Let you down

◘ Freya

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    Nel svegliarmi ho provato il terrore di non sapere più chi sono, di non ricordare niente della mia vita, di rivivere ciò che ho passato quattro anni fa.
    È stata una strana sensazione, perché temere queste cose mi ha dato la conferma che questa volta non ho perso la memoria. So chi sono, sono Shiloh Arthyen Goodwin e ricordo ogni singola persona che fa parte della mia vita.
    Ricordo Hel. Ed è il suo pensiero il secondo ad affiorare nella mia mente. Hel a cui ho mentito. Hel che prima o poi scoprirà cosa è successo, che saprà delle bugie che le ho raccontato e che probabilmente mi lascerà.
    Forse nemmeno lei sarà in grado di perdonarmi e questo mi spaventa. Tutto mi spaventa in realtà.
    Mi spaventa l’idea di aver rischiato ancora una volta di morire, ho provato un terrore indescrivibile nel risvegliarmi in una stanza del San Mungo da solo e confuso, ho provato paura nel rendermi conto che parte del mio volto è fasciato ed il mio occhio destro coperto. Mi sono ricordato del Dolohoferio che lo ha colpito e la paura si è trasformata in nausea, probabilmente non vedrò più da questo occhio.
    Lo stesso incantesimo mi ha colpito in altri punti, lo ricordo bene e ricordo il dolore prima di collassare. Non lascia segni, di questo ne sono grato, ma mi è stato detto che il Sectumsempra che mi ha colpito di striscio sul volto e la spalla potrebbe lasciarne.
    Mi è stato detto anche che sono stato fortunato, perché in molti casi il Dolohoferio può essere letale, e che tra qualche giorno potrò uscire di qui come nuovo.
    Non mi sento fortunato. Penso ai miei genitori e a quando verranno a sapere cos’è successo, a quanto starà male mia madre, a quanto sarà deluso mio padre. Dopo quello che hanno passato quando sono scomparso, non è giusto che rivivano qualcosa del genere e mi odio per questo.
    Avrei dovuto smettere con le scommesse quando ho promesso ad Hel che lo avrei fatto, mantenere quella promessa, evitare di venderle un mare di bugie. Sono un idiota e non ho vergogna di ammetterlo. L’unica cosa di cui ho vergogna sono me stesso.
    Quando la porta si apre lentamente, mi volto verso di essa, un’infermiera si affaccia, probabilmente per controllare se sono sveglio, e sorride. - Tua sorella è qui.
    Sento un tuffo al cuore nel pensare a Freya che è qui, che mi vedrà conciato in questo modo e vorrà spiegazioni. È il mio contatto d’emergenza, è ovvio che l’abbiano contattata. Mi chiedo se abbia già avvertito i nostri genitori, in cuor mio spero non l’abbia fatto ancora.
    Quando mia sorella entra e l’infermiera ci lascia soli richiudendo la porta, mi tiro a sedere, seppur mi senta nauseato ed il solo movimento mi faccia girare la testa. Per un attimo rimaniamo in silenzio e realizzo che non può sapere il motivo per cui mi trovo al San Mungo, non possono averglielo detto perché non lo sanno nemmeno loro, ho finto di non ricordare cosa sia successo e devono aver pensato ad una semplice aggressione. Potrei mentirle, ma all’improvviso capisco di non volerlo fare, che ho smesso di mentire a tutti, che le bugie non mi hanno portato niente di buono. Dunque abbasso lo sguardo e mi mordo le labbra. - Mi dispiace… - è la prima cosa che le dico e forse non capirà il motivo per cui mi sto scusando. Inspiro, cercando il coraggio che un po’ mi manca. Non ho mai nascosto di essere un vigliacco ed in fondo tra noi due la Grifondoro era lei. - Ho ricominciato con le scommesse… qualche anno fa. Ve l’ho tenuto nascosto per tutto questo tempo. Sono qui al San Mungo per questo motivo… mi sono fatto quasi ammazzare, come è successo anni fa…
    Non riesco a guardarla, perché non sopporterei di vedere la delusione o la rabbia nello sguardo di mia sorella minore. - Mi dispiace, Jae… ti giuro che questa è l’ultima volta, ho chiuso davvero…
    Deglutisco. - Hai già avvertito mamma e papà?
     
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    "Cosa gli è successo??" Una domanda ripetuta e ripetuta, ma senza mai una vera risposta. Nemmeno i dottori erano davvero certi di quel che era accaduto a suo fratello, ma la cosa peggiore era che l'unica cosa che che erano stati davvero capaci di dirgli, oltre allo fatto che sembrava aver rischiato ancora una volta di morire, era che non sapevano gli eventi che lo avevano ridotto in quello stato perché lui stesso non ricordava. E sicuramente l'infermiera che glie lo aveva detto intendeva che non ricordava semplicemente l'accaduto che lo aveva fatto finire in ospedale, ma quelle parole la fecero comunque rabbrividire e temere che la mancanza di memoria si estendesse a molto di più, rimasta ormai traumatizzata dalla volta precedente. La paura che questo potesse essere accaduto di nuovo, che una volta entrata nella stanza in cui era ricoverato lui non l'avrebbe nuovamente riconosciuta, la spaventava da morire. Non che poi si fosse mai realmente ricordato di lei; si era certo riaffezionato a lei come una sorella, ma i ricordi del loro passato familiare non erano mai tornati a galla e questo non aveva smesso mai di farle male, nonostante non fosse solita a ritirare fuori l'argomento. Sperava ancora che un giorno la memoria di Shiloh sarebbe tornata, unendo tutti i nuovi ricordi che avevano creato da quando era tornato con quelli vecchi, che erano per lei i più importanti. Seguì quella stessa infermiera finché questa non si fermò di fronte a una porta che aprì lentamente, troppo lentamente vista la fretta che aveva Freya di vedere suo fratello. E difatti, quando questa glie lo permise, l'entrata della ragazza fu veloce, scansando con un gesto non voluto l'infermiera che la divideva dalla sua meta. Appena entrata non fu nemmeno in grado di dire niente, si bloccò nel vederlo con quella fasciatura sul viso, ferito e stanco. Non riuscì a dire niente, perché aveva paura che se solo avesse detto qualcosa l'altro le avrebbe semplicemente chiesto chi era. Aspettava solo che lui dicesse qualcosa che mettesse fine a quella paura, e lo fece, ma in modo differente da quello che si sarebbe aspettata. Un mi dispiace che la rese solo più confusa di quel che già era. Sbatté le palpebre e sospirò, almeno si ricordava di lei, o quelle scuse che non riusciva a comprendere - insieme al suo sguardo che non ricordava di certo uno che si era dimenticato della sorella - non ci sarebbero stati. "Ti dispiace cosa? Qui nessuno ha saputo dirmi niente, cosa ti è successo? Chi ti ha fatto questo?" Disse avvicinandosi definitivamente a lui, l'espressione preoccupata sul viso e le mani che, mentre si sedeva sulla sedia accanto al letto, si allungavano per stringere quelle di Shiloh. Ma lui non riusciva nemmeno a guardarla negli occhi e questo non presagiva nulla di buono in quello che sembrava stesse per dirle. E difatti, quando si prese coraggio, le sue parole la lasciarono di sasso. Teneva ancora le sue mani mentre il suo cervello si ritrovava a fare improvvisamente gli straordinari. Bugie, ancora una volta. Si era quasi fatto ammazzare, ancora una volta. Diceva di aver chiuso, ancora una volta. E quando realizzò davvero le ammissioni di Shiloh, in un attimo le sue mani mollarono quelle del fratello e si alzò di scatto dalla sedia, facendo un passo indietro. La testa le stava girando e avrebbe voluto sfogarsi buttando fuori tutte le lacrime che le si stavano formando a causa della delusione, mischiata a una preoccupazione che comunque non osava sparire. Era suo fratello, poteva aver fatto anche lo sbaglio peggiore del mondo, ma si sarebbe sempre preoccupata e avrebbe fatto di tutto perché stesse di nuovo bene. Ma.. non ce la faceva ad accettare quella verità arrivata troppo tardi. E poi ci si chiedevano perché faticasse tanto a fidarsi delle persone e a lasciarle superare quell'armatura che si era creata; se il suo stesso fratello, la persona a cui si era sempre sentita più vicina, era capace di mentirle e nasconderle cose così importanti, come poteva pensare che qualcun altro si sarebbe comportato diversamente? E così fece quello che ormai si era abituata a fare, facendosi forza da sola fin dal giorno in cui Shiloh anni prima era sparito. Cosa avrebbe potuto ottenere mai dalla tristezza se non sofferenza e vulnerabilità? Ed era in seguito a questa domanda che poneva a se stessa che arrivava la rabbia. Quando il cervello iniziava a capire che forse non c'era niente che avrebbe potuto fare per impedirle di sentirsi triste, allora era lì che iniziava a capire che l'unico modo era costringere se stessa a non esserlo. Non era sano trasformare un'emozione in un'altra per non affrontarla, ma era quello che faceva, era quello che stava facendo anche in quel momento. "Come hai potuto?" Chiese in un primo momento, palese la delusione nella sua voce. "Ti importa così poco delle persone che ti sono vicine? Non ti è bastato farci questo una volta? Ma si, ricominciamo a mentire e rischiamo di farci ammazzare di nuovo che tanto ormai ci sono abituati alla sensazione di perdermi, che sarà mai." Il tono accusatorio della voce che andò sempre di più ad alzarsi. "Sei mio fratello e sai che farei di tutto per te, ma tu ti sei comportato ancora una volta da fottuto egoista!" Una parte di lei ora stava urlando per prendere il sopravvento e portarla ad abbracciarlo, ad ammettere di essere felice che perlomeno era vivo. Ma lei era sollevata che fosse vivo e che non avrebbe dovuto piangere un'altra volta la sua morte, ma era anche troppo arrabbiata per ammetterlo. Voltò per un momento lo sguardo verso il vuoto in cerca del controllo, prima di riportare lo sguardo su di lui. Quando lo fece gli si riavvicinò, incurvandosi alla sua altezza e stavolta forzandolo a guardare - con la sua unica iride verde scoperta - dritto nei suoi occhi azzurri che ora, non più lucidi come prima, parevano in grado di poter ghiacciare anche l'inferno. "E si, Shiloh, ho già avvertito mamma e papà." Shiloh, non Arthy. "E spero per te che quando arriveranno e ti vedranno in questo stato almeno loro crederanno alle tue scuse e all'aver chiuso, perché io proprio non ci riesco." Tornò a schiena dritta, scuotendo lievemente la testa in segno di dissenso. Facile dire di aver chiuso dopo essere quasi morto.

     
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    La preoccupazione negli occhi di Freya, il modo in cui si avvicina e mi afferra le mani, ogni suo più piccolo gesto e più piccola dimostrazione di premura nei miei confronti, mi fa sentire ancora più miserabile e stronzo.
    Non lo merito e tra non molto lo penserà anche lei, quando saprà la verità.
    Mi fa stare male il modo in cui mi afferra le mani, non mi rassicura affatto, riesco solo a pensare ad ogni mio singolo errore e a come sia stato io a mettermi in questa situazione.
    Vorrei potermi lasciare andare, dirle quanta paura di morire abbia avuto, quanta paura abbia tuttora: se davvero non dovessi più riuscire a vedere dall’occhio destro, come cambierà la mia vita? Sarà un grosso problema?
    È stato già brutto risvegliarsi e rendersi conto di come sia tutto buio da quel lato. E poi, forse sono superficiale, ma non ho avuto modo di vedere il segno che potrebbe rimanere sul mio volto, ho paura di quanto sarà grande o visibile, paura che sia qualcosa che modificherà totalmente il mio aspetto.
    Però non posso dirle tutto questo, perché non sarebbe in grado di rassicurarmi ora che le ho detto la verità, ora che il suo sguardo sta mutando da preoccupato a confuso ed infine profondamente deluso.
    Ho come l’impressione che questo sia il primo di tanti sguardi delusi che riceverò e lo so che è solo colpa mia, ma non posso fare a meno di sentire una stretta allo stomaco.
    Se potessi piangerei come l’idiota pappamolle che sono, ma non credo di averne alcun diritto, per cui mi trattengo quando le mani di Freya lasciano andare le mie non appena prende consapevolezza di quanto le ho rivelato.
    Come ho potuto, chiede lei, ed io non ho una risposta. Non ho una cazzo di giustificazione, perché ha ragione lei, ho fatto loro una cosa del genere già una volta, ho fatto passare loro l’inferno per un anno e sono un egoista.
    Forse ha ragione anche nel dire che non mi importa abbastanza delle persone che ho vicino. A me importa unicamente di me stesso, credo sia sempre stato così, vero?
    Però se penso a lei, se penso a mamma e papà e a quanto abbia imparato ad amarli pur non ricordando niente di loro… non sarebbe dovuto essere così se non mi fosse importato degli altri, no?
    E poi penso ad Hel e alla sua River che ho iniziato a sentire un po’ mia, penso a come sia disposto a farmene carico prima o poi, ad essere… non so, una specie di padre per lei… qualcuno a cui non importa lo farebbe? - Questo non è vero, mi importa di voi! - e forse non c’è momento peggiore per dirlo, non sono di certo nella posizione per essere creduto, vero? E quante occasioni ho avuto in questi ultimi anni per dire loro quanto siano importanti e non l’ho mai fatto? - Non… non potrei farcela senza di voi.
    Distolgo lo sguardo perché non riesco a guardare quegli occhi così carichi di rabbia, delusione e scetticismo. - Lo so che non è abbastanza, ma mi dispiace! Mi dispiace per avervi mentito, mi dispiace per avervi messo di nuovo in una situazione del genere. Mi dispiace di avervi fatto soffrire! Mi dispiace se non mi ricordo di te, ok?! Ho sbagliato tutto fin dall’inizio e mi odio per questo, non hai idea di quanto mi odi…
    Deglutisco, come se bastasse a mandare giù il nodo che sento improvvisamente in gola. Ovviamente no, non basta, anzi sembra crescere ancora di più ed io non so come impedirlo. - Non so perché abbia continuato a farlo conoscendo i rischi… credo… credo di avere un problema, Jae - è la prima volta che lo ammetto ad alta voce - Una dipendenza…
    Dai soldi, da quanto sia facile farne in questo modo ed il pensiero di separarmene mi ha sempre frenato. Anche a costo della mia stessa vita e a quanto pare a costo della vita della persona che amo, visto che non mi ha fermato nemmeno l’aggressione subita con Hel.
    Alzo lo sguardo su di lei, quando mi costringe a farlo, i suoi occhi non sono più lucidi, ma in compenso è il mio ad esserlo. Non mi sfugge il fatto che mi chiami Shiloh e per quanto possa sembrare una cosa stupida, fa male. Siamo sempre stati Jae e Arthy per noi, so che lo era anche prima che perdessi la memoria ed il suo chiamarmi con il nome che uso solitamente, mi sa di distacco. Sento un tuffo al cuore nel sapere che mamma e papà stiano venendo, nel sapere che dovrò affrontare anche loro e la loro delusione. - Non ti biasimo se non mi credi. E nemmeno per la tua rabbia… tu hai ragione. Sono un egoista e voi non meritate di stare male a causa mia. Non so che darei per tornare indietro e avere ancora tutti i miei ricordi e non ferirvi così…
    Continuo a sostenere il suo sguardo, finché non mi sembra di essere troppo stanco per farlo. Anche stare seduto così a lungo mi sta togliendo ogni energia, eppure non voglio demordere. Chino la testa, sentendomi drenato. - Spero potrai perdonarmi un giorno.
    Spero mi vorrai ancora bene.
     
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    Non ci riusciva. Freya non riusciva a credergli. Sentirgli dire che a lui importava di loro, della famiglia, gli sembrava quasi una presa in giro. Forse un tempo era così, quando i suoi ricordi erano ancora tutti intatti e lui era il fratello maggiore a cui Freya voleva tanto bene. Ma ora? I suoi tentativi di riavvicinarsi alla famiglia dimenticata lo avevano davvero portato a riprovare l'affetto di un tempo? Una domanda che si poneva e a cui faticava a dare una risposta positiva. Una domanda che a lui non aveva mai posto direttamente, troppo timorosa di ricevere una risposta che confermava solamente di non essere riuscito a tornare a provare i stessi sentimenti di una volta. Ed ora si ritrovava a credere che le sue parole fossero solo un contentino, un risarcimento per quella delusione appena subita. "Ne sei proprio sicuro?" Non si aspettava una risposta, era solo una domanda retorica a quell'ammissione di non potercela fare da solo. Non si era posto il problema di non farcela senza di loro quando si faceva quasi ammazzare, dopo altri anni di bugie. La parte peggiore arrivò con i suoi mi dispiace. Parole che avrebbero dovuto dimostrare tutto il suo pentimento, che avrebbero dovuto tirar fuori da Freya il perdono. Parole troppo sincere in quel momento così fragile che la colpirono dritta al cuore, ma non positivamente. Era stato quel mi dispiace, quel singolo mi dispiace a peggiorare la situazione. "Mi dispiace se non mi ricordo di te ok?" Okay. Eccola lì, la base di tutto, della sua rabbia, della sua paura dell'abbandono e quella stramaledetta abitudine di allontanare tutti prima che diventino importanti. Della sua mancanza, quella che provava nei confronti del fratello alla quale era sempre stata attaccata, quello che ora non si ricordava di lei. Ancora. E forse per sempre. Le mani di Freya si strinsero in pugni, poteva sentire le sue emozioni negative prendere il sopravvento dentro di sé, le sentiva addirittura scorrere. Era possibile? No, forse non era quello, forse si trattava semplicemente della sua magia. O forse di entrambe le cose, perché erano in fondo le sue emozioni a prendere le redini della magia spesso e volentieri, togliendo il controllo alla sua stessa mente. Ma non poteva lasciarle vincere, non ora di fronte a chi accusava di nasconderle parte della sua vita. Un respiro profondo, le mani che si sciolsero e gli occhi che tornarono a essere freddi. Perché questo era l'unico modo. "Già, non ti ricordi di me." Ribadì anche lei, senza dire altro. Quelle poche parole racchiudevano già tutto il dolore che da anni provava per non essere ricordata. Anni, e lui credeva che dire mi dispiace bastasse. Anni in cui Freya aveva cercato in tutti i modi di non farglielo pesare, di aiutarlo semplicemente a riavvicinarsi a lei e ai suoi genitori, e magari ad aiutarlo a ricordare qualcosa. Anni in cui lui aveva potuto conoscere solo la nuova Freya, quella nata dopo la sua scomparsa, quella che non riusciva a fidarsi più di nessuno e che aveva una fottutissima paura di essere abbandonata dalle persone a lei più vicine. Paura di essere dimenticata. "Non chiamarmi così." Non Jae, non ora. "Smettila di chiamarmi Jae. Tu Jae non te la ricordi nemmeno, quindi non farlo più!" E ancora una volta, lo ribadì, perché quello era semplicemente il fulcro di ogni cosa. In quel momento nemmeno di fronte alla realtà di una dipendenza riusciva a sentirsi in grado di calmarsi e perdonarlo. Anche se dentro di sé avrebbe voluto comprendere quanto fosse difficile per lui, adesso non era possibile.
    "Io credo alla tua dipendenza, però si, non riesco a credere alle tue scuse. Credo che tu abbia bisogno di aiuto e spero che ne riceverai tantissimo, ma non credo di essere in grado di darti il mio." Era tempo anche per lei di essere egoista. "Non credo di poter di nuovo lasciarmi la tua quasi morte alle spalle sapendo che tra un po' di tempo potrebbe riaccadere tutto, una terza volta. E non credo di poter continuare a fingere che sia tutto ok come ho fatto per tutto questo tempo, perché non è ok, da quando sei tornato non lo è mai stato per me." Lo ammise, perché era stanca di fingere e far credere a tutti il contrario. Tutti, compresi i suoi genitori che, proprio dopo aver emesso le sue ultime parole, avevano fatto la loro entrata nella stanza. L'infermiera che nemmeno ebbe il tempo di annunciarli che sua madre, e suo padre al seguito, raggiunsero preoccupati il figlio chiedendogli subito come stesse e cosa fosse accaduto. "Ma bene, finalmente tutta la famiglia al completo. Mamma, papà. Shiloh, ora puoi continuare il tuo teatrino di scuse anche con loro." Disse, prima di annunciare la verità prima che potesse anche solo accennarla il fratello. "Oh, e prima che lo compatiate, è giusto che sappiate che vostro figlio si è di nuovo quasi fatto ammazzare per la stessa, identica fottuta storia per la quale ci ha dimenticato. È tornato a mentirci da un bel po' di tempo, ormai, perché a quanto pare è quello che sa fare meglio." Aprì le braccia in quella veloce e diretta rivelazione che non aveva bisogno di troppi dettagli, sapevano perfettamente di cosa parlava dopotutto. Tutto questo, confermando ancora una volta di aver completamente soppresso la sua fottuta empatia come se fosse la cosa più semplice del mondo.

     
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    Non dovrei lasciarmi ferire dallo scetticismo di Freya, perché io stesso sto ammettendo quanta ragione abbia nell’essere così arrabbiata, così ferita e delusa e incapace di credermi.
    Ho fatto due volte lo stesso errore, ho ferito lei ed i miei genitori una seconda volta, ed inizio a credere che adesso non ci sia più niente che io possa fare per riconquistare la loro fiducia.
    Non mi crederanno più, saranno sempre guardinghi, si aspetteranno sempre un qualche errore da parte mia.
    La mia paura è che questo li porti ad allontanarsi. Siamo una famiglia, questo è vero, ma a volte ho pensato che ci fosse solo il sangue a legarci.
    Sono certo che i miei genitori mi vogliano bene, ma molto spesso mi sono chiesto se mi amino solo perché sono l’involucro di quello Shiloh che conoscevano e che sapeva chi fossero. Fuori sono lo stesso, ma dentro no.
    Quindi non posso fare a meno di pensare che non amino davvero questo sconosciuto che è ripiombato nella loro vita dal nulla, che lo fanno solo perché la mia faccia gli ricorda qualcuno che amavano e che dopo questo errore ne avranno abbastanza di me.
    Freya sembra già averne avuto abbastanza. Il modo in cui sottolinea il fatto che non mi ricordi di lei è come un pugno nello stomaco.
    Sono poche semplici parole, ma racchiudono così tanto che non so come risponderle. Non mi sono mai davvero soffermato a pensare a quanto potesse farle male il fatto che io non ricordi niente di lei, del nostro rapporto, di tutto quello che abbiamo condiviso.
    Ha ragione, sono un egoista. Adesso capisco quanto debba aver sofferto e quanto io sia stato cieco davanti al suo dolore e forse a quello dei miei genitori.
    Quasi mi ritraggo, come se mi avesse schiaffeggiato, quando dice di non chiamarla Jae, che non ho il diritto di farlo.
    L’ho sempre chiamata così, da quando ci siamo ritrovati, perché mi aveva detto che quello era il nome che usavo con lei. Solo e soltanto Jae. Pensavo che potesse aiutarci a reinstaurare un legame, che potesse aiutare me a ricordarla, ed invece scopro ora tutto quello che si è tenuta dentro. - Parli così, adesso, perché sei arrabbiata… - sussurro - Non puoi… non puoi…
    Lasciarmi solo. Ho bisogno di credere che cambierà idea, che tornerà sui suoi passi e sarà disposta anche lei ad aiutarmi. - Lo so che ho fatto una cosa grossa e che tu sei ferita e diffidente, ma ti giuro… ti giuro che non ci sarà una terza volta. Ti serve solo del tempo per capirlo ed io sono disposto a dimostrartelo.
    Parlo con fare leggermente agitato ora, perché non riesco a credere che intenda davvero quello che ha detto, che non può starmi vicino. L’idea che possa varcare quella soglia e che da quel momento in poi decida di tagliarmi fuori, non rivolgermi più la parola, smettere di essere mia sorella, mi spaventa troppo. - Perché non mi hai mai detto come ti senti? Perché non mi hai detto che non è tutto ok?!
    Non sono uno stupido, immaginavo che per lei le cose non fossero le stesse, come avrebbero potuto esserlo se io non mi ricordo della mia stessa famiglia e se ci ho messo tanto tempo per prendere confidenza con loro?
    Ma pensavo che almeno ci stessimo provando tutti, lei soprattutto… ed invece… per lei è stato pesante per tutto il tempo. La colpa è mia, sono io che la faccio soffrire con questo vuoto che ho in testa.
    Non faccio in tempo ad aggiungere altro, quando la porta si spalanca ed incrocio lo sguardo dei miei genitori, sento il cuore cadermi dritto nello stomaco.
    Mia madre si precipita da me, prima che possa rendermene conto ho il volto stretto tra le sue mani e mi sta parlando agitata, chiede cosa sia successo ed io non trovo le parole per dirglielo.
    Papà, dietro di lei, mi guarda per accertarsi delle mie condizioni e allo stesso tempo il suo sguardo racchiude la stessa domanda.
    A rompere il silenzio nel quale sono caduto è Freya ed il modo in cui da la notizia ai nostri genitori non è dei migliori. Mi sento gelare sul posto, improvvisamente rigido nelle mani di mamma che a sua volta si fa immobile.
    La sua somiglianza con Freya è impressionante, anche il suo sguardo muta di punto in bianco, facendosi carico di delusione, ed il cuore che mi era finito chissà dove, ora torna a farsi sentire battendo in modo frenetico e prepotente.
    Quello che accade subito dopo è sorprendente per tutti, immagino. Lo schiaffo con cui mia madre mi colpisce è così forte da risuonare nella stanza. La guardo incredulo, così come fa mio padre e forse anche Freya che in questo momento non sto guardando.
    Mamma è sempre stata una donna pacifica, devota al perdono e alla comprensione, nessuno di noi l’ha mai vista alzare un dito su qualcuno. - Perché?! - sbotta con la voce carica di dolore e gli occhi verdi ora pieni di lacrime. - Perché, Shiloh?! Perché?
    Ma come con Freya poco fa, non ho una vera risposta, e sono troppo preso alla sprovvista dalla sua reazione per poter dire qualcosa che abbia senso. - Dopo quello che abbiamo passato! Che stiamo ancora passando!
    Sta urlando ed io mi ritraggo scioccato, visibilmente in difficoltà, con i sensi di colpa più forti che mai. È a questo punto che interviene mio padre, afferrandola gentilmente per le spalle e tirandola indietro per allontanarla da me. - Sssh… calma - le sussurra e cerca di esserle di conforto nonostante nel suo sguardo sia ben visibile la stessa delusione. Non riesco nemmeno a dire loro che mi dispiace, non riesco a dire niente, riesco solo ad osservare le lacrime di mamma ed il modo in cui le mani di papà le strofinano lentamente le braccia per rassicurarla. Alla fine la trascina fuori dalla stanza, dice che torneranno quando si sarà calmata, e quando lasciano me e Freya da soli mi sembra abbiano lasciato anche un vuoto incolmabile. - Non era necessario dirglielo in quel modo… - riesco a dire e non so come mantengo la voce ferma - Capisco se ce l’hai con me, se sei arrabbiata ma… no, quello non era il modo…
    Non credo ci sia un modo adatto per dire una cosa del genere, in realtà, nemmeno quello che ho utilizzato io con Freya poteva salvarmi da una reazione del genere, ma adesso mi sembra quasi di avere qualcuno a cui dare la colpa se mamma ha iniziato a piangere e urlare dopo avermi schiaffeggiato. Ammetto che non era ciò che mi sarei aspettato… - Ce l’hai avuta con me per tutto questo tempo? Per quello che mi sono causato e perché non mi ricordo di voi? E non mi hai mai detto niente…
    Inspiro. - Non so cosa darei per potermi ricordare di te e di tutto quello che abbiamo condiviso. A volte è come se sentissi la mancanza di qualcuno che non ho mai conosciuto. Sento che ti voglio bene e non capisco da dove arrivi questo sentimento perché è troppo forte per essere qualcosa nato solamente negli ultimi tre anni - abbasso lo sguardo per l’ennesima volta - Forse dovresti andare a vedere come sta mamma.
     
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    Era troppo arrabbiata, troppo fuori di sé per pensare razionalmente. Credeva nelle proprie parole, era certa di non essere in grado di perdonarlo e non vedeva possibilità nel cambiare idea riguardo il restargli vicino per poterlo aiutare, ma nel profondo del suo essere c'era ancora una parte di lei che urlava di essere liberata e prendere parola. Una parte che si sarebbe lanciata verso il fratello in un abbraccio e gli avrebbe promesso che non lo avrebbe mai abbandonato. Una parte che quel giorno, in quella stanza d'ospedale, Freya aveva seppellito definitivamente e che forse solo il tempo avrebbe permesso a suo fratello di scavare per riuscire a ritirarla fuori. Ed era proprio quella parte di lei ad essere stata sempre in superficie negli ultimi anni quando era in presenza di Shiloh, mentre passavano del tempo assieme come due fratelli ritrovati alla ricerca di un nuovo legame. Spesso momenti di leggerezza e persino giocosità, se non fosse che dentro di lei, nel frattempo, si svolgeva una battaglia: tentare di fargli tornare la sua memoria. Una battaglia che era ormai certa di aver definitivamente perso. "Il tempo non servirà a niente." Affermò convinta. Anche lei si diceva che a suo fratello sarebbe servito solo del tempo, che un giorno si sarebbe ricordato. E invece eccolo lì, in un letto d'ospedale dopo aver compiuto gli ennesimi errori, senza ancora alcun ricordo. E quando Shiloh le chiese il motivo per cui non aveva mai detto come si sentisse, Freya esitò nel rispondere. Perché? Per lui. Perché non aveva fatto altro che pensare al bene del fratello trascurando se stessa e le proprie emozioni, perché aggiungere il proprio dolore a quello che Shiloh già stava passando, ritrovandosi in una famiglia a lui estranea, non le sembrava giusto. E alla fine, più il tempo passava, più diventava incapace di aprirsi, con Shiloh e con chiunque altro. Ma ora non sapeva come dirlo, come spiegarlo, e forse non voleva nemmeno farlo. L'arrivo dei suoi genitori fu difatti una salvezza per lei, che le permise si di dare sfogo alle parole, ma non di certo per una risposta alla domanda che le era stata posta poco prima. No, semplicemente annunciò nel peggiore dei modi quello che Shiloh aveva fatto, generando una reazione che nemmeno lei stessa si sarebbe aspettata. Immaginava che anche loro avrebbero provato rabbia e la delusione, ma nemmeno lei era riuscita a compiere un gesto come quello di sua madre. Un gesto che non le aveva mai visto compiere prima d'ora. E sussultò leggermente quando la mano della donna colpì il viso del figlio, non potendosi evitare sorpresa, seppur al contempo certa che Shiloh si fosse meritato quel trattamento. Ma vedere comunque sua madre in quel modo, agitata e in lacrime mentre urlava domande a cui non avrebbe ricevuto risposta, la destabilizzò e non poco. "Mamma.." La chiamò quasi in un suono spezzato, preoccupata, mentre questa si allontanava con suo padre. Una volta fuori, Freya si rivoltò verso suo fratello solo in seguito alle parole di lui. In qualche modo si sentì come se suo fratello le avesse puntato il dito contro per la reazione avuta dalla madre, e questo le fece nuovamente ribollire il sangue. "Che c'è, è colpa mia ora?" Chiese sconvolta. "Sei tu la causa di quelle lacrime, non io!" In quel momento era agitata, arrabbiata, delusa, preoccupata per sua madre e persino per Shiloh, nonostante in quel momento vedesse solo la negatività. Sentiva quasi di non riuscire più a trattenere completamente la tristezza che aveva affossato e il fratello ne fu in qualche modo la causa, tornando al discorso che stavano affrontando prima dell'arrivo dei genitori. Non riusciva a rispondergli, Freya. Fu capace solo di alzare le spalle, in un'espressione che ammetteva che si, ce l'aveva avuta con lui per tutto quel tempo e non gli aveva detto niente, ma era più complicato di così. Shiloh le spiegò poi come si sentiva, quella mancanza che provava di persone che non ricordava, quel bene che provava e che sembrava troppo forte per essere nato solo negli ultimi tre anni. E tutto quello la fece sentire un po' male. Non lo dava a vedere, manteneva uno sguardo freddo, ma era come se dentro di sé sentisse crescere una colpa per tutto quello che gli aveva detto poco prima. Ma era anche combattuta perché la sua rabbia era troppo forte e reale, troppo in superficie per lasciare che quella colpa completasse la sua ascesa. "Forse dovrei, si." Disse quando lui la incitò ad andare a vedere come stesse la madre. Stava scappando? Si, ma sentiva di non avere altra scelta. Aveva bisogno di uscire da quella stanza e allontanarsi da lui, o sarebbe crollata. Lo guardò un ultima volta e, in silenzio, si voltò e lasciò la stanza, sbattendosi la porta alle spalle.

     
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