Numeri, 16:27

Castiel || Sobaki.

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  1. sinner.
     
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    Gli uomini si dimostrarono indocili, perciò Dio fece sì che la terra si aprisse ed inghiottisse uomini, donne e bambini.
    Numeri, 16:27. L'Antico Testamento era un tripudio di violenza. Dio puniva i suoi figli attraverso pene atroci e implacabili. Così facevano alcuni uomini con i loro simili e con i loro stessi figli, a testimonianza che l'uomo era davvero creato ad immagine e somiglianza di Dio. Ogni punizione che Cassandra aveva ricevuto negli anni della sua infanzia era stata una punizione venuta dal Signore che aveva agito attraverso i Rocha, strumenti nelle sue mani. Ma chi la puniva adesso?
    Se lo era chiesta molte volte. Si era domandata perché Dio avesse permesso che lei venisse liberata da quelle pene che con così tanta solerzia le aveva riservato nel corso dei suoi primi undici anni di vita. Quella sua creatura nata già dannata e corrotta, con il Male nell'anima, aveva meritato sofferenze da bambina, quando ancora i suoi peccati erano poca cosa - sebbene a lei apparissero atroci e le venissero presentati come tali - ne avrebbe dunque meritate ancor più da adulta. Ora che la veggente aveva assecondato il proprio dono impuro, asservendolo addirittura all'arte della Necromanzia, ora che le sue mani si erano macchiate di sangue, ora che la violenza che il suo cuore custodiva era emersa e si era riversata sul prossimo.
    Per un po' di tempo, la brasiliana aveva creduto che Dio - spinto da un moto di imperscrutabile benevolenza - avesse ridimensionato le sue pene, lasciandole il dolore di sapersi dannata, il senso di inadeguatezza, l'incomunicabilità e l'incapacità di comprendere ed essere compresa. Non era una sofferenza di poco conto, ma era comunque meglio delle punizioni corporali, delle penitenze e soprattutto delle gabbie. Tutto era meglio di una gabbia.
    Poi, il Signore aveva riso della sua ingenuità e le aveva tolto Luis.. Aveva acceso in suo fratello la consapevolezza di quanta oscurità si celasse in lei, di quanto poco meritevole d'amore fosse la gemella con cui aveva sempre avuto un rapporto simbiotico, aveva insinuato dubbi e insofferenza nei suoi pensieri e nel suo cuore. Lo aveva indotto a rivolgere tutto sé stesso verso altri lidi, perfetti sconosciuti che in breve avevano guadagnato un'importanza che - per qualche ragione a lei incomprensibile, malgrado anche il suo universo affettivo si fosse leggermente allargato - privava Cassandra di ogni cosa, escludendola definitivamente. E così Dio le aveva riconfermato che non c'era clemenza per quelli come lei.
    La lanterna esplose all'improvviso, i vetri infranti contro la parete rocciosa. Ne seguì un'altra e un'altra ancora, mentre l'anima di Cassandra ribolliva ed il suo corpo veniva sfiorato da schegge di vetro volanti che sbattevano contro la giacca di pelle nera e scivolavano a terra, le lasciavano una striscia rossa di sangue sul dorso della mano o, ancora, si infilavano nella fitta rete dei suoi ricci. La sua rabbia ignorò la tempesta che era stata in grado di provocare e la ragazza proseguì a passo spedito, lasciandosi alle spalle le tre lanterne distrutte e una figura maschile avvolta nella penombra a cui non sarebbe stata in grado di prestare attenzione.
    Sobaki. Odiava quel luogo. Odiava le prigioni. Quella, in particolare: strutturata in gironi, un cono che sprofondava nell'abisso della montagna, così simile all'Inferno descritto da Dante. Quel posto era un incubo che prendeva vita, eppure ogni volta poterne uscire e lasciarselo alle spalle donava a quella tortura un pizzico di piacere, di trionfo. Era proprio dietro le sbarre che Cassandra aveva appreso le più importanti lezioni su sé stessa: nelle gabbie dei Rocha, così come nel carcere in cui si trovava adesso, dove i prigionieri di Roeim l'avevano quasi uccisa. Avevano cercato di trascinarla all'Inferno con loro, forse riconoscendola come loro simile, ma l'orrore della dannazione eterna era per lei la principale spinta di attaccamento alla vita. Rimaneva ancorata ad essa con le unghie e con i denti, disposta a tutto pur di sopravvivere, senza nemmeno amare il mondo in cui lottava per restare.
     
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