuote di cui circondarsi, comincia a farsi sentire. Drayton è una variabile troppo complessa da prendere in considerazione e la Mikkelsen ha preferito il buonismo e l'ipocrisia alla realtà dei fatti. Non mi stupisco. Persone come lei necessitano di persone deboli di cui circondarsi per alitare sul suo ego e il Dubois è la vittima perfetta. La Goodwin appare come un miraggio in un contesto di desolazione.
    Ho avuto tante storie in passato, quasi tutte poco serie. Freya però era una ragazza diversa dalle altre. Era vera. L'ho tradita con la mia debolezza. Quando sembravamo funzionare, ho tirato giù veleno fino all'overdose. Ho accusato Drayton di avermi voltato le spalle, ma io ho fatto lo stesso con lei. Ed è forse anche questo il motivo per cui, dopo aver recuperato una nuova bevanda calda, mi decido ad avvicinarmi a lei. Conosco il mondo in ogni suo losco dettaglio, ma dei meccanismi alla base dei rapporti sociali, so poco. “Non l'ho corretto, giuro.” Le porco la bevanda, indirizzando un sorriso verso di lei. Non so come prenderà la mia presenza. Non ci siamo odiati dopo la nostra rottura, ma lentamente il rapporto si è affievolito fino a sparire.
    “Ti ho visto qui tutta sola e mi sono detto perchè non raggiungere la ragazza più bella di tutta l'Accademia?” Ammiccò, sedendomi accanto a lei sulla panchina sulla quale è seduta. “Non mi odi, ancora, vero? In caso sappi che il caffè serve per fare pace.”



     
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    Era un periodo difficile, strano, confuso. Faticava a socializzare perché era sempre nervosa e arrabbiata, emozioni negative che sostituiva alla tristezza che si teneva dentro. I sorrisi sul suo viso erano ormai una rarità o, se mostrati, risultavano appena percettibili, perché dopotutto come poteva sorridere se ogni mattina si alzava con quel peso sul petto che non l'abbandonava per il resto della giornata? Ecco perché la sera si era ridotta ad andare così spesso nei locali, rifugiandosi nell'alcol e dimenticando per qualche ora tutti i suoi problemi, tutte quelle ansie che la divoravano e le impedivano anche di concentrarsi sugli studi accademici. Quelli erano gli unici momenti in cui si sentiva libera, ma questo non significa che la aiutassero davvero visto che il suo andamento nello studio peggiorava solo. Il post-sbornia aggiunto alle sue ansie non era esattamente la miglior cosa, eppure non riusciva comunque a rinunciarvi. In più, non sapeva mai come sarebbero potute finire le sue serate, e un esempio ne era proprio l'avventura con Riley, che ora aveva solo portato più confusione nella sua vita. Da quando tre mattine prima si era risvegliata nel proprio letto insieme a lei, non aveva fatto altro che evitarla, cosa che per fortuna non era tanto difficile quando rimaneva semplicemente nella torre del suo corso. E per la cronaca, non era quello il caso, visto che in quel momento si trovava seduta su una panchina alla mercé di tutti, impegnata a poggiare i gomiti sulle sue stesse gambe e a nascondersi il viso tra le mani dopo aver praticamente piegato disastrosamente in borsa alcune pergamene che, poco prima, una compagna di corso le aveva prestato. Il suo sguardo si rialzò solo nell'avvicinarsi di qualcuno e nell'offerta di una bevanda calda piuttosto invitante, anche se la sua espressione, in un primo momento, non risultò positiva nel constatare chi glie la stesse porgendo. Sospirò nel ricomporsi sulla panchina dove, nello stesso momento, il suo ex si sedette. "Cos'è, le altre più belle ragazze dell'accademia a cui l'hai offerta prima di me l'hanno rifiutata?" C'erano sentimenti contrastanti nei suoi confronti; lei non aveva avuto molte relazioni, ed era anche abbastanza certa di non essere mai stata innamorata, ma per Harvey aveva sicuramente provato qualcosa di vero, reale, che sarebbe potuto crescere anche di più se solo lui non avesse rovinato tutto. La cosa peggiore era che aveva cercato di superare le sue paure e lanciarsi in quella storia sperando davvero che sarebbe stato diverso. Ma le sue paura, alla fine, si erano di nuovo ancora una volta fondate, provocando nella sua vita un ennesimo spavento - perché un overdose non era di certo cosa da niente - e l'ennesimo abbandono che l'aveva ferita. Aveva aperto il cuore a qualcuno ed era stato poi spezzato. Aveva abbassato il muro attorno a lei solo per poi finire ad innalzarlo ancora di più. Ma nonostante questo.. "Non ti ho mai davvero odiato, Harvey." Ammise, un po' a volersi liberare di quella verità tenuta per sé ormai da anni. E la realtà era che spesso sembrava odiare l'intero universo, quando più che odio provava solo immensa delusione. C'era questa mancanza di fiducia nelle persone causata dal suo stesso vissuto che ora le rendeva difficile lasciarle entrare, se non impossibile. Ma questo non significa che non avrebbe più permesso a qualcuno di avvicinarsi a lei; lo avrebbe fatto, ma ci sarebbe stata comunque sempre quella solida e trasparente barriera che non avrebbe permesso a nessuno di raggiungerla davvero. "Ma potrei averti lanciato qualche maledizione i primi tempi in cui ti ho rivisto qui in Accademia, questo si." Un lievissimo sorrisetto, il primo da giorni, si poté intravedere sulle sue labbra in seguito a quell'affermazione. Non stava bene ed era stanca, davvero stanca, ma aveva anche bisogno di un fottuto momento di tranquillità - da sobria, una volta tanto -, e di non ritrovarsi a litigare con chiunque per cazzate di ogni tipo. Ecco perché alla fine non rinunciò a quella bevanda ancora fumante, accettando quel segno di pace forse più come una resa che altro. Una sorta di pausa alla sua rabbia perenne, una pausa che non sapeva quanto sarebbe riuscita a far durare e di cui Harvey avrebbe fatto bene ad approfittare. "Grazie." Disse. "Allora.. Come stai?" Una domanda sincera e non basata sulla solita meccanicità delle comuni conversazioni, dove le persone chiedevano agli altri come stessero solo per pura formalità e senza reale volontà di conoscere la risposta. Una domanda che porgeva, ma a cui poi non piaceva rispondere se veniva ricambiata, il che spesso la portava a pentirsi di averla effettivamente fatta.

     
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    Metto su un'espressione quasi offesa, portando una mano al petto. “Mi credi così vile?” Scuoto il capo, esordendo poi in una risata. Non me la sono presa. In effetti merito la sua diffidenza visto quella a cui l'ho costretta. Ho avuto tante storie nel corso della mia esistenza, molte delle quali poche serie. Con Freya sarebbe potuta finire come con tutte le altre ma è capitata in un momento particolare della mia esistenza, una parentesi in cui trattenere la mia emotività dietro lo schermo freddo del comportamento apatico che mi è stato imposto mi veniva impossibile. Sono scoppiato, lasciandomi scoprire in parte nelle mie debolezza. L'overdose a cui è stata testimone, in qualche modo ha rotto entrambi, e ha messo fine al nostro rapporto. La possibilità che lei conoscesse di me più di quanto io stesso fossi stato pronto a tollerare, mi ha spinto a porre le distanze. Decisamente un pessimo modo di mostrarsi riconoscente. “Ah ecco. Questo spiega un bel po' di cose. E pensare che io credevo fosse solo sfiga.” La punzecchio nel tentativo di alleggerire la nostra conversazione. Lascio che afferri la bevanda che le porgo, prendendomi qualche attimo prima di rispondere alla sua domanda. “Come mi vedi?” Mi indico, mettendomi comodo accanto a lei. “Non sono più andato in overdose, se te lo chiedi. Ho smesso con quella roba. Ora sono pulito.” Bugia. Immagino avrei potuto evitarmela, o forse no. Andare in giro di essere drogato, non rende più facile l'atto della socializzazione. Immagino non potrebbe farlo visto i nostri trascorsi.
    Piego il capo, guardandola. “E tu? Mi hai sostituito con qualcuno?” Condisco il mio quesito con una risata. La mia non è soltanto voglia di soddisfare un pettegolezzo. Per quanto impossibile sia da capire da taluni, persino io riesco a provare affetto verso il prossimo. Di sicuro verso chi ne ha mostrato nei miei riguardi. “Okay, scusami, questi non sono affari miei. Ed in realtà non mi sono avvinato per questo.” Alzo le mani in segno di resa, cercando di toglierla dall'imbarazzo di un momento scomodo. Parlare al proprio ex di determinate cose, non deve essere facile. “E' che ti ho vista qui e ho pensato che avrei potuto finalmente dirti che a volte mi manchi e che mi dispiace.”


     
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    Erano state tante le persone che nel tempo l'avevano ferita e questo l'aveva portata a covare fin troppo rancore dentro di sé. Ma per quanto Harvey potesse far parte di quelle persone e si fosse meritato il suo rancore, l'astio e il fatto che avesse sempre cercato di evitarlo in accademia, in qualche modo Freya credeva anche possibile mettere via tali sentimenti negativi per fare spazio a qualcosa di positivo. Il perdono. Aveva bisogno di alleggerire il suo cuore. "Oh ma lo era, le mie maledizioni hanno solo potenziato la tua sfiga." Tra una battuta e l'altra l'atmosfera tra loro divenne più leggera e fu così più facile per lei interessarsi sullo stato del ragazzo che, oltretutto, comprese da solo dove Freya volesse arrivare. "Era quello che speravo di sentire." Rispose in seguito alle parole di Harvey, nonostante i dubbi che aveva sulla veridicità di quella risposta. Purtroppo aveva una forte mancanza di fiducia nel prossimo e il fatto che negli anni più persone, tra cui suo fratello che sarebbe dovuto essere il più sincero di tutti, non avevano fatto altro che rifilarle bugie, non era in grado di avere la certezza che quella fosse la verità. Non gli avrebbe comunque palesato quei dubbi, in fondo non era nessuno per farlo, non più almeno, e sperava semplicemente che, per il suo bene, fosse realmente pulito. Stava bevendo un sorso della calda bevanda quando il ragazzo le fece poi una domanda che portò Freya ad alzare un sopracciglio e guardarlo di sottecchi, fulminandolo. "Scherzi? Sostituire te? Impossibile." Scelse di rispondere con ironia, un modo anche per fargli intuire che una risposta seria a quella domanda non sarebbe arrivata. Per prima cosa, quello era un argomento per lei difficile da affrontare dato che no, non aveva effettivamente avuto più alcuna una relazione dopo di lui, ma solo brevi uscite o avventure di una notte con ragazzi estranei nella sua vita, e ora persino con una ragazza che l'aveva portata ad essere fottutamente confusa e a dubitare di conoscere davvero se stessa. Seconda cosa, non avrebbe di certo parlato di tutto questo con il suo ex! Imbarazzante starebbe stato dir poco. Harvey alzò poi le mani in segno di resa, ammettendo che non era quello il motivo per cui si era avvicinato a lei. "Illuminami allora." E attimi dopo, arrivarono le sue scuse. Quel "a volte mi manchi" l'aveva sorpresa quasi più del "mi dispiace", e nonostante non avrebbe ricambiato quelle parole, non poteva negare che riparlarci ora riportava a galla giorni che, nonostante avessero fatto parte di un periodo poco piacevole, lui era comunque riuscito a rendere migliori. E si era sentita apprezzata, come persona e fisicamente, più di quanto avesse mai fatto da sola. Nonostante Harvey avesse poi rovinato tutto, Freya non aveva mai dimenticato tutto il prima e, alla fine, era innegabile che gli mancassero sia quei giorni che lui. Ammetterlo direttamente al diretto interessato sarebbe stato però troppo difficile, ma mentre abbassava gli occhi sulla propria tazza, era pronta ad accettare quelle scuse. "Sai, il tuo non è l'unico mi dispiace che ho ricevuto ultimamente, inizio a farci l'abitudine. Ma.. è forse l'unico mi dispiace a cui riesco a credere." Ammise, per poi piegare leggermente lo sguardo verso di lui, al suo fianco. "E dato che la mia lista nera sta diventando parecchio lunga, magari cancellarvi un nome non è poi una così brutta idea." Disse, per poi aggiungere scherzosamente - o quasi: "Un omicidio in meno a cui pensare." Disse nascondendo un ghigno divertito mentre tornava a bere un altro sorso della bevanda. Dopo tanto tempo, eccolo di nuovo capace di distrarla dall'oscurità da cui la sua vita era circondata. La pace e tranquillità che aveva cercato di trovare all'inizio di quella conversazione ora non richiedeva più lo sforzo di prima. "Allora, come vanno gli studi? Psicomedimagia, no?" Gli chiese, prima di alzare un dito e chiarire una cosa. "Non ti ho stalkerato, che sia chiaro. Mi è capitato di.. vederti uscire dalla torre di quella facoltà." In realtà no, si era informata. In fondo non è che evitare la sua persona equivalesse a evitare anche ogni cosa che lo riguardasse. Un po' di curiosità e interesse al tempo del suo approdo in accademia erano stati inevitabili.

     
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    “Vedi? Una colazione proficua dopotutto.” Rispondo con un ampio sorriso. Un gesto solitamente involontario messo su per annichilire le mie prede. Ora involontario perchè spontaneamente felice di aver trovato una sorta di connessione con chi credevo aver perso per sempre. Da me non ci si aspetterebbe un legame, di nessun tipo. Non ho mai avuto lunghe amicizie, né storie durature. Eppure solo un cieco crederebbe che un essere umano, di qualsiasi tipo, sia incapace di costruire un legame con qualcuno al mondo. Mostrarlo è difficile, nel mio caso a volte impossibile, ma anche io ho legami a cui tengo. Persone a cui sono legato anche se loro non lo sono più a me. Triste forse. Immagino lo sia in definitiva. È il destino di un Hollingsworth. Tenere per sé tutto ciò che è pateticamente umano. Gli affari dopotutto, non hanno sentimenti.
    “Oh certo. Il campus è così piccolo.” Ghigno a mezza bocca divertito dalla sua ammissione di colpa. Non mi turba essere stato spiato da lei. Mi illumina sulla possibilità che persino lei abbia mantenuto una porta aperta nei miei riguardi. È un sollievo.
    “Sono discretamente bravo.” Le confido poco dopo, annuendo. La modestia non mi è mai appartenuta. “Ci offrono psicoterapia gratuita ogni giorno. E lasciarsi frugare nella testa da sconosciuti è uno spasso.” Aggiungo poco dopo con un filo di ironia, annuendo a lei. “Ma, posso fare lo stesso.” Concludo ancor più divertito, ammiccando come a sottintendere quanto divertente sia poter conoscere gli altri senza che gli altri possano conoscere te. Lo è. È potente. Immagino sia questo il motivo per cui mia madre abbia voluto spingermi a questa professione. Quanto utile può essere uno strizzacervelli in affari loschi come i loro? Entrare nella mente dei prigionieri e renderli mansueti, rende il lavoro più facile e privo di intoppi. “Hai bisogno di un terapeuta? Magari non sono la persona più adatta, ma ho molte conoscenze.” Di ogni tipo aggiungerei. “Se però hai bisogno di un amico, in quello posso aiutarti.” E questo è solo il mio tentativo di aprire le porte del nostro passato legame, per cercare ancora una connessione. Un filo a cui aggrapparsi. “Insomma, se hai da uccidere qualcuno, chiama me.” Scherzo infine. E forse nemmeno tanto.

     
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