promises and secrets

Inizi di Dicembre

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    Aveva salutato Mason con le lacrime agli occhi e il fiato mozzo. L'idea di mettere piede all'interno dell'ospedale dove avrebbe ritrovato la sua famiglia, e forse Lorence, la terrorizzava. La preoccupazione per suo fratello però, superava di gran lungo il timore per quel che le sarebbe potuto accadere. Così, dopo aver cercato coraggio nel bacio che Mason le aveva donato, tirato su il cappuccio della felpa che Mason le aveva prestato, aveva fatto il proprio ingresso all'interno dell'ospedale. Aveva raggiunto la stanza indicata, guardinga. Il cuore in gola nel timore di ritrovarsi dinanzi la persona temuta. Avere di fronte i suoi genitori, con le loro reazioni spropositate, non servì a placarla. La rabbia di suo padre e le lacrime di sua madre nel vedere i segni sbiaditi sul suo volto, la tramortirono. Si sarebbe affidata a quelle reazioni, alla premura che implicitamente mostravano, se non avessero ancora una volta rivolto le loro accuse contro un innocente. Ed ancora una volta, a nulla servirono i suoi tentativi di dissuaderli. Quando riuscì a districarsi dalle loro continue domande, si precipitò all'interno della stanza dove Otis era ricoverato, richiudendo la porta alle proprie spalle. Si concesse un attimo per respirare, prima di voltarsi a guardarlo. «Sono fuori. Si sono presi una pausa.» Gli disse, rassicurandolo sull'assenza dei loro genitori. Lentamente si avvicinò, sostando accanto al suo letto. Guardò il suo corpo, il suo volto. Le provocò un certo effetto vedere suo fratello in quelle condizioni. Ancor più strano fu scorgere sul suo volto, segni simili a quelli più sbiaditi che recava Helena. «Ti fa male?» Gli chiese, indicando il grosso livido sul suo volto, mentre lentamente gli si sedeva accanto. Avrebbe voluto sapere cosa dire ma la verità era che erano mesi che aveva smesso di parlargli. Lo aveva odiato, in parte. Ed odiava ancor più sapere che lui non fosse cosciente del motivo, e non lo sarebbe stato mai. Ancora una volta, si era presa tutte le colpe, passando per una bugiarda. Un ruolo che tutti pensassero le stesse divinamente. «Mi dispiace sia capitato a te.» Non mentì su quello. L'idea le cose sarebbero potute andar peggio di come erano andate, non smetteva di tormentarla. Ed in qualche modo, di nuovo, la colpa sentiva essere sua. Quella volta era più che decisa a prendersela, se solo fosse servito a scagionare Mason.
    «Ma lui non c'entra nulla.» La sua voce, sottile, si incrinò dinanzi a quella rivelazione. Strinse la mano dell'altro, nonostante il suo rifiuto nel contatto fisico. Cercò la sua attenzione, la sua comprensione. Cercò di essere capita come nessuno sembrava più essere disposto a fare nella sua famiglia. «So che le cose tra noi non vanno un granchè bene, ma è l'unico favore che ti chiedo.» Annuì, stringendo le labbra in una muta supplica. «Non denunciarlo.»

     
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    E' difficile stabilire quando le cose siano precipitate nella vita di Otis. La minuzia con cui ha da sempre calcolato ogni particolare l'ha più volte protetto da ogni imprevisto. Non è poi così curioso che sia addentrandosi tra gli affari della sorella, scalmanata ed in totale opposizione col suo ordine, che è rimasto immischiato in eventi che mai avrebbe anche solo potuto immaginare si stagliassero nel corso della sua vita da bravo e paziente ragazzo. La fuga di Pinky, a seguito dell'ennesima scomparsa della ragazza, ha spinto l'Haugen ad una ricerca accurata, mettendo da parte se stesso - tra impegni e piani stabiliti per la giornata - per inoltrarsi nelle lande cui più volte si è diretto per andarla a recuperare. Non ha avuto, in questo frangente, la stessa fortuna. E quando giunto sul posto non ha trovato che uomini dall'aspetto spaventoso e l'aria potenzialmente criminale ad accoglierlo e renderlo malconcio, tutto si è reso estremamente chiaro. Lo è stato, almeno per i genitori, incalzanti nell'imporgli una denuncia da rivolgere a quello che hanno da sempre ritenuto il fautore dei mali della sorella. Silenziosamente, vi ha creduto. Disteso sul letto d'ospedale, sebbene trattato con enorme riguardo affinché la sua psiche non volgesse ad impulsi che peggiorassero le sue condizioni, ha silenziosamente accondisceso alla loro richiesta. La rielabora mentalmente quasi come un giochetto passatempo, sognando con gli occhi rivolti alla finestra il momento in cui la sua routine potrà tornare in ordine. A rompere quella monotonia è l'inaspettato arrivo della sorella. Vederla sana e salva placa parte dei suoi timori. Non nota sul suo volto i lividi spaventosi cui i genitori hanno più volte accennato, ma legge sul suo viso tracce di un dolore che, tra le macchie giallastre di una sofferenza sbiadita, va accentuandosi seguendo la tristezza dei suoi occhi. 'Oh, ciao. Sei tornata.' Interviene, annuendo debolmente all'annuncio circa l'allontanamento dei genitori. Nulla di cui in fin dei conti gli dispiaccia particolarmente. Ed anche se vorrebbe vedere il volto della sorella distendersi, non può fare a meno di rispondere alle sue domande con la classica dose di assoluta sincerità.
    qCUvvEN
    'Sì, è fastidiosamente doloroso.' Annuncia a fatica oltre il gonfiore del suo viso, non ancora del tutto placatosi sotto l'effetto dei medicinali assunti. Sa bene quanto alcune cose richiedano tempo. Spostare tuttavia l'attenzione su altro non lo turba. Per quanto abbia forse inconsciamente sperato che l'interesse di Helena si rivolgesse esclusivamente alle sue condizioni, non trova difficoltà nel concordare con lei molto più di quanto non sia mentalmente riuscito a fare coi genitori. Loro, di fatto, non conoscono diversi aspetti di quella storia. Di quel ragazzo che lei tiene sempre da morire a proteggere. 'No, infatti. Non era uno di quelli che mi hanno attaccato.' E' sufficiente per lui a scagionarlo del tutto dalle colpe di quegli uomini. 'E poi una volta mi ha protetto da altre brutte persone.' Di quello non può certo dimenticare. Ricorda ogni cosa gradevole che gli succede. Sono d'altro canto così poche da poterne tenere conto senza particolare sforzo. Deglutisce a fatica, ancora, lasciando scorrere appena per pochi secondi gli occhi verso il viso di Helena. Nulla di duraturo, solo un attimo fuggente prima che tornino a posarsi verso la finestra della stanza, ad osservare il tipico cielo londinese ricoperto di nuvole grigiastre. 'Mamma e papà vogliono che lo faccia.' Denunciare quel ragazzo. Mason Chesterfield. Non hanno fatto che ripeterglielo, ma Helena ne è probabilmente a conoscenza. E' però un richiamo più forte ad attirare la sua attenzione. A quel punto non può resistere dalla tentazione di indagare su quel rapporto rimasto sospeso per ragioni che non conosce. Come sempre. 'Perché le cose tra noi non vanno bene?' Non c'è risentimento nel suo tono di voce. Solo un'estrema delusione che non trova via d'uscita da mesi. 'Io non sono arrabbiato con te.' Specifica, umettandosi le labbra prima di chiarire la propria posizione in merito. 'E' che non capisco perché mi diciate sempre cose diverse. A cosa dovrei credere?' Lorence Volhard è un innocente? Mason Chesterfield picchia sua sorella? La sua maledizione è causa sua?

     
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    Sentire Otis pronunciare quelle parole, la rassicurò in parte. Avrebbe fatto affidamento alla sua incapacità di dire bugie. Si chiedeva se sarebbe bastato o se di nuovo i suoi genitori, avrebbero cercato di muovere il ragazzo in modo da spingerlo a fare ciò che loro ritenevano essere giusto. A volte si chiedeva come potessero essere così ciechi. Era stata lei a confonderli, a spingerli a credere a ciò che Lorence aveva preteso credessero, ma erano davvero così sciocchi da non avere più alcun dubbio? Erano davvero così manipolabili da lasciarsi manovrare dal Volhard? Attaccare Mason non avrebbe risolto nessuno dei loro problemi, ne avrebbero creati solo di nuovi. «Però tu non lo farai, giusto?» Rispose alle sue parole, quasi supplicandolo con lo sguardo. Era esattamente quel che stava facendo. Raramente Helena era disposta a mettere in discussione se stessa ed il proprio orgoglio. In quel momento, si sarebbe spinta ad implorarlo pur di evitare che una nuova catastrofe piombasse su di lei e su Mason. Era stanca. «Sarebbe una bugia. Tu non le dici le bugie.» Cercò quindi di convincerlo a quel modo. Quando però sentì Otis parlare, continuare le sembrò impossibile. Le sue parole fecero tremare il suo cuore, rendendo ancora più umidi i suoi occhi. L'innocenza del fratello, la spingeva a fermarsi.
    Non aveva mai rimuginato su quanto anche lui potesse essere in qualche modo vittima di tutta quella storia. Ora se ne rendeva conto. Era spaesato. Perso. Era immerso in una realtà nuova in cui non riusciva a destreggiarsi e la colpa era di tutti, nessuno escluso. Per quanto le costasse metter da parte il proprio rancore, lasciarlo in quel contesto le sembrò impossibile. «Non lo so.» Rimuginò a voce bassa, facendo spallucce. Dirgli a cosa avrebbe dovuto credere, sarebbe stato facile. Era quello che facevano tutti. Nessuno aveva mai chiesto a lui però cosa pensasse di tutto quello. Nessuno aveva mai chiesto la sua opinione. Helena sapeva benissimo quanto potesse far schifo. Agire allo stesso modo, l'avrebbe fatta sentire un verme. «Sei la persona più intelligente che io conosca.» Annuì lentamente, puntando il proprio sguardo in quello dell'altro. «Tu a cosa credi?»
     
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    Avverte un velo di pressione leggero scaturire dalla velata richiesta della sorella. Una che non percepisce come tale solo perché posta come una parziale domanda, seguita da un'affermazione che non ammette repliche. L'ennesimo incarico cui tenere fede, dilaniandosi tra la possibilità di seguire l'una o l'altra strada, incapace di comprendere quale delle due lo aiuterebbe sinceramente a sentirsi meglio, a risollevarsi dallo stato tremante in cui riversa da mesi. Le bugie dei genitori, le verità della sorella. Ordini altrui, che non hanno mai lasciato il posto alle sue sincere opinioni. Sino ad ora. Quando le risposte comprensive della sorella si fanno spazio oltre le sue incertezze, in un primo momento l'Haugen non sa precisamente come comportarsi. Non che ci siano particolari strategie da attuare, ma mai si è ritrovato a dover riformulare i propri pensieri su questioni che riguardassero cose esterne alle proprie ambizioni, agli studi, al lavoro. Della storia di Helena, non ha mai potuto né dovuto far parola. Ha eluso quesiti o interviste che imprimessero su pagine di giornale i propri interventi. E' stato un fratello nascosto. Nessuno ha mai sentito parlare di lui in tutta quella storia. E adesso, con qualcuno dinanzi a sé disposto ad ascoltarlo, ha bisogno di prendersi del tempo prima di far dono di una sincerità dettata da nessun esterno, bensì da se stesso. 'Credo che ci siano tante cose che mi nascondete.' Dettagli sempre diversi sono emersi durante liti familiari di cui, sebbene fautore, si è inevitabilmente ritrovato alla fine ad essere un silente spettatore. Persino le sue crisi hanno spinto i genitori a prendere le redini della situazione pur di calmare la sorella. Non ha mai avuto modo di gestirle da sé. Di crescere come individuo, scisso da quel supporto che lo tiene intrappolato in una campana di vetro. 'Ma io sono un adulto e sono quasi un dottore. Vorrei essere ascoltato, qualche volta.' Introduce così il proprio punto di vista alla sorella. Le dà un assaggio della propria realtà, assicurandosi lei sia davvero disposta ad ascoltarlo prima di dare ulteriore fiato alla bocca. Incredibilmente, silenziosa e paziente, sembra farlo. 'A me non piace Lorence. Ti ha fatto del male ed io l'ho visto.'
    qCUvvEN
    A quella realtà però i genitori non hanno più dato credito. E' difficile riporre fiducia nelle reazioni spropositate di chi è capace di impazzire letteralmente se le lancette di più orologi non ticchettano all'unisono. Una limitazione tra le tante che la sua condizione gli impone. 'Non mi piace neanche Mason, è un po' rozzo e molto volgare.' Aggiunge comunque l'attimo dopo, sincero così come l'incapacità di dire bugie che Helena ha testé nominato gli permette di fare. A queste ultime parole si sommano però delle eccezioni che non può trattenere. 'Però ti fa felice.' Per quanto difficile e complesso da capire, ha imparato a non considerare del tutto il male o il bene in un dato elemento, così come in una persona. A prevalere è una considerazione bassa del Chesterfield, ma abbastanza alta da superare quella del Volhard e, soprattutto, da ritenerlo all'altezza di stare al fianco della sorella. Un punto a suo favore ce l'ha. Due, in realtà. 'E mi ha protetto.' Ribadisce ancora una volta, non per rassicurare la ragazza - sebbene sia forse un effetto consequenziale a quel punto - ma per mostrare con decisione estrema il proprio punto di vista. Per esporlo finalmente a qualcuno che sia disposto ad ascoltarlo. 'Quindi è un amico. Un amico che non mi piace, ma un amico.' Un amico che sia degno di esserlo anche per la sorella.

     
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    Gli Haugen non erano mai state cattive persone. Si erano ritrovati a dover affrontare problemi più grossi di quelli che si sarebbero aspettati e per quanto si fossero impegnati a far del loro meglio, avevano finito con il commettere diversi errori. Le buone intenzioni li avevano condotti a gesti apparentemente irreparabili, a bugie che avevano scavato solchi nella serenità della vita dei loro figli. Nessuno avrebbe potuto realmente incolparli, ma seppur involontariamente il loro comportamento aveva profondamente scosso la vita dei due fratelli. E nella volontà di dare ai loro figli il migliore dei futuri, avevano inoculato in loro l'idea angosciante di non poter farsi sentire. Di non avere voce.
    Helena quindi, capiva perfettamente il sollievo e la stranezza che doveva star provando Otis in quel momento. Nella loro famiglia, nessuno aveva mai chiesto la loro opinione. Asciugò una lacrima involontaria con le punta delle dita, serrando la mascella mentre tornava ad ascoltarlo l'altro. «Sì. E' un amico Lo sussurrò, annuendo appena. Si adeguò alla definizione che Otis propose, non azzardando a darne una diversa. Per quello non si sentiva pronta, né forse era il momento adatto per approfondire la propria concezione del rapporto con il Chesterfield. Sentirgli pronunciare quelle parole però, la risollevò. Sperava sarebbe bastato a convincerlo ad evitare bugie, ad evitare inutili accuse e complicazioni.
    «Mi dispiace che ti abbiano trascinato in questa storia.» Sospirò pesantemente, mordendo il labbro inferiore. Era stanca, provata. A volte si chiedeva se valesse davvero la pena continuare a combattere. Ne avrebbe mai trovato beneficio? «Più provo a limitare i danni più sembrano ingigantirsi.» Spiegò poco dopo, curvandosi in avanti mentre copriva il volto con le mani. Odiava lasciarsi vedere in quello stato, fragile. Le sembrava però di non aver più forze per tenere la testa alta. Per combattere. «Non so più cosa fare per proteggere le persone che amo.» Biascicò a volte coperto, tirando su col naso. «Non ne sono capace.»
     
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    Ascoltare i crucci della sorella è come sentire l'eco delle sue preoccupazioni. Più volte ha pensato lui stesso di non essere capace di proteggerla. Lei e le persone che ama. Se n'è sfogato con vaga difficoltà, ricevendone in cambio una rassicurazione che l'ha vestito di orgoglio. Ne è stato felice e continua ad esserlo, definendosi un eroe nella storia dell'altra, sebbene continuino a capitarle eventi orribili ed il suo sorriso si spenga giorno dopo giorno sempre di più. Le fa dono però di un'empatia consequenziale. 'Io ti capisco.' Indirettamente, la incoraggia a non farsi carico di un peso che non dipende da lei, di una responsabilità che non le appartiene. Convinto non serva sempre un'azione eroica per ricoprire quel ruolo. Un ragionamento meno lineare del solito, che un tempo non avrebbe mai e poi mai compiuto. Mette insomma tra le mani della sorella, i propri miglioramenti. Quella crescita derivata in parte dagli eventi di cui è protagonista, dalla ricerca smodata di una via di salvezza che Otis continua a compiere in campo medico come in quello familiare. Se anche Lorence è tornato indietro con la potenza di un tornado, almeno una volta è stato capace di cacciarlo. Perché non dovrebbe succedere ancora?
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    'Posso sempre ricordare a mamma e papà che l'ho visto spingerti contro il muro e stringerti il braccio.' Non si spiega il cambio d'opinione dei genitori. Sembrano quasi essere rimasti vittime di un incantesimo che ha distorto la visione della realtà, le memorie custodite nelle loro menti. Sarebbe più facile per loro, forse, se ragionassero con la stessa semplicità del ragazzo. Così si ripete mentalmente, scuotendo il capo prima di accantonare quell'aspetto per analizzarne un altro al fianco di Helena. 'Pensi che sia colpa tua?' Le chiede sincero, curioso e paziente, prima di intervenire ancora. 'Tu non hai fatto niente.' Non un'accusa, per quanto possa inizialmente sembrarlo. Dopo qualche altro attimo di un silenzio ingannevole, si appresta ad aggiungere l'ultima elementare considerazione che la testa gli suggerisce. 'La colpa è solo di chi le fa, le cose.'

     
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    Increspò il muso alle sue parole. Per quante buone fossero le sue intenzioni, dubitava sarebbe servito a qualcosa. Aveva incantato la mente dei suoi genitori, costringendoli a credere alle verità di Lorence. Imporre loro una visione differente, avrebbe soltanto peggiorato ogni cosa. Inoltre, il timore la cosa potesse in qualche modo ritorcersi contro Otis la immobilizzò. Per quanto tentata quindi si vide costretta a rifiutare la sua proposta d'aiuto, e a pentirsene amaramente l'attimo dopo. «Sì è che non credo servirebbe a molto.» Cercò quindi di dissuaderlo da quella possibilità, facendo spallucce.
    Si concesse qualche attimo di silenzio per recuperare la calma perduta. Le ci sarebbe voluto più di qualche attimo ma se lo fece bastare. Sospirò quindi infine scuotendo il capo e facendo spallucce. «A volte anche non fare niente è una colpa.» Gli confessò un pensiero non così irreale. Alcune tra le persone che più le erano state vicino, l'avevano accusata per la sua immobilità. Forse non avevano tutti i torti.
    Provò però a distogliere l'attenzione da quel pensiero, afferrando con uno scatto la mano del fratello. Anche se poco tollerava il contatto fisico, aveva bisogno di creare una connessione. Qualcosa di fisico e reale. Strinse la sua mano ricercando il suo sguardo.
    «Otis posso fidarmi di te, vero?» Sul suo volto comparve una supplica. L'unica che sperava avrebbe esaudito. «Me lo prometti che farai la cosa giusta?»

     
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