moral decay

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    Staccare dal mondo. A volte ne ho bisogno. Forse fin troppe. È così che ho giustificato la mia assenza nei confronti della vita. Ho messo di nuovo in pausa quel che mi accadeva per potermi rifugiare in gesti estremi. Mi sembra di non riuscire più a vivere senza far ricorso a palliativi dai gusti nocivi. È il dolore che mi fa sentire vivo? Non saprei dirlo di preciso. Cerco continuamente qualcosa che mi faccia sentire. Sentire di più, sentire di meno. Qualcosa che tiri fuori il mio lato migliore e metta a dormire l'angoscia che non mi lascia respiro. Non è l'alcol che mi aiuta. Non solo. Sono le pillole colorate che mando giù senza guardare. Le bottiglie svuotate sul pavimento e i vestiti persi con sconosciuti, in posti degradanti come il contesto in cui mi perdo.
    Quando vengo fuori dalla casupola in decadenza in cui mi ero rifugiato con il miglior offerente, sto ancora allacciando i pantaloni. Non mi preoccupo di quel che mi circonda. Solitamente è il buio e la confusione a farmi compagnia. Quando però mi ritrovo una chioma rossa dinanzi, il mio passo si blocca. “Daphne.” Il mio sguardo vacuo incontra il suo. Mi guardo attorno, chiedendomi d'improvviso dov'è che io sia, e soprattutto perchè lei è qui. Massaggio la nuca, a disagio, provando invano a darmi un contegno. A sembrare più lucido. “Buon... Natale?” Rido persino ma non oso toccarla. C'è un momento post sesso in cui mi sento sporco. Forse lo sono sempre. Contagiarla con il mio degrado, mi sembrerebbe essere il regalo peggiore in un periodo così. Passo le mani sul volto provando a darmi una svegliata, prima di stringermi in un abbraccio nel tentativo di scaldarmi. “Da quanto sei qui?” Le chiedo, piegando appena il capo nel guardarla. Mi assicuro sia okay e che non sia fisicamente in pericolo. Eppure non è per quello che sembra essere qui. Il suo turbamento sembra interno e sebbene a fatica a causa dell'obnubilamento sensorio in cui vivo, comincia a farsi largo in me un vago senso di preoccupazione. “Stai bene?”

     
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    Aveva faticato a riprendersi dall'incontro con suo padre. Difficile affrontare l'angoscia che quel nuovo confronto le aveva provocato, impossibile prenderne le distanze. Per far fronte alla prima impresa - l'unica per cui valesse la pena fare un tentativo - aveva avuto bisogno di tutto l'aiuto possibile. Era convinta che non sarebbe riuscita ad uscire di casa se non avesse avuto Harumi al suo fianco: il suo isolamento si sarebbe protratto molto più a lungo e ogni aspetto della sua vita ne avrebbe risentito. Sarebbe rimasta indietro con lo studio e avrebbe perso il lavoro, oltre a scavare una voragine di distanza tra sé e le persone che tenevano a lei. Per quanto ormai le apparisse evidente la necessità di licenziarsi, sapeva di non poterlo fare finché non avesse avuto un'altra sicura fonte di reddito che potesse garantire la sua sopravvivenza. Il suo percorso di studi non poteva subire rallentamenti per svariate ragioni e così il tirocinio, allo stesso modo la danese non voleva che il progetto "Theresa" venisse rinviato e sapeva di dover dedicare tutta sé stessa al primo evento che ne avrebbe segnato la nascita a livello ufficiale. Per quanto riguardava le persone che le erano più care, poi, sapeva di aver bisogno di loro ed era ancor più certa che loro avesse bisogno del suo aiuto e della protezione che aveva sempre cercato di offrire, ai limiti dell'imposizione.
    Così si era buttata di nuovo nel mondo, sebbene al momento il suo incedere fosse molto più simile al trascinarsi di un animale stanco e ferito. Tornare a casa di notte le metteva ancora più paura di prima, persino se non era sola e aveva Jerome a farle compagnia: forse perché vedeva nel gemello un riflesso di sé stessa e delle proprie fragilità, non potendo fare a meno di pensare che sarebbero stati entrambi inermi di fronte ad un nuovo attacco da parte di Bachskov. Quella notte si era trattenuta al Fairy Tale più a lungo del solito per discutere questioni organizzative, il che l'aveva poi indotta ad attardarsi ulteriormente per aspettare il fratello che, generalmente, quel giorno della settimana staccava più tardi di lei. Aveva cercato di richiamare la sua attenzione nel vederlo uscire dal locale, ma lui non l'aveva sentita: sembrava assorto, quasi obnubilato e Daphne poteva facilmente immaginarne la ragione, conoscendo le pessime abitudini del ragazzo.
    Ma Jerome non era solo. Daphne aveva riconosciuto uno dei clienti abituali del Fairy Tale che lo affiancava e la voce le era morta in gola quando aveva visto la grossa mano decorata da una fede nuziale posarsi sulla schiena del rosso per sospingerlo all'interno di un edificio: non come se lo forzasse, ma senza dubbio come a mettergli fretta. L'uomo di mezza età sembrava bramoso di intrattenersi con il più giovane oltre il portone che si richiuse davanti alla danese prima che lei potesse impedirlo. Bussò irrequieta e chiamò il nome del fratello, ma nessuno le aprì. Non le restò che attendere a pochi metri dal palazzo, stretta nella giacca pesante ma ugualmente infreddolita: il suo respiro creava nuvolette di vapore e ogni rumore la faceva scattare e guardarsi attorno nervosamente. Trascorse un lasso di tempo che non riuscì a quantificare, immersa nel dissidio tra la paura che sentirsi così sola ed esposta in piena notte le provocava e il doloroso sconcerto che le suscitava il pensiero di ciò che stava accadendo oltre quel portone.
    Buon.. Natale..?
    Fu tutto ciò che riuscì a scandire quando la figura del fratello emerse finalmente dalle tenebre e le si avvicinò. Semplicemente una ripetizione delle parole pronunciate da Jerome, ma con la sfumatura interrogativa dell'incredulità a scandirne il tono. Avevano trascorso la vigilia di Natale insieme, solo pochi giorni prima.. e malgrado il periodo per lei era stato un bel momento, importante come la vigilia del loro Natale precedente, significative entrambe in modo diverso. In qualche modo, la vigilia più recente era anche un anniversario importante per loro: era da un anno che erano fratelli. Che lo erano per davvero.
    Non sto bene.. non sto bene affatto. Come potrei?
    Le sue gambe si mossero all'improvviso e la portarono da lui. Le sue mani scivolarono a frugargli i vestiti, le tasche, nell'improvvisa e febbrile ricerca di una testimonianza di quanto aveva visto e compreso.
    Quanto ti ha pagato? Fammi vedere! gli rivolse uno sguardo carico di paura e rabbia, incapace di fermarsi finché non avesse trovato ciò che cercava con tanta foga Voglio sapere quanto ti fai pagare da questi squallidi viscidi ipocriti..
    Improvvisamente molti dettagli le apparivano più chiari. Non era sua abitudine trascorrere del tempo nella zona del locale aperta al pubblico, quello era il regno dei ballerini e dei barman e Daphne raramente ci metteva piede cercando di evitare il più possibile i contatti con la clientela che tanto disprezzava. Ma quando le capitava di trovarcisi di passaggio notava non di rado qualche cliente sussurrare all'orecchio di Jerome, allungare le mani e manifestare una familiarità che la disgustava profondamente. Aveva sempre considerato il Fairy Tale l'anticamera della prostituzione: forse lei era eccessivamente moralista ma l'età della clientela, le dinamiche in gioco, lo stato sociale ed economico dei ballerini.. rendevano il tutto dannatamente squallido.
    Perché?!
    Una domanda forse superflua ma al contempo necessaria. I suoi occhi azzurri si incontrarono con quelli dell'altro. Di suo fratello. Pensò a sua madre, ad Helena. L'idea che anche il corpo e l'anima di Jerome venissero abusati e trattati come
    oggetti privi di valore le appariva inaccettabile.
     
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    Il suo sguardo mi scaraventa in un mondo incerto. Ho sempre vissuto situazioni al limite ma ritrovarmi a riviverne non mi aiuta ad affrontarle al meglio. Il mondo sembra tremare dinanzi al suo sguardo incredulo, duro, ferito. Vorrei poter essere capace di giustificare le mie scelte, di affrontare lei, e me stesso, a testa alta. La verità è che non ne sono capace. La verità è che dinanzi al peggiore dei miei sbagli ho chiuso gli occhi e sono andato avanti. Ho vissuto in uno sogno dai contorni osceni e mi sono abituato ad ogni degrado, convinto di non poter sperare in nulla di meglio. Di non meritare niente di meglio.
    E dinanzi a lei, per la prima volta da quando mi sono ficcato in questa situazione, mi sento nudo. Provo a coprirmi con il giaccone, ma il freddo che sento mi penetra l'anima. “Daphne.” Provo a richiamare la sua attenzione, a pensare ad una giustificazione che possa attenuare l'imbarazzo del momento. Cerco insomma una scusa dietro la quale nascondermi ma mi sembra impossibile. Lo è frenarla. Le sue mani si ficcano nelle mie tasche alla ricerca di prove che non vorrei vedesse.
    “Aspetta. Cosa...” Provo a frenarla ma è impossibile. Quando le sue mani stringono i soldi e le pillole nella mia tasca, è il panico che mi assale. “No.” Quando i miei peccati sono tra le sue mani, è come se per la prima volta mi ritrovassi a fare i conti con gli innumerevoli errori di questo ultimo anno. Il mio sguardo puntato contro il suo è umido. Ferito e colpevole. Vorrei poter dirle qualcosa ma quel che riesco a fare dinanzi alla sua domanda è boccheggiare.
    “Io...” Distolgo lo sguardo, passando una mano sul volto. Provo a respirare, a darmi un contegno ma sembra non servire a molto. Ho vissuto credendo a nessuno importasse di quel che facevo. Mi sono crogiolato su questa idea, per giustificare ogni mia nefandezza. Ora mi sento come il peggiore dei criminali. Come se avessi tradito la sua fiducia, o almeno, l'immagine che avevo di me. Quella che io avevo di me stesso. “E' solo lavoro. Uno come un altro. Non c'è nulla di male. Nessuno mi costringe.” La mia voce si assottiglia mentre mento dinanzi alle sue parole. Mi aggrappo alla possibilità di convincerla del falso, di salvare quel che potrebbe essere perduto. Forse è tutto inutile a questo punto. “Non guardarmi così.”


     
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    Non era fiera di ciò che aveva deciso di fare, guidata dall'urgenza di trovare una conferma a quello che, più che un dubbio, si poteva considerare una raggelante certezza. Per un istante, mentre frugava con foga tra i vestiti di suo fratello, alla ricerca di tasche da svuotare senza permesso, senza alcuna discrezione, si era vista da fuori e la parte più lucida di sé era stata propensa a condannarsi. Anche se non per fargli del male, aveva praticamente assalito suo fratello e lo stava forzando ad esporre ciò che lui cercava di nascondere: la vergogna era evidente negli occhi del gemello. Non era il modo migliore di affrontare una persona in quello stato, una persona che amava per di più, eppure la disperazione l'aveva ormai spinta ad un limite estremo. Tutto, nella sua vita, sembrava essere sfuggito al suo controllo: quel controllo che per anni aveva creduto di poter mantenere sugli eventi, le situazioni.. le persone.
    Quando le sue mani - non più intorpidite dal freddo ma formicolanti per la frenesia con cui si erano mosse - si dischiusero sotto il suo sguardo mostrando ciò che avevano recuperato, Daphne non provò niente di vagamente simile alla trionfante soddisfazione che solitamente accompagnava la consapevolezza di avere ragione. Fissò i soldi e le pasticche con desolazione, improvvisamente senza parole. Fu la debole e penosa replica del Morrow a restituirle la voce.
    Oddio.. Jer, smettila! sbraitò infuriata, gli occhi ricolmi di una rabbia esasperata e stanca Non prendermi in giro! Continui a farlo persino di fronte all'evidenza?!
    Gettò a terra ciò che aveva recuperato dalle tasche del gemello e strinse di nuovo le dita diafane contro la stoffa dei vestiti dell'altro, questa volta per scuoterlo e obbligarlo a ricambiare il suo sguardo. Gli occhi di Jerome parlavano molto più di lui, in quel momento: erano infinitamente più sinceri. Non vi erano filtri o abbellimenti che il ragazzo potesse avvolgere attorno alla verità che raccontava il suo sguardo, né vie di fuga alla connessione in cui quel contatto visivo lo costringeva.
    Se solo tu potessi guardarti allo specchio ora.. scosse la testa, una smorfia amara ad arricciarle le labbra Ti renderesti conto di come faccio a sapere che per te non è un lavoro come un altro.
    C'era così tanta colpa e vergogna negli occhi di suo fratello. Così tanta da provocarle una fitta al cuore. Come se fosse lui, poi, a dover provare vergogna e a sentire il peso di quanto disgustoso fosse l'abuso che quegli uomini facevano del suo corpo, seppure con il suo consenso. Daphne cercava di non confondere la violenza con ciò che subiva Jerome, ci provava in tutti i modi ma l'età dell'uomo che si era portato il Morrow oltre il portone di quel palazzo fatiscente, gli sguardi che lui e altri uomini rivolgevano a suo fratello ogni sera, il modo in cui i loro occhi sembravano non vedere mai oltre il corpo di tutti i ballerini del Fairy Tale.. tutto questo le appariva tanto squallido da confonderla. Le connessioni nella sua memoria sbocciavano all'impazzata e continuava a pensare a suo padre, a sua madre, ad Helena. In quel momento le sembrava che gli occhi della sua migliore amica e quelli di suo fratello si assomigliassero, anche se non era affatto così. Ma erano i loro sguardi ad assomigliarsi.
    Ma perché..? credette di gridarlo e forse l'intenzione era quella, ma le uscì un urlo soffocato a mezza voce, mentre stringeva Jerome a sé, in un abbraccio improvviso e irruento Jer, perché lo fai? Perché arrivare a tanto?
    Si scostò da lui con altrettanta tempestività, solo per posare le mani sulle sue guance prendendogli il volto con una delicatezza che stonava con la foga di poco prima. Voleva condividere con lui la terribile verità circa il passaggio di proprietà del Fairy Tale. Voleva chiedergli di lasciare quel lavoro e quel mondo insieme, all'istante. Ma prima di ogni altra cosa, voleva delle risposte.
    Per pagarti questo schifo? lo incalzò, colpendo le pasticche cadute a terra con lo stivaletto, provando il forte desiderio di schiacciarle con il tacco ma evitando di farlo, per qualche ragione che al momento le sfuggiva Oppure è solo un altro modo per farti del male?!
     
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    E' altrove che punto lo sguardo. Lo faccio di continuo. Quando la realtà che vivo mi affligge, guardo altrove. Spero in una realtà diversa da quella che vivo e mi ritrovo costantemente deluso. Scappare dal presente, non mi è mai riuscito e rifugiarmi in contesti differenti, mi ha solo portato lontano dalla mia retta via. Dopo tanto divagare, mi sono perso e tornare indietro mi sembra difficile, a tratti impossibile. È come se non sperassi più in un futuro diverso da quel che mi si prospetta dinanzi, ed anzi, molto spesso non immagino nemmeno un futuro, di nessun tipo. Mi sono arreso all'idea di non meritare l'amore d'altri, ancor meno il mio.
    È ritrovarmi faccia a faccia con l'interesse che Daphne mi mostra che mi destabilizza. E provo vergogna nel chiedermi se sia realmente preoccupata per me, o per l'immagine che quel che faccio conseguentemente potrebbe darle.
    Chino il capo, arretrando lentamente d'un passo per svincolarmi dalle sue mani contro le mie guance. Una mano copre il mio volto, portando indietro il ciuffo ribelle e sfatto che ricade sulla mia fronte. Una parte di me mi impone di andarmene, di evitare il confronto e crogiolarmi nella realtà fittizia che mi sono inventato. L'altra, si aggrappa a quelle premure. All'idea, seppur piccola, di salvezza. Sono io il nemico da combattere. Sono io che anniento me stesso. “Se ti dicessi che mi aiutano a contenere i miei cambi d'umore mi crederesti?” Mi giustifico facendo spallucce. So che non colmeranno i suoi dubbi o la sua voglia di risposte. So che molti faticano a capire come sia essere in balia di onde come quelle impazzite del mio umore. Scappare dalle mie tempeste, è impossibile. Quel che posso fare è cercare palliativi. La cura farmacologica che mi era stata prescritta e che ho abbandonata troppi anni fa, mi spaventa a tal punto da continuare a rimandarla. E forse, soprattutto, è l'ennesima punizione che mi autoinfliggo.
    “Non so fare molto altro. E sono bipolare. A volte è una condanna.” Aggiungo poco dopo, mordendo il labbro inferiore. Sembra io stia biascicando frasi sconnesse, parole senza senso, mentre provo a ridestarmi dal torpore chimico delle pillole che ho precedentemente mandato giù. Stropiccio gli occhi dopo averli coperti, lasciandomi andare ad uno sbuffo pesante e liberatorio. “Lo so che fa schifo ma, nessuno me lo impone. Non nel modo che credi.” E' il debito che ho con chi mi concede il mio palliativo a tenermi qui. La retta da pagare. Il mondo adulto in cui mi sono ritrovato d'un tratto e senza preavviso. “Tu sei brava in tutto quello che fai. Ti sei adeguata persino ad un lavoro al Fairy Tale. Per me non è così facile.” Le spiego poco dopo, facendo spallucce e scuotendo appena il capo. Lo sguardo lucido ed imbarazzato. “Non sono bravo in niente.”

     
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    Quando il gemello scelse di sottrarsi al suo tocco ripristinando una certa distanza tra loro, Daphne non si oppose. Non provò ad insistere, anche se da parte sua avrebbe preferito non interrompere quel contatto. Scoprire che Jerome conduceva una doppia vita, che aveva un "lavoro extra" troppo terribile per essere confidato, l'aveva spinta a rendersi conto di non essere vicina al fratello come aveva creduto. Certo, il loro rapporto era mutato e si era evoluto progressivamente nel corso dei mesi: ora Jerome era tra le persone più importanti della sua vita ed era convinta che il sentimento fosse reciproco. Riscoprire un legame fraterno era un evento importante, ma loro erano addirittura gemelli: separati alla nascita, ma con più tratti in comune di quanto fossero stati in grado di riconoscere in un primo momento. Si sentiva profondamente legata a quel ragazzo con i suoi stessi capelli di fuoco, le stesse lentiggini e paure molto simili alle sue, quasi identiche sotto certi aspetti. Ma nonostante questo e malgrado condividessero lo stesso luogo di lavoro con tutta la segretezza che quella scelta comportava, non si era mai resa conto di ciò che Jerome faceva con i clienti del pub, una volta che veniva abbassata la saracinesca.
    Sì. Ho letto qualcosa al riguardo..ma Jer, il prezzo da pagare è troppo alto.
    Forse lo aveva sorpreso nell'affermare che credeva alle sue parole, ma aveva iniziato un po' a documentarsi sull'argomento da quando il gemello le aveva finalmente dato il nome della sua condizione psicologica. Era ancora poco informata rispetto a quello che era il suo obbiettivo - il tempo non era affatto dalla sua parte da quando doveva far coincidere lo studio, il lavoro, il tirocinio al Ministero e l'organizzazione di Theresa - ma le era capitato di leggere alcune testimonianze e sapeva che Jerome non era l'unico bipolare a ricercare un po' di conforto e contenimento attraverso l'uso di alcune droghe. Tuttavia, sapeva anche tutto ciò che tale abuso comportava e sicuramente lo sapeva anche il fratello, meglio di lei.
    Devi prendere in considerazione altre strade. Ci penseremo insieme, ok?
    Se era vero che anche gli psicofarmaci erano una medaglia con due facce, essere seguito da un professionista che gestisse la prescrizione di tale intervento chimico era sicuramente una scelta più saggia. Non conosceva le esperienze di Jerome in merito, ma ne avrebbero parlato insieme e lei gli sarebbe stata accanto lungo qualsiasi percorso. Si sentiva un po' ipocrita, se pensava all'Adderall che lei assumeva senza prescrizione né effettiva necessità medica, ma quello non era certo un argomento che intendeva rispolverare in quel momento.
    Per favore, non posso lasciarti condurre una vita del genere. gli rivolse uno sguardo triste, carico di sconforto, che tuttavia mutò presto in un'espressione più decisa No. Sappi che non te lo permetterò.
    Era nota la sua tendenza ad assumere un atteggiamento autoritario nei confronti delle persone che amava, quando riteneva che queste stessero facendo delle scelte sbagliate. Ciò derivava dalla sua onnipresente convinzione di sapere quale fosse la cosa migliore per loro e la conseguente frustrazione derivata dalla possibilità che non le venisse prestato ascolto. Anche se declinata in finalità positive, quella caratteristica era un comportamento appreso dal padre: tuttavia, Daphne ne era vagamente consapevole solo a tratti, il più delle volte era troppo presa dalle situazioni per farci caso.
    Ma questo non è vero. protestò in modo sentito di fronte all'autodemolizione dell'altro Sei un brillante studente di Alchimia e Pozionistica avanzata! Potresti cercare un lavoro come commesso in un negozio di pozioni, per sostenerti finché non finisci gli studi.
    Sarebbe stato un lavoro temporaneo perché poi il F.A.T.A. gli avrebbe sicuramente aperto nuove porte e finalmente davanti a lui si sarebbero presentate tutte le possibilità che meritava di ottenere. Daphne era certa che le botteghe di pozioni avrebbero preferito assumere uno studente dell'accademia, piuttosto che qualcuno privo di competenze in merito ad un settore così specifico. La sua mente volta alla programmazione era già pronta ad attivarsi per formulare un piano di ricerca e mettere mano al curriculum di suo fratello.
    Anzi, dovresti farlo.
    Ma a quel punto, per spronarlo ulteriormente, doveva prima di tutto metterlo al corrente di una notizia che avrebbe preferito non dovergli dare affatto. Una novità che metteva in difficoltà entrambi sotto innumerevoli punti di vista, non da ultimo quello economico. Sospirò, cercando lo sguardo del ragazzo e sperando di saper gestire la sua reazione.
    Non possiamo restare al Fairy Tale, Jer. Adesso il proprietario è Soren.
     
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    Vorrei avere il coraggio di replicare alle sue parole, ma farlo mi costa fatica. Mi sono ritrovato più e più volte in questa situazione. Troppe volte ho avuto dinanzi persone che credevano di potermi guarire, mentre io apponevo l'ennesima delusione alle loro vite. Non so se sono pronto a rivivere lo stesso con lei, mia sorella. Anche se ci conosciamo da un anno, metterla al corrente di questa parte della mia esistenza e di quel che nasconde, mi fa sentire a disagio. Non è il timore di essere giudicato a scuotermi quanto l'idea di aver rovinato l'idea che si era fatto di me. L'idea che io avevo di me.
    “Non sarai più così sicura di volermi accanto quando ti deluderò per l'ennesima volta.” Le spiego scuotendo appena il capo. Sul volto un amaro sorriso.
    Non voglio che mi distolga da questa idea. So che sarà così. Ho allontanato i miei migliori amici così. Ho perso Ioan più volte. Mi sono ritrovato solo in un burrone che avevo scavato io da solo con le mie mani. Nessuno può aiutarmi. E che sia la malattia o meno a spingermi a pensarlo, comincio a credere che nemmeno gli psicofarmaci mi daranno la serenità che anelo.
    Sospiro, mordendo il labbro inferiore mentre gratto pensoso la fronte.
    Le sue alternative sono valide, giuste, ma continuo ad immaginarmi nei contesti che mi offre e sentirmi a disagio. Vorrei riuscire a capire cosa mi fa sentire costantemente incapace di sostenere un ruolo, a disagio in alcune vesti, come se fossi immeritevole dei successi. Della normalità. A volte della vita.
    “Non lo so Daphne.” Mi limito a risponderle, confuso e pensoso. E le propinerei l'ennesima scusa che tiro fuori quando ho in realtà solo paura ad affrontare il mondo, se la sua rivelazione non mi svegliasse d'improvviso. Sgrano gli occhi, guardandola come a chiedermi se abbia sentito bene. “Cosa?” E la sua espressione non lascia spazio a dubbi, sebbene io vaghi per qualche attimo in un'ilare incredulità. “Stai scherzando.” Aggiungo poco dopo, sorridendo mentre scuoto il capo. La sua serietà però richiama la mia, alimentando la mia angoscia. Gratto una guancia, stringendo in un abbraccio confortante mentre mi avvicino. “Da quando?” Le chiedo sottovoce, quasi qualcuno nella landa desolata in cui siamo, possa sentire le nostre parole. “Cosa... Perchè?” Ed è questa la domanda principale che mi tormenta, sebbene io possa immaginare la risposta. Non è di certo l'introito di un club notturno ad averlo interessato. È solo un altro modo di metterci alle strette.

     
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    Anche se Jerome esitava nel risponderle, a Daphne bastava il linguaggio del corpo del gemello per percepire tutte le sue riserve. Era scoraggiato, abbattuto ben oltre il disincanto: non credeva che una rivalsa fosse possibile, non per lui. La danese non sapeva se fosse il loro legame biologico a permetterle di cogliere con una particolare empatia il malessere del fratello, o se si trattasse semplicemente del fatto che gli ultimi anni l'avevano vista migliorare parecchio sul fronte empatia. Forse erano vere entrambe le cose. Restava il fatto che vederlo così afflitto le provocava una sofferenza che Daphne sentiva di dover arginare ad ogni costo.
    Questo lascialo decidere a me.
    Lo riprese dunque con poche parole, quando lui infine si decise ad offrirle il proprio pronostico sul futuro del loro rapporto. Non lo rimbeccò come avrebbe fatto con un amico che stava uscendo con la persona sbagliata, né con il tono saccente che era solita adottare quando qualcuno le si opponeva in una discussione. No, era troppo triste per sentire la vena della polemica pulsarle contro la tempia: quello che voleva davvero, più di ogni altra cosa, era che lui le credesse. Che provasse a fidarsi di lei offrendo una chance al loro rapporto e al peso che avrebbe potuto avere sulle loro vite personali. C'era stato un tempo in cui solo l'idea di dare una chance al rapporto con un fratello che le era stato presentato come un antagonista.. le sarebbe parsa a dir poco assurda. Era cambiato così tanto da quel periodo, dunque perché mai la situazione di Jerome non poteva evolvere in modo del tutto inaspettato a dispetto delle reticenze del ragazzo?
    Puoi farcela. Ci proveremo insieme.
    Ci proveremo. Quel plurale non aveva niente di casuale. Lo avrebbe aiutato a liberarsi dalle droghe proprio come se ne fosse stata a sua volta vittima. Completamente coinvolta. E dopotutto, non lo era davvero? Forse, se poteva aiutare Jerome a liberarsi dalla sua dipendenza, anche lei poteva imparare a fare a meno dell'Adderall. Anche se, solo a pensarci, la possibilità che la sua mente non andasse a mille quando le era più necessario la spaventava terribilmente: la possibilità di scoprire che, infondo, lei non era poi così intelligente.. era dietro l'angolo. Per la rossa la linea di confine tra attenzione, velocità, performance e intelligenza in senso stretto era sottilissima. Un equilibrio precario e perfetto su cui si reggeva la sua autostima, messa sotto pressione e traumatizzata da anni di richieste continue, di aspettative che un padre iper-esigente le aveva rivolto. Però avrebbe potuto riuscirci. La dipendenza non le apparteneva, non avrebbe mai potuto accomunare il suo stato a quello di Jerome: una condizione che l'aveva messo nella posizione di doversi spingere sempre più in là. Se non avesse più potuto procurarsi l'Adderall, la danese non sarebbe stata così male. Era escluso.
    Lo so, anch'io non ci volevo credere.. concordava con il raggelato sconcerto di Jerome, a volte ancora non si capacitava della notizia che il padre le aveva dato Il passaggio di proprietà è avvenuto di recente. Nostro padre ci ha tenuto a farmelo sapere personalmente.
    Ora le era chiaro che quello era uno dei motivi per cui si era ritrovata a dover rimpiazzare un procuratore: all'ultimo, con un preavviso minimo e l'impossibilità di porre un rifiuto. Ciò che era parso frutto di un contrattempo doveva in realtà far parte di un piano ideato da Bachskov per ritrovarsi solo con la figlia per la prima volta, da quando le loro strade si erano divise. Era paranoica? Forse Soren le aveva detto di aver organizzato tutto solo per far leva sulle sue paure.. forse si era trattato di una pura causalità che il giudice aveva sfruttato a suo vantaggio. Ma, per quanto quella possibilità avesse sicuramente un che di consolante rispetto all'alternativa, a Daphne sembrava comunque la meno realistica.
    Credo che tu lo sappia. commentò con una smorfia alla domanda del fratello Potere.
    Infondo per Soren si trattava sempre di quello. Tutto ciò che lo riguardava: dalle violenze più bestiali, alla gestione del rapporto padre figlia, alla sua carica come giudice, ai suoi investimenti.. tutto ruotava attorno al suo desiderio di esercitare potere sul suo prossimo. E chiaramente la sua progenie non poteva che avere un posto d'onore.
    Vuole esercitare il suo controllo su di noi, comprerebbe altri dieci locali pur di assicurarsi di averci alle sue dipendenze.
    E aveva anche la possibilità di farlo, considerate le risorse economiche accumulate negli anni. Forse un impiego presso attività private - come locali o quant'altro - non era più disponibile per lei e Jerome. Ma allora, in attesa di raccogliere i frutti dei loro studi, come si sarebbero guadagnati da vivere?
    Mi ha detto delle cose.. che mi hanno spaventata.
    Istintivamente, intrecciò le braccia all'altezza del petto. Sentiva il bisogno di proteggersi dall'aria fredda della notte ma infondo sapeva bene che non era di questo che si trattava. Si guardò attorno, nervosa, poi i suoi occhi si posarono nuovamente sul gemello osservando le condizioni in cui era: solo, infreddolito a sua volta, abbandonato dopo essere stato usato a piacimento da uno sconosciuto. Questa volta non provò ad abbracciarlo, ma si limitò a tendere una mano verso di lui invitandolo ad afferrarla.
    Possiamo parlarne lontano da.. questo posto? Ti porto a casa mia, non ti lascio solo.
     
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    Non replico alle sue parole ma vorrei farlo. Il nostro rapporto è in definitivo troppo giovane perchè lei possa capire quanto reali possano essere le esperienze che le apporto. Non mi piango addosso quando affermo che avere a che fare con me non è facile. Non lo è mai stato. Da quando però la mia malattia ha preso il sopravvento, chiunque abbia osato avvicinarsi a me più del dovuto, si è ritrovato a vivere alti e bassi adattabili al mio umore ballerino. La mancanza d'equilibrio, sfianca.
    Mi ritrovo però ad annuire alle sue parole, ai suoi buoni propositi. Mordo il labbro inferiore, imponendomi autocontrollo, implorando normalità al meccanismo rotto nella mia mente. Non so per quanto durerà.
    Prima che io possa comunque metterla in guardia su altro, le sue novità mi allontanano dal mio perenne senso di colpa ed il mio torpore. La guardo ad occhi sgranati, chiedendomi dapprima quanto sia seria e poi se lo è sul serio. Non mi stupisce carpire la verità drammatica nei suoi occhi: il disastro che si prospetta all'orizzonte, non è soltanto un lontano presagio. È realtà.
    Abbiamo allontanato l'idea di Bachskov e del suo arrivo tra noi, ignorando il fatto che in fondo era già tra noi. Massaggio un braccio, nervoso. Mi sento soffocare all'idea della sua presenza alle nostre spalle. Mi sento in trappola. E vorrei far qualcosa ma tutto ciò che sarei capace di fare in questo momento, è cercare sollievo nelle pillole che avevo in tasca.
    “Scusami ma... quando è successo?” Le chiedo con tono tremulo e più sottile, avvicinandomi a lei mentre poggio una mano sulla sua. E la guardo negli occhi, cercando dettagli di quell'incontro che deve averla turbata in un modo in cui non sono stato in grado di cogliere nei giorni passati, forse troppo fatto per badare ad altri oltre che alla realtà fatata in cui cerco riparo. “E' venuto da te? Perchè non hai avvertito me o Nick?” Non voglio accusarla. Non lo faccio. Chiedo soltanto conferme sul suo stato di salute, sulle sue ragioni. Cerco di guardare oltre questo momento per ricostruire qualcosa di sensato nella mia mente.
    Sospiro pesantemente annuendo. Andare via da qui o dalla strada, sembra a questo punto una scelta doverosa. Per lei più che per me. “Sì. Va bene.” Acconsento, ricomponendomi alla meglio. E tuttavia prima di andare, mi coglie ancora un attimo di sconforto. Il dubbio di essere scomodo per lei, o per chiunque. “Sei sicura ti vada bene avermi con te adesso? Sono ancora fatto.”

     
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    Gli occhi di Daphne si posarono sulla mano del fratello che ora stringeva la sua. Non era certo sorpresa nel vederlo tanto allarmato, non solo dalla notizia ricevuta ma anche dal fatto che tale informazione provenisse direttamente da Bachskov. Saperlo talmente determinato a controllarli e possederli da acquistare il locale per cui lavoravano era raggelante, ma anche l'idea che ciò fosse venuto fuori da una conversazione tra Soren e Daphne doveva esserlo, per Jerome. Di certo, come lei, il gemello non aveva dimenticato il loro ultimo incontro comune con il giudice Bachskov, né la determinazione con cui quest'ultimo si era dimostrato incline a punire i suoi figli per i torti che riteneva di aver subito da loro. Sotto l'imperio di Soren, Jerome era stato costretto ad attaccare la sorella. Quindi.. cosa poteva averle fatto questa volta? Daphne poteva leggere quella domanda impressa negli occhi dell'altro. Aleggiava in quello sguardo con una chiarezza limpida ed inequivocabile e forse la danese avrebbe potuto crogiolarsi in quell'apprensiva conferma di affetto. In un altro contesto, di sicuro l'avrebbe fatto.
    Circa due mesi fa, il tirocinio mi ha portata a dover interagire con lui. Soren ha fatto in modo che il nostro incontro venisse spostato all'ultimo, non più al Ministero del Nord ma nel suo studio privato a Copenaghen.
    Ora però desiderava solo non doversi soffermare sui dettagli di quell'incontro. Una parte di lei si sentiva sciocca nell'essersi fatta braccare come un cerbiatto preso in trappola da un predatore, ma un'altra parte sapeva che solo rinunciando all'incarico che le era stato affidato avrebbe evitato di correre quel rischio. E lei non si era sentita disposta a farlo. Persino adesso, nonostante l'angoscia provata in quell'ufficio, non sarebbe stata disposta a fare un passo indietro se si fosse ritrovata nella medesima situazione.
    Vorrebbe che io tornassi da lui. Mi considera una sua proprietà e ha voluto farmi sapere che non mollerà la presa.
    Qualcosa doveva pur dire, però, circa il risultato di quell'incontro: oltre all'acquisto del Fairy Tale, era questa l'ingombrante verità che Bachskov aveva tenuto a sottolineare. Era bene che Jerome sapesse dell'interesse del padre nei confronti della figlia, della sua volontà di vederla schierata dalla sua parte. E no, non si era affrettata a parlarne né con Jerome né con Nick.. fondamentalmente perché provava una profonda vergogna: il fatto che suo padre pensasse di poterla influenzare gettava un'ombra su di lei, un'ombra che Daphne temeva potesse essere travisata dai suoi fratelli.
    Ma sto bene. Continuo con Theresa, no? Non mi ha fermata.
    Quell'aggiunta chiara e sintetica rispondeva a quella sua vergogna: voleva che Jerome sapesse che rimaneva ferma nelle sue convinzioni, che il potere psicologico ed emotivo che Soren esercitava su di lei non sarebbe bastato a vincolarla. L'idea che il Morrow potesse dubitarne la tormentava.. e per ciò che riguardava Nick quel suo sospetto era ancor più marcato. Daphne cercava di sminuire l'accaduto, o quantomeno l'impatto che aveva avuto su di lei, convinta che mostrarsi forte l'avrebbe aiutata non solo a non far dubitare il gemello, ma anche a farla sentire davvero più forte. Scosse la testa quando sentì il fratello accennare alle proprie condizioni nella convinzione che ciò l'avrebbe spinta a ritrattare la sua ospitalità.
    Un motivo in più per volerti al sicuro a casa mia.

    Lei è Bijou.
    La siamese si ridestò dal suo sonno effimero nel preciso momento in cui i due gemelli entravano nella camera da letto, lasciandosi alle spalle il corridoio rimasto buio per non disturbare il sonno di Bram. Bijou era sempre sull'attenti quando un nuovo ospite veniva introdotto nel suo territorio: recentemente la maggior parte delle visite le erano state alquanto sgradite e ora i suoi occhi azzurri esaminavano con attenzione il nuovo arrivato. Allungò le zampe anteriori, stiracchiandosi pigramente prima di avvicinarsi al ragazzo, avanzando con la sicurezza di una diva sotto lo sguardo di un ammiratore. Annusò Jerome e poi si strusciò contro le sue gambe inarcando la schiena, per poi allontanarsi di qualche passo, rivolgendogli uno sguardo azzurro che chiariva che ora stava all'umano andare da lei, se voleva accarezzarla.
    Ama essere corteggiata.
    La danese si mise a sedere sul bordo del letto ad una piazza e mezzo, invitando il fratello ad accomodarsi e fare lo stesso. Si sfilò le scarpe, massaggiandosi i piedi abituati ad intere giornate sui tacchi, ma bisognosi di un po' di tregua almeno quando la rossa si trovava tra le mura di casa. Quando Jerome fu al suo fianco, Daphne non poté fare a meno di rivolgergli una domanda che l'aveva accompagnata lungo il tragitto verso casa.
    Jer, quando hai iniziato con lo speed? Da quanto tempo va avanti?
    Ne era vittima da più tempo rispetto a quello che contraddistingueva il rapporto della sorella con l'Adderall? La rossa, come spesso le capitava, si ritrovò a ripetersi che le due cose non erano paragonabili. L'Adderall le serviva solo a far lavorare il suo prezioso cervello ad un ritmo più sostenuto, gestendo la fatica e la stanchezza, permettendole di impiegare al massimo le sue risorse. E poi.. lei non era dipendente. Ma più si ripeteva simili auto-rassicurazioni e più le apparivano sempre meno convincenti.
     
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    Annuisco alla sua proposta, seguendola fino a casa senza obiettare. Vorrei non mi avesse trovato, non lì, non in queste condizioni. Vorrei provare vergogna, ma sento solo rassegnazione. È come se per quanto ci provassi, nulla possa allontanare gli altri dall'idea che ho io di me stesso, ossia che sono inaffidabile, che non valgo nulla, che sono inutile. O forse sono io ad impegnarmi affinchè gli altri mi vedano nel modo in cui faccio io, perchè così non avranno idee diverse, non potranno farsi illusioni e di conseguenza io non potrò deluderli. Raggiungo casa di Daphne, guardandomi intorno con annebbiata curiosità. Se fossi lucido, presterei attenzione ad ogni dettaglio, ed invece entrando qui mi ritrovo a pensare che sto mettendo piede in una parte di vita che potrei rovinare. È quello che mi viene meglio.
    Indirizzo lo sguardo verso il gatto di Daphne, ma prima che io possa toccarla, l'altra indirizza verso di me un verso poco amichevole che mi strappa un mezzo sorriso. “Come la padrona.” Aggiungo in riferimento al commento della rossa. “Anche il nostro primo incontro non è stato tranquillo.” Continuo poco dopo, ricordando l'incontro poco pacato che ha visto noi come protagonisti.
    Mi accomodo accanto alla ragazza, braccia penzoloni tra le gambe aperte e spalle ricurve verso il basso. Lo sguardo appannato a fissare la parete senza nemmeno guardarla.
    Distolgo l'attenzione da quel nulla opaco, solo quando la domanda di Daphne giunge alle mie orecchie. La guardo per qualche istante, prima di alzare lo sguardo verso il cielo come a ricordare il momento esatto in cui ho cominciato ad attuare il mio percorso autodistruttivo. Dovrei tornare indietro di troppi anni per trovare una risposta. “Da un po'.” Rispondo quindi dopo qualche attimo. “Per un po' ho smesso in realtà.” Aggiungo poco dopo, annuendo mesto, facendo poi spallucce. “Poi però... insomma, non voglio giustificarmi ma la mia vita ha ripreso ad essere pesante ed io, non so gestire bene la mia vita quando sono da solo.” Non mi so gestire e non so stare solo, è questo quello che ho sempre creduto. È per questo che ho cercato negli altri l'equilibrio di cui necessitavo, e quando gli altri sono andati via, io mi sono perso. Un'abitudine malsana a cui non so rinunciare. È la solitudine che non so accogliere. “Gira tanta roba al club. E stare sveglio tutta la notte a volte richiede un aiuto.” Lo richiede il ballare tutta la notte, il concedersi tra braccia di sconosciuti, troppe volte poco cauti, poco amorevoli. “Ma posso smettere quando voglio. Non sono dipendente. Sono solo...” Un'aggiunta che sa di bugia, detta a lei quanto soprattutto a me stesso. Mi convinco in fondo di avere il controllo. Di essere in questo vortice caotico solo perchè io lo voglio. Mi dico che potrò uscirne un giorno, da solo e senza aiuto. Sto solo rimandando il momento in cui dovrò realmente prendere in mano la mia vita e reagire. L'idea mi terrorizza. Mi paralizza. È per questo che ho bisogno di altra dopamina.
    Sospiro, passando le mani sul volto mentre mi curvo in avanti. Mi prendo qualche attimo di silenzio. Non serve a placarmi. “Vorrei poter cancellare questa immagine di me dalla tua testa. Se prima non ti fidavi di me, ora sarà anche peggio.”


     
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    L'atteggiamento riservato da Bijou a Jerome non era dissimile da quello rivolto a chiunque altro. Per quanto potesse apparire il contrario, non lo aveva preso in antipatia.. non ancora. La siamese sembrava divertirsi a mettere le sue nuove conoscenze in difficoltà, intimorendole con il proprio sguardo azzurro e superbo in attesa di valutarne i comportamenti.
    Ti sta mettendo alla prova: cerca di intimidirti per vedere come reagisci.
    Gli sorrise, inclinando il capo verso la gatta come a suggerirgli di fare un tentativo e provare ad accarezzarla. Infondo solo con Bram, Jasper e il povero Duke la siamese si era mostrata aggressiva per presa di posizione, determinata a non cedere di un passo nemmeno di fronte all'entusiasmo e alla costanza del bulldog. L'elemento comune era chiaramente la natura canide insita, in modo diverso, in tutti e tre i soggetti in questione. L'approccio di Daphne al gemello, invece, era stato ostile in modo ben più serio: aveva sputato talmente tanto veleno verso quel ragazzo così fastidiosamente simile a lei nell'aspetto, che a ripensarci talvolta si sentiva addirittura in imbarazzo. Non solo per l'accanimento e la cattiveria - infondo era tutt'ora acida con molte persone - ma soprattutto perché l'affetto che ormai aveva maturato per il fratello la rendeva sensibile a tutto ciò che potesse ferirlo. Jerome aveva fragilità che lei stava imparando a conoscere - alcune delle quali le erano decisamente familiari - e l'idea di aver infierito in qualche modo sul suo malessere, in passato, non la faceva sentire esattamente in pace con sé stessa.
    Quindi.. quando hai smesso non eri solo. Avevi qualcuno accanto?
    Una deduzione logica, considerate le parole del rosso. Chiunque gli fosse stato accanto in passato doveva essere riuscito a colmare un vuoto, offrigli un supporto e una comprensione capaci di arginare il suo bisogno di ricorrere ad un conforto chimico. Per Daphne fu inevitabile chiedersi che fine avesse fatto quella persona. Che si trattasse di una relazione romantica o di un'amicizia, la danese avrebbe voluto capire come e perché era uscita dalla vita del Morrow e.. perché no, impegnarsi a ritrascinare indietro il suddetto soggetto. Non sarebbe stata certo la prima volta che si intrometteva con una certa prepotenza nei rapporti delle persone più importanti per lei. Quando Jerome asserì di non essere dipendente, la ragazza non poté che rivolgergli uno sguardo eloquente: non sapeva se il gemello stesse tentando di prendere in giro lei o sé stesso, ma non servivano parole per fargli capire che non era affatto disposta a credergli. Arricciò il naso, poi, quando l'altro si soffermò sulle evidenti implicazioni che il Fairy Tale aveva nel suo stato psico-emotivo.
    Odio quel club. sentenziò senza clemenza Tutti quegli uomini di mezza età, spesso anche sposati, che guardano te e gli altri ragazzi come foste pezzi di carne.. è una cosa che mi nausea.
    Ciò di cui era stata testimone quella sera era stato l'apice, perché sapere suo fratello spinto a prostituirsi l'aveva senza dubbio shockata. Ma Daphne si era comunque sentita turbata già molto prima - sebbene in misura minore - dalle dinamiche del club, dal comportamento degli avventori e di chi gestiva quel locale.
    Forza, dammi pure della bacchettona. Ma tu meriti molto di più.
    Era possibile che Jerome la giudicasse troppo severa, non sarebbe stato il primo. Ma la verità era che Daphne era fin troppo sensibile al tema della prevaricazione sessuale e coglieva forme di abuso anche in ciò che accadeva al Fairy Tale, a prescindere dal fatto che i ballerini lavorassero lì per libera scelta. Infondo.. la necessità economica spesso rendeva discutibile il concetto stesso di "libera scelta". Jerome, comunque, appariva ancora piuttosto abbattuto: sembrava davvero che più che il fatto in sé di essersi prostituito a turbarlo fosse la consapevolezza di essere stato sorpreso dalla gemella. Questo turbava particolarmente Daphne, suggerendole che tale abitudine dovesse ormai apparirgli nell'ordine naturale delle cose, quasi non desse più molto valore al proprio corpo e alla propria volontà, ai desideri che realmente lo animavano. Era assorta in quelle riflessioni quando le parole del ragazzo la sorpresero al punto da lasciarla per qualche istante con le labbra dischiuse. Scosse infine la testa, riservandogli un'occhiataccia.
    Mpf.. falla finita, io mi fido di te. Nostro padre mi ha sempre mentito, sei arrivato tu e mi hai gettato in faccia la verità. Ho perso tutto e tu mi hai trovato un lavoro. Sono andata in pezzi e tu mi sei stato accanto.
    Davvero Jerome credeva che tutto questo non avesse alcun valore? Era stato lui a gettare le basi del loro rapporto, quando ancora lei gli remava contro.
    E tutto questo dopo che io ero stata davvero orribile: al tuo posto avrei serbato rancore in eterno.
    Lo affermò senza peli sulla lingua, chiunque la conoscesse bene conosceva anche la sua capacità di serbare rancore e la sua scarsa inclinazione al perdono. E ormai Jerome rientrava nella cerchia di coloro da cui Daphne desiderava farsi conoscere e comprendere.
    Scusami. Per averti insultato e maltrattato.
    Le parole le sfuggirono dalle labbra prima che potesse rifletterci troppo su. Ne rimase quasi sconcertata, allibita di fronte a quella che per lei era una novità assoluta. Eppure, per assurdo, scusarsi le era risultato più spontaneo di quanto avesse mai immaginato possibile.
    Okay, sappi che non avevo mai chiesto ufficialmente scusa a nessuno che non fosse Soren..cielo, essere crudele è molto meno imbarazzante.
     
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    ”Sì.” Rispondo rimuginando poi su come la mia stessa ammissione possa farmi sembrare: ancora, inaffidabile. Infantile. Inconcludente. Sono tanti gli aggettivi negativi che quotidianamente non posso fare a meno di rivolgermi. A volte rinsavisco, cullandomi con l’idea di essere soltanto estremamente malvagio nei miei stessi riguardi. Altre volte mi chiedo se tutto ciò che penso, non sia semplicemente la realtà dei fatti. Questo apre porte di mondi ancor più bui in cui finisco per incappare come in un labirinto da cui non c’è via di scampo. La mia vita perennemente mi uccide. Lo faccio io, ogni giorno. “Probabilmente mi fa sembrare uno senza spina dorsale.” Mi giustifico quindi, sentendomi quasi obbligato a farlo. E’ l’idea costante di essere inadeguato che mi spinge a correggere parti di me che dovrei lasciare indenne. Cancello i contorni di quel che sono, lasciandomi invadere da pezzi incompatibili di realtà. Il mio io è ormai un quadro astratto.
    “Già.” Merito di più? Non ne sono poi così convinto. Risponderle in modo diverso innescherebbe un discorso che non sono pronto ad affrontare.
    Ascolto ciò che ha da dire. Capisco ciò che dice ma non condivido alcune delle reazioni che secondo lei avrei dovuto avere. Sarà che non sono mai stato in grado di provare reale rancore. Quando le cose, le persone, mi hanno ferito, non è contro gli altri che ho rivolto la mia rabbia ma sempre verso me stesso. Ero sempre io il colpevole anche quando non avevo fatto nulla. Nella mia testa però non poteva essere altrimenti: io sono quello che sono, un giocattolo rotto. Sbagliato in ogni punto della mia esistenza. “Sentivo di doverlo fare Forse era il mio DNA ad impormelo, sorella.” Faccio spallucce, rivolgendole poi un mezzo sorriso nel tentativo di rassicurarla e di rendere questo momento per lei così duro, più leggero. La cosa assurda è che anche io mi ritrovo a vivere con lei una situazione del tutto nuova, sebbene in modo diverso. “Non so se rende le cose meno imbarazzanti per te ma credo nessuno si sia mai scusato con me. E’ sempre stato solo il contrario.” Sono sempre stato io a chiedere scusa, o a fingere di poter passare su le cose che mi avevano ferito per timore di perdere le persone che amavo. Ho sempre lasciato correre pur di aggrapparmi a qualcuno che non mi facesse sentire solo. Non ne ho mai ottenuto grandi cose. Ricevere le sue scuse è strano eppure un po’ mi rincuora. E’ come se mi vedesse. Vede a me come ad una persona e non come il ragazzo disastrato che non può far altro che mettersi nei casini. “Facciamo che nessuno deve scuse a nessuno e torniamo alle nostre vite?” Non voglio però indugiare oltre. Lascio andare il discorso perchè non voglio pesare sul suo senso di colpa. A me va bene che lei ci sia, nonostante tutto. Nonostante me. Quel che è stato nel passato non mi riguarda più, “Magari dopo una doccia.” Aggiungo infine con un mezzo sorriso.

     
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    Non tutti sapevano che la propensione a giudicare il suo prossimo, a nutrire alte aspettative e pretendere di vederle esaudite, era in realtà un riflesso più debole della severità con cui Daphne si poneva verso sé stessa. Da sé, più che da chiunque altro, pretendeva sempre il massimo. Una perenne e sfiancante rincorsa della perfezione. Per questa ragione, la danese non faticò affatto a provare empatia nei confronti del gemello, quando lo sentì giudicarsi così severamente. Nelle parole con cui si definiva vi era una nota quasi crudele che le strinse il cuore. Scosse la testa.
    Non è facile combattere da soli, Jer. Ma ora hai me.
    Gli prese la mano, rivolgendogli un sorriso rassicurante. La grande differenza tra i due gemelli, in questo caso, stava fondamentalmente nel modo di porsi. Daphne si giudicava, ma desiderava ardentemente mostrare al mondo il lato più splendente di sé, voleva apparire vincente e sicura di sé, mentre Jerome non provava un pudore così esagerato rispetto alla propria fragilità. Ma nel profondo le loro anime erano affini e molte paure li accomunavano. Inevitabile chiedersi se i loro genitori, pur distinguendosi in vittima e carnefice, non avessero influito in modo parallelo sulle insicurezze dei figli che ognuno di loro aveva cresciuto.
    O magari hai avuto un buon presentimento.
    Un'intuizione. Preferiva vedere questo nella determinazione di Jerome a non mollare la presa con lei, ad offrirle il suo aiuto nonostante tutto. Era più confortante pensare che la sensibilità di suo fratello lo rendesse bravo a capire le persone, a scorgere in loro qualcosa che andava al di là di ciò che si ostinavano a mostrare. Già.. tutto questo era molto meglio della possibilità che il DNA avesse tutto quel potere. Le piaceva il fatto che lei e Jerome fossero gemelli, che si assomigliassero fisicamente, persino che avessero condiviso il ventre materno prima di venire al mondo ed essere separati per anni. Ma per il resto, il concetto di DNA gravava sui suoi pensieri come un oscuro presentimento. Theresa, Soren: mentalmente non si poteva dire che il loro patrimonio genetico fosse il migliore da portare avanti.
    Dici sul serio?
    L'imbarazzo per le prime scuse ufficiali della sua vita venne presto ammortizzato dalla rivelazione di Jerome. Se la sua intenzione era stata quella di smorzare il suo disagio, in qualche modo ci era riuscito: sostituendolo con lo stupore. Ecco.. in questo erano decisamente diversi, sebbene le origini di tali comportamenti potessero avere basi comuni. La danese provò ad immaginare un mondo in cui era sempre lei a chiedere scusa agli altri e le parve un vero Inferno sulla terra, qualcosa di ingestibile e inconciliabile con la sua necessità di sentirsi a proprio agio nella vita di tutti i giorni. D'accordo, innegabilmente il suo approccio era un tantino melodrammatico... ma magari sia lei che suo fratello avrebbero dovuto impegnarsi a smorzare un po' le loro impostazioni diametralmente opposte, entrambe troppo estreme.
    Allora forse hai chiesto scusa troppo spesso, magari anche a chi non se lo meritava.
    Diede voce in quel modo alle sue riflessioni. Magari standogli vicino poteva aiutarlo a rendersi conto di quanto a volte le colpe non fossero solo sue, poteva offrigli il suo punto di vista - e far passare le pene dell'Inferno a chiunque si approfittasse di lui - e forse.. forse Jerome avrebbe invece potuto aiutarla a capire quando era Daphne a sbagliare nei confronti di altri. Anche se era molto difficile farle notare presunti errori senza farla arrabbiare, Bram lo sapeva bene.
    Ti prendo un asciugamano.
    Si alzò per recuperare un asciugamano pulito dall'armadio, prima di lasciare che il ragazzo utilizzasse il bagno per primo. Poi si sarebbe fatta una doccia anche lei, non si infilava mai sotto le coperte con l'aria del Fairy Tale ancora addosso. Nel porgergli l'asciugamano esitò per un istante e gli rivolse uno dei sorrisi più affettuosi che gli avesse mai dedicato fino a quel momento.
    Grazie.. fratellino.
     
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