Real talk

Daphne

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    Luglio 2021

    Erano passati un paio di giorni da quel disastroso pomeriggio in compagnia di Daphne e Nate e Bram non aveva ancora parlato con nessuno dei due, non sapendo bene come affrontare l’una e l’altro.
    Con Nate non c’era stato un vero e proprio litigio, suo fratello probabilmente non aveva ancora capito il motivo per cui anche Bram se ne era andato, subito dopo Daphne, degnandolo appena di un saluto.
    La verità era che, dopotutto, Daphne non aveva avuto tutti i torti: quello che Nathan aveva detto, il fatto che se fosse stato Bram ad andare da lui probabilmente gli avrebbe negato di conoscersi meglio, lo aveva ferito ed il Dubois non era nemmeno stato in grado di dirglielo.
    Era una cosa a cui voleva porre certamente rimedio, ma prima sentiva il bisogno urgente di parlare con Daphne.
    Detestava avere qualcosa in sospeso con lei e, pur sapendo che la situazione non era minimamente analoga a quando avevano litigato per Alexander, Bram non voleva permettere che passasse tutto quel tempo senza rivolgerle parola.
    Sapeva di dover essere lui a cercarla, questa volta, anche se in parte non lo riteneva giusto visto l’atteggiamento che la danese aveva avuto nei confronti di Nate fin dall’inizio e per partito preso, ma Bram aveva sentito un tuffo al cuore quando l’aveva vista alzarsi e andarsene in quel modo, con così tanta rabbia.
    Era stato difficile concentrarsi a lezione ed altrettanto studiare.
    Nella sua testa continuava a ripetersi quello che avrebbe dovuto dirle ed ogni volta gli sembrava tutto sbagliato.
    Forse avrebbe dovuto semplicemente lasciarla parlare per prima.
    Le aveva mandato un gufo chiedendole di vedersi nella sua stanza, il luogo più privato in cui avrebbero potuto parlare.
    Bram aveva preso due té dalla caffetteria, uno di essi per Daphne, quasi volesse essere un segno di pace.
    Quando le aprì la porta, non c’era traccia di sorriso sul volto del Dubois, ma nemmeno disappunto, semmai un’espressione un po’ ansiosa.
    Fortunatamente ci pensò Duke a dare un po’ di vivacità alla situazione, andando a fare le feste alla rossa.
    “Umh… ciao” azzardò Bram, lasciandola entrare e richiudendo la porta. Le offrì subito la tazza takeaway con il tè ancora caldo e le fece segno di sedere sul letto che era appartenuto a Joel o sulla sedia. Lui sedette sul proprio letto.
    “Grazie di essere venuta. Penso che… dovremmo parlare. E credo lo pensi anche tu, giusto?”
    Le lanciò un’occhiata speranzosa, quasi temendo che Daphne potesse dirgli che non c’era niente di cui parlare e si alzasse, andandosene.
    “Vorrei che mi spiegassi perché ti sei comportata così l’altro giorno. Perché hai dato subito addosso a Nate. Ho capito, non ti fidi, ma perché non vedere prima che tipo di persona sia? E, ti prego Daphne, spiegamelo senza arrabbiarti. Possiamo parlarne con calma, no?”
     
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    Quel pomeriggio in compagnia di Bram e Nathan le aveva lasciato solo sensazioni negative addosso. Era irritata e frustrata nei confronti di entrambi i ragazzi e non faceva che rimpiangere di aver accettato di assistere a quell'allenamento, arrivando a chiedersi perché mai non si fosse limitata ad accampare qualche scusa. Non sarebbe stato difficile, considerato che era una persona piuttosto impegnata, ma ovviamente tale opzione aveva insita in sé una contraddizione. Daphne voleva incontrare il famoso fratello ritrovato di Bram e voleva farlo proprio in compagnia dell'amico, così da poter osservare ciò che in effetti si era palesato davanti al suo sguardo critico. Le emozioni che il diverbio che ne era scaturito aveva suscitato in lei, tuttavia, se le sarebbe volentieri risparmiare. Nei confronti del Dubois, infatti, l'irritazione cedeva spazio ad un vago senso di mortificazione, all'impressione di sentirsi svalutata e non riconosciuta nelle sue buone intenzioni e nell'istinto protettivo che così spesso la muoveva in atteggiamenti un po' estremi.
    Voleva parlarne con l'americano, ovviamente, ma per lei fare il primo passo dopo una discussione era così difficile che aveva trascorso i due giorni successivi al litigio ad arrovellarsi su come incappare in quel confronto in modo accidentale, senza doversi esporre all'imbarazzante dinamica del "ti devo parlare". Ricevere quel gufo era stato un vero sollievo.
    Si limitò ad annuire alle prime parole di Bram, cercando di gestire il nervosismo stemperandolo con le coccole che Duke si era affrettato a pretendere da lei. Aveva poi bisbigliato un ringraziamento lievemente sorpreso di fronte al té che le veniva offerto, impossibilitata ad ignorare il valore di quel gesto mentre, con la bevanda stretta tra le mani, si era seduta sul materasso ormai privo di lenzuola del letto che era appartenuto a Joel.
    Mi parli come se fossi un drago pronto ad incenerirti.
    Sollevò un sopracciglio, arricciando le labbra in una smorfia di disappunto. Non era un dettaglio che la facesse particolarmente arrabbiare - forse l'avrebbe persino divertita, in un altro contesto - ma le offriva l'immagine che troppo spesso le persone avevano di lei, che dal canto suo tendeva sempre ad aspettarsi che le ragioni della sua rabbia fossero decisamente comprensibili e valide anche agli occhi altrui.
    Ma certo che non mi fido. Come potrebbe essere altrimenti?
    La sua puntualizzazione arrivò diretta e lapidaria, seguita da una domanda che non richiedeva alcuna risposta. Non voleva essere aggressiva, ma di sicuro la sua era un'intenzione palesemente retorica. Non riusciva a capacitarsi di come per Bram non fosse scontato provare un'iniziale sfiducia nei confronti di qualcuno comparso nella sua vita all'improvviso, in modo quantomeno insolito. Cercò tuttavia di optare per una certa pacatezza nello spiegare le sue ragioni, sperando che il Dubois riuscisse in tal modo a comprenderle meglio e anche che apprezzasse quello che per lei era un evidente impegno in vista di una riconciliazione.
    Cercavo di bilanciare il tuo entusiasmo. Magari mi sono fatta prendere un po' la mano, ma più andava avanti la conversazione e più venivano fuori aspetti e comportamenti di Nathan che mi facevano storcere il naso. Tu invece..esitò appena, ammorbidendo un po' il tono nel tentativo di attenuare l'impatto del paragone che si trovava costretta a fare ...lo guardavi come guardavi Drayton.
    Alexander Drayton era un argomento ancora delicato per Bram. Daphne aveva scritto quel nome nella sua personale lista nera con un pennarello indelebile, ma si era impegnata ad evitare di riferirsi a lui se non era lo stesso Dubois a farlo per primo. A meno che non fosse strettamente necessario. E in quel caso, lo era.
    Bram, tu dai tantissimo alle persone. Non c'è niente di male, ma il fatto è che lo fai con un tale entusiasmo, così in fretta.. senza proteggerti. L'affetto ti appanna la vista.
    La sua voce si addolcì visibilmente mentre parlava del modo in cui Bram trasmetteva affetto al suo prossimo, ma si rianimò di un guizzo polemico mentre cercava di spiegargli quanto quel pregio avesse sfumature sempre più pericolose ai suoi occhi. Per questa ragione aveva parlato di "bilanciamento" perché, più di ogni altra cosa, temeva la tendenza incontrollabile di Bram a sbilanciarsi verso il suo prossimo.
    Perché non gli hai detto che ha sbagliato a tenerti nascosti i documenti dell'adozione? Con me lo avresti fatto. Anche se sei molto più dolce e comprensivo della media, tu non ti fai mettere i piedi in testa dalle persone a cui tieni. Non lo fai con me, né con i tuoi genitori.
    Gli fece notare quel dettaglio in parte perché le era decisamente rimasto sullo stomaco, in parte perché le serviva come esempio per riuscire a mostrargli la situazione dal proprio punto di vista.
    Però se appare qualcuno di nuovo nella tua vita, qualcuno che per qualche ragione - a me incomprensibile, sinceramente - ti incanta particolarmente, le cose cambiano.
    Una nota di insopprimibile sarcasmo aveva sfumato la sua voce quando non aveva potuto fare a meno di precisare che davvero non capiva cosa ci fosse di tanto ammaliante in Nathan. Immaginava si trattasse del legame di sangue, ma non riusciva a trovare soddisfacente quella risposta. Seppure il suo istinto protettivo fosse stato il movente del suo comportamento, sarebbe stato ipocrita negare a sé stessa di provare anche un pizzico di gelosia. Bevve il suo primo sorso di tè e concluse infine le sue spiegazioni senza alcuno sconto, riservandogli la sincerità che lo stesso Bram le aveva richiesto.
    Perché non gli hai detto che ti ha ferito? Quando ha parlato di come si sarebbe comportato se i vostri ruoli fossero stati invertiti. Io so che ti ha ferito, ti conosco.
     
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    “Ti parlo come una persona con cui ho avuto una discussione e con cui vorrei parlare senza riprendere toni accesi” sospirò nel pronunciare quelle parole, guardando Daphne quasi con fare rassegnato.
    Non gli era difficile immaginare cosa dovesse aver pensato la sua amica, che probabilmente Bram la vedeva come qualche mostro contro cui combattere, ma il motivo per cui le aveva chiesto di non arrabbiarsi non era affatto quello. Semplicemente voleva che nessuno dei due arrivasse ad alzare la voce.
    Litigare non gli piaceva, lo lasciava quasi senza energie mentalmente. Cedere alla rabbia lo faceva, in qualche modo, sentire sempre sconfitto.
    Fu per questo che fece di tutto per non cedere alla frustrazione quando Daphne iniziò a spiegargli le sue ragioni.
    Innanzitutto non apprezzò il modo in cui puntualizzò il fatto che non si fidasse, come se dovesse essere un’ovvietà, come se lei DOVESSE farlo perché Bram era così ingenuo e qualcuno aveva bisogno di farlo al suo posto.
    Poi gli fu chiaro che non dovesse aver compreso appieno che tipo di persona fosse Nathan, ma di questo non la biasimava. Lo aveva visto per un paio d’ore, aveva parlato a malapena con lui.
    E poi il paragone con Alexander arrivò come uno schiaffo in faccia. Bram trattenne a stento un sussulto e per poco non schiacciò il bicchiere di carta che stringeva tra le mani.
    “Lo guardavo come… cosa?!” non alzò la voce, ma il suo tono era chiaramente incredulo e contrariato “Spero tu stia scherzando… sono due cose completamente diverse. Due relazioni completamente diverse”
    Nathan era suo fratello. Un fratello maggiore che non aveva mai avuto, qualcuno che a modo suo lo faceva sentire al sicuro e a volte Bram non poteva fare a meno di chiedersi come sarebbe stato se fossero cresciuti insieme. Ci sarebbe stato Nathan a proteggerlo dai bulli a scuola? O a insegnargli come difendersi da loro?
    Tra lui e Nate c’era un legame di sangue che sarebbe rimasto anche se per qualche motivo, un giorno, avrebbero smesso di parlarsi. Quello che c’era stato con Alexander era iniziato e finito lì, nulla lo teneva più legato a lui ormai. Come poteva Daphne paragonare le due cose?
    E come poteva dipingere Bram in quel modo, come un ingenuo ragazzino a cui bastava provare ammirazione per qualcuno per non essere cauto e lasciarsi ingannare dal primo di passaggio?
    Poteva essersi fatto ammaliare da Alexander, questo non lo negava, non voleva dire che era una cosa che accadeva ciclicamente ogni volta che si affezionava a qualcuno.
    “Non avevo mai avuto una relazione romantica prima di lui. Era una cosa nuova… un sentimento nuovo che mi ha accecato. Quello che provo per Nate è affetto fraterno, qualcosa che ho già conosciuto grazie a te…”
    Le rivolse un’occhiata che non aveva niente di ostile o frustrato, solo piena di amarezza per le convinzioni che Daphne aveva nei suoi confronti.
    “Pensi davvero che sia così incantato da Nate? Mi credi davvero qualcuno di così stupido, ingenuo e soprattutto superficiale? Gli voglio molto bene, forse lo ammiro come un fratello minore farebbe con il maggiore, questo sì, ma io ho una mia testa con cui ragionare. Non mi farei trascinare da lui in ogni cosa se non mi piacesse o non mi convincesse. Do tantissimo agli altri, è vero, ma so qual è il limite” scrollò le spalle “Ho accettato di farmi insegnare come difendermi, non per il semplice fatto che lo abbia proposto lui, ma perché è il suo modo di dimostrarmi che tiene a me e perché non ci vedo niente di male nel passare un’oretta con lui a farmi spiegare come bloccare un pugno, se nessuno di noi due si fa davvero male. Non vuol dire che userò davvero certi insegnamenti, né che abbia cambiato la mia visione sul non rispondere con la violenza. Se mi avesse proposto di andarmi a lanciare da un ponte, ti assicuro che avrei detto di no. Se qualcosa non mi piace io dico di no, Daphne, a chiunque”
    Aveva detto bene lei, Bram sapeva come tenere testa a qualcuno, anche con il suo animo pacifico e con i suoi metodi, lo aveva fatto con i suoi genitori, lo aveva fatto con Daphne stessa e avrebbe continuato a farlo quando la situazione lo richiedeva, anche con Nate.
    “E’ vero, mi ha ferito. Ed è vero, non sono stato in grado di dirglielo. Nate è particolare quando si tratta di sentimenti, non credo tu possa averlo notato con quel poco che vi siete detti. Non sa che quello che ha detto avrebbe potuto farmi rimanere male, né ha capito che lo ha effettivamente fatto. Non è cattiveria la sua, né menefreghismo, è che non vive i sentimenti come lo facciamo noi e credo che questo gli renda difficile comprendere ciò che provano gli altri, oltre a rendergli difficile relazionarsi”
    Non a caso, da quel che aveva capito Bram, Nate aveva una sola amica e il suo altro legame in accademia era Bram stesso.
    “Forse questo mi rende un po’ protettivo nei suoi confronti. Tu dovresti capire bene il senso di protezione verso qualcuno” abbozzò un sorriso “Non vuol dire che ci passerò sopra senza averne parlato con lui, lo farò. Quello non era il momento giusto per nessuno di noi ed io ero piuttosto spiazzato per riuscire a dire qualcosa. E magari… avevo anche paura di farlo nel modo sbagliato e perderlo”
    Tacque, bevendo un sorso di tè con la sensazione di aver parlato tantissimo, forse troppo, ma di aver detto tutto quello che doveva dire per rispondere alle “accuse” di Daphne. Si sorprese di essere riuscito a mantenere quel tono calmo, perché dentro si sentiva piuttosto agitato, quasi ansioso.
    Voleva che lei capisse, che non fosse così contrariata o persino arrabbiata o delusa. Voleva che non si sentisse minacciata da Nate, né che lo vedesse come una minaccia per Bram.
    “Non gli hai dato nemmeno una possibilità…” aggiunse “Lo hai visto subito come il nemico, qualcuno che sicuramente vuole qualcosa da me per poi farmi del male abbandonandomi dopo averlo ottenuto. Hai deciso che l’insegnarmi un po’ di autodifesa lo rendesse qualcuno da disprezzare e che i soldi della mia famiglia siano l’unica cosa che lo leghi a me, senza sapere cosa ci sia davvero tra noi, come si stia sviluppando il nostro rapporto. Perché non puoi averlo capito da quel poco che ti ho raccontato” scrollò le spalle per l’ennesima volta “Magari avresti dovuto provare a conoscerlo davvero, prima di stabilire che tipo di persona sia senza nemmeno avergli realmente parlato”
     
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    Una piccola smorfia arricciò le labbra della Mikkelsen, ma lei non disse niente. Non era troppo incline a fidarsi della rassicurazione di Bram in tal senso, ma questo poteva dipendere più dai dubbi che si portava dietro da tempo che dal comportamento del Dubois. L'orrendo litigio che si erano lasciati alle spalle.. Daphne non era mai riuscita realmente a superarlo. E come avrebbe potuto? Le parole che aveva rivolto al suo migliore amico talvolta le risuonavano ancora nella testa e riuscivano a farla letteralmente rabbrividire, anche a distanza di più di un anno. Ne aveva sofferto già in quel periodo nel ripensarci, ma adesso si chiedeva come avesse potuto essere così crudele. Troppo persino per lei. Purtroppo conosceva la risposta: la paura di sé stessa provata all'epoca era così intensa e violenta da spingerla a fare qualunque cosa nel vano tentativo di proteggersi da ciò che considerava una minaccia. E il coming out di Bram per lei era stato proprio questo. Eppure Daphne, pur ricordando bene quanto profondamente avesse temuto e odiato la propria sessualità, più frequentava Harumi, approfondiva il suo rapporto con Jerome e rafforzava il legame con Bram e più faticava a perdonarsi gli errori passati. E se lei non poteva perdonarsi, onestamente trovava difficile credere che l'americano ci fosse riuscito. Magari la sua bontà l'aveva anche spinto in quella direzione, ma Daphne non riusciva a togliersi dalla mente l'idea che quanto accaduto fosse una presenza constante nel loro rapporto, un ingombro che condizionava determinati comportamenti e situazioni. Aveva attribuito a questo il fatto che Bram, dopo tutto quel tempo, continuasse a tenerle nascosto ciò che Harvey gli aveva fatto. E attribuiva a ciò anche il fatto che il Dubois apparisse così intimorito all'idea di discutere con lei.
    Non sto sostenendo che tu abbia una cotta per tuo fratello, Bram.
    Cosa si aspettava di sentirle dire? Credeva che quel paragone fosse un'allusione al tipo di sentimenti che Bram poteva provare verso Nathan? Per lei era talmente evidente che l'associazione fatta riguardasse il modo che Bram aveva di porsi emotivamente con figure maschili che apparivano più adulte e sicure di lui, quasi si trattasse di sagge guide di cui bramare l'amore. Per lei era così evidente che tale paragone andasse oltre la scontata differenza nel tipo di amore provato che, di fronte alle parole di Bram, si ritrovò improvvisamente a chiedersi se la credesse davvero così limitata. Limitata al punto da pensare che, in quanto gay, il suo migliore amico fosse inevitabilmente attratto da tutti gli esseri umani di sesso maschile e di bell'aspetto. Meglio non soffermarsi sulla possibilità che la giudicasse così duramente, o avrebbe rischiato di alimentare tutte le paranoie che già la perseguitavano.
    Il punto è che sembra che le cose ti piacciano perché è lui a proporle. Perché vuoi piacere a lui.. a tutti i costi.
    Sperava che Bram non lo prendesse come una critica alla propria identità individuale, perché non lo era. Lei stessa, nel corso degli anni, aveva preso molte decisioni, affrontato molte esperienze, spinta principalmente dall'entusiasmo provato nel percepire l'interesse e l'approvazione di suo padre rispetto a simili iniziative. Certo, aveva sempre portato avanti le sue passioni e aveva intrapreso un percorso di studio a cui era realmente interessata, ma la possibilità di guadagnarsi l'approvazione e l'affetto di suo padre aveva influenzato molte sue scelte, le aveva precluso strade e consapevolezze, aveva persino condizionato il suo processo di auto-accettazione.
    Quindi tu devi rispettare il suo modo di porsi, ma lui non deve rispettare le tue emozioni? Se non si rende conto di ciò che è assolutamente palese, tu hai tutto il diritto di farglielo notare.
    Era questo ciò che Daphne aveva osservato quel giorno nel giardino dell'accademia. Nathan aveva probabilmente i suoi problemi, ma non per questo il Dubois doveva lasciare che condizionassero il loro rapporto senza invitare il fratello a lavorare su quei comportamenti.
    Non mi pare avesse bisogno di essere protetto, se la cava alla grande da solo.
    Nathan non si era mostrato affatto indifeso, anzi. Magari a tratti un po' disorientato, ma sicuramente non in difficoltà. Al massimo era stata lei a ritrovarsi presa tra due fuochi, senza che nessuno si mostrasse incline ad ascoltarla malgrado lei stesse puntando l'attenzione su dettagli tutt'altro che irrilevanti.
    Okay, questo posso capirlo. Ma perché devi metterti i guanti di velluto per trattare con lui mentre Nathan non lo fa con te? Quando gli ho rinfacciato il suo atteggiamento non ha nemmeno provato a capire se poteva averti ferito.
    L'atteggiamento di Nathan le aveva trasmesso un totale disinteresse per la sensibilità del fratello minore, una freddezza che l'aveva lasciata sconcertata. E se poi si era sentita toccata dal disagio personale che il biondo si era affrettato a riferirle, questo non significava che lo considerasse una scusante valida per la sua scarsa attenzione alle conseguenze dei propri comportamenti. Quando era lei a ferire il suo prossimo erano sempre tutti molto solleciti nel farglielo notare, ma a volte le sembrava che per gli altri - solo perché avevano un tono meno assertivo e deciso - valessero regole differenti.
    Oh beh, lui ha deciso che "non sono portata per lo sport" senza nemmeno conoscermi. Solo perché sfoggia quell'aria spaesata e innocente non significa che non sia irritante e maleducato. gli fece notare piccata, tirando fuori parole che forse a Bram erano passate inosservate, ma non a lei. Come si era permesso quello sconosciuto di avanzare ipotesi sulla sua attitudine all'attività fisica? Comunque, io inizialmente volevo solo provocarlo. Magari è stato un azzardo cercare di bilanciare il tuo eccessivo entusiasmo, ma dopo poco tuo fratello mi ha comunque trasmesso solo segnali negativi.
    Poteva ammettere di esserci andata un po' pesante, perché anche se il fatto che Bram fosse così spudoratamente elettrizzato per quel legame fraterno la infastidiva - chissà che cosa poteva avere di fraterno, poi, vista la glacialità di Nathan - il modo in cui si era posta con quel ragazzo era stato un po' troppo intimidatorio. Tuttavia, le verità che erano saltate fuori dopo non avevano fatto altro che rafforzare la sua pessima impressione. Ma non voleva continuare a litigare con il Dubois, solo perché per lui era più facile vedere il meglio nelle persone. Trovare questa sua caratteristica a tratti adorabile e a tratti esasperante non l'avrebbe comunque aiutata a proteggerlo come desiderava. Non aveva certo urlato fino a quel momento, ma quando aprì nuovamente bocca il suo tono risultò comunque ancora più pacato. Vagamente rassegnato.
    D'accordo, posso prendere in considerazione l'idea che non sia una persona cattiva o interessata ai tuoi soldi. Ma tu devi essere più sincero con lui: perché per me è inconcepibile che trovi dei documenti sulla tua adozione e non te li mostri. O che ti dica che se fossi stato tu a cercarlo probabilmente non sarebbe stato interessato a conoscerti. Perché non è giusto, non te lo meriti.
     
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    “Non ho pensato che mi ritenessi infatuato di Nate” replicò, per un attimo persino divertito da quel piccolo fraintendimento “Sto solo dicendo che proprio perché Nate è mio fratello e non posso provare niente di romantico per lui non puoi paragonare le due cose. Ero affascinato da Alexander perché è stato il primo… il primo per cui abbia provato un sentimento a me sconosciuto”
    Si strinse nelle spalle un po’ a disagio. Detestava parlare di Alexander e dell’infatuazione che aveva avuto per lui, non perché ne soffrisse ancora, ma perché non riusciva ancora ad accettare il fatto che non si fosse accorto di quello che accadeva alle sue spalle e sì, forse anche perché non gli avrebbe mai perdonato il tradimento.
    Ma non ce l’aveva con Daphne per aver tirato fuori la questione usandola come esempio, sapeva che l’amica non l’aveva fatto con cattive intenzioni e forse pensava che dopo tutto quel tempo Bram avesse ormai superato la cosa ed in parte era così. Era solo il suo orgoglio a bruciare ancora un po’, così come il suo risentimento, due emozioni a cui non era abituato e che non gli piaceva provare.
    “Te l’ho detto, Daphne…” sospirò pazientemente “Non avrei mai fatto niente che non mi piacesse, nemmeno se fosse stato proposto da Nate. Voglio che mi apprezzi, certo, ma non sono comunque quel tipo di persona che si forzerebbe di fare qualcosa solo per piacere agli altri a tutti i costi… ed un po’ mi offende che tu pensi questo di me”
    Abbassò lo sguardo sulle proprie mani, strette intorno al bicchiere di cartone e vi strofinò i polpastrelli con fare distratto, raccogliendo i pensieri.
    Era abbastanza calmo, dal momento che la conversazione stava proseguendo con tono tranquillo, e non si sentiva risentito nei confronti di Daphne per volersi imporre sul propria idea.
    Si stavano mostrando a vicenda i loro punti di vista, nella speranza che potessero capirsi, e Bram comprendeva quello di Daphne.
    “Forse ho mandato dei segnali fraintendibili” disse quindi “Magari ad occhio esterno poteva sembrare che pendessi totalmente dalle labbra di Nate ed il tuo partire prevenuta potrebbe aver ingigantito la cosa. Ma non è così, ti dico, e mi piacerebbe mi credessi”
    Rialzò lo sguardo, cercando quello dell’amica, e scrollò le spalle. Non chiedeva niente di più. Non la condannava per essersi fatta quell’idea, ma voleva soltanto che ora che la stava smentendo lei accettasse quando stava dicendo e gli credesse senza troppe cerimonie.
    Un piccolo sorriso gli curvò poi l’angolo destro delle labbra, quando la rossa disse che Nate era in grado di proteggersi da solo.
    “Diciamo che più che altro ha bisogno di essere protetto da se stesso, non si rende conto di quello che dice e come lo dice e penso che gli crei non pochi problemi con gli altri. Ad esempio ne creati con te.”
    Sapeva che Nate poteva parlare per se stesso, non lo riteneva di certo un bambino, era quasi un adulto ormai ed era estremamente intelligente. Eppure il suo modo di vivere le emozioni in modo completamente diverso dagli altri - e a volte Bram si era chiesto se ne provasse - poteva renderlo incompreso e maleducato agli occhi degli altri, così come era successo Daphne.
    “Non lo tratto con i guanti di velluto, ho soltanto capito ed accettato che tipo di persona sia. E non ha provato a capire se poteva avermi ferito perché probabilmente non ci è nemmeno arrivato a rendersi conto che quello che ha detto poteva essere pesante per me, non è menefreghismo il suo”
    Ridacchiò poi dell’esempio di Daphne ed un leggero sorriso rimase sulle sue labbra, mentre la guardava con sguardo più addolcito.
    “Dire che non sei portata per lo sport non è esattamente allo stesso livello di accusarlo di volermi frequentare solo per i miei soldi” disse con tono vagamente divertito “E penso lo abbia detto per rispondere alle tue provocazioni, hai iniziato tu, dopotutto, non puoi negarlo. E ci sei andata un po’ pesante da subito”
    Insomma, Daphne gli aveva detto immediatamente, tra le righe, che l’unico motivo per cui Nathan era interessato a Bram era per ottenere qualcosa da lui. Persino qualcuno come il Feuerstein, che si lasciava scivolare le cose addosso, non doveva aver gradito essere punzecchiato in quel modo.
    “Senti, non pretendo che Nate ti piaccia, ok? Capisco che possa essere difficile e non voglio importelo. Ti chiedo solo di non vederlo così negativamente, ti assicuro che ha molti lati positivi. Gli errori li facciamo tutti, nessuno di noi è perfetto. Dagli solo un’altra possibilità, che ne dici?”
    Si allungò in avanti, prendendo la mano di Daphne e stringendola piano nella propria.
    “Ti giuro che ho intenzione di parlare con lui. Gli dirò che mi ha ferito e che avrebbe dovuto avere un po’ più di tatto per quanto riguarda la mia adozione e documenti annessi. Lo so che ti preoccupi per me ed io lo apprezzo…”
     
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    Ancora le sfuggiva cosa Bram avesse trovato in Alexander Drayton. Lei aveva avuto un impatto pessimo con lo scozzese tanto che, pur essendo consapevole di aver fatto a sua volta una pessima impressione su quest'ultimo con il suo atteggiamento omofobo, non riusciva ad attribuire al biondo alcuna attenuante. Si era convinta di aver capito fin da subito che in quel tipo qualcosa non tornava, che non era la persona giusta per Bram a prescindere dal genere di appartenenza. Quello era un argomento archiviato, certo, ma non poteva negare che la fomentasse nella convinzione di avere un occhio critico più valido di quello del suo migliore amico nell'osservare le persone di cui quest'ultimo si circondava. E quando Daphne elaborava una simile convinzione era molto difficile sradicarla dalla sua mente. Sapeva che questo la stava condizionando nel giudicare Nathan e l'influenza che quel fratello apparso dal nulla sembrava avere su Bram.
    A volte succede. Non devi essere una persona priva di carattere perché il bisogno di essere amato ti spinga verso questa debolezza.
    Pronunciò quelle parole con una leggera inflessione risentita, che probabilmente il Dubois non avrebbe potuto comprendere. Lei si considerava una ragazza con un carattere forte, determinata e testarda, ma tuttavia sapeva di essersi impegnata in molte occasioni a compiacere suo padre e assecondarne le aspettative. Fin dall'infanzia aveva smaniato per la sua approvazione, poiché ne aveva sempre disperatamente desiderato l'amore. Il fatto che il Dubois la considerasse una possibilità così assurda - anche se motivata da una necessità affettiva - la faceva sentire giudicata. Ma non era un argomento su cui desiderava soffermarsi in quella circostanza.
    Sembrava proprio che stravedessi per lui, non è.. uno spettacolo frequente.
    Glielo fece notare, lasciando aleggiare nell'aria un "non detto" piuttosto ingombrante. Sapeva che sarebbe stato capriccioso ed egocentrico persino per lei far notare in modo diretto a Bram che non lo aveva mai visto guardare lei con quegli occhi a cuoricino colmi di ammirazione. Era costretta a tenersi quel pensiero per sé, ma la verità era che si era risvegliato in lei fin da subito, avendo notato che una simile esaltazione da parte dell'americano sembrava essersi risvegliata solo con Drayton e con Nathan.
    Oh, direi proprio di sì.
    Arricciò le labbra in un broncio evidente nel confermare che l'atteggiamento del Feuerstein non poteva che creare problemi ad una persona come lei. Sinceramente si chiedeva come potesse non crearne agli altri.
    Non sarà menefreghismo, ma magari dovrebbe impegnarsi anche lui un po' di più. Visto che sembra richiesto che gli altri si impegnino a capire le connessioni tra la sua mente e le sue parole.
    Al netto della necessità di mostrarsi comprensivi verso un ragazzo che evidentemente aveva qualche difficoltà relazionale - Daphne non era rimasta indifferente quando Nathan si era definito "rotto" - la rossa non trovava giusto che quest'ultimo non ricambiasse a sua volta. Per alcuni i problemi erano considerati più ingombranti e magari anche diagnosticati, ma la sensibilità di Bram non era "di serie b" e anche lui andava tutelato.
    Non hai detto che non si accorge di questo genere di cose?
    Si concesse quell'ultima provocazione, provando un pizzico di soddisfazione nel farlo. Certo, lei aveva attaccato per prima con le sue insinuazioni, ma se davvero Nathan non coglieva l'aspetto meschino di certe affermazioni e comportamenti com'era possibile che si fosse offeso e avesse sentito la necessità di rispondere con una frecciatina? Solo a quel punto la Mikkelsen si decise finalmente a deporre le armi: per affetto verso Bram, ovviamente, non per altre ragioni. Avrebbe comunque tenuto d'occhio il Feuerstein e la quantità di regali che spillava al fratello ritrovato.
    Beh.. va bene, se ti piace così tanto. Cercherò di essere più gentile la prossima volta.
    Si sarebbe impegnata davvero, non stava cercando di tranquillizzare l'americano con falsi propositi. Sarebbe stata più gentile e avrebbe visto quale effetto un simile comportamento sortiva.
    Ma sarà meglio per lui che dimostri di meritarselo. Per esempio, rendendosi conto dei propri errori quando gli farai notare che ti ha ferito.
    Aggiunse quella precisazione, perché la sua gentilezza sarebbe stata comunque accompagnata da un attento e costante esame del soggetto in questione. Come minimo Nate doveva impegnarsi quanto Bram faceva con lui. Sbuffò la propria diffidenza ma le sue labbra si piegarono infine in un sorriso, quando sentì l'altro affermare che apprezzava la preoccupazione che lei gli riservava.
    Beh, non hai molta scelta.. comunque.
    Gli spettinò affettuosamente i ricci, scuotendo la testa con espressione ovvia.
     
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    Inizio settembre

    Era stata una settimana strana quella che aveva passato a New York.
    Ai suoi genitori aveva detto di volerli vedere e stare un po’ con loro, non aveva avuto il coraggio di informarli del litigio con Daphne e di come questo lo avesse spinto ad andarsene per un po’ dall’appartamento che condivideva con l’amica.
    Avrebbe potuto cercare subito un confronto con lei, lo sapeva, ma dopo quello che si erano detti a seguito della presenza di Unity, Bram era ancora turbato.
    Senza contare che, sentendosi un totale vigliacco, non se l’era sentita di affrontare il discorso della sua pansessualità con Daphne, spaventato all’idea che questo potesse portare ad una rottura definitiva tra loro.
    Non era pronto a perdere la sua migliore amica ed in parte anche per questo aveva deciso di prendersi qualche giorno lontano da lei.
    L’aveva ovviamente informata, non se ne era di certo andato da un giorno all’altro portandosi via Duke, ma gli era costata un po’ di fatica dirglielo. A malapena si erano parlati comunque, quindi era stato più “facile” di quanto avesse previsto.
    In quei giorni si era dato del tempo per pensare, ma più cercava un modo per parlare con lei e chiarire tutto, più gli sembrava che qualsiasi approccio avrebbe portato al disastro totale.
    In parte perché ce l’aveva ancora con lei per delle cose che aveva detto, in parte perché aveva paura che questa volta non sarebbe riuscita ad accettarlo ed infine perché lui stesso si sentiva in colpa per come era andato il litigio e per come le avesse fatto fare outing davanti a Unity.
    Decise che forse partire da lì sarebbe stato un buon punto.
    Tornò a casa con una scatola di dolci di Magnolia Bakery.
    Trovava, a volte, un non so che di confortante nel cibo, soprattutto all’idea di dover affrontare una situazione che lo turbava, ed aveva la sensazione che quel giorno avrebbe dovuto affrontare una discussione difficile.
    Quando fece il suo ingresso nell’appartamento, lo trovò così silenzioso che per un attimo pensò che Daphne fosse fuori.
    Lasciò lo zaino con le sue cose vicino la porta e tolse il guinzaglio a Duke che subito si lanciò in avanti, probabilmente alla ricerca dei suoi giochi, ed il soffio aggressivo che Bram udì subito dopo gli fece capire che doveva aver incrociato Bijou nel corridoio.
    Con un guaito, Duke cambiò direzione, infilandosi nel salotto, e la gatta passò davanti l’ingresso, lanciando a Bram un’occhiata di sufficienza.
    Non il migliore dei bentornati, insomma, ed il giovane ebbe la sensazione che l’umore di Daphne fosse lo stesso della sua siamese.
    Con un sospiro, anche lui raggiunse il salotto e affacciandovisi vide la danese seduta sul divano, con un libro. Duke era andato ad accoccolarsi accanto a lei, probabilmente cercando conforto dopo la reazione aggressiva di Bijou.
    Per qualche secondo il Dubois non disse niente, poi prese un respiro profondo.
    “Ehi…” esordì incerto, facendo qualche passo avanti e posando la scatola di Magnolia Bakery sul tavolino.
    Avrebbe potuto porgerla direttamente a Daphne ma in quel momento non riuscì nemmeno a guardarla negli occhi
    “Come stai?”
    Non la vedeva da giorni, quindi si trattava di una domanda più che lecita, eppure in qualche modo suonò forzata, tradendo l’urgenza che aveva di passare all’argomento successivo.
    “Dovremmo parlare, immagino, di nuovo…”
    Non fu un deja-vu piacevole quello che provò nel pronunciare quelle parole.
    Attese qualche secondo, per vedere quale sarebbe stata la reazione dell’amica e quando lei non si oppose, prese posto sulla poltrona, con fare un po’ nervoso.
    “Umh… prima di tutto volevo chiederti scusa per aver parlato così liberamente della tua sessualità davanti Unity. Sono stato un idiota e mi dispiace. Ero… parecchio agitato e non ho pensato lucidamente…” si morse appena il labbro inferiore, per qualche secondo.
    “E scusami per non averti detto che Unity mi avrebbe fatto compagnia nel guardare Sayuri, io… lo avrei fatto, ma non ti avevo ancora parlato di lei e volevo aspettare a farlo”
    Tamburellò i polpastrelli tra di loro e solo a quel punto si decise ad alzare gli occhi, cercando quelli di Daphne.
    “Perché hai detto quelle cose? Che ti vedo come la cattiva o come un mostro? Non è vero, non l’ho mai pensato, né detto… se non ti parlo subito di qualcosa non è perché ho paura di te ma perché ho bisogno di tempo per affrontare una determinata situazione”
     
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    La partenza di Bram era stata come sale sulle ferite della loro amicizia. Daphne era rimasta allibita, totalmente presa in contropiede da una mossa tanto estrema e radicale. Ingenuamente, aveva creduto che il suo migliore amico si fosse reso conto di quanto l'avesse ferita e messa a disagio. Aveva creduto che ciò lo avrebbe portato a cercare un confronto che permettesse loro di chiarire ciò che evidentemente non riusciva a comprendere da solo. Ma tutto questo non faceva parte dei piani del Dubois: il massimo a cui si era spinto era stato affrontarla con un commento acido pregno di giudizio a cui l'aveva sottoposta sotto lo sguardo di Unity. Qualcosa che si sarebbe volentieri risparmiata, preferendo il silenzio a quella specie di umiliazione aggiuntiva.
    Ma il silenzio ora le faceva paura. Trascorrere una settimana da sola nell'appartamento che lei e Bram avevano condiviso fino a quel momento era stata un'esperienza piuttosto deprimente. Era triste vedere la porta della camera di Bram perennemente chiusa, non sentire il goffo sgambettare di Duke sul pavimento, per non parlare delle foto scattate a Disneyland Paris che la osservavano dalla parete su cui erano incorniciate. Immagini troppo felici per risultare sopportabili. Ciò che per la danese era davvero insopportabile, comunque, era il significato che non poteva fare a meno di attribuire alla partenza del Dubois. Bram aveva bisogno di una pausa da lei. Non c'era conferma più evidente di tutti i dubbi e le paure che aveva maturato nei confronti dell'americano.
    Il rumore della porta e la conseguente entrata di Bram e Duke l'avevano sorpresa mentre cercava di concentrarsi su una lettura, senza troppi risultati. Era rimasta seduta sul divano, immobile, incapace di richiamare Bijou per l'accoglienza stizzosa riservata al cane. Solo quando il bulldog l'aveva raggiunta con la palese intenzione di farsi consolare da lei, Daphne aveva abbozzato un sorriso intenerito e aveva dedicato al suo minuto ma tozzo amico a quattro zampe delle meritatissime coccole. Il suo sguardo seguì l'ingresso del suo coinquilino nella stanza, gli occhi azzurri muti ma tutt'altro che inclini a dissimulare il suo turbamento. Esitò ben poco sulla scatola di Magnolia Bakery che veniva posata sul tavolino. In quel momento il cibo era l'ultimo dei suoi pensieri. Fu la domanda di Bram, nella sua dolorosa retorica, a spingerla finalmente ad aprire bocca.
    Tu che dici? Sto da schifo.
    Non era da lei risparmiarsi nel mostrare il proprio turbamento. Era incline al melodramma: non per il desiderio di esagerare la portata delle proprie emozioni agli occhi altrui, ma proprio perché avvertiva con intensità l'esigenza di comunicare ciò che provava. A meno che il suo obbiettivo non fosse mascherare il proprio turbamento - situazione che poteva crearsi, ma che raramente si presentava quando aveva a che fare con i suoi affetti più stretti - Daphne esponeva il proprio malessere con la deliberata intenzione di rendere più chiaro che mai ciò che l'affliggeva: delusione, risentimento, offesa, indignazione. Non vedeva buone ragioni per fare alcun tipo di sconto a chi l'aveva ferita, a maggior ragione se si trattava di una persona che amava.
    Già.. di nuovo. un sopracciglio rosso e sottile si sollevò in un moto di disappunto, come se in quel "di nuovo" pronunciato da Bram vi fosse una colpevolizzazione indirizzata a lei, un intento polemico dal quale avrebbe dovuto difendersi Sappi che in questo caso non sono stata in alcun modo aggressiva verso Unity. Non so perché mi abbia chiesto se poteva andarsene, neanche fossi una psicopatica sequestratrice di ragazzine.
    Il comportamento di quella ragazza l'aveva sconcertata. La nuova fidanzata di Bram possedeva lineamenti dolci e occhi grandi da cucciolo spaurito, con l'aggravante di una struttura fisica ancora acerba, quasi puerile, insomma.. un mix perfetto per far sentire in colpa chiunque fosse riuscito a farla balbettare. E Daphne aveva il sospetto che non ci volesse poi molto ad ottenere quel risultato. La danese l'aveva ottenuto in modo tutt'altro che intenzionale ma tanto era bastato a farla passare per la "cattiva" della situazione, malgrado lei a quella sconosciuta non avesse detto niente di sgradevole. Ne era assolutamente certa: d'altro canto, Daphne sapeva benissimo quando si poneva in modo sgradevole o crudele poiché lo faceva sempre intenzionalmente. Ma chissà che strane idee si era fatto Bram, arrivati a quel punto.
    Ma è proprio questo il punto. Anche se tu non avessi parlato della mia sessualità in modo diretto durante quella discussione, non avresti comunque rispettato la mia privacy.
    Si armò di pazienza per spiegare ciò che ai suoi occhi appariva del tutto ovvio. Bram era uno ragazzo sveglio, il problema non era quello: il problema era che, evidentemente, l'emotività della Mikkelsen aveva in sé qualcosa di poco comprensibile al suo prossimo, un dettaglio di cui si sentiva sempre più consapevole e che le provocava un profondo senso di solitudine.
    Ma cosa credevi che sarebbe successo invitando Unity a fare da babysitter a Sayuri? Credevi che una bambina non avrebbe parlato della serata tra me ed Harumi? E qualunque persona sopra i dieci anni avrebbe intuito che c'era qualcosa di romantico dietro.
    Non riusciva comunque a capacitarsi del fatto che il Dubois non avesse fatto quel semplice ragionamento. La distrazione del ragazzo al riguardo aveva una sola spiegazione per lei: Bram non si era posto il problema. Aveva pensato a sé stesso e al suo desiderio di trascorrere una serata con Unity, dunque anche lui aveva peccato dell'egocentrismo per cui tanto la criticava. Daphne avrebbe preferito un rifiuto alla richiesta di fare da baby sitter a Sayuri, piuttosto che ritrovarsi improvvisamente così esposta davanti ad una sconosciuta. Il solo pensiero della complicità tra lei ed Harumi messa in bella vista tramite le parole innocenti della piccola Wàng le stringeva un nodo d'ansia all'altezza del petto. Perché nessuno sembrava comprenderlo?
    Io.. ancora non prendo per mano Haru se non siamo in una via praticamente deserta!
    Fu proprio quella frustrazione a farla esplodere. L'idea che nessuno tra le persone che le erano vicine riuscisse realmente ad empatizzare con la sua angoscia, a comprendere la paura che provava.. la annientava. La sua confessione suonò aggressiva e disperata al contempo, mentre la rossa sentiva gli occhi pizzicarle fastidiosamente.
    Se ti serviva del tempo per parlarmi di Unity, forse non avresti dovuto invitarla proprio quando era presente la figlia espansiva e socievole della mia ragazza.
    Trovava terribilmente ingiusto che Bram l'accusasse di egoismo senza pensare al suo punto di vista, così come trovava ingiusto l'essere passata per una nevrotica delirante agli occhi di una sconosciuta, per non parlare del fatto che Harumi avesse assistito a tutto ciò. Trovava ingiusto essersi ritrovata a fare una scenata proprio davanti ad una ragazza che le piaceva così tanto. Trovava ingiusto che la leggerezza di Bram le avesse rovinato la mattina seguente ad una notte così significativa e speciale per lei. Si rese conto che la sua rabbia, nel corso di una settimana, non era scemata affatto. L'allontanamento del Dubois, anzi, l'aveva addirittura alimentata. Smise di accarezzare Duke e strinse le dita contro la stoffa del copridivano, lanciando un improvviso sguardo di fuoco al ragazzo seduto poco distante da lei.
    Beh, però dici che credo che tutto ruoti attorno a me. Certe cose mi riguardano, Bram: come l'organizzazione del pigiama party che avete fatto ieri sera. Andiamo, te l'ho letto in faccia che eri convinto che avrei fatto qualche commento sgradevole su di lei. Tu non mi hai mai perdonata.
    Ed ecco il punto. Era arrabbiata, sì.. ma il dolore era comunque più forte di qualsiasi altra cosa.
     
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    Bram detestò la fitta di senso di colpa che lo colse quando Daphne non si risparmia nell'esporre come si sentisse.
    Per una volta trovò ingiusto provare una tale sensazione perché anche lui era stato ferito, anche lui non era stato bene in quella settimana e credeva di avere il diritto di prendersi del tempo per sé per pensare e far calmare le acque.
    Le parole di Daphne però gli ricordavano quanto si fosse sentito in torto ad andarsene in quel modo e a lasciarla sola. Sì, perché a conti fatti Bram era stato a casa con i suoi genitori e Daphne… sola nell'appartamento che condividevano.
    Era certo che Harumi le fosse stata vicino, ma non era la stessa cosa dall'avere costantemente qualcuno in casa.
    In qualche modo riuscì a sostenere lo sguardo della danese, ma quello che le rivolse di rimando fu pieno di disagio ed agitazione.
    "Lo so… non ho percepito alcuna aggressività nei confronti di Unity. Ma lei è molto sensibile…" persino più di Bram stesso, e spesso sentiva il forte bisogno di metterla sotto una campana di vetro e proteggerla da qualunque cosa.
    "Non so nemmeno io perché ti abbia chiesto il permesso di andarsene, ma so che si agita molto facilmente e pensava di essere la causa del nostro litigio… se ti rassicura, non ti considera un mostro…"
    Sapeva che la reazione di Unity faceva intendere il contrario, ma aveva ormai imparato a conoscerla e dopo averne anche parlato con lei aveva capito che la ragazza non ce l'aveva con Daphne, né l'aveva considerata una psicopatica sequestratrice di ragazzine.
    Ma Bram temeva che la Mikkelsen non gli credesse, sembrava che il fulcro di tutto girasse intorno a quello, alla sua convinzione di essere vista come la cattiva di turno, un pensiero che non aveva nemmeno mai sfiorato Bram, né in quest'ultimo litigio e né quando avevano litigato dopo la festa di Harvey.
    "Io… io non credevo che Sayuri avrebbe potuto dire qualcosa che facesse intuire il tipo di relazione tra te e Harumi" mormorò, prendendo consapevolezza di quanto anche quello avesse turbato Daphne.
    Sapeva di aver sbagliato ad esporla in quel modo, sapeva quanto ci fosse rimasta male e quanto l'avesse turbata la cosa, ma non aveva capito che lo fosse fino a quel punto.
    Laddove Bram non ci aveva visto niente di male nelle parole di Sayuri, né aveva sospettato che la bambina potesse dire qualcosa di compromettente, Daphne ci vedeva invece qualcosa da evitare.
    Probabilmente lei avrebbe pensato in anticipo ad una possibilità del genere, il suo timore e la sua ansia l'avrebbero portata a fare un ragionamento del genere e ad evitare di invitare Unity.
    Bram invece, nella sua ingenuità, non aveva preso in considerazione un'eventualità simile.
    La veemenza con cui Daphne gli fece presente la cosa - e lo sguardo ferito della ragazza - lo prese contropiede.
    Il senso di colpa gli rese difficile persino deglutire per liberarsi dal nodo che sentiva in gola. Odiava l'idea di aver turbato la danese in quel modo, di non essere stato più attento, ma… come avrebbe potuto saperlo? Era totalmente estraneo all'ingenuità dei bambini e soprattutto al carattere espansivo di Sayuri.
    "Non l'ho fatto con cattiveria o menefreghismo" quasi annaspò inciampando in quelle parole pronunciate con tanta agitazione "Mi dispiace, Daphne… mi dispiace davvero, credimi"
    E se non lo avesse fatto? Se non avesse creduto che aveva semplicemente fatto un errore in buona fede e lo avesse solamente considerato un egoista a cui non importava niente di lei è dei suoi sentimenti?
    Per tutta la sua vita Bram era sempre stato attento agli altri e ai loro bisogni ed in quel momento gli sembrò di aver fallito con una delle persone che contavano di più per lui.
    Ma era consapevole di non essere perfetto. Poteva sbagliare anche lui, giusto? Allora perché gli stava lasciando quella sensazione di amarezza e delusione nei propri confronti?
    "A Sayuri ho detto che Unity è un'amica… se anche ti avesse detto qualcosa mi sarei attenuto a quella versione, mi credevi gay, sarebbe stato facile fartelo credere ancora per un po'"
    Abbassò lo sguardo nel confessare la menzogna che si era già preparato a rifilare alla sua migliore amica.
    "Te lo giuro, non era qualcosa contro di te il volertelo nascondere. Ed ho fatto venire Unity perché mi sentivo più tranquillo, non mi ero mai occupato di un bambino prima, ma non volevo far preoccupare te o Harumi dicendovi che mi sentivo nervoso all'idea di farlo da solo. Volevo che ti godessi la serata senza alcun pensiero, Daphne…"
    Era sincero, a Daphne sarebbe bastato guardarlo negli occhi per capire che quello che era successo era stato frutto dell’ inesperienza ed ingenuità di Bram, che non c’era niente contro di lei, ma forse la rabbia e la delusione della ragazza l’avrebbero resa cieca a quell’evidenza.
    “… che cosa stai dicendo?!” lo sguardo di Bram mutò mentre si sollevava nuovamente su Daphne, facendosi ora confuso, poi sorpreso, poi turbato e arrabbiato.
    “Non ho affatto pensato che avresti fatto qualche commento sgradevole su Unity!”
    La voce che fino a quel momento gli era uscita remissiva e colpevole, scoppiò in tutta la sorpresa e lo sdegno del giovane Dubois.
    “Non ti ho perdonata di cosa?!”
    Gli ci volle quale secondo per capire di cosa parlasse, a cosa si riferisse con quelle parole e quando ci arrivò il suo sguardo si fece ancora più incredulo, ma nei suoi occhi si poteva leggere anche l’agitazione.
    Daphne credeva che Bram ce l’avesse ancora con lei per il famoso litigio legato alla sua riscoperta sessualità, dopo il bacio che lui e Alexander si erano scambiati alla festa, ed il giovane americano non poté fare a meno di chiedersi dove avesse sbagliato, cosa avesse fatto per farle pensare una cosa del genere.
    “Pensi che sarei ancora qui se non ti avessi perdonata? Condividerei una casa con te?!” il suo tono era duro, come a volerla rimproverare di aver pensato una tale follia.
    “Non tirare fuori la storia che sono buono, ho anche io dei limiti! Non ce l’avrei mai fatta a continuare a mantenere con te un rapporto così stretto se fosse come dici tu. Quando ho detto che per me è una storia passata lo intendevo davvero! Ed è questo non capisco, perché credi che non ti abbia perdonata? Perché credi che ti veda come un mostro?! Cosa ho fatto per fartelo pensare?”

     
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    Almeno lei.
    Si limitò a quel commento, intriso dell'evidente sottointeso circa la sua idea che Bram, invece, avesse un parere peggiore di lei rispetto a quello che aveva Unity. Non le interessava approfondire il discorso: non perché avesse qualcosa contro la piccola ragazza dai grandi occhi spauriti - appurato che fosse maggiorenne, non c'era niente che potesse indisporre la Mikkelsen - ma perché, inevitabilmente, il parere di Bram pesava molto di più. Le persone avevano sempre formulato i pensieri più disparati su di lei: c'era chi l'ammirava, chi la invidiava, chi la criticava, chi addirittura non la sopportava. Non era esattamente un concentrato di dolcezza con tutti, su questo non c'erano dubbi, ma Daphne era sempre stata del parere che piacere a chiunque non fosse un pregio. Tutte le persone più interessanti suscitavano opinioni contrastanti. Solo circa le sue capacità, i suoi talenti e il suo fascino, Daphne bramava l'ammirazione di chiunque. Il punto era che, tra tutte le persone con cui la rossa aveva avuto a che fare in quello che era un abbondante ventennio di vita, se ne poteva contare qualcuna verso cui provava un affetto sincero. E il loro parere sull'essere umano che era sì.. che era importante.
    I bambini non li conosci affatto, okay.. ma avresti dovuto rifletterci meglio.
    Roteò gli occhi. Era shockata dalla naturalezza con cui Bram palesava il suo totale smarrimento di fronte alla possibilità che una bambina avesse la lingua lunga, che notasse dettagli e dinamiche che la colpivano, anche se la sua giovane età la portava ad un'interpretazione più ingenua. Non che la Mikkelsen avesse trascorso una vita circondata da infanti, ma il Dubois sembrava davvero più sprovveduto che mai al riguardo. E si notava a tal punto che credergli era decisamente facile.
    Va bene, su questo ti credo.
    Espresse quella concessione, senza tuttavia adottare un tono più tranquillo e amichevole. L'aveva ferita pensare che Bram non desse peso al suo bisogno di privacy e alle sue paure circa la sfera della sessualità, ma a ferirla più di ogni altra cosa era il risentimento che era convinta che l'altro provasse nei suoi confronti.
    Quindi mi stai dicendo che ti preparavi a rifilarmi un'altra cazzata?
    Lanciò un'occhiata di fuoco al ragazzo seduto poco distante da lei, sibilando quella domanda con tono tutt'altro che conciliante Sul serio, Bram?
    Qualcosa si era rotto il giorno in cui avevano litigato in seguito al plateale coming out che l'americano aveva fatto a casa di Harvey. Non c'era da sorprendersi: Daphne sapeva di essere stata incredibilmente crudele, di aver riversato sul suo migliore amico tutta la rabbia, l'ostilità e il disprezzo che in realtà provava in primo luogo verso sé stessa e verso quella natura che non riusciva ad accettare. Lei, al posto di Bram, probabilmente non sarebbe riuscita a perdonare un attacco del genere. Daphne, con le sue liste mentali di persone sgradite, individui che le avevano fatto un torto, nemesi vere e proprie.. dove avrebbe trovato la forza per perdonare un comportamento simile? Ma nemmeno il moro, che era infinitamente più paziente e comprensivo di lei, pareva esserci riuscito davvero.
    Non puoi far passare ogni bugia che mi dici come qualcosa che fai per me. Se non mi hai detto di Unity l'hai fatto per te stesso. Evidentemente non vuoi che io sia coinvolta nella tua vita privata. obbiettò, sentendo una fitta di dolore all'altezza del petto Se non pensavi che sarei stata crudele per quale motivo, pur di non dirmelo, hai organizzato sotterfugi di ogni tipo? Appuntamenti segreti, una bugia già pronta in caso Sayuri mi avesse parlato di Unity.. è tutto ai limiti dell'assurdo, te ne rendi conto?
    Ormai quel giorno sembrava essersi configurato come il loro confronto definitivo. Era arrivato il momento di mettere le carte in tavola, il momento in cui era necessario dire tutto ciò che era rimasto in sospeso. Andare oltre le spiegazioni che ognuno di loro dava a sé stesso, le interpretazioni personali degli eventi che non venendo condivise restavano lì a ristagnare avvelenando le loro emozioni. Proprio in virtù di questa considerazione Daphne assecondò istantaneamente il bisogno di buttare fuori la convinzione che si era trascinata dietro per più di un anno, l'idea che Bram le serbasse ancora un forte risentimento.
    Ma è evidente che sia così! esplose, facendo sussultare Duke che la guardò allarmato, nervoso nel percepire tanta tensione tra i due umani di casa Forse sei sensibile al punto da non voler perdere un'amicizia, anche a costo di passare sopra a questioni che non hai realmente superato!
    Non avrebbe usato il termine "buono" se lui non lo gradiva, ma la realtà dei fatti era che il Dubois era una delle persone più umanamente disponibili e comprensive che avessero mai messo piede sul pianeta terra. E la danese era più che certa che l'amico desiderasse perdonarla con tutto sé stesso, che volesse andare oltre quanto era accaduto, ma la quantità di questioni da cui la escludeva la portavano a pensare che, malgrado l'impegno che ci metteva, lui non ci stesse riuscendo affatto.
    Se tu mi avessi perdonata, perché queste bugie? lo mise davanti ad un interrogativo diretto, senza possibilità di fuga Non è certo la prima volta che mi nascondi qualcosa di importante.
    A quel punto, la mancanza di una via di fuga non riguardava solo Bram. Riguardava entrambi. Dovevano affrontare un nodo irrisolto del loro rapporto, un segreto di cui in realtà entrambi erano a conoscenza e che aveva aleggiato tra loro per mesi e mesi, accompagnando il loro viaggio insieme, la loro convivenza e moltissimi momenti che li avevano visti vicini.
    Io so cosa ti ha fatto Harvey, Bram. Perché credi che abbia lasciato villa Hollingsworth all'improvviso, quando il massimo che potevo permettermi era una stanza in accademia?
    Deglutì, lasciando che il silenzio cadesse come un pesante sipario su quella confessione. Avrebbe potuto non aggiungere altro, lasciando che fosse l'altro a prendere parola. E forse avrebbe dovuto farlo, perché i suoi occhi erano troppo lucidi perché pronunciare qualunque altra parola potesse essere considerato saggio.
    Sono mesi che aspetto che tu me ne parli.
    Non scelse la via della saggezza e fu punita da una lacrima che sfuggì dalle sue ciglia scivolando in una solitaria esplorazione dello zigomo spruzzato di lentiggini e poi della guancia. Non era sicura di aver mai pianto davanti a Bram, prima. A pensarci bene, forse non era mai accaduto. La voce non fu altro che un mormorio, quando gli rivolse la domanda peggiore.. quella di cui non era certa di voler ascoltare la risposta.
    Pensavi che non ti avrei difeso?
     
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    Daphne non aveva torto nel dire che Bram avrebbe dovuto riflettere meglio su cosa avrebbe comportato invitare Unity e a quello che avrebbe potuto dire Sayuri.
    D’altra parte si chiedeva però come avrebbe potuto pensarci se era del tutto ignaro della cosa, non conosceva la bambina, né il suo carattere, prima di quella sera l’aveva incontrata per pochi minuti e non erano abbastanza per farsene un’idea.
    Di certo l’esperienza gli aveva ora insegnato qualcosa ma, per quanto si sentisse in colpa e ritenesse un errore quello che aveva fatto, non aveva avuto gli elementi giusti per capire che l’incontro tra Sayuri e Unity avrebbe potuto comportare qualche problema.
    Dal momento che lui e Daphne sembravano avere già ben altri problemi su cui discutere, decise di non insistere troppo su quel punto.
    In particolare perché averle confessato che aveva intenzione di mentirle, se necessario, non aveva di certo alleggerito la tensione che già c’era tra di loro e, anzi, l’occhiata che gli rivolse la rossa lo fece sentire piccolo piccolo su quella poltrona e gli fece desiderare di sparire nel nulla all’istante.
    “Io… io non sarei stato felice di farlo…” azzardò “E sarebbe stato solo temporaneo…”
    Si mosse nervosamente sulla poltrona, soffocando il bisogno di alzarsi ed iniziare a camminare per tutta la stanza.
    forse dire a Daphne della bugia non era stata una mossa saggia, avrebbe dovuto saperlo ed evitare, piuttosto passare per l’idiota che non aveva pensato a cosa fare in caso Sayuri avesse detto a Daphne di Unity. La figura dell’idiota l’aveva fatta ora, invece, mettendosi da solo nel sacco, eppure era più di lui, non ce la faceva a mentire ora che gli altarini si stavano scoprendo.
    Avrebbe voluto che Daphne capisse il perché di quella bugia, che non se la prendesse troppo, ma era tutto già troppo compresso tra loro.
    “Ho detto che non era contro di te, non che fosse a tuo favore infatti!” replicò contrariato “Ed è assurdo, certo che voglio che tu sia coinvolta nella mia vita privata, quante volte devo dirtelo che avevo bisogno solamente di tempo?!”
    Per quanto fosse stato ansioso e preoccupato fino a quel momento, il fatto che Daphne continuasse ad insinuare che le aveva tenuta nascosta la cosa perché ce l’aveva con lei e non si fidava, lo stava rendendo nervoso ed anche un po’ arrabbiato.
    Come poteva dirgli una cosa del genere? Lei che avrebbe dovuto conoscerlo bene ormai?
    “No, Daphne, non sarei capace di condividere questa casa con te se non ti avessi perdonata! Sensibile o meno che io sia! Perché non capisci?! Io ti ho aspettata! Ho aspettato che decidessi di aprirti con me e mai ho pensato che non mi volessi rendere partecipe della tua vita! Perché non può essere lo stesso per me, eh?! Se comunque ti preoccupa così tanto questa cosa del perdono, forse magari avresti dovuto chiedermi scusa, invece di lasciarlo sottinteso!”
    Lui stesso si sorprese di quelle parole. Non aveva idea da dove gli fosse uscito e perché, non era un pensiero che aveva mai attraversato la sua testa fino ad allora.
    Certo, era sempre stato consapevole che Daphne non gli aveva mi chiesto ufficialmente scusa per quello che era successo tra loro dopo la festa di Harvey, ma lo aveva accettato, aveva pensato che a modo suo l’amica lo avesse fatto e…
    Che fosse rimasto latente per tutto quel tempo? Una parte di lui era davvero risentita e pretendeva delle scuse serie? Se si soffermava a rifletterci non ne sentiva realmente il bisogno, ma ormai le sue labbra avevano pronunciato quella frase, con fin troppa enfasi, e per un attimo lui stesso rimase immobile, come se fosse andando a punzecchiare qualcosa che non andrebbe toccato.
    “Di cosa stai parlando? Quali bugie?” il suo tono si affievolì appena, con fare incerto, mentre lo sguardo preoccupato vagava sulla figura dell’amica.
    Quando lei fece il nome di Harvey, il cuore di Bram mancò di un battito ed istintivamente trattenne il respiro. Il suo corpo si irrigidì all’istante ed il colorito del suo volto si fece più pallido, mentre nel suo sguardo iniziava a fare capolino la paura.
    “Come lo sai?” sussurrò.
    Non c’era nessuno che potesse averglielo detto. Nessuno a parte tre persone che non credeva avrebbero mai potuto farlo. Alexander era da escludere, visto che lui e Daphne non si passavano nemmeno vicino. Di Joel si fidava ed era certo che non glielo avesse detto. Harvey… possibile che fosse stato lui stesso a confessarle le proprie colpe?
    Il punto comunque era che la danese ora sapeva. Sapeva che per tutto quel tempo Bram le aveva nascosto una cosa così grossa, sapeva che l’aveva lasciata sotto lo stesso tetto di un folle pur di non parlarle di quanto accaduto.
    Il Dubois si sentì improvvisamente con le spalle al muro, ma per quanto il panico si stesse facendo prepotentemente largo dentro di lui, vedere le lacrime di Daphne fu come ricevere un pugno in pieno stomaco.
    Il cuore di Bram iniziò a battere più velocemente, mentre lui scuoteva la testa e cercava il fiato per risponderle.
    Vederla piangere, soprattutto quando era certo di non averla mai vista crollare in quel modo, era una delle cose più dolorose che avesse mai provato.
    “No… non ho mai pensato che non mi avresti difeso…” quasi boccheggiò per pronunciare quelle parole cercando di non crollare a sua volta, ma sentiva già gli occhi bruciare.
    Era in pena per lei, ma anche spaventato dal discorso che era saltato fuori. Non voleva parlare di Harvey e sapeva di non avere altra scelta.
    “Semmai è proprio per quello che non ti ho detto niente, perché ho pensato che saresti partita in mia difesa e… avevo paura, Daphne” deglutì cercando di ingoiare il nodo in gola.
    “Ha-Harvey mi aveva detto che se avessi parlato me l’avrebbe fatta pagare… ed io sapevo che se ti avessi detto cosa mi ha fatto non saresti riuscita a fare finta di niente”
    Aveva iniziato a tormentarsi le mani tra di loro con fare estremamente ansioso, senza rendersi conto che avevano iniziato a tremare. Picchiettava appena il piede sul pavimento, ignaro del fatto che si stava ora agitando sulla poltrona.
    “Te lo ha detto lui? Ti ha detto che il giorno dopo la festa è venuto da me con una tiara d’argento e l’ha usata per ferirmi? Ha scoperto in qualche modo che sono un lican…” prese un respiro profondo “Sapeva parecchie cose in realtà, anche che sono stato adottato. Mi ha minacciato quel giorno, mi ha… fatto del male… voleva che stessi alla larga da Alexander” si passò una mano tremante intorno al collo, gli sembrava quasi di sentire il guinzaglio stringere dolorosamente attorno ad essa.
    Non riuscì a dirle di quel particolare, era ancora troppo umiliante, dopo tutto quel tempo.
    “Ti ha detto di quando è entrato in camera mia e ha preso Duke? Per poi farmi credere di avergli fatto qualcosa…”
    A quel punto la sua voce stava tremando e i suoi occhi si erano spostati verso il pavimento, incapace di sostenere lo sguardo e le lacrime di Daphne.
    “O magari ti ha detto di quando ha ricoperto le pareti di un bagno di aconito e mi ci ha chiuso dentro? Ho passato lì dentro ore prima che mi trovasse Jerome…” si strinse nelle proprie braccia, quasi a volersi rassicurare da solo “Ma scommetto che non ti ha detto tutti questi particolari, vero? Non può averti detto di quando nel pieno di una psicosi ha rinchiuso me e Alexander da qualche parte e ci ha tenuti lì per giorni. Ricordi, quando sono sparito?”
    Ricordare quei giorni e quanta paura avesse avuto faceva ancora troppo male. Cercò di scacciare in tutta fretta una lacrima sfuggita al suo controllo.
    “Mi dispiace, Daphne. Ho lasciato che vivessi con lui, sapendo che tipo di persona sia, perché sono un vigliacco e me ne vergogno…” a quel punto non ci fu più alcun modo per lui di trattenere le lacrime, né il singhiozzo che ne seguì. “Avevo troppa paura per metterti in guardia. Ed ho ancora paura di Ha-Harvey… ma non è una giustificazione per non averti avvertita e aver permesso che stessi sotto il suo stesso tetto, lo so. Scusami, ti prego”
    Un altro singhiozzo lo scosse, mentre quasi si racchiudeva su se stesso come se stesse cercando di sparire alla vista dell’altra.
    Adesso Daphne sapeva che razza di amico fosse, uno che lasciava qualcuno in pericolo in quel modo. Non solo, con i suoi modi di fare aveva portato la danese a credere che non si fidasse di lei o che le portasse rancore e le lacrime di dolore della ragazza lo facevano sentire persino peggio.
     
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    Se uno sguardo avesse potuto realmente fulminare qualcuno, quello che il cielo azzurro delle iridi di Daphne rivolse a Bram.. di sicuro avrebbe sortito quell'effetto. Se il ragazzo sperava di giustificare il suo proposito di mentirle spudoratamente appellandosi al dispiacere che avrebbe provato nel farlo o addirittura minimizzando quella scelta, lei non era minimamente intenzionata a permettergli di proseguire. Era sinceramente offesa dalle intenzioni del suo migliore amico e lo era in misura maggiore in virtù del fatto che lei - a cui veniva recriminata la sua mancata accettazione di sé stessa - si fosse esposta con Bram circa la propria sessualità, mentre lui preferiva mettere in scena un teatro con tanto di copioni e ruoli inventati pur di nasconderle la verità. Le sembrava più che mai ipocrita, da parte di qualcuno che aveva sempre ribadito di non provare alcun tipo di vergogna. E in parte scoraggiava lei stessa, portandola a sentirsi insicura di tutti i passi avanti che riteneva di essere riuscita a fare con Harumi.
    Viviamo insieme, te ne rendi conto? Tenermi nascosta una cosa del genere equivale a mentirmi e inventare ridicoli stratagemmi.. ed è quello che è successo.
    Quando Bram le aveva lasciato il tempo di aprirsi, le loro vite avevano equilibri differenti. Erano molto legati, certo, trascorrevano parecchio tempo insieme.. ma non si svegliavano ogni mattina nello stesso appartamento, non condividevano gli spazi della loro quotidianità. Mentire sulle proprie frequentazioni adesso significava dover nascondere delle visite, approfittare dell'assenza dell'altro per organizzare determinati incontri, arrivare a creare equivoci e sorprese imbarazzanti com'era successo la mattina in cui Daphne e Harumi si erano presentate in quella casa credendo che Bram e Sayuri fossero stati gli unici ad averci dormito. Possibile che il Dubois non capisse quanto assurdo e sgradevole fosse tutto questo?
    Come fai a non renderti conto che ora è tutto cambiato? Sei stato tu a propormi di andare a vivere insieme, a volte mi chiedo davvero perché tu l'abbia fatto.. se poi ti metti ad invitare la tua ragazza in casa nostra di nascosto, come un adolescente!
    Cercò di metterlo di fronte a ciò che per lei era ovvio, ma che Bram non comprendeva o non voleva comprendere. Era troppo abituato ad essere una persona corretta e sincera per rendersi conto che in questa occasione non lo era stato per niente, che il modo in cui l'aveva presa in giro e messa a disagio di fronte ad una perfetta sconosciuta e ad Harumi - la sua prima ragazza in assoluto - era molto distante dalla complicità che Daphne credeva ci fosse tra di loro.
    Qualcosa non andava tra lei e Bram, ne era sempre più convinta. Una questione rimasta irrisolta, una ferita aperta che nel tempo aveva mutato forma trasformandosi in una tensione espressa attraverso messaggi e comportamenti a cui Daphne riteneva di aver trovato un senso. L'esplosione di Bram, una reazione improvvisa ed esasperata, le parve abbastanza carica di risentimento da rappresentare una conferma alla sua preoccupazioni. Dopotutto, le parole lasciavano poco spazio all'interpretazione.
    Ecco, lo vedi?? Lo sapevo! esclamò, spinta da quel guizzo di trionfo che la animava ogni qualvolta otteneva la conferma di avere ragione, un guizzo che però si spenso in un istante, lasciando il posto ad una profonda amarezza L'avevo capito, dovevi solo ammetterlo..
    Era davvero amareggiata. In parte perché riteneva che Bram avesse tutte le ragioni del mondo per pretendere da lei delle scuse - non era il solo, ma probabilmente condivideva il primo posto con Jerome - e in parte perché, seppure vi erano stati recentemente momenti in cui si era sentita quasi pronta a porgergliele affrontando i timori che un simile gesto portava con sé, ora quella possibilità si era fatta improvvisamente più flebile, proprio a causa della critica che il Dubois le aveva mosso con tanta enfasi. Chiedere scusa, ora più che mai, significava ammettere chiaramente di essere in difetto. Di avere delle colpe, delle mancanze. Ammettere la propria innegabile imperfezione. Mostrare un fianco scoperto al suo prossimo, abbassare la guardia. Insomma, come le aveva insegnato suo padre, mostrarsi debole. Nessuno avrebbe mai potuto realmente comprendere quanto fosse terribilmente frustrante e claustrofobico per Daphne rendersi conto di quanto gli insegnamenti ricevuti da quel mostro avessero ancora tanta influenza su di lei e sui suoi meccanismi di difesa.
    Si sentiva scoraggiata da quanto era appena accaduto, demoralizzata al punto che le pareva di aver perso tutta l'energia per litigare. Gli occhi di Bram che mutavano, attraversati da un'ombra di puro terrore, furono qualcosa di molto simile ad un colpo di grazia, in quel contesto: a quel punto Daphne non avrebbe potuto continuare a dargli addosso neanche con tutta la buona volontà del mondo.
    Non avrei cercato "giustizia" con una scenata pubblica come ho fatto con quello stronzo che ti ha tradito, Bram. Qui si parla di un reato, anche piuttosto grave: avrei provato a convincerti a denunciarlo.
    Gli spiegò pazientemente, chiedendosi se l'americano la considerasse più impetuosa di quanto in realtà non fosse. Era pur vero che, ultimamente, troppe vicende avevano messo alla prova la sua pazienza, ma il confine tra i conflitti interpersonali e il concetto di "crimini contro la persona" le era ancora chiaro. Anzi, le era fin troppo chiaro, considerato ciò che aveva scoperto su suo padre. A quel punto si aspettava quasi che Bram si chiudesse sull'argomento, cercasse di minimizzarlo o chissà che altro, ma l'averlo messo con le spalle al muro sortì esattamente l'effetto opposto: Daphne non si sarebbe mai aspettata di sentirlo aprirsi così tanto circa i suoi trascorsi con l'Hollingsworth, tanto che rimase senza fiato per la sorpresa.
    Una tiara d'argento??
    Le parole le tornarono quando l'orrore ebbe la meglio. Non aveva idea di come Harvey avesse scoperto che Bram era un licantropo, considerato che quell'informazione era nota a pochissime persone e che all'epoca la stessa Mikkelsen non ne sapeva nulla. Per quanto riguardava l'adozione poi, evidentemente la segretezza di certi documenti era una specie di barzelletta.. dal momento che né Nathan né Harvey avevano avuto problemi ad informarsi al riguardo, un vuoto amministrativo decisamente deprecabile. Ma il fatto che l'Hollingsworth avesse usato certe informazioni per colpire Bram in modo così violento e pericoloso la lasciava sconvolta, totalmente esterrefatta di fronte ad una deriva che non aveva nemmeno considerato.
    Sapevo di Duke, mi ha fatta così infuriare..
    Anche se Harvey non aveva fatto del male al bulldog, quel pessimo "scherzo" restava orribile di per sé. Lei, al posto di Bram avrebbe dato di matto nel sapere Bijou in mano a qualcuno di cui non conosceva le intenzioni e che usava la sua gatta per minacciarla. Le avrebbe dato fastidio anche se si fosse trattato di un cane che non conosceva, ovviamente, ma voleva bene a Duke come se l'avesse adottato lei stessa e di conseguenza pensare a quanto accaduto la toccava particolarmente. Tuttavia, il suo pensiero era ancora strettamente ancorato alla questione della tiara d'argento e un po' temeva la prospettiva di scoprire altri episodi simili. Racconti che, difatti, non si fecero attendere. Daphne sgranò gli occhi, mentre i suoi ricordi correvano all'ultima conversazione avuta con Harvey prima che le loro strade si separassero. Lo aveva visto così solo, immerso in una bolla di silenzioso dolore.. e un istante dopo così spietato, crudele. Nei giorni seguenti le era capitato di pensare a quanto potesse essere labile lo stato di salute mentale di quello che per lei era stato un amante ma soprattutto un buon amico. Ora si rendeva conto che persino allora non era stata nemmeno vagamente vicina a conoscere la gravità della sua condizione.
    A parte il rapimento di Duke, per il resto non è stato.. così specifico. Mi ha detto di averti picchiato, tormentato, chiuso in bagno. Ma niente sull'argento o l'aconito.. questi sono crimini d'odio.
    Deglutì, rendendosi conto di quanto fosse pesante quell'affermazione. Eppure era ciò che le veniva naturale pensare, a lei che con l'odio e le discriminazioni ci era cresciuta sentendosene fin troppo influenzata. Non si era mai spinta alla violenza, anche se si vergognava comunque della cattiveria riservata a chi le ricordava ciò che di sé stessa odiava e rifiutava. Le azioni dell'Hollingsworth sembravano configurarsi proprio in quella categoria, il che era agghiacciante. Ma il peggio doveva ancora venire.
    Stai dicendo che vi ha sequestrati?
    La sua voce si alzò improvvisamente, acutizzata dallo sconcerto che aveva preso il sopravvento. Probabilmente avrebbe subissato l'amico di domande, se questo non fosse crollato definitivamente scoppiando a sua volta a piangere ed iniziando a darsi addosso addossandosi tutte le colpe.
    Ehy.. no, Bram.. si mosse in un attimo, senza pensarci: avvolse il moro in un abbraccio, nel tentativo di rassicurarlo Non importa, okay? Chiunque avrebbe avuto paura.
    La danese aveva ancora gli occhi lucidi, ma non riusciva più a pensare a quanto la ferisse il pensiero che tra loro vi fosse ancora troppa tensione, dovuta a parole non dette e scuse non espresse. Quel divario tra loro rimaneva, ma lei voleva troppo bene a Bram perché l'angoscia di quest'ultimo non prendesse il sopravvento su tutto il resto. Gli accarezzò affettuosamente i ricci bruni, stringendolo più forte.
    Non sarei mai nemmeno riuscita ad immaginare tutto questo. Quello che ti ha fatto è gravissimo. Se davvero Drayton fosse così follemente innamorato di lui dovrebbe essere il primo a denunciarlo, perché Harvey ha bisogno d'aiuto.
    Ne era più che convinta. Non la considerava una giustificazione per le azioni di Harvey, ma per lei quello era un dato di fatto. Non poteva fare a meno di chiedersi quanto i coniugi Hollingworth si fossero effettivamente interessati ai problemi del figlio, purtroppo aveva molti dubbi al riguardo.
    Immagino che tu non abbia intenzione di sporgere denuncia, neanche adesso.
    Se Bram se la fosse sentita, lei lo avrebbe appoggiato. Non perché desiderasse una punizione per Harvey, ma perché pensava davvero che quest'ultimo dovesse iniziare un percorso affiancato da un professionista. Non riusciva ad augurargli il peggio, perché non poteva negare di avergli voluto davvero bene e di essergli grata per tutto quello che aveva fatto per lei. Ma non riusciva davvero a perdonargli tutto il dolore che aveva causato a Bram e tutto la paura che gli aveva lasciato nel cuore.
    Non si è più avvicinato a te, vero?
     
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    Si odiava per la reazione che aveva avuto, il modo in cui era crollato. Si odiava per non riuscire a sostenere una conversazione del genere senza piangere, senza essere tanto debole. Ma i segni che Harvey gli aveva lasciato, quelli interni, non si erano ancora rimarginati ed ogni volta che l’argomento usciva fuori sembravano tornare freschi, pulsanti e dolorosi.
    Forse qualcun’altro al suo posto avrebbe sopportato, sarebbe stato più forte e non avrebbe pianto in quel modo davanti a Daphne nel raccontarle quello che gli era successo, ma la fragilità di Brame era qualcosa che il ragazzo non riusciva a controllare.
    Si odiava anche perché gli sembrava di aver in qualche modo prevalso sul dolore dell’amica, togliendole la possibilità di esternarlo, di essere lei per una volta quella che doveva essere abbracciata e rassicurata. Le lacrime di Daphne lo avevano colpito, perché non l’aveva mai vista crollare prima d’ora ed anche perché se ne sentiva responsabile, ed invece che fare qualcosa per lei si era lasciato sopraffare dalle proprie emozioni.
    Era impossibile non continuare a giudicarsi un pessimo amico, unendo insieme tutti gli errori che aveva fatto nei confronti della danese.
    Non poteva guardarla e a stento era riuscito a rispondere alle sue parole piene di shock, confermando quanto le aveva appena raccontato: sì, Harvey aveva usato proprio una tiara d’argento. Sì, aveva sequestrato lui e Alexander.
    Ed aveva ragione lei, quelli che l’Hollingsworth aveva riservato a Bram erano crimini d’odio, non c’era altro modo per definirli probabilmente. Cos’altro poteva averlo mosso a fare ciò se non l’odio? Fino a che punto si sarebbe spinto se le cose non fossero finite in quel modo? Se Bram non avesse scoperto del tradimento e fosse rimasto con Alexander più a lungo?
    Il pensiero lo fece rabbrividire proprio nel momento in cui Daphne prendeva posto accanto a lui e lo abbracciava.
    Non meritava quell’abbraccio, non meritava il tocco delicato della danese tra i capelli e nemmeno il modo in cui gli stava parlando per rassicurarlo.
    Sentì un tuffo al cuore quando lei chiese se non volesse denunciarlo nemmeno ora e scosse la testa con veemenza. Non si sarebbe mai sognato di farlo, nemmeno tra dieci, venti o trenta anni, tale era la paura di qualsiasi ripercussione.
    “No, mi è stato lontano da allora…” sussurrò ritrovando la voce.
    Ed era anche per questo che avrebbe continuato a mantenere il silenzio su quanto accaduto, perché almeno Harvey aveva mantenuto la sua parola e lo aveva finalmente lasciato in pace e Bram voleva che continuasse ad essere così.
    “Io… io non pensavo che saresti andata a fargli una scenata” aggiunse poi, alzando lo sguardo su di lei. “Ma che gli avresti parlato, quello sì, anche per capire cosa gli fosse passato per la testa, per sentire la sua versione. Allora avrebbe saputo che te lo avevo detto… e non potevo farlo accadere, capisci? Perché non sapevo fino a che punto si sarebbe spinto, dopo quello che mi aveva già fatto”
    Osservò gli occhi Daphne ancora pieni di lacrime e sentì il peso dei sensi di colpa premere ancora di più su di lui. Almeno era riuscito a smettere di piangere, anche il suo volto era rimasto umido e gli occhi lucidi, sbiaditi, pieni di paura, pentimento ed anche un po’ di amarezza.
    “Ti prego, non dire niente a nessuno… Joel sa soltanto del sequestro, Nate sa che H-Harvey mi ha dato fastidio e tuo fratello non aveva idea dell’aconito sulle pareti del bagno quando mi ha trovato. Nessun’altro sa i dettagli a parte te, adesso”
    Se si fosse sparsa la voce, Harvey gliel’avrebbe certamente fatta pagare. Era questo a spaventarlo più di ogni altra cosa ora, persino più di quanto gli avesse già realmente fatto.
    “Mi dispiace, Daphne. Per tutto…” deglutì “Non avrei dovuto far venire Unity senza dirti niente, ma ti giuro che non era mai successo prima dell’altra sera, non c’è stato alcun sotterfugio o stratagemma e non ti stavo tagliando fuori. Sei una delle persone più importanti della mia vita, forse è per questo che avevo paura di dirtelo… così come ho paura di dirlo ai miei genitori, che non sanno ancora niente”
    Era forse una paura irrazionale, perché sapeva che Sharon e Francois lo avrebbero accettato, così come avevano accettato il fatto che frequentasse un ragazzo.
    Per quanto riguardava Daphne, sì, aveva avuto paura che non avrebbe capito, che magari lo avrebbe messo in discussione, e di perderla, ma una parte di lui sapeva anche che l’amica aveva imparato a ragionare su certe cose e di certo non lo avrebbe allontanato.
    “Mi dispiace per averti detto che avresti dovuto chiedermi scusa, ero solo arrabbiato perché continuavi ad insinuare che non ti abbia perdonata. Ti sbagli, io non ce l’ho con te, non ti porto rancore, te lo giuro. Te lo giuro su quello che vuoi. Scusa se ti ho fatto pensare il contrario. E mi dispiace per non averti detto subito di Harvey e non averti fatta andare via di lì prima. La paura non è una giustificazione…”
    Inspirando, abbassò lo sguardo sulle proprie mani. Ciò che provava in quel momento era strano: era ancora teso, spaurito e appesantito dall’aver parlato di Harvey e di quello che gli aveva fatto, ma allo stesso tempo si sentiva svuotato, un po’ alleggerito per aver tirato fuori quello che si era tenuto dentro per mesi, senza poterlo dire realmente a qualcuno. Non era felice di aver dato parte di quel peso a Daphne, né di averle detto che persona fosse realmente quello che lei aveva considerato un amico, ma non aveva potuto trattenersi.
    “Mi sorprende che te l’abbia detto lui… ma almeno ti ha dato la possibilità di capire che forse non era sicuro rimanere a casa sua…”

     
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    Sopraffatto dall'angoscia, Bram sembrava faticare a mettere insieme le parole e si limitava a confermare l'accaduto. Come se la confessione che aveva buttato fuori poco prima l'avesse privato di ogni energia, quasi che gli fosse costata una sforzo troppo grande e avesse bisogno di tempo per trovare di nuovo le forze per sostenere quella conversazione. L'impressione di Daphne non era casuale, né frutto di spiccate doti di interpretazione del linguaggio non verbale: lei si era sentita proprio così, sopraffatta e quasi annientata, in più di un'occasione da quando aveva lasciato la Danimarca e la sua vita era cambiata. Gli diede tempo, limitandosi a stringerlo tra le braccia e a chiedersi come fosse possibile che Harvey avesse dato così tanto appoggio e comprensione a lei e riservato tanta crudeltà al Dubois. Sapeva di essere stata crudele a sua volta con svariate persone, ma c'era un limite oltre il quale alcune azioni avevano sfumature troppo patologiche per non essere considerate tanto gravi da necessitare di un intervento professionale. Una parte di lei, malgrado il rancore che ora provava verso l'Hollingsworth, non poteva che sperare che quest'ultimo ricevesse l'aiuto di cui aveva bisogno.
    Sì, lo capisco. Ti aveva terrorizzato..
    Si ritrovò ad accettare l'idea che la mancata confessione di Bram circa le violenze e i soprusi subiti avesse, infondo, ben poco a che fare con la loro amicizia. L'intimità e la confidenza non potevano contrastare un terrore così profondo, viscerale: emotivo e fisico allo stesso tempo. Come molte vittime di violenze, l'americano era totalmente sopraffatto dalla paura di essere vittima di ritorsioni e dunque di altra violenza. Sapere che, da quando la relazione tra Bram e Alexander era finita, Harvey gli aveva dato tregua le offriva almeno un pizzico di sollievo.
    Chiunque di loro sarebbe intervenuto, se avesse saputo tutta la verità su come stavano le cose.
    Glielo fece notare con serietà, ma senza sfumature di rimprovero nella voce. Voleva solo che Bram si rendesse conto che aveva una solida rete di sostegno attorno a sé e che non avrebbe affrontato quell'incubo da solo se si fosse confidato con le persone che aveva accanto. Nate e Jerome non avrebbero esitato a spalleggiarlo, ne era certa, così come Joel.. che magari aveva anche cercato di convincerlo a denunciare il sequestro.
    Per questo l'allenamento di Nate era così importante per te, non è vero?
    Il collegamento a quel punto fu del tutto spontaneo. Certo, aveva sempre saputo che Bram si era fatto aiutare dal fratello proprio per difendersi dai bulli, ma fino a quel momento era stata del tutto all'oscuro della gravità della minaccia che incombeva su di lui. Il Dubois doveva aver investito moltissima speranza in quelle lezioni di autodifesa, anche più di quanto lo stesso Nathan potesse immaginare.
    Continuo a pensare che la magia sia la difesa migliore per un mago. commentò, fedele alla propria opinione Ma immagino che sentire che il tuo corpo poteva imparare ad opporsi ad una sopraffazione.. ti facesse stare meglio.
    Anche la sensazione di sopraffazione fisica le era familiare, sebbene l'avesse affrontata in un'unica occasione. Forse quell'allenamento con Nate era davvero qualcosa di cui Bram sentiva il bisogno, a dispetto della sua natura magica.. e lei non aveva avuto gli strumenti giusti per comprenderlo, facendosi piuttosto guidare dal suo parere personale e da un pizzico di gelosia. Magari qualcosa più che un pizzico.
    Va bene, ho capito.. basta chiedere scusa. gli intimò, sentendo di voler porre fine a quell'ammissione di colpa che all'inizio di quel litigio aveva bramato tanto. Vederlo così mortificato non la faceva sentire meglio, anzi, a lungo andare la metteva persino a disagio: probabilmente perché lei non era altrettanto brava a chiedere scusa I tuoi genitori sono meravigliosi e ti supporteranno all'istante. Mi ci gioco tutte le scarpe firmate che mi sono rimaste.
    Aggiungere un tocco di ironia non fu che un vago tentativo di alleggerire la tensione, ma credeva davvero nella convinzione che affermava con tanta decisione. Ormai a Bram doveva essere più che evidente quanto lei adorasse i Dubois, come le venisse naturale decantarne i pregi e riporre fiducia in quelle due figure così diverse dai modelli genitoriali che erano toccati a lei: uno inesistente, l'altro pessimo. Era certa che i due avrebbero accolto ogni sfaccettatura del figlio con un amore privo di compromessi.
    Proprio a causa di questi segreti ho pensato che tu non mi avessi perdonata. Mi sono abituata a pensare di essere la tua confidente numero uno. si strinse nelle spalle, consapevole di non aver mai smesso di sperarlo: a dispetto di tutti i fratelli, amici e fidanzati di passaggio Sì, credo che Harvey me l'abbia detto per allontanarmi: era molto arrabbiato quel giorno, qualcuno l'aveva picchiato e aveva parecchi lividi.
    Dalla sua memoria riemerse l'immagine di Harvey disteso sul letto e immerso in un dolore evidente ma silenzioso. All'epoca aveva pensato che fosse stato il Drayton a fargli del male: il loro rapporto le pareva avere un che di malsano, inoltre si era ormai decisa a considerare il biondo una persona orribile. Ma ora non ne era più troppo sicura, dal momento che sembrava che fosse proprio l'Hollingsworth il violento tra i due. Le considerazioni di Bram si insinuarono tra i suoi ricordi e le sue riflessioni, portandola a sospirare e scuotere la testa, rivolgendogli uno sguardo accigliato.
    Bram, ma credi davvero che me ne sia andata perché ero preoccupata per la mia sicurezza? Non ho mai pensato che Harvey avrebbe alzato le mani su di me. Me ne sono andata per quello che ha fatto a te.
     
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    La comprensione nello sguardo e nel tono di Daphne lo aiutarono a calmarsi un po’. Tutta la tensione che c’era stata fino a quel momento tra loro non gli era piaciuta, prima di tutto perché Bram odiava quel tipo di confronti e poi perché odiava litigare con lei, ma sopratutto aveva odiato la sensazione provata all’idea di averla ferita così tanto, seppur non fosse sua intenzione.
    Non era certamente contento che i toni tra di loro si fossero fatti più moderati perché lui era crollato in quel modo, come al solito si era mostrato troppo fragile, ma era più rassicurato all’idea che lei non fosse più così tanto arrabbiata con lui.
    “Lo so che sarebbero intervenuti… per questo non ho detto niente a nessuno” mormorò senza guardarla.
    Il punto di tutto quel discorso era quello, no? Così come lo aveva tenuto nascosto a lei per paura di un suo intervento, così aveva fatto con Jerome e soprattutto Nate.
    “Già Joel, nel sapere cos’è successo con Harvey ed Alexander, voleva andare da loro e ho dovuto pregarlo di non farlo”
    Avrebbe scatentato una reazione a catena che forse avrebbe portato ad eventi ben peggiori di quelli che Bram era stato costretto a subire fino a quel momento.
    Per quanto aveva desiderato, e ancora desiderava, che Harvey pagasse ogni singola conseguenza delle sue azioni, aveva troppa paura che avrebbe poi cercato vendetta.
    Alla fine, tra il vivere finalmente tranquillamente e far prevalere la giustizia, aveva scelto la prima.
    “Sì, è quello il motivo per cui volevo imparare un po’ di autodifesa. Ma sono un imbranato così come lo sono nei duelli magici…” disse, alzando appena lo sguardo su di lei. “Sono sempre stato sopraffatto in entrambi. La bacchetta me la toglieva ancora prima che potessi sfoderarla. Sono stupido e vulnerabile”
    Inspirò, passando il dorso di una mano sulle guance ancora un po’ umide.
    “Ma tu SEI la mia confidente numero uno, Daphne. Ricorda sempre che se non ti dico qualcosa è semplicemente per paura. Paura di perderti o paura di subire delle conseguenze. Non c’è nessun’altra ragione. E magari potrei non dirti qualcosa subito, ma non vuol dire che io ti porti rancore…”
    Cercava di capire il punto di vista dell’altra, convinta che il litigio che avevano avuto un anno prima l’avesse resa qualcuno di cui Bram non si fidava più, eppure era sempre stato un tale libro aperto che credeva che fosse evidente che, se ancora parlava con lei e addirittura ci viveva insieme, le volesse ancora bene e si fidasse ciecamente.
    Non espresse alcun commento davanti quella piccola rivelazione fatta da Daphne, quando disse di aver trovato Harvey arrabbiato e pieno di lividi.
    Ovviamente non provò alcun tipo di pena per l’Hollingsworth, ma non riuscì nemmeno a gioirne. Gli portava rancore, certo, tantissimo rancore, ma comunque non provava soddisfazione all’idea che qualcuno lo avesse picchiato.
    A strappargli una qualche reazione invece, fu quello che disse dopo Daphne. La guardò con una lieve espressione di sorpresa sul volto e forse anche sollievo.
    Improvvisamente si sentì sopraffatto da quella rivelazione e l’unica risposta che riuscì ad avere sul momento fu un abbraccio. Strinse forte Daphne, inspirando a fondo per non cedere nuovamente.
    Avrebbe voluto dirle quanto stava male ogni volta che la vedeva parlare con Daphne, di come aveva sopportato in silenzio che rimanesse sua amica, ma strinse i denti e se lo tenne per sé perché non voleva farlo suonare come un’accusa. Non era colpa di Daphne se era stata ignara della vera natura di Harvey e una volta scoperta aveva fatto una scelta e Bram non poteva chiedere una dimostrazione migliore di quella.
    “Grazie” un mormorio biascicato in quell’abbraccio “Ti voglio bene. Non dubitarlo mai”
     
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