You, who have forsaken me

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    E così la punizione aveva avuto il suo corso, non erano bastati i mesi estivi rinchiusa nel castello, con un sorriso e una pacca sulle spalle il padre le aveva comunicato che i fine settimana sarebbe tornata al Dragonfly inn e che avrebbe dato una mano, visto che aveva tanto tempo per fare i colpi di testa allora poteva impiegarlo anche in modo più proficuo.
    Quel sabato non era diverso da tanti altri, lei era la cameriera muta, quella che si limitava a portare gli ordini e a prenderli senza mai dire mezza parola, neanche quando le chiedevano quale fosse il piatto del giorno; si limitava a fare una semplice azione, sollevare l'indice a far notare loro che stava scritto a caratteri cubitali poco più in alto della testa del barman.
    Dannati maghi con la voglia sotto i piedi di fare da soli.
    Aveva comunque imparato a usare la macchinetta del caffè e anche a mescolare i cocktail, alcuni li inventava persino, ma non potendoli assaggiare valutava se fossero buoni o disgustosi dalla faccia dei vecchi che si offrivano come cavie.
    Tutto sommato non era male, soprattutto se pensava che quella era casa sua.
    Era ancora pomeriggio e quindi stavano stilando la lista della spesa quando qualcuno entrò nel locale.
    -Vai tu?- le chiese su padre - sto aiutando Amos a scaricare il salmone, non posso dar retta alla gente che non legge il cartellino "chiuso"-
    -Dopo uscirò per comprare quello che manca- gli disse ripiegando a metà il foglietto, poi se lo mise nella tasca posteriore del jeans.
    -Siamo chiusi- la sua voce bassa e roca, dovuta al fatto che la usava decisamente poco, quasi le si spezzò completamente quando riconobbe, nel volto del nuovo venuto. i lineamenti di un ragazzo che conosceva sin troppo bene.
    Per un attimo il suo cuore perse un battito, ricordandole che invece funzionava perfettamente, ma tutta la sua persona e il suo modo di fare le furono di aiuto per mascherare il tutto.
    Strinse a pugno le dita sentendo la ruvidità del pizzo dei suoi guanti anche attraverso la stoffa ma da dietro quel bancone, dove si era rifugiata, non si spostò.
    Finse di non riconoscerlo e lasciò che l'apatia le colorisse il volto.
    -Non puoi entrare-
     
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    “Ade…” il Bruno rimase fermo immobile nel guardarla, non aspettandosi nemmeno lontanamente la possibilità di poterla vedere.
    Sembrava una ragazza ormai, ne era passato di tempo, ma mai credeva che lei avrebbe davvero preso così tanti centimetri in altezza. Lui ne aveva presi assai di più, ma lei decisamente mirava a tante altre altezze.
    Non somigliava lontanamente all’uomo che ricordava essere sempre vicino a lei, nemmeno un po’. Gli occhi chiari e opachi, la carnagione lattea. Non sapeva come spiegarlo, era come se fosse Ariadne, anche se non lo era.
    Lo sguardo era fuori personaggio da che ricordava.
    Inclinó la testa verso destra il ragazzo, con le mani ferme nel cappotto di Jeans imbottito e si strinsero tra loro le dita.
    Si chiese se non fosse stato il padre di lui con il padre di lei a mettersi d’accordo per far sì che potessero incontrarsi. Vederla e poterla finalmente guardare negli occhi, gli dava una strana sensazione, come sentirsi rammaricato per qualcosa che non aveva fatto, come se non ci fossero abbastanza sensi di colpa a non farlo dormire notte. Non sapeva se non fosse stato lui davvero la causa del divorzio dei propri genitori, la situazione che aveva creato aveva di certo alzato lo stress della famiglia in un modo che raramente e diversamente sarebbe potuto accadere, eppure quando sentiva la mamma parlare al telefono con la nonna, non poteva fare a meno di pensare che era stato lui a creare tutto quel casino.
    Persino la madre insisteva che avrebbe di certo fatto di tutto per ripulire la fedina penale del figlio perché era certa che non fosse stato lui. Ed era vero. Peccato che tutto ciò che era conseguito era stato un mare di guai e un mare di rimpianti.
    Un rumore di vassoi che si schiantavano uno contro l’altro sul pavimento verso le cucine lo fece trasalire.
    Guardò la ragazza che sembrava non provare alcun interesse per lui, quasi infastidita, dargli le spalle.
    Era certo che tutto ciò avrebbe avuto su tutti una certa conseguenza, e Desmond aveva sempre mal sopportato suo padre, era certo che l’insofferenza della ragazza fosse dovuta a qualche ordine del padre, e poi non aveva tutti i torti, nel nord le notizie giravano molto velocemente.
    “Devo consegnare questa cartellina a tuo padre, la manda mamma, dice che è per quel problema della locanda sui confini…” lo mostrò a lei ma nessuno dei due sembrava davvero interessato.
    “Non credevo fossi al nord” comunicò con quelli ingenuità che lo contraddistingueva da anni, forse dalla nascita. “Sono contento di vedere che stai bene”.
     
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    Non le piacque per niente il tonfo che sentì nei pressi del suo cuore.
    La sua voce, ormai più mascolina di quella che ricordava ma che non aveva abbandonato quell’accento tipicamente nordico, continuava ad avere la morbidezza nel tono quando pronunciava il suo nome.. d’istinto strinse la mano a pugno e se la infilò in quella dei jeans che indossava quel giorno.
    Erano chiari e strappati alle ginocchia, il brivido che sentì doveva essere causato da quelle fessure, da nulla altro.
    “Smettila di guardarmi” voleva urlarglielo, voleva farlo perché capiva che lui la stava studiando, stava vedendo in lei tutto ciò che di diverso c’era, le sue forme, il suo volto.
    Non era rimasto niente della bambina di nove anni che lui ricordava e non poteva che rimproverare se stesso per questo!
    Non contava più le lettere che gli aveva scritto a cui non si era degnato di rispondere neanche una volta, ricordava ogni secondo passato in quelle mura quando era tornata solo per lui, perché gli mancava e in cambio si era ritrovata tra le mani plasmatrici di Roeim.
    Dei vassoi caddero e Ariadne sussultò tornando presente.
    Senza dire nulla gli diede le spalle e si avvicinò al gancio dove vi era il suo cappotto nero.
    Sistemò il bavero mentre lui le diceva che era lì per portare una cartellina da parte di sua madre.
    Si voltò – mio padre è in cucina- se aveva così urgenza di consegnargli qualcosa poteva trovarlo lì.
    Si mosse, non aveva senso fare un giro diverso da quello logico, non voleva assolutamente lui pensasse che si sentiva a disagio.
    Così andò nella sua direzione – vivo qui- gli fece notare – non vedo perché non dovrei esserci- fissò le iridi chiare nelle sue, altrettanto cristalline.
    “Sono contento di vedere che stai bene”
    -A si? – per come lo disse sembrava chiaro non gli credesse – ti prego, evitami almeno le frasi di circostanza-
     
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    La cartellina che il ragazzo stringeva tra le mani andava dalla destra alla sinistra, quasi palleggiando ritmicamente, segno di un disagio che andava ben oltre il comprensibile. Solo quando si ha quell'età certi episodi possono essere comprensibili. Per assurdo quando si cresce e diventa adulti, la curva dell'imbarazzo e del disagio cresce, ma viene nascosta in modo molto più lineare. Donne e uomini che piangono solo sotto la doccia, che trattano male i dipendenti, o che magari si sfogano con l'animale domestico. A questa età invece le cartelline passano da una mano all'altra, il piede destro batte nervosamente a terra, e lo squarcio di una infanzia di balbuzie nervose riaffiora.
    "N-n-no è di... d-di..." circostanza. Prese fiato e faticò a ricordare l'ultimo episodio di balbuzie che ebbe, era davanti il giudice, quando giurava su quanto più gli era caro che lui, quell'uomo non lo aveva nemmeno sfiorato, e aveva implorato gli altri di smetterla.
    Ricordò improvvisamente quanto lesse quella donna, la figlia dell'uomo in udienza, aveva forse trentacinque, quarant'anni, e aveva corso con occhi e voce piangendo un foglio dove descriveva il padre e perché si trovava in quella situazione per strada. I suoi amici ridacchiavano dall'altro bancone, tronfi e fieri, lui ricordò che ebbe l'impressione che quella descrizione gli sarebbe rimasta dentro per tutta la vita, come una scena di un film che ti piace, come un passo di una poesia che il cervello impara a memoria.
    Sprofondò anche lì di vergogna e dolore, chiedendosi come i suoi compagni potessero non rendersi conto della cosa. Si vergognò tremendamente di se stesso, anche se non aveva alzato nemmeno un dito, l'idea che qualcuno potesse crederlo lo uccideva.
    Non ribattè alla palese provocazione, sapeva che frequentava Hogwarts e non tornava al nord troppo frequentemente, ma lei non sembrò volerne parlare. Afferrò la veste lunga e la guardò silenzioso infilarla.
    Strinse la cartellina al petto e fece un passo indietro per lasciarla passare, ma poi chiese senza punto di domanda "Possiamo f-fare un pezzo di strada insieme" e quello gli costò un atto di coraggio enorme, anche perchè lei non sembrava averne minimamente voglia.
    Il gelo lo colpì di nuovo muovendogli i capelli sul capo, si infilò il cappello velocemente e faticò quasi a starle al passo. Rimase in silenzio seguendo la sua scia in silenzio.
    "Non senti freddo con quei guanti leggeri?" chiede poi timidamente, in cerca di un qualsiasi inizio di conversazione "Ho ripreso a frequentare Durmstrang" aggiunge "...e puoi rallentare? Perchè stai correndo?".
     
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    Ade lo superò, ne aveva abbastanza delle menzogne.
    Lui comunque non aveva desistito e l’aveva quindi affiancata.
    Se non fosse stata così arrabbiata con lui avrebbe avuto un sacco di cose da dire.
    Gli avrebbe raccontato di quanto gli fosse mancato, di quante volte la sera gli aveva scritto per poi strappare in un impeto di rabbia la pergamena.
    Gli avrebbe raccontato di come era stata capace di farsi terra bruciata, ancora una volta.
    Gli avrebbe raccontato del suo primo bacio, quello che aveva sognato di dare a lui e che invece aveva dato a Oliver.
    Gli avrebbe raccontato come, per un momento, questo ragazzo era stato capace di farle battere il cuore, e di come allo stesso modo era stato capace di spezzarglielo.
    "Non senti freddo con quei guanti leggeri?"
    La mano si sollevò e lei fissò gli occhi su quel pizzo color ebano che non l’abbandonava mai.
    -Questi guanti non servono per riparare dal freddo- tuttavia si infilò entrambe le mani delle tasche del cappotto.
    -Ti ricordi quando ti dissi che un giorno una donna avrebbe pianto davanti ai tuoi occhi e tu con lei?- era stato un solo momento, quel primo anno a Durm, in cui lei aveva preso Kaj per mano e aveva assistito a questa scena, lui le aveva risposto che solo sua mamma poteva farlo piangere e viceversa, ma quella che lei aveva visto non era sua madre aveva tuttavia lasciato perdere – quando sono comparsi gli obscuriali, un paio di anni fa, e i picchi di magia, queste .. scene le ho iniziate a vedere troppo di frequente, con chiunque i miei palmi toccassero; indossarli mi aiuta a non impazzire- rallentò e lui la affiancò.
    -Non mi hanno mai detto cosa ti è successo- e se gli andava di raccontarglielo poteva farlo – ma questo non ti scusa per esserti dimenticato di me-


     
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    Se la ricordò perfettamente quella notte degli obscuriali. Era fuori nel cortile mentre la grossa rete azzurra sul dirupo oscurava quasi la vista a strapiombo sulla costa. Thomas gli aveva indicato il cielo, aveva un'espressione mista a confusione, aveva posato la mano sulle sopracciglia a costo di ripararsi da una luce che non c'era, pur di essere sicuro che non servisse.
    Lo fece come se fosse sicuro di vedere meglio.
    Quando il bruno alzò la testa verso il cielo, quelle nuvole sembravano tutto, tranne reali.
    Quando Thomas si voltò verso il gruppo, tutti si sentirono in dovere di correre verso l'interno dell'istituto.
    "Correte!" aveva urlato Kaj voltandosi e cominciando a correre verso la struttura di cemento incantata, molti si calpestarolo uno con l'altro. Ricordava bene la questione oscuriali, e quello fu l'unico motivo per il quale il madre e padre di Kaj furono in grado di tirarlo fuori da lì. Si appigliarono al fatto che niente sembrava più sicuro, e seppur Kaj non spiccicò parola, lo credeva anche lui. Si era sentito tremendamente in pericolo e del piccolo ragazzino in cortile, nessun aveva più fatto riferimento.
    Annuì fingendo di ricordare le sue parole, promettendosi di scavare più tardi nella sua memoria per ricercarle.
    Non capì il discorso di Ade, non lo capì nemmeno lontanamente, eppure, lo aiutò a recuperare terreno, le avrebbe chiesto specifiche magari più tardi.
    "Non ti ho mai dimenticato" si apprestò a ribattere senza nemmeno tracce lontane di balbuzie.
    Era la verità, ma come aveva imparato in istituto e a Durmstrang, spesso quello che si desidera non combacia nemmeno lontanamente con la realtà dei fatti. "E' difficile spiegare cosa sia accaduto" Ammise, non era complicato se la sua parte razionale avesse potuto parlare da sola, se avesse potuto recitare un ritaglio di giornale, o una esperienza di qualcun altro, ma come ricominciava a parlarne, sentiva un peso talmente forte in petto da non riuscire a respirare, gli veniva da vomitare e sentiva il cuore pronto ad esplodergli in petto. Il dottor Foster gli aveva detto che era normale, che e' qualcosa che non sarebbe passato, ma qualcosa che avrebbe imparato a gestire. Era molto più facile sperare che lei capisse, capisse quanto per lui fosse difficile anche solo parlarne, che lo avvertisse dal quel modo che aveva nervoso di schiarire sempre la voce.
    Quasi ad ogni passo.
    "Ho avuto dei problemi, e ho ricevuto una sola lettera da parte tua, le altre sono state sequestrate, e non ho potuto rispondere per tempo" nel mentre prego che non venissero fatte domande sul perchè "E quando avrei voluto rispondere, credevo saresti stata troppo arrabbiata. Al Nord non sei più tornata" e lui lo sapeva, visto che aveva scoperto che la loro casa al nord aveva le luci della stanza di Ade spente da un tempo immemore, che solo a guardarci dentro, gli veniva freddo. "Quindi ho pensato di lasciar perdere" questo prescinde dall'averla completamente dimenticata. Avevo i suoi segnalibri con lui, nei libri attuali, la lettera mandata da lei per invogliarlo a parlare col preside di Igor.
    L'invito alla festa di inizio Inverno.
    e quel ciondolo orribile che si erano scambiati come segno di amicizia, fatto con del fango rappreso e dei bastoncini.
    Si fermò, con faccia funerea, al bivio.
    "Casa mia è per di qua, ma se vuoi posso accompagnarti a fare qualche commissione, abbiamo il congedo, sarò a casa fino a fine mese".
     
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    Ade si ritrovò a stringere i palmi delle mani tra le dita, così forte che sembrava si potessero spaccare quei guanti.
    “Invece si!” ripeteva la sua mente, lui l'aveva dimenticata, erano ormai tre anni che non sapeva nulla di lei.
    Lui non era un bambino più, un solo anno lo separava dalla maggiore età, come poteva affermare il falso in quel modo!
    -E' difficile- si sentì ripetere.
    Lo guardava e più lo faceva più percepiva un disagio palpabile nei suoi occhi, nella sua voce, così diversa da quella che era stata un tempo..
    Tre anni, l'ultima volta era stata l'estate che erano andati insieme a trascorrere le vacanze estive.
    -Non devi parlarne per forza, se non ti va- si fermarono entrambi davanti a un bivio, uno portava al villaggio, l'altro invece a casa di Kaj.
    -E perchè ti hanno sequestrato le altre? Cosa avevi combinato?-
    Arrabbiata.. lei – lo sapevi che aspettavo una tua risposta, sarebbe andata bene in qualsiasi momento, anche dopo anni, purchè ci fosse stata!-
    Allora lo fronteggiò con quella passione che quasi nessuno aveva mai visto in lei, sempre così pacata, silenziosa, riservata.
    Sempre pronta a non rispondere pur di non essere tediata oltre.
    -E perchè dovevo tornare? Per vedere mio padre che sta con una donna che non volevo come madre? Per stare in un angolo a vederli mentre fanno la famigliola felice assieme alla nuova arrivata?
    Perchè dovevo tornare Kaj!!?-
    l'unica persona per la quale tornava volentieri al nord non c'era, l'aveva cancellata tra le sue amicizie, non aveva senso tornare.
    -Ti sei arreso senza neanche iniziare a combattere- non che ci fosse nessuna battaglia da vincere, ma se l'ostacolo era stato la reazione di lei allora era stata quella la sua resa, convincersi che non ne valesse la pena, perchè avrebbe reagito male.
    Con lo sguardo corse alla stradina che dava verso casa di lui – devo andare a comprare il pesce, e gli ingredienti per una torta- disse ancora scontrosa nel tono.
    -Fai quello che ti pare. Io riparto domani mattina-
     
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    "Non si trattava di lottare" cercò di spiegare in imbarazzo, cautamente, tenendo gli occhi chiari in quelli di lei. Si sentì incompreso, e per un attimo, pensò che della bambina che aveva conosciuto, quella dolce bambina che aveva preso per mano quel giorno, alla quale aveva comprato dei biscotti tipici natalizi non c'era più. O meglio, se c'era, era di certo nascosta dentro quegli strati di imbottitura e guanti che la ricoprivano.
    Lui rimane in silenzio, pensando che qualsiasi risposta lui avrebbe dato, sarebbe stata di certo sbagliata.
    Schiuse le labbra leggermente, scosso da un silenzioso brivido di freddo.
    Aveva pensato di invitarla a quella festa nel borgo antico, scappare come avevano fatto molte notti addietro, ma la cosa gli passò di testa, se ne dimenticò improvvisamente, come se avesse spento un interruttore qualcuno direttamente nel suo cervello.
    "Mi dispiace che questa sia la tua situazione famigliare" aveva visto la bambina nei giorni addietro, era al passeggio col padre, si tenevano per mano e la bambina dai capelli coperti sempre da un vistoso cappello di lana rosso, aveva il braccio teso, e rimaneva appesa a quello del padre ciondolando, mentre lui era impegnato a parlare con qualcuno in strada. Aveva un viso vispo, molto diverso da quello di Ariadne, somigliava più ad una bambina tremendamente allegra e solare. Ma non lui non la trovava comunque bella e affascinante quanto lei.
    Decise di interrompere il silenzio tombale con un pensiero.
    Mio padre diceva sempre che non ha senso parlare con una persona estremamente ferita o arrabbiata, non se ne cava mai nulla di buono. E così, per quanto la tentazione di lui di rispondere che anche la sua situazione famigliare in pochi anni si era completamente distrutta, rimase in silenzio e cacciò di nuovo tutto in gola.
    "C'è la festa in borgo stasera" scelse semplicemente di rimandare a più tardi il discorso. Non aveva alcuna voglia di sentirsi aggredito, aver voglia di aggredire, o peggio, di intristirsi. Era stato davvero felice di rivederla, e non voleva pentirsene.
    "Mi ha fatto piacere rivederti" le disse sincero, prima di accennare ad un vago sorriso e fare qualche passo all'indietro, prima di darle le spalle. Quando si voltò verso il freddo della valle aperta dalla strada, sorrise in modo diverso, sentendo molto meno freddo.
     
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    Ade faticava a capirlo, non si vedevano da anni e non era in grado di darle una sola spiegazione chiara e plausibile.
    Era contrariata, ma più di tutto era amareggiata.
    Neanche una spiegazione sensata meritava.
    Entrambi rimasero in silenzio, moltissimi anni, e non avevano nulla da dirsi.
    In realtà lei avrebbe avuto tanto da dire, ma non le andava di farlo partecipe della sua vita, visto che neanche lui era interessato a coinvolgerla di rimando.
    Quando si dispiacque per come avesse mal accettato la nuova venuta in famiglia si strinse nelle spalle, come se non le importasse, come se oramai aveva fatto l’abitudine, e in parte era veramente così, l’abitudine l’aveva fatta sul serio.
    Rimase comunque spiazzata quando lui cambiò totalmente discorso, come se nulla fosse.
    Così spiazzata che non replicò neanche, rimase lì ferma con gli occhi fissi sulla spalla di lui che si allontanava.
    -Non ho capito!- gli urlò dietro una volta che fu rinsavita – Kaj! Era un invito?-


    -C’è la festa in borgo questa sera- ripetè al padre mentre si avvolgeva nuovamente la sciarpa attorno al collo – perché non venite pure tu e Charlotte?- un modo come un altro per non andarci sola.
    Ma oltre alla festa nel borgo c’era pienone al pub e non poteva lasciare per accompagnare lei.
    Lo sapeva ma ci aveva provato.
    Mise dei guanti più caldi sopra quelli di pizzo nero e non si fece trovare impreparata, mise in testa un cappello di lana con un grande pon pon bianco.
    Che le importava cosa sembrava? L’importante era stare al caldo.
    La via era illuminata con delle lanterne e si sentiva profumo di caldarroste tanto da farle venire desiderio di assaggiarne.
    Stava pagando il suo cartoccio quando dal lato opposto della strada intravide Kaj. Per non dare l’idea che si stava guardando attorno per trovare lui si sedette con nonchalance sulla prima panchina disponibile e mangiò la prima caldarroste della serata.
    Soffiandoci sopra perché.. accidenti se erano calde!
     
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    “Sicuro di non volere compagnia?” Da quando Meike era tornata a casa era più strana del solito.
    Stava e orbitava spesso attorno al fratello minore, cercava contatti che all’epoca aveva sempre in qualche modo ripudiato, lo aveva chiamato sgorbio, moccioso e caccola. Le cose erano cambiate da qualche tempo, voleva fare cose insieme e nel dubbio, credendo fosse tutta opera della madre o del padre, lui aveva sempre indietreggiato e declinato gli inviti. Lei si era sentita offesa e a lui non era purtroppo importato troppo.
    Stasera aveva per l’ennesima volta declinato un invito, con la promessa mentale di concederle qualcosa l’indomani magari.

    null


    Era la seconda festa del borgo, l’anno scorso non aveva cuore di dire di no alla nonna quando gli aveva chiesto delle caldarroste e una cioccolata esclusivamente da Madama Silke, perche quella ruba fidanzati, diceva, le doveva milioni di cioccolate gratuite. Lui aveva pagato, ed era tornato piuttosto velocemente a casa. Aveva sentito il desiderio di rimanere solo quell’anno, e di andarci proprio con lei. L’invito era uscito spontaneo, e sperava l’avesse davvero raggiunto.
    “Fingi di non vedermi?” Le chiede dalla panchina adiacente senza che nessuno dei due si muova.
    Poi sorride leggermente, tronfio di gioia nel vederla con le gote appena arrossate e le labbra color ciliegia.
    “Ti ricordi lo facesti una volta anche a Durmstrang, e dopo qualche giorno, mi dicesti che mi avevi visto eccome” si schiacciò il cappello imbottito bianco sulla fronte mentre una nuvoletta di gelo, fuoriusci dal naso.
    Si alzò poi e le porse la cioccolata extra che si era raccontato volere per lui. Serviva un piano b per la sua anima semmai lei non l’avesse raggiunto.
    “È di Madama Silke, là cioccolateria più antica del nord, dicono ci sia un ingrediente segreto” e gliela porse, tenendo la sua vicina, c’era un po’ meno panna montata.
    "Come vanno le cose a Hogwarts?" chiese dopo aver trovato il coraggio finalmente. Soffiò sulla sua cioccolata rendendosi conto della temperatura perfetta, ne prese un sorso.

     
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    Era seduto sulla panchina adiacente alla sua ma lei, dopo solo un attimo di esitazione, continuò a mangiare le sue castagne.
    -Magari non ti ho visto per davvero- gli fece notare leccandosi via una briciola dal margine del labbro.
    Se anche ammesso non lo aveva ricordato, o mai gli avrebbe risposto così, ci aveva pensato lui a farglielo tornare alla mente; un mezzo sorriso sghembo le si dipinse sulle labbra – ti ho visto eccome anche oggi- si voltò e puntò le iridi chiare su di lui che nel frattempo si era alzato e la stava raggiungendo.
    Lo seguì con lo sguardo anche quando le allungò una cioccolata calda che esitò prima di prendere.
    Poi si disse che non c’era motivo per rifiutarla, e neanche di tenere ancora su il broncio, non era più una bambina e lui stava facendo di tutto per fare come fanno di solito due amici, ritrovarsi come se non fosse mai passato un giorno lontano l’uno dall’altro.
    E in fondo sarebbe stato il loro caso sul serio se lei non ci fosse rimasta così male.
    -E tu lo conosci questo ingrediente segreto?- la strinse tra le mani e con il calore del cartone le si riscaldarono sebbene poco a causa degli strati di stoffa che le ricoprivano.
    Rimaneva in piedi così anche Ade lo imitò e, fianco a fianco, iniziarono a camminare.
    Le chiedeva come andassero le cose a Hogwarts, poteva dire la verità oppure poteva mentire.
    Con sua nonna era stata facile la scelta, non poteva assolutamente rivelarle la realtà dei fatti.
    Ma con Kaj stava riflettendo troppo per sembrare che stesse dando una risposta spontanea.
    -Sono sempre dell’idea che sarei dovuta rimanere a Durmstrang- esordì allora – tu non saresti finito nei guai e io non mi sarei sentita così sola- le venne voglia di intingere una castagna nel cioccolato così lo fece.
    -Ne vuoi?- gli chiese allungandogli il cartoccio.
    -Le cose vanno bene comunque, conto i giorni che mi separano dai M.A.G.O.- per iniziare una nuova vita fuori da quelle quattro mura, con persone che non la conoscevano e non l’avrebbero giudicata solo per la sua età e per il suo modo di fare o ragionare, pur essendo una ragazzina di tredici anni.
    -Come stanno i tuoi genitori?-

    Edited by __Grace__ - 19/11/2021, 08:14
     
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    “Purtroppo no, è segreto” rimarca con un’ombra di sorriso il ragazzino.
    L’odore di cioccolata calda è talmente intenso da coprire persino i pensieri, si mischia a zucchero e cannella, la panna adagiata in alto è la culla di una spolverata di cacao perfettamente assaporabile. L’odore è così forte che potrebbe pensare di nuotarci dentro.
    Mano mano che si spostano nelle bancarelle vengono investiti sempre da più odori, gli sembrò di poterli assaporare già così, caldarroste, pane croccante e caldo, quei Brezel dolci alla vaniglia.
    “Sarebbe stato bello” dice brevemente pensandolo davvero “peccato che avessero altri piani per noi a quanto pare. Forse mi sarei cacciato lo stesso nei guai” un piccolo minuscolo spiraglio di apertura, respirò l’odore del cacao amaro.
    “Grazie” prese una caldarrosta enorme dal cartoccio, per grazia di Odino già aperta.
    “Non stanno più insieme” ammise “era questione di tempo” e in fondo era più che vero, suo padre aveva una relazione con una donna da anni, anni addietro, l’aveva vista con i suoi occhi.
    E forse la madre anche.
    Ma era più comodo pensare che fosse stato lui la causa della rottura tra i due. In fondo senza la tensione che aveva creato, i due avrebbero finto ancora per chissà quanto tempo. “Meike è tornata a casa in pianta stabile” era stata buttata fuori dalla Accademia “Dividiamo la stanza adesso”. Il buffo modo che aveva Meike di comportarsi con lui ultimamente gli sovvenne ma scelse di non parlarne ad Ariadne, per paura di annoiarla, in fondo Meike non era mai stata oggetto di dialogo tra loro, se non per deriderla. Ultimamente c´era davvero poco da deriderne, sembrava anche lei l´ombra di se stessa.
    Inspirò l´aria cosí gelida che quasi sentí la sua stessa schiena dolore, come se i polmoni non potessero reggere a tanto freddo. La nuvoletta all´esterno delle sue labbra si spostò verso la ragazza: "Perchè non mi spieghi meglio la questione dei guant? Non credo di averci capito poi molto" i voti a scuola di Kaj erano discreti, niente di speciale, e per assurdo, al ritorno a Durmstrang erano persino migliorati, come se non avesse alcuna altra distrazione a cui pensare, triste, ma utile.
     
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    Ade se ne stette in riflessione alla battuta di Kaj. Certo doveva essere un modo per ridersela ma a lei spuntò solo un tiepido sorriso, poi preferì affondare il naso nella cioccolata.
    Camminavano per la via illuminata a festa, volendo essere onesta con se stessa le era mancato quell’ambiente, l’atmosfera di gelo perenne, la neve ammucchiata sul ciglio della strada, e anche quella sui cespugli ormai rinsecchiti e bruciati dal gelo.
    E nonostante le nuvolette di fumo uscissero dalle loro labbra a indicare quella particolare situazione climatica il calore di casa che si respirava per la via era impagabile.
    Ma era l’atmosfera o la compagnia a farla sentire a casa? Ade se lo chiese e scoccò di sottecchi un’occhiata a Kaj, mentre quest’ultimo era intento a contemplare la sua cioccolata.
    -Tu sei quasi prossimo alla maggiore età, per te sta per cambiare tutto quanto, no?- le decisioni poteva prenderle da se, nessuno avrebbe potuto fargli notare che altri avevano preso decisioni al loro posto.
    La notizia che i suoi genitori non stessero più insieme le dispiacque ma non era una novità, erano insieme una delle volte in cui Kaj aveva visto il padre stare in compagnia di un’altra donna, e non la guardava come ad esempio guardava la coinquilina Abby. Era stata in quell’occasione che Ade aveva capito che c’erano modi e modi di guardare gli altri.
    Odio, amore, ammirazione.. indifferenza.
    -E andate d’accordo?- strano sentirgli dire che dormiva con la sorella, ricordava che litigavano in continuazione, che non c’era verso per loro di trovare un accordo, forse l’episodio della famiglia e quello che aveva coinvolto Kaj l’avevano fatta empatizzare un po' di più.
    O forse era solo cresciuta.
    La domanda comunque la colse di sorpresa.
    Istintivamente strinse le dita attorno al tessuto, poi aprì un palmo e lo osservò.
    -Da qualche anno, precisamente da quando sono esplose le clessidre, ho delle visioni- gli spiegò cercando di essere quanto più precisa possibile.
    -In realtà mi accadeva pure prima, ma pensavo fossero Dejavù, o cose che non sapevo spiegare- lo guardò e, gettato il cartoccio nel primo cestino disponibile le rimise in tasca.
    -Ora però.. è fuori controllo. Succede soprattutto quando tocco una persona con i palmi.
    Vedo la sua morte o, nei casi più belli l’episodio più prossimo a un evento catastrofico
    - si strinse nelle spalle – pensare che ho sempre odiato la divinazione, ora il mio odio è cresciuto. A volte penso che sia per questo che sono portatrice di cattivi presagi- premonizioni legate al disastro, o alla morte.
    -Quello che sento si riversa in quello che sono. Una persona insensibile, sono stata capace di allontanare da me le uniche amiche che avevo- distolse lo sguardo – rovino tutto quello che tocco, quindi … una fortuna mi sia stato lontano in questi anni, avrei rovinato anche te-
     
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    „Mah non saprei, è strano“ la relazione con la sorella era stata sempre molto particolare per il minore di casa Kuhn, sempre così difficili, così diversi. Non c´era niente che potessero condividere. A lui non venne in mente che Meike, poteva e voleva improvvisamente condividere dubbi, cose accadute alla loro famiglia. Forse era lui a non essere pronto in quell momento, o semplicemente non voleva. Era ricomparsa a cose finite, le aveva detto che non importava, che non era importante, ma in cuor suo sapeva che le cose non erano le stesse tra lei e lui. Lui la giudicava una gran codarda, e chissà quando e se avrebbe mai perdonato la cosa.
    Quando si è giovani sembra tutto il finimondo.
    Si fermarono davanti il grosso fuoco scoppiettante al centro della piazza, dove il grosso gazebo si ergeva. Ascoltò in silenzio le parole della compagna, fino alla fine, bevendo con cautela la cioccolata, immaginò il segreto della donna, ad ogni sorso, la cioccolata sembrava avere un sapore quasi diverso, variò dalla cannella, al latte, alla panna. Si chiese se ci avesse azzeccato, se fosse quello il segreto, un sapore diverso per ogni assaggio.
    Lo trovò stupidamente poetico.
    “Chissà forse è stato questo il motivo, intendo, forse qualcuno ha pensato fosse meglio se in un certo period non ci avvicinassimo a vicenda” anche se “Ammetto che tuo padre è stato molto insistente nel fatto che avessi dovuto portare io quella cartellina al Dragonfly” e un bieco sorriso gli sorvolò le bianche labbre intorpedite dal freddo.
    “Non ti piace avere un potere del genere?” Chiede senza alcuna premura “Nonostante tutto potrebbe essere usato a fin di bene, non credi?“ pensò che sarebbe stata una possibilità papabile solo se lei l´avesse voluto davvero e quella era una domanda che non aveva posto.
    Si accurse di dover dire qualcosa di molto triste: “Io non ho idea del se e quale dono possa mai avere, I miei voti sono in parte migliorati ma non è stato niente di speciale o degno di nota. Tu sei stata sempre molto brava, insomma, sei entrata a scuola quando all atua età dell´epoca molti di noi si fanno ancora pipì nei pantaloni. Non so nemmeno cosa potrei fare da grande. Ma non credo andrò in Accademia. E se i miei voti non miglioreranno ancora, non credo nemmeno di potermi aprire troppi spiragli” poi finì la sua cioccolata e si voltò verso di lei, sorridendo e annuendo.
    “Invece guarda te, sei rimasta brillante, Caposcuola, e non contenta hai anche un dono speciale, che altro? Il più giovane Ministro della Magia Mondiale?” e fece spallucce “Se le amiche ti hanno mollato, non erano vere amiche, te ne farai altre, Hogwarts è grande. E se non sarà così… tra poco la scuola sarà finite anche per te, potremmo portare un po`di pazienza insieme” e iniziò una canzone dal vivo sul fondo della fiera, sembrò quasi fatto apposta.
     
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    -Non credo, mio padre non lo sa- non sapeva nulla di quello che le accadeva né voleva dirglielo.
    Perché era apprensivo, perché avrebbe esagerato rinchiudendola in qualche torre sperduta e magari piena di incanti anti smaterializzazione.
    No, suo padre era meglio non sapesse.
    Comunque le scappò un sorriso – probabilmente si è reso conto che stavo perdendo l’orientamento- lo guardò imbarazzata – ha pensato che tu saresti potuto essere la mia speranza di non perdermi totalmente- e aveva avuto ragione ma era cosciente che doveva spiegarsi meglio perché Kaj potesse veramente capire – l’anno scorso, ma anche quest’anno.. ho avuto diverse punizioni.
    Vuoi perché ho usato incantesimi che non avrei dovuto contro un mio compagno, vuoi perché mi sono intrufolata al Dark Angel usando la pozione invecchiante e … si bè ho usato anche lì la magia e se ne sono ovviamente accort
    i- si strinse nelle spalle – perdo facilmente la pazienza, a scuola poi c’è molta droga in giro, siamo pieni di auror che controllano ma chi la possiede sa come nasconderla.
    Tu sai di mia madre… appena vedo qualcuno che si fa del male come se ne faceva lei non ragiono più. Il mio cervello va in off. E faccio tante stupidaggini…-
    se ne rendeva conto dopo ma era altresì convinta che se una persona la conosceva allora la poteva anche perdonare, come lei aveva perdonato Kaj.
    A volte si trattava anche di importanza.
    Se il bene che si vuole non è superiore al perdono allora tutto continuerà a tacere.
    -Come potrebbe piacermi? Se non porto i guanti chiunque io tocchi mi rimanda a immagini, passate o future.
    E non sono mai belle-
    non capiva dove stava il bene in quello che le era stato dato.
    -E come potrei usarlo a fin di bene?- lei stessa ci pensò, in effetti quella volta a lezione aveva avuto due premonizioni, dei bambini che chiedevano agli auror di voltare pagina e perdonarsi.
    E qualcos’altro che non ricordava ma il padre di Karen era sembrato in fermento.
    -Kaj, si nasce con un dono. Non lo si acquisisce.
    Tu comunque ne hai uno, ed è quello del quidditch. Perché non ritieni che sia abbastanza da soffermartici e approfondire?-

    Lei non era comunque convinta che iniziare la scuola in così giovane età fosse stato un bene per lei.
    Non faceva altro che sperare di crescere in fretta, per amalgamarsi alla massa, se avesse seguito con i coetanei ora non avrebbe tutta questa fretta.
    -Io ci ho pensato- gli rivelò – forse vorrò intraprendere la strada degli indicibili- non gli confidò tuttavia che qualcun altro cercava di mostrarle altro. Una strada diversa, sebbene non era chiaro di che natura si trattasse.
    -Pazienza?- chiese accennando un sorriso – io con te ho bisogno davvero di vagonate di pazienza. E poi ora dici così, tra due anni tu sarai così grande che avermi intorno ti darà fastidio, vedrai. Perché io sarò ancora una ragazzina- ed era un dato di fatto, non lo avrebbe raggiunto neanche all’attuale sua età tra un paio di anni.
    -Sai .. una cosa però è successa, di quelle che ti fanno imbarazzare fino a volerti sotterrare- prese a confidargli – un ragazzo mi ha baciata ed è stato .. strano- poi lo guardò - tu lo hai dato il tuo primo bacio?-
     
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