Acqua cheta!

Sky

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    Come ero riuscita a superare quella giornata non lo sapevo nemmeno io.
    Dopo la lezione di difesa con mio padre ne ero uscita devastata. Sarebbe facile pensare al fatto di aver affrontato la mia paura oppure un dissennatore e sicuramente tutto questo aveva aumentato il fatto di sentirmi uno schifo ma no, non era per questo.
    L’ultima prova, il suo sguardo pieno di vergogna verso di me e le parole invece mosse verso… Ardélean…
    Anita. Sempre in mezzo. Iniziavo a non sopportarla più, mi veniva l’orticaria.
    Avrei voluto andare via subito da quella lezione e sparire, invece ero rimasta li fino alla fine. Poi in velocità mi ero alzata ed uscita superando dei ragazzi senza guardare nessuno negli occhi. Avevo passato la giornata da una lezione all’altra ma non ne avevo ascoltata mezza, fino all’ultima. Avevo saltato l’ultima lezione.
    Ero distrutta. Mi impegnavo, cercavo di essere all’altezza di migliorare ma non bastava mai. Per Lui non ero abbastanza. Non riusciva proprio a mostrarmi un po’ di amore paterno. E iniziavo a credere di aver perseguito qualcosa che non esisteva. L’amore in senso lato era il sentimento che mi guidava sempre e che puntualmente, nell’ultimo periodo, mi feriva di più. Nel mio stomaco cresceva un senso di pianto ma non solo, qualcos’altro si stava insinuando…
    Così andai nel dormitorio e presi il quaderno degli appunti, quello con la copertina in velluto verde dove scrivevo da anni appunti sulle piante e i loro “poteri” ed usi per poter curare le persone e non. Presi il diario dove ogni sera scrivevo i miei pensieri e le mie emozioni, presi dei libri che avevo acquistato, sia di materiale da studio che da lettura. Rinchiusi Liam nel trasportino ed Etto nella sua gabbietta, lasciai la borsa e presi la bacchetta.
    Il respiro era irregolare ed il cuore stava esplodendo. Il mio viso ribolliva. Uscì dalla sala comune con le braccia piene del materiale e la bacchetta, con la divisa stropicciata e mi guardai intorno. Iniziai a camminare senza meta nei sotterranei fino a bloccarmi davanti la porta di una delle tante aule dismesse e piene di oggetti accatastati, che erano inutilizzati. Una di quelle più isolate.
    Entrai senza badarci oltre, lasciando cadere su un tavolo di legno mal concio i diversi libri, ed accesi le fiaccole che erano ai lati «Incendio» la voce fioca ma adirata e dura.
    Andai verso i libri e feci scorrere la mano sopra. Presi il diario e lo aprì.
    12 giugno 2018
    ….
    Vorrei andare al mare, ma non posso. Mi piacerebbe nuotare nelle sue acque ed affondare i piedi nella sabbia.
    So che mio padre lo fa per me. Sono certa che quando sarò più grande mi lascerà scoprire il mondo e forse lo faremo insieme. Sarebbe bellissimo!
    “ Lo fa per me” lo dice sempre, devo solo pazientare.
    Io gli voglio bene.

    Una lacrima stava scendendo rigando la mia guancia fino a terminare la sua corsa sul foglio macchiandolo e poi la sua voce risuonò nella mia testa, quelle parole a lezione “Non sia dura con se stessa Signorina Ardélean…” Il suo sguardo verso di me e qualcosa iniziò a cresce sempre di più. Lanciai il diario verso un punto indefinito e mentre stava letteralmente piombando a terra afferrai la bacchetta e «BOMBARDA urlai, facendolo esplode il diario in tanti pezzi. Le mani tremavano ma quella sensazione sembrava farmi star bene almeno sul momento… Era come se tutto quello che stavo provando in quel frangente si incanalasse nel mio braccio e poi nella bacchetta, aumentando il potere dell’incantesimo. Allora presi un altro libro e «REDUCTO urlai ancora mentre il libro si ridusse in briciole.
    Rabbia, delusione, paura… si stavano mischiando. «Sono debole… eh? DIFFINDO Tagliai a metà un tavolo già malconcio «Ma non è mai venuto ad insegnarmi lui stesso qualche incantesimo…» aggiunsi guardando quei minuscoli brandelli di polvere scivolare a terra.
    «Una puttana… eh? BOMBARDA…» una mensola appesa esplose… Dopo il boato l’unica cosa che si sentiva era il mio respiro affannoso quasi come se stessi ringhiando.
    Alcune schegge volarono qua e la lasciando dei graffi sulle gambe scoperte dalla gonna della divisa, ma non sentivo nulla.
    «Gli faccio schifo! LACARNUM INFLAMAREEEE il quadernetto con gli appunti prese fuoco …
    Gli occhi neri ma senza nessuna luce e i capelli neri come la notte. Il viso rigato dalle lacrime e contorto da una rabbia e da una delusione troppo grande. La luce delle fiamme illuminava il mio viso mentre i capelli sembravano leggermente più lunghi o forse lo erano e stavano cambiando colore diventando rosso intenso.


     
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    Le lezioni della giornata erano state particolarmente impegnative. Alle prime ore avevamo avuto difesa contro le arti oscure e lì non avevo dato proprio la miglior prova delle mie capacità. Dinnanzi ai dissennatori mi ero come spenta, il ricordo della serata di Halloween tornava prepotentemente alla mia mente. Quella sera, complice la paura di morire e la consapevolezza di dover aiutare a tutti i costi, ero riuscita a castare un patronus non corporeo, ma pur sempre sufficiente a fermare una delle creature con l'aiuto di Axel. Eppure dopo aver fatto ciò tutto era degenerato, un dissennatore era riuscito a resistere ai nostri traballanti colpi e con malignità aveva spento la vita nel corpo di Axel, che prima di venir risucchiato via da un misterioso vento, era rimasto a terra privo di forze. Ne ero rimasta scioccata, profondamente turbata e al tempo non potevo minimamente immaginare che fosse tutto un trucco, una sorta di crudele gioco atto a spingerci fino al nostro limite. Per la prima volta quella sera avevo visto Mors, il compagno di stanza non che grande amico del Bulgaro, disperato, distrutto e iracondo per ciò che era capitato al suo amico, mi aveva fatto quasi compassione ma nella mia testa in quel momento vi era un solo pensiero. Axel era morto a causa sua, nonostante il Serpeverde tentasse crudelmente di affibbiare le colpe a me, e ciò non riuscivo proprio a perdonarglielo. Aveva avuto inizio uno scontro, scontro durante il quale stavo avendo nettamente la peggio, poi il nulla. L'ultimo sbuffo d'aria rimasto nei miei polmoni stava lentamente abbandonato il mio corpo, ma prima che ciò potesse accadere ci ritrovammo tutti fuori dalle mura del cimitero, sani, curati e soprattutto tutti vivi. Non avevo realmente capito cosa fosse successo, ma vedere che tutti stavano bene era stata una gioia infinita, una liberazione dell'anima e un sollievo per il cuore. Quella sera un grosso macigno era riuscito a sollevarsi dal mio petto e mi aveva permesso di ricominciare a respirare tranquillamente, senza dovermi sentire in colpa per l'ossigeno che aspiravo ed espiravo. Nonostante ciò, durante la lezione mi era stato davvero impossibile concentrarmi a dovere, non riuscivo a togliermi dalla mente quell'orribile ricordo e ciò aveva compromesso le mie prestazioni già precarie di loro in seguito a quanto visto durante la prova precedente. La forma che il molliccio di Padme aveva assunto mi aveva tormentato per tutte le lezioni a seguire. La sua paura più grande ero io e ciò mi lacerava nel profondo. Mi sentivo una persona orribile, così sbagliata e cattiva da essere temuta da quella che un tempo era la mia fidanzata. Era un colpo basso, un boccone troppo grande da mandare giù, una macchia sulla mi coscienza che non sarei mai riuscita a ripulire del tutto. Mi domandavo cos'avessi di sbagliato e perché da sola non riuscissi a capirlo. Avrei voluto chiederle spiegazioni ma ero troppo spaventata da ciò che mi avrebbe potuto rispondere, per cui tacqui semplicemente e attesi il terminare delle lezioni per avventarmi verso le cucine ed elemosinare un po' di cibo dagli elfi. Ero quasi arrivata davanti all'ingresso delle cucine quando un grosso frastuono attirò la mia attenzione. Proveniva da un'aula dismessa e stava attirando non pochi sguardi di studenti incuriositi. «Che avete da guardare? Circolare prego, ci penso io qua» Intimai a qualche primino curiosone che tentò di raggiungere la fonte del rumore prima di me. Se lì dentro ci fosse stata una qualche creatura impazzita giunta per caso o qualche studente intento a duellare fuori dall'aula apposita, sarebbe stato sicuramente rischioso far avvicinare dei giovani studenti all'aula. «Si può sapere che succede qui dentro?» Esclamai con tono autoritario aprendo con cautela il grosso portone il legno. «Rose?» Per qualche secondo dubitai della mia stessa vista. I capelli lunghi e dello stesso colore del fuoco avrebbero potuto trarre in inganno molti, ma il dolce tono di voce indurito dalla rabbia della ragazza di fronte a me, era inconfondibile. La ragazza che aveva appena appiccato un fuoco all'interno del castello era proprio Rose. «Finite incantatem» Urlai estraendo dallo stivale e puntando il mio catalizzatore verso quello che sembrava essere una sorta di libro. «Rose, calmati, che succede?» Domandai avvicinandomi con cautela e con i palmi alzati davanti a me per non spaventarla. Sembrava totalmente fuori di sé.
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    Ero di spalle che camminavo avanti e indietro con tanta rabbia e delusione dentro di me. Nulla andava nel verso giusto, nulla.
    Mi voltai sentendomi chiamare per nome e vidi Sky sulla porta che stava spegnendo il piccolo “incendio” e che cercava di avvicinarsi a me.
    Mi voltai di scatto «Ah… ecco, ecco… Ti sembro una stupida?»domandai mentre i miei occhi scuri quasi ardevano di una luce strana «Eh? Rispondi… SONO STUPIDA!» Continuavo ad andar avanti ed indietro mentre agitavo la bacchetta davanti a me prima in direzione di Sky e poi nell’altra direzione. «Studio, leggo, lavoro, mi applico in tutto e per cosa???» Mi mossi veloce in direzione del tavolo dove ancora c’erano fogli sparsi e qualche libro leggermente bruciacchiato. Puntai la bacchetta «Bombarda!» dissi facendo saltare il povero tavolino già mezzo distrutto «Vedi? Sono capace… ma per lui non sono abbastanza… » La voce dura e piena di rabbia, tirai un calcio ad un asse che era nelle vicinanza del mio piede destro… «Dai… su… analizziamoci. Le persone ti mollano come un pacco vuoto… che importa se stai mal, se stai bene… mandiamo tutto a puttane così.. come se non ci fosse un domani! Ma Si!» dissi sempre arrabbiata e lanciai un locomotor tavolo, per spostare un altro tavolo che mi impediva di passare o almeno mi impediva di passare nel punto in cui io avevo deciso di voler passare. Mi voltai nuovamente verso Sky e mi avvicinai a lei continuando a gesticolare con la bacchetta «Allora tu cerchi di aiutare e cosa succede? Eh… cosa? CHE FERISCI LE PERSONE E MI SENTO UNO SCHIFO!» Urlai verso la corvonero. La rabbia stava risalendo ancora, pensando a quello che avevo fatto a Sky. Ero in buona fede, volevo aiutare due amici ed invece era finito tutto all’aria «Reducto!» lanciai senza guardare dove e il mal capitato fu un calderone completamente rotto.
    Il respiro era affannoso e la stanza non mi sembrava così grande, la mia vista era alterata. Scoppiai in una risata inquietante e feci il verso a mio padre «”Non sia dura con se stessa…” certo… “Davvero molto bene…”» Mi fermai un secondo abbassando la mano con la bacchetta, alzai lo sguardo verso Sky e la fissai negli occhi «E a me… mi ha guardato come se fossi la feccia di questa terra…» Il mio viso stava diventando pallido e i miei capelli stavano perdendo il rosso «Conosco il suo sguardo…» e li che divennero neri e i miei occhi si riempirono di lacrime… «Per un momento avevo creduto di…» non finì la frase, ma durante la lezione quando avevo risposto alle sue domande ed ero riuscita con il molliccio, mi era sembrato di vedere come una piccola luce. Invece mi ero sbagliata o avevo frainteso oppure… non sapevo nemmeno io cosa pensare ero completamente confusa.
    «Non basta mai… ho accettato la spilla per dimostrargli di essere capace… ma…» Mi appoggiai con il fianco a un tavolo che sembrava decente rispetto agli altri. L’odore di fumo aleggiava nella stanza e la polvere dei diversi libri ed oggetti andati in frantumi era ben presente. «Diffindo!» dissi a voce più bassa contro le pagine del libro sulle piante magiche. Il fascio di luce uscì dalla mia bacchetta con potenza. Mi lasciai scivolare a terra accompagnando il movimento con la forma del banco che mi fece da appoggio per la spalla. Appoggiai le mani a terra e la bacchetta fece rumore quando incontrò il pavimento.
    Ero distrutta emotivamente. Le lacrime tenute ferme dalle ciglia inferiori rendevano la mia vista annebbiata. «Non volevo, farti del male…» dissi con tono di voce basso e ferito. Ero certa che Sky avrebbe capito senza altre spiegazioni.
    Lasciai andare indietro la testa, poggiandola alla gamba del banco e mi misi a guardare in aria «Perché? Perché nulla va bene… perché vanno via le persone a cui tengo? Sono io il problema, vero?» Feci un piccolo respiro «Perché non riesco a renderlo orgoglioso, anche solo un po’…» Dei brividi attraversavano il mio corpo e la mia mente andava oltre le mura della stanza ed oltre Hogwarts. Le sue parole che ferivano, i miei stupidi dispetti finiti nel vuoto. Kynthia non poteva essere mia amica, Lui non era orgoglioso di me, Sky… Non sapevo nemmeno cosa pensava in quel momento. Avrei voluto scappare, prendere e smaterializzarmi via. Eppure nello stesso momento, la cosa che realmente mi serviva non era restare sola, ma avere qualcuno su cui contare. Il molliccio aveva mostrato qualche ore prima la mia paura. Eccola li. Ero seduta a terra arrabbiata e piena di paura che piangevo per essere stata allontanata e con il terrore di aver perso altro. Portai le ginocchia al petto ed appoggiai la fronte su di esse, nascondendo il viso e lasciando cadere i capelli lateralmente, come una tenda che poteva nascondermi da tutto.



     
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    La ragazza davanti a me sembrava solo un lontano ricordo della Rose che avevo imparato a conoscere. Nei suoi occhi una furia di cui non credevo capace, continuava a crescere e la spingeva a fare gesti sciocchi e pericolosi che avrebbero potuto metterla in situazioni spiacevoli, in quanto caposcuola. La carica che ricopriva portava con sé determinate responsabilità dalle quali non poteva sfuggire e l'essere una studentessa modello e responsabile, era proprio uno di quelli. Tutto il contrario di ciò che si stava dimostrando in quel preciso istante. Alla sua domanda non potei fare a meno che inarcare stupita un sopracciglio. Sapeva bene che non l'avevo mai considerata una stupida, anche se l'atteggiamento che stava assumendo davanti a me sembrava dire tutto il contrario. Non ci si poteva permettere di scoppiare in un modo simile all'interno delle mura scolastiche, non era per nulla saggio e l'unica cosa che avrebbe ottenuto così facendo sarebbe stata una punizione esemplare, qualora a sorprenderla non fossi stata io ma un professore. «Rose, smettila!» Tentai di gridare all'ennesimo incantesimo che la Tassorosso decise di castare contro un tavolino già di per sé malconcio. La mia voce non raggiunse le orecchie sorde di rabbia della ragazza, che imperterrita continuò a fare a pezzi l'aula. Era dominata da una furia aggressiva e la capivo, per quanto il suo atteggiamento stesse mettendo a dura prova i miei nervi. «Rose!» Il mio tono severo fu tale da attirare per una frazione di secondo la sua attenzione su di me. «Non puoi dargli così tanto potere, guarda cosa ti sta portando a fare» Allargai le braccia davanti a me per farle scrutare l'aula e comprendere quando stesse dando di matto. «Cosa ottieni a fare una scenata simile? Ti sfoghi? E poi? Poi che succede se vieni sospesa per aver distrutto una proprietà privata?» Le Domandai tentando di riportarla alla ragione mentre mi avvicinavo a una Rose ormai distrutta e sfinita che pian piano si accasciava sul pavimento contro un tavolo. «Cosa ottieni di concreto? Nulla. Ecco cosa...» Affermai infine accocolandomi al suo fianco e prendendole la testa per portarmela al petto, dove avrebbe trovato un caldo abbraccio di conforto. Non avevo mancato di cogliere il suo chiaro commento per ciò che riguardava Christian e il suo stupidissimo piano di "riconquista", ma non mi sembrava per nulla il momento di tirare nuovamente fuori l'argomento. Sapevo che lei lo aveva fatto in buona fede per aiutare noi, o almeno era ciò di cui si era convinta in seguito alle richieste di Christian, ma ciò non toglieva che per me era ancora una ferita aperta e difficilmente ci sarei passata presto sopra. Con un veloce gesto del polso tentai di rimettere a posto quanto più possibile l'aula, in seguito a svariati incantesimi e quando il più fu fatto, tornai a prestare la mia attenzione su Rose e cercai di darle il conforto di cui era evidente necessitasse. «Rose, non sei te il problema e non lo sarai mai. È il mondo che è un posto duro e sai cos'è ancora più duro?» Le domandai sorridendole. «La testa delle persone» Scoppiai a ridere sperando che pure lei, almeno in parte, facesse lo stesso. «Purtroppo non possiamo decidere noi per gli altri e se prendono decisioni stupide o ci trattano male, possiamo solo reagire di conseguenza...» I suoi capelli corvini mi aiutavano a capire quanto fosse giù di morale e più che aiutarla a parole non avrei saputo cosa fare, non avevo così tanta confidenza con lei e temevo di fare o dire qualcosa di sbagliato che potesse addirittura farla scoppiare nuovamente. Mi sembrava di star camminando su un campo minato e dovevo stare attentissima se non volevo rischiare di far esplodere tutto. «Dimmi, cosa ti ha realmente spinto a fare questo?» Domandai curiosa cercando di sollevarle la testa per fissarla nei suoi occhi buii come il carbone. Volevo capire.
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    La voce di Sky ancora echeggiava nella mia testa. Il pavimento freddo e duro, in quel momento mi sembrava il posto più caldo e comodo, semplicemente perché non lo stavo nemmeno percependo. La rabbia mi risaliva e poi si univa alla paura di non riuscire più a essere, o meglio, diventare come gli altri volevano. Tutto condito dalla gelosia della lezione di quella giornata. Non ero consapevole nemmeno io come potevo provare un miscuglio di emozioni del genere ma ero così. Ero così passionale in tutto, ogni stato d’animo lo vivevo al massimo, quindi ogni gioia e ogni dolore, ogni paura e ogni amore...
    Sky stava dicendo che non ero io il problema che erano gli altri ma non ne ero convinta affatto. Poteva sembrare che non stessi ascoltando le sue parole ma non era così. Anche se le lacrime continuavano a scendere e a rigare il mio viso nascosto, percepivo e assimilavo tutto. Sentì le sue mani prendere delicatamente il mio viso e sollevarlo. I miei occhi incrociarono i suoi e mi sentì rapita per qualche secondo da quella profondità.
    Come potevo rispondere alla sua domanda senza cadere nella trappola “bocca larga” come ormai mi definiva lui. «Io...io non ne sono sicura» balbettai mentre continuavo a singhiozzare e a tirare su con il naso. Per un attimo i miei occhi si spostarono da lei e presi a pensare «Io so come vi guarda e ho paura che non guarderà mai me così... oggi a lezione mi sono sentita...» le lacrime ripresero a scendere ancora più intensamente e la rabbia stava risalendo dallo stomaco che continuava a contorcersi «La odio! Odio quella serpe di ragazza... Anita... e lui l’ha consolata l’ha incoraggiata. Mai, nemmeno una volta ricordo una parola verso di me così... Sky!» la mia voce stava diventando nuovamente dura e piena di odio. «Mi impegno tanto ma sembra che … non basti mai.» Presi un pezzo di legno che era nelle mie vicinanze e lo lanciai contro il muro. «Sai cosa? In realtà odio me. Lui, mio Padre, ha ragione...» mi voltai verso la corvonero «mi mangerete Sky... e io non saprò difendermi. » Il reflusso salì fino alla gola tanto che dovetti chiudere gli occhi per respingere il tutto «Faccio solo disastri e non valgo nemmeno come amica. Guarda Kynthia non è riuscita a restare vicino a me... guarda te... » finì la frase quasi in un sussurro. Presi la bacchetta e la girai nella mano destra passandola tra le dita. «mi spiace... » dissi portando le ginocchia al petto ed appoggiando la testa sopra di esse chiudendomi a riccio come a voler implodere, mentre il mio sguardo iniziò a spegnersi perdendo la lucentezza e il mio volto divenne quasi grigiastro. I capelli ritornarono castani ma senza lucentezza, come se qualcuno vi avesse gettato sopra del talco o della farina. Apatia, rassegnazione... non sapevo nemmeno io cosa fosse. Avevo creato un bel casino ma non mi importava, in fondo non andava nulla nel verso giusto. «”...Non sia dura con se stessa...”» ripetei a bassa voce come un mantra, come un pugnale che si conficcava ancora di più nella ferita. Mi avrebbe lasciato svenire li? Cadere a terra e chissà forse farmi male... Ma no c’era la salvatrice vicino a me, colei che era riuscita a fargli accendere quella piccola luce negli occhi. Pensare di scappare era inutile, ne avrebbe pagato il conto Amelia. Non sapevo cosa fare, ma ero davvero a pezzi e per poco non avevo incendiato la scuola. Le mani continuavano a tenere stretta la bacchetta mentre le mie dita divenivano fredde. Alcune piccole ferite avevano smesso di sanguinare e i graffi del legno esploso adornavano le mie gambe pallide e le mie guance. Quanto avrei voluto che mia madre fosse con me a darmi uno dei suoi calorosi abbracci, a sentire la sua voce “ Rosie... adesso arriva...un ABBRACCIO STRITOLOSO!” Le lacrime non osavano fermarsi ma il mio respiro divenne meno sonoro ma con più affanno. Forse, nonno aveva ragione quel lontano giorno di tanti anni fa quando parlando a mio Padre gli disse che avrebbe dovuto eliminare il problema alla radice. Il “problema” ero io. Nessuno sapeva che avevo ascoltato la loro conversazione casualmente passando dal salotto insieme ad Amelia. Non avevo mai dimenticato le sue parole.





     
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