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    Stringo il cambiamento tra le mani, le fattezze sono familiari. Mi riavvicino ad ambienti in cui ho vissuto anni fa, alla calma che si è figurata come la salvezza di cui necessitavo, ad una sicurezza che mi culla ed illude per un po' di poter meritare la pace. Seguire le terapie per filo e per segno mi aiuta a respirare. Mi ricorda di poter essere altro, non una bomba ad orologeria dalla miccia particolarmente sensibile. Un essere umano, con i pro ed i contro che ognuno fronteggia ogni giorno. Ci sono aspetti del mio cambiamento che riattraversano il mio quotidiano con fare ridondante, una sicurezza in più che mi rilascia tra le braccia confortanti di abitudini già assaggiate. Tra essi sbucano fuori dettagli privi di tale familiarità. Come funghi, spuntano all'improvviso allettandomi, richiamandomi come il più assuefacente dei peccati. Tentenno appena al pensiero di avvicinarmene, ma ha la meglio sulla paura la ragione, la certezza di poter avere un controllo che sia tale, che mi protegga da ciò che per mesi non ho più moderato né capeggiato. E ne ritrovo accenni tra le lettere conservate nel cassetto della mia stanza al dormitorio, missive di dispiacere a fare da sfondo a quell'unico foglio che non racchiude tra parentesi di rammarico la compassione che caratterizza le altre. Non c'è preoccupazione. Manca di quella consapevolezza. E si fa chiaro nella mia mente il desiderio di tastare parte di quella normalità, una placca staccata dalla penisola di disagio che mi si è costruita attorno. Un attimo di respiro slegato dalle occhiate in allerta di chi mi circonda.

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    Sarò ad Hogsmeade questo fine settimana. Cercami di fronte all'Emporio delle Streghe. Siedo su una panchina, scomposto ma sereno. Reggo tra le labbra il filtro di una sigaretta, il vizio che mi è compagno tanto adesso quanto prima. Una costante velenosa, che nell'analisi delle mie esperienze sembra fare meno male di altre cose. Mi aiuta a scaricare la tensione dei dubbi che lacerano la mia tranquillità. Calmo in apparenza, covo sentori di disagio e remissione nel mio petto. Non li assecondo. Resisto, attendendo tra le prime figure giovani approdate tra le strade del villaggio, alcune ancora rivestite della divisa, il volto familiare di Amy. C'è uno stupore accentuato che riveste quel caso. Martella nella mia testa l'idea di aver lasciato qualcosa a quella ragazza, sebbene il confronto celere di una manciata di minuti in riva ad un lago. Un incontro poi non così gradevole, almeno dal mio canto. Doveva essere l'ingenuità che la caratterizzava ad averla spinta a curiosare ancora sulla mia persona. Mi chiedevo quanto lo fosse, se abbastanza da accettare una risposta arrivatale dopo tre mesi abbondanti. Una volontà parziale: l'assenza giustificata dal ricovero non mi aveva impedito di scriverle a mia volta, ma non me ne sentivo pronto. Ed ora, assetato di curiosità, non posso che lanciarmi verso aspetti dei rapporti umani che non ho ancora sperimentato. Che qualcuno si interessi a me, comunque avvenga, resta una sorpresa non indifferente. Tanto quanto vedere, dopo diversi minuti, il volto di Amy cercarmi nei pressi del punto concordato. E' a quel punto che mi sollevo dalla panchina, camminandole incontro lentamente, l'espressione spenta ma rilassata, prima di rivolgerle un cenno e sbuffare un saluto insieme ad una boccata di fumo. ‹ Ciao. Sei venuta... Non credevo fossi seriamente così interessata. › Ad un incontro. A me. Questo però lo eludo. Tasto con cautela i contorni del suo profilo, diverso dalla nostra prima ed ultima chiacchierata, ma forse solo all'esterno. Forse. ‹ Mi spiace non averti risposto subito, ero... fuori città. › Verità parziale anch'essa. Non ho fronzoli da aggiungere però a tale informazione. ‹ Come stai? ›

     
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    Dylan
    Le vie di Hogsmeade brulicano di studenti intenti a fare gli ultimi acquisti per Halloween o a godersi una delle rare giornate di sole dell’umido autunno scozzese. Mi rigiro nervosamente una ciocca bionda tra le dita cercando di tenere a bada il cuore che mi tamburella prepotente nel petto. Guardo distrattamente una vetrina, specchiandomi poi nel vetro appannato. L’immagine che mi restituisce è quella di una giovane donna dalle gote arrossate per il freddo e dall’espressione timorosa di chi ancora non ha trovato il proprio posto nel mondo. L’adolescenza è così, un groviglio di dubbi. Ci si affaccia al mondo degli adulti ma ci si sente ancora tremendamente bambini. Ed è proprio una bambina che mi sento quando realizzo che Jonas non avrebbe risposto al mio gufo inviato mesi prima. In cuor mio sapevo che quel messaggio sarebbe stato recapitato a un ragazzo tutt’altro che interessato a riceverlo. Non avrebbe potuto essere diversamente, altrimenti lo avrei incontrato di nuovo sulle rive del lago, a quell’appuntamento che mi diede ma a cui non si presentò. Che fosse un appuntamento, in verità, lo avevo deciso io riponendo speranze traballanti nelle sue parole frettolose. Mi aveva detto che ci saremmo rivisti proprio là, su quelle sponde sassose, ma il suo ciuffo biondo ordinatamente pettinato non vi aveva più fatto ritorno. Su questo posso dirmi abbastanza certa poiché io stessa su quelle rive ho passeggiato più volte, nella sciocca speranza di rivedere il suo viso pulito. Ecco quindi che ho scoperto, mio malgrado, cosa significa prendere una cotta bruciante per qualcuno, che in questo caso non ti ha nemmeno in nota. Cosa mi abbia spinto a cercarlo quest’estate non lo so, forse un istinto masochista celato sotto strati di sgargiante allegria. Tra una tequila e un bicchiere di sangria le mie dita hanno corso frenetiche sul foglio di pergamena, vergando una decina di messaggi prima di abbozzare il pensiero finale, seppur con qualche piccola cancellatura. Devo dire che da quel dì ne sono successe di cose. In primis, ho fatto pace con l’idea che innamorarsi di uno sconosciuto sia perfettamente normale a sedici anni. Secondariamente, ho scoperto che l’amore non è scarso e mentre il mio cuore batteva all’impazzata al pensiero di poter rivedere il biondino, un nuovo giovane, altrettanto aitante, si faceva spazio nel mio petto, catalizzando su di sé tutte le mie attenzioni. Niels, il capitano dei tassorosso, mi aveva conquistata con il suo sorriso contagioso. Non posso dire che sia valso il viceversa, perché sebbene avessimo trascorso una settimana fianco a fianco nella pazza Barcellona il bel moro si è a malapena accorto che fossi una ragazza, e non un essere asessuato. Poco importa, ho imparato ad archiviare e a mutare pian piano i miei sentimenti per non soffrirci. C’ero quasi riuscita fino a che un gufo grigio non mi consegnò una lettera qualche giorno fa. Inutile dire il mio stupore quando lessi il nome del mittente, ma soprattutto il contenuto della pergamena. Quindi eccomi qua, a rimirarmi in questa vetrina offuscata chiedendomi se il nuovo taglio di capelli verrà apprezzato oppure neanche notato. Traggo un respiro profondo e a testa alta decido di procedere lungo la via, ignorando il cuore che pare abbia deciso di schizzare via dal mio petto. E se non si presenta? E se quel messaggio altro non era che uno stupido scherzo di qualche mio compagno? Prima ancora che quella nuova, invalidante paura possa prendere forma scorgo il suo viso angelico tra la folla. “Io..beh..ero comoda” balbetto arrossendo violentemente. Una frase più infelice non poteva uscirmi! Come se avessi accettato l’invito soltanto perché il luogo era vicino ad Hogwarts. “Voglio dire, dovevo comunque venire da queste parti a fare un po’ di compere, così ho preso due piccioni con una fava” raddrizzo il tiro, ma ormai il ragazzo deve aver colto l’imbarazzo che mi colora le gote e mi impasta la bocca. Si scusa, addirittura, per non avermi risposto prima. “Non ti preoccupare, ho immaginato fossi molto impegnato” replico a quella che suona come una scusa, ma su cui decido di non indagare. “Sto bene” mormoro arrotolandomi la solita ciocca tra le dita. C’è qualcosa di diverso in lui. Forse semplicemente non ho un ricordo lucido essendo trascorso molto tempo dal nostro unico incontro, ma il suo sguardo mi comunica qualcosa di insolito, che non riesco ancora ad interpretare. “Tu? Ti trovo bene, riposato forse. La vacanza deve averti giovato” abbozzo un sorriso mentre prendo posto sulla panchina, facendogli cenno di imitarmi. Che sia stato in vacanza me lo sono inventato di sana pianta, ovviamente. “Come mai hai deciso di scrivermi?” aggiungerei che non vale rispondere ‘mi hai scritto tu per prima’, ma lascio perdere.

     
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    Che ciò che mi racconta sia una bugia o la verità, non mi tocca. Preferisco anzi crogiolarmi nell'idea di non averle rubato tempo prezioso, né di averla rapita in un contesto esterno all'occupazione cui si sarebbe dedicata durante un fine settimana. Mi sta bene. Allenta la mia tensione, sebbene già minima ed appena percettibile rispetto al nostro primo incontro. Amy non mi deve nulla, eppure io ho sentito una sorta di latente dovere nei suoi confronti, un richiamo alla coscienza che mi ha sospinto a contattarla. Fuori dai miei schemi, le ho promesso una presenza che non ho poi rispettato. Le ho rivolto una richiesta per nulla velata, cui lei si è affidata così come la sua lettera mi ha suggerito. Ed anche adesso, nell'imbarazzo preponderante l'espressione non così distesa, entro la cornice di un taglio di capelli che suggerisce una parziale novità, percepisco notevoli riferimenti all'incontro mancato. Qualcosa a cui ha pensato, contrariamente a me che mi sono lasciato trascinare via da una corrente ingestibile di emozioni ed eventi. ‹ Sembri un po' diversa. › Ribatto alle sue supposizioni, come alla risposta che rivolge alla mia domanda. Sta bene, non mi appare come una bugia, né come un furbo dissimulare di sensazioni che acutizzano un qualsiasi principio di malessere. Non mi è indifferente, sebbene non alberghi premura nelle intenzioni provate nei suoi riguardi. Siamo solo due sconosciuti, chiusi tra le parentesi cordiali di una circostanza neutra. Forse l'ago della nostra equilibrata bilancia tende appena su un versante positivo, ma non posso fare a meno di considerarla un'opzione figlia delle aspettative nulle riposte nei confronti dell'uno o dell'altra. Come potremmo, dopo esserci appena scambiati una presentazione misera in riva ad un lago mesi fa? ‹ Non potrei stare meglio. › Una bugia. Scatta senza preavviso, persa nell'inevitabilità che preme ancora sul mio istinto di protezione. E' automatico, come un riflesso ben sviluppato, stringere i polpastrelli sul tessuto del maglione per risollevarne il colletto. Il mio inconscio cerca di proteggermi. In parte, protegge persino lei da una verità che non è semplice da affrontare. Caricarla di questo inutile peso sarebbe un peccato; ho smesso di giocare da carnefice nelle vite altrui. ‹ Mi è servito, sì. › Commento offrendole uno scorcio di realtà, prima che i suoi quesiti vertano su tutt'altro argomento. Uno lecito, che sebbene più lineare di quanto la mia mente si ostini a farmi credere, incontra troppe difficoltà nell'esposizione. Come dissimulare il mio dolore? Come renderle del tutto sconosciuto il senso di colpa, unico motore dei miei gesti, in un periodo in cui di vedere altre persone o stringere amicizia non voglio proprio saperne. ‹ Ti avevo dato un appuntamento, no? Mi è dispiaciuto non rispettarlo. › Confesso una nuova mezza verità, stringendomi nelle spalle mentre il volto stanco simula malamente la spavalderia di cui è stata partecipe. Una ancora presente, ma per forza di cose meno accentuata dello spettacolo svoltosi nella periferia londinese. ‹ Anche se potrei dirti di essere stato particolarmente magnanimo a lasciarti il posto sul mio masso. › Un sorriso furbo fa capolino oltre la linea retta delle labbra, una piega lieve quella dell'occhio che scocca una malizia fugace verso di lei. Iridi che riflettono una leggerezza che non mi appartiene del tutto, mai, quelle in cui lascio che si specchi quanto voglia. ‹ Potrei chiederti la stessa cosa. › Le rigiro quindi la domanda, non per confonderla, quanto per scavare genuinamente a fondo di quell'interesse. Cos'è che l'ha interessata al punto da cercarmi ancora? ‹ Cos'è che ti ha spinto a scrivere ad uno stronzo casualmente incontrato sulle rive di un lago per un'ora al massimo? › Cerco di metterla comunque a suo agio, facendole cenno di seguirmi per girovagare tra le strade del villaggio. ‹ Dai, facciamo due passi. › Vorrei fosse un incontro amichevole, non un dibattito su interessi reciproci che non ci riusciamo a spiegare.

     
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    Accolgo il suo commento inarcando un sopracciglio. Non so a cosa si riferisca dicendomi che sono diversa, se al mio aspetto o a qualcosa nel mio sguardo. In effetti si, sono diversa dall’ultima ed unica volta in cui ci siamo incontrati. E non solo per il taglio di capelli, che ora sfiorano appena le spalle senza riuscire a superarle del tutto. Il cambiamento è più che altro interiore, figlio delle bugie di mia madre e della consapevolezza che qualcosa dentro di me si è rotto senza possibilità di ricomporre i pezzi. Una lunga, profonda crepa che solca il mio animo proverbialmente allegro e che ho cercato di riparare ricongiungendone i lembi con alcol e divertimenti. Si, è così che ho deciso di affrontare il conto salato che mi ha presentato la vita, nascondendo la testa sotto la sabbia e sperando che l’uragano si abbatta sul litorale senza fare danni. Decisamente non un atteggiamento maturo, ma in fin dei conti non sono altro che un’adolescente, e come tale avrei il diritto di avere qualcuno che si prenda carico delle responsabilità che ora gravano sulle mie spalle. Ho fortemente creduto che questo qualcuno potesse essere Niels, ma ho riposto le mie speranze nel cavallo sbagliato. Decido comunque di rispondere con un sorriso affabile alle parole di Alexander, convincendomi ch’esse celino un complimento al mio rinnovato look. “Ho tagliato i capelli, che occhio attento!” E che memoria, avrei aggiunto, ma mi limito a quelle poche parole accompagnate da un gesto da smorfiosa che smuove le ciocche chiare. Come ricordavo, Alexander sceglie con cura le parole per comunicare il suo messaggio ma che non condisce con inutili arzigogoli. Arriva dritto al punto senza tergiversare, e senza darmi modo d’approfondire oltre la questione. Avrei voluto sapere di più riguardo il suo periodo di assenza e la vacanza che deduco essersi fatto mentre non rispondeva alla mia lettera, né si presentava nel luogo del nostro primo incontro, come invece mi aveva suggerito avrebbe fatto. Invece taglia corto, servendomi una risposta concisa dal sapore quasi sarcastico. Non potrei stare meglio. Percepisco la sua volontà di deviare il discorso, così lo assecondo docilmente, piegandomi al suo tacito volere. Risponde alla mia domanda confessandomi, nemmeno troppo velatamente, che gli è dispiaciuto non presentarsi all’appuntamento. Sgrano gli occhi e mi porto una mano dietro la nuca, a grattare la base del collo. Sembra sincero, ed io decido di credergli, anche perché fatico a trovare una ragione diversa per avermi chiesto d’incontrarci ancora. “Non c’era bisogno Alexander, davvero. Non era un vero appuntamento, in fondo.” Cerco di giustificarlo abbozzando un’espressione rilassata. Qualcosa mi spinge a non volerlo far sentire in debito nei miei confronti. Darebbe troppa importanza alla sua mancanza, come se io vi avessi riposto un’eccessiva speranza, motivata da un interesse che si spinge oltre la semplice curiosità. Il mio orgoglio sbuca quindi timido, solleticandomi la lingua affinchè rigiri la situazione a mio favore. “Insomma, era inverosimile incontrarsi di nuovo senza nemmeno una data.” Piego le labbra in un sorriso affabile, condito da un paio di maliziosi battiti di ciglia. O almeno, così dovrebbero risultare all’altro, ma non ne sono certa. “Il tuo masso temo abbia sofferto la solitudine, sai. Non sono riuscita ad andarlo a visitare spesso come avrei voluto.” Lascio la frase in sospeso, facendo intendere che qualcosa mi abbia impedito di dedicarmi alla semplice lettura di un libro in un parco inglese. Recupero alla svelta il sorriso, prima che pensieri fastidiosi increspino inevitabilmente la mia fronte. “Mi piacciono gli stronzi” ribatto con una risatina alzandomi in piedi per accogliere la sua proposta di passeggiare. Lascio calare il silenzio tra noi mentre percorriamo un vicolo costeggiato da alberi ormai spogli. Le foglie scricchiolano sotto il peso dei nostri corpi, mentre pesanti nuvoloni cominciano ad affollarsi a qualche centinaia di metri dalle nostre teste. Stringo il bavero del cappotto nascondendo il brivido di freddo che mi scuote. Riprendo infine da dove mi ero arrestata. “Sarò sincera con te Alexander. Anche perché non sono brava a dire bugie” aggiungo candidamente. “C’è qualcosa nella tua persona che mi ha fatto venire voglia di scriverti. Non so dirti cosa, ma sei diverso dagli altri”. Dagli altri chi? Dai ragazzi del castello? E ci mancherebbe, il biondo ha quasi il doppio degli anni di metà degli studenti di Hogwarts. “E ora ti direi anche che sei diverso da quando ti ho conosciuto” ammetto, sincera.
     
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3 replies since 24/10/2021, 16:36   67 views
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