Not ready to say goodbye

privata

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    Parlava di sensi di colpa, mi chiedeva di non riviverli, forse non aveva ancora capito che io, in realtà, non avessi mai smesso di provarli.
    Non avrei mai potuto dimenticare di aver fatto soffrire lei ed i nostri figli. Non avrei mai potuto fingere non fosse mai accaduto. Per quanto in seguito ogni mia scelta, azione e decisione fosse stata mirata solo ed esclusivamente al loro benessere, niente avrebbe mai potuto cancellare ciò che era accaduto prima.
    Prendendo una sua mano me la portai alle labbra. Risposi in un sospiro.

    "Hai ragione. Il passato è passato. Non mi crucceró, promesso."

    Quello sarei riuscito a farlo. D'altronde mascherare le mie preoccupazioni o turbamenti dietro un'espressione all'apparenza serena per non mettere a disagio lei o i ragazzi era una delle mie maggiori capacità, soprattutto negli ultimi tempi.
    Accolsi la sua prima domanda a cuor leggero. Avevamo già provato ad affrontare l'argomento anni prima, senza riuscire infine a comprenderci veramente. La situazione allora era ancora molto tesa e precaria, ciò non rendeva gli animi disposti ad intavolare conversazioni civili. La scottatura della delusione, dell'umiliazione da parte della mia donna mi aveva fin da sempre ferito molto più di qualsiasi parola tagliente che fossimo arrivati a rivolgerci.

    "Beh… Ad essere sincero tutt'oggi mi chiedo cosa mi frullasse in testa." Rivolsi pensieroso lo sguardo al soffitto in legno. "Non ho mai smesso di amare la nostra famiglia, di tenere a te, però… ero convinto non fossimo fatti per stare insieme. Credevo ci fossimo trovati costretti a convivere, che se non fosse stato per Alexander nemmeno te avresti davvero scelto di restare con me. Poi… Mi sono lasciato stupidamente trascinare in quella storia e… ho creduto davvero di provare qualcosa di profondo per lei…."

    Incerto nel dire, strinsi Venus come a volerla proteggere dalle mie stesse ammissioni.

    Mi costava parlarle in quel modo. Avrei potuto omettere, mentire o rispondere in modo vago, ma avrebbe reso del tutto vana e senza senso la mia richiesta di liberarsi da ogni dubbio. Volevo aprirmi ed essere sincero come mia moglie meritava. Come avrebbe meritato da sempre.
    Prendendo fiato, ripresi a parlare.

    "Ma la verità è che era solo l'ultimo appiglio al passato che mi era rimasto. Ed era tutto ciò di cui sentivo, erroneamente, di aver bisogno allora. Ero troppo stupido, immaturo e cieco per capire la mia vera felicità, ogni mio desiderio, fosse già al mio fianco."

    Morsi la lingua trattenendomi dal richiedere per l'ennesima volta perdono per la mia idiozia. Per averle causato sofferenza, per aver solo pensato di non poterla amare.
    In quegli anni era capitato lo facessi, quando accadeva qualcosa che ci riportava inevitabilmente ad uno dei periodi più bui della nostra vita. Lei però mi zittiva sempre, in modo brusco o più dolce, ripetendomi di vivere il presente senza lasciare venisse intaccato dalle ombre di un passato oramai superato.
    Proseguii quindi continuando a rispondere, concentrandomi per essere sufficientemente chiaro ed esaustivo.

    "Ho pensato potesse essere meglio per te, per voi, non per me. Ero certo di non potervi rendere felici, di essere solo causa di dispiacere e sofferenza. Sarei rimasto ai margini se avessi visto che senza di me foste sereni. Avrei con sofferenza accettato fosse qualcun altro a prendersi cura di voi, se fosse stato determinante per la vostra felicità."

    Mi era costato molto impormi di stare quanto più distaccato possibile nel periodo in cui avevo intuito ci potesse essere un'altra presenza disposta a prendere il mio posto, farsi carico delle responsabilità di una famiglia già formata e curare i loro cuori ed il loro benessere.
    Ma lo avevo fatto ed avrei continuato a farlo nel caso mi fosse stato dimostrato fosse quella la strada giusta per la serenità di Venus e dei miei figli.
    Grazie al cielo era andata diversamente, perché nonostante la mia determinazione a lasciar loro modo e spazio di vivere la propria vita senza la mia costante presenza, non avevo dubbi che questa scelta mi avrebbe via via negli anni prosciugato, rendendomi sempre più cupo, triste e chiuso.
    Socchiudendo gli occhi, mi godetti il tocco lieve delle sue carezze, mentre le mie stesse mani non smettevano di cingerla e sfiorarla.
    < Se fosse successo a me di avere la prospettiva di un tempo limitato davanti…tu avresti…avresti…>

    "Avrei?"

    Tornando a guardarla, notai la sua espressione mutare. Sembrava e dimostrava di essere incerta improvvisamente nel comunicare il proprio pensiero.
    < Fatto e tentato l’impossibile. >

    "È ovvio. L'impossibile ed oltre."

    Ma questo cosa c'entrava? Non riuscivo neanche a pensare a lei al posto mio. La mia mente si rifiutava in modo categorico di tradurre quel pensiero, la mia sorte in confronto mi sembrava un tranquillo e pacifico viaggio verso una meta imposta da agenti esterni. Niente di più, niente di meno.
    Ma a ruolo invertiti…. Sì, sarei di certo impazzito. Avrei girato il mondo, avrei provato a creare io stesso una cura, avrei…. Non ne avevo idea, ma non mi sarei arreso fino all'ultimo tragico istante.
    < Se io volessi fare lo stesso…per te….a modo mio…ti arrabbieresti….molto? >
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    Aggrottando la fronte, il mio sguardo si adombrò all'istante. Le premesse, la sua improvvisa titubanza mi misero subito sulla difensiva. La scrutai in silenzio per diversi secondi prima di risponderle.

    "Cosa… cosa vuoi fare?"

    Se credeva potessi arrabbiarmi, significava immaginasse già da sola non avrei approvato le sue intenzioni. E se non le approvavo era perché temevo ripercussioni non positive su di lei e sulla nostra famiglia, altrimenti non sussistevano di fatto altre ragioni.
    < Potrebbero significare rimetterci in gioco, potrebbe essere necessario affrontare dei cambiamenti. Saresti disposto ad affrontarli…con me? >
    Indurendo ancora più l'espressione, alzai il petto costringendola a spostarsi e mi abbassai su di lei. Una mano andò instintivamente a stringersi attorno al suo polso, come se desiderassi bloccarla dal compiere qualsiasi gesto o azione in divenire.

    "Che significa, Venus? Cosa hai in mente? Quali cambiamenti?"

    Non feci niente per nascondere l'evidente preoccupazione trapelata dal tono di voce, dal modo in cui la guardavo esortandola a rispondere e dalla posizione del tutto protesa sopra di lei, ora stesa inerme tra le lenzuola sfatte. I nostri volti si sfioravano, percepivo il suo respiro leggermente accelerato solleticarmi il collo.

    "Sarò al tuo fianco sempre e comunque, ma non sono disposto ad assecondare scelte che possano minare la tua sicurezza e la tua salute. Dimmi quali sono le tue intenzioni."

    Non avrei desistito finché non mi avesse risposto chiaramente. Sapevo non avrebbe cercato di mentirmi, al massimo avrebbe omesso o tentato di sviare il discorso, opzioni che io non avrei comunque accettato.
    Neppure allontanarsi era una possibilità. La tenevo bloccata sotto di me, ero disposto a restare fermo in quella posizione tutta la notte se fosse stato necessario. In barba al mal di schiena ed alle articolazioni doloranti.
     
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    Dopo la rassicurazione che non si sarebbe rammaricato più di quel che non aveva fatto nel corso degli anni rispose alla mia domanda. Accolsi il suo dire che corrispondeva, in buona parte, al mio pensare. Non lo giudicavo per i suoi pensieri di allora, se lo avevo fatto non c’era più ombra di risentimento nei suoi confronti. A quel tempo pensavo ed ero convinta che fosse stato indotto ad agire come aveva agito. Ne ero ancora persuasa e niente e nessuno mi avrebbe mai fatto cambiare idea. La ferita non bruciava più come allora, il suo amore l’aveva guarita e la nostra realtà ne era la conferma. Stretti in un abbraccio tanto tenero quanto indissolubile sapevo che non c’erano più fessure nel nostro rapporto, nessuna serpe si sarebbe mai più infilata nella salda corazza costruita dal nostro amore.
    Era soprattutto conforto ciò che provavo. La consapevolezza che Walter avesse scelto di guardare al futuro piuttosto che rimuginare su un passato tanto importante quanto tragico era sopraggiunta dopo aver rischiato di non averlo per nulla un futuro e questo rendeva il nostro presente ancora più prezioso.
    Mi sentii pessima udendo il prosieguo del suo discorso. Credevo in ciò che diceva e ci credevo non solo in quanto non aveva motivo di mentire e perché mi sarei accorta se lo avesse fatto. Ci credevo perché avevo visto e vissuto i momenti che stava descrivendo. Si sarebbe veramente fatto da parte se avesse avuto la certezza che senza di lui sarei stata più felice, era convinto quando diceva che se avesse capito che io e i ragazzi potevamo essere felici senza di lui non si sarebbe intromesso.
    Non potevo dire lo stesso. Non potevo chiedere ne tantomeno pretendere l’amore di Walter e non mi sarei trovata a mio agio a competere con un’altra donna o con altre situazioni che vedessero Walter emotivamente coinvolto ma non pensavo di essere capace di assistere alla sua felicità accanto a qualcun’altra.
    Mi sentivo molto egoista nel doverlo ammettere ma non potevo mentire a me stessa ammettendo quello fosse uno dei miei tanti limiti. Me ne ero andata da casa nostra portando i miei figli in Francia anche per proteggermi da quel tipo di situazione che all’epoca non ero riuscita a digerire e ad affrontare.
    Mi sento indegna ad ammetterlo ma sincerità merita sincerità. Non ci sarei riuscita a rimanere a guardarti mentre accanto a c’era qualcun’altra. La gelosia mi avrebbe divorata fino a detestare me stessa per la mia meschinità coinvolgendo chiunque avesse avuto la fortuna e il privilegio di averti accanto. Ti avrei lasciato libero se questo era il tuo desiderio ma non sarei stata capace di rimanere ai margini.
    Era stata una sofferenza anche dover far finta di nulla durante le sue visite ai nostri figli. Per loro avevo accettato di sottopormi al supplizio di fingere indifferenza ma era stato il massimo che fossi riuscita a fare.
    Accolsi con un sospiro di sollievo la sua esaustiva spiegazione. L’arrivo inaspettato di Alexander, prematuro rispetto ai suoi tempi e ai suoi sentimenti di allora lo aveva fatto sentire ‘costretto’ in una situazione che non aveva liberamente scelto creando in lui confusione. D'altronde mi rendevo conto di non aver aiutato molto in quel periodo a lasciargli spazio e tempo per riflettere e quando mi ero risolta a farlo, quando avevo accettato di malavoglia la sua partenza per altri lidi lui si era lasciato coinvolgere da quello che riteneva essere una parte del suo passato. Era stato difficilissimo superare quel periodo. Ne eravamo usciti malconci entrambi aggiungendo errori ad errori. Quando si soffre non è difficile fare errori e scelte sbagliate. Ne eravamo usciti più forti, più maturi e consapevoli; più uniti che mai.
    Accarezzando il suo petto mi strinsi a lui appoggiando il viso sulla spalla. Le labbra sfioravano l’incavo del suo collo, la mia voce dal tono basso in quanto l’occasione era delicata e richiedeva sia determinazione che dolcezza, giungeva alla sua pelle insieme al mio respiro caldo.
    Lo sentii agitarsi nell’udire la premessa che gli avevo prospettato. Me l’ero immaginato così come avevo previsto la sua reazione e, in parte, anche il tono e il tenore delle sue parole.
    Il suo sguardo adombrato e diffidente incontro il mio sorriso che voleva essere rassicurante.
    Non ti allarmare. Non correrò nessun rischio e men che meno ne farò correre a te.
    Era importante sapesse e capisse che erano altri i tipi di eventuali controindicazioni che potevano, che sarebbero insorte se i miei propositi fossero andati a buon fine. Se volere era potere lo volevo così tanto che Merlino non poteva aver scelta nell’esaudire la mia ferma volontà nel procedere. C’era stato un periodo in cui il destino era stato in debito nei nostri confronti, il fato non poteva non tenerne conto anche se in seguito aveva ripagato con gli interesse ciò che ci aveva fatto passare. Forse chiedevo la luna ma Walter la meritava e io volevo dargliela. In fondo chiedevo ciò che sapevo di poter fare. Per l’ultima volta.
    Ero in salute, il mio fisico non era più fresco e agile come un tempo non avevo problemi particolari che mi facessero pensare di pregiudicare il mio benessere. Ero una strega e questo comportava un’aspettativa di vita di gran lunga superiore a quella di chi non aveva il privilegio del dono.
    Con lo sguardo malizioso di chi voleva dire ma nel contempo preferiva attendere mi accoccolai rannicchiandomi fra le sue braccia.
    E’ prematuro parlarne anche se, in realtà, potrebbe essere troppo tardi. Ti fidi di me se ti dico che è un azzardo che potrebbe cambiare lo stato dei fatti? Io ci credo Walter. Vorrei che ci credessi anche tu e se non sono più esplicita è solo per scaramanzia.
    Sapendo bene che pur fidandosi non sarebbe stato tranquillo arrovellandosi fra pensieri che probabilmente erano lontani anni luce da quelli che erano i miei propositi pensai fosse giusto ed opportuno dargli un indizio.
    Lasciai che tenesse il mio polso, non era mia intenzione svicolare ma volevo affrontare la questione senza metterlo di fronte ad un fatto compiuto quando in realtà non sapevo e non potevo essere certa di poter portare a compimento ciò che avevo maturato come una soluzione che quanto estrema potesse sembrare mi colmava il cuore di gioia, di aspettativa e di speranza.
    Ricorda cosa ti ha salvato la vita quando eri nelle mani degli Oscuri. Pensa a cosa ti sei aggrappato per trovare la forza di sopravvivere, pensa allo stimolo che ti ha tratto in salvo da una situazione che pareva segnata...
    Se io, se il mio cuore e il mio corpo potevano essere il tramite per ricreare quell’appiglio fondamentale che, unito ad un po’ di fortuna, lo aveva riportato a casa…io non solo ero pronta ma ero ben più che felice ed entusiasta di potermi buttare in quell’avventura. Sapevo di essere in grado di farlo, ero ancora in grado di farlo. Il problema era…potevo contare sul suo consenso? Se avessi capito a cosa alludevo ci speravo. Con tutta l’anima e con tutto il cuore.
    Per aggiungere ulteriori dettagli scelsi una strada che ero convinta di poter percorrere senza poter incontrare sue obiezioni.
    L’amore genera vita e ci sono poche cose che so fare bene. La prima è amarti incondizionatamente. La seconda…
    Lasciando la frase in sospeso portai la mano, la stessa che ancora stringeva il mio polso in direzione del mio ventre in quella che poteva sembrare una carezza. O una premessa. O una promessa.





    Parlato


    Edited by venus - 12/10/2021, 17:05
     
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    Nonostante la serietà dei nostri discorsi, non riuscii a trattenere un sorriso lusingato nell'ascoltare la sua ammissione.

    "Fortuna e privilegio, addirittura…"

    Commentai sottovoce. Tutt'ora faticavo a capire come fosse possibile una donna come Venus, bellissima, piena di doti, capacità, intelligente e caparbia, che senza difficoltà alcuna avrebbe potuto avere ai suoi piedi chiunque volesse, riuscisse a guardarmi ed amarmi con tale adorazione. Ero io il fortunato prescelto di quella Strega meravigliosa, proprio io che invece spesso faticavo a sopportarmi e consideravo i miei non pochi difetti, fastidiosi ed irritanti.
    Risi alla conclusione del suo discorso, stringendola ancora più contro di me e lasciandole un bacio tra i capelli.

    "E cosa avresti fatto quindi? Avresti strozzato la mia eventuale compagna?"

    Se non fosse stata ai margini, non avrebbe nemmeno di certo accettato di fare la terza incomoda o deciso di stringere amicizia con la rivale. Il modo in cui avrebbe potuto agire mi incuriosiva, in tutti quegli anni, anche quando aveva avuto modo ed occasioni per essere gelosa, le sue reazioni erano state sempre piuttosto contenute. Non ce la vedevo ad attentare alla vita di una mia inverosimile amante, ma non si poteva mai sapere.
    Intanto avevo ben altri motivi per essere preoccupato.
    Non importava lei mi guardasse e parlasse con fare rassicurante. Il suo non dire, non spiegare apertamente mi metteva ancora più in allarme.
    Se tergiversava significava avesse remore nel rendermi partecipe delle sue intenzioni, cosa che mi metteva non poca ansia.
    Mi assicurava di non correre alcun rischio e questo mi dava sollievo, però poi aggiungeva potesse essere troppo tardi… Troppo tardi per cosa? Per trovare una cura? Quello era indiscutibile.
    Parlava di azzardi, di crederci. Di farlo insieme a lei.

    "Come posso credere a qualcosa che non conosco?"

    Mi sembrava una domanda lecita. Se proprio ci teneva sperassi insieme a lei mi doveva almeno dare qualche spiegazione un po' più chiara. Mi faceva piacere se lei avesse ancora qualche barlume di fiducia sull'esito di una scelta che ancora non conoscevo, però almeno avrei gradito sapere di cosa si trattasse. Così, per capire quanto avesse senso sperare davvero, o se fosse solo un'illusione travestita da speranza.
    < Ricorda cosa ti ha salvato la vita quando eri nelle mani degli Oscuri. Pensa a cosa ti sei aggrappato per trovare la forza di sopravvivere, pensa allo stimolo che ti ha tratto in salvo da una situazione che pareva segnata… >
    I miei occhi guizzavano perdendosi nei suoi, confuso. Non riuscivo proprio a capire dove volesse andare a parare. Seguivo il suo pensiero senza capire quale fosse la logica che l'aveva condotta a pescare quella che sembrava convinta essere la cura giusta.

    "Siete stati voi. Tu ed i ragazzi."

    Non avevo avuto bisogno di riflettere per dare la risposta, peccato che questo non mi aiutasse affatto a fare il salto necessario per comprenderla, perciò senza staccare lo sguardo dal suo attesi. Attesi andasse avanti e mi rendesse partecipe, dal momento che da solo non ci stavo arrivando affatto. O ero io tardo o lei troppo vaga, la cosa certa era che non fossi un tipo paziente. Questo lato di me, nel tempo non era cambiato.

    "Non capisco dove vuoi arrivare."

    Se pensava mi sarei accontentato di quel non detto si sbagliava di grosso. Mi conosceva bene da sapere perfettamente non le avrei dato tregua finché non avesse parlato chiaramente.
    < L’amore genera vita e ci sono poche cose che so fare bene. La prima è amarti incondizionatamente. La seconda… >
    La sentii spostarmi la mano con cui la tenevo ferma, farla scivolare sul suo corpo e dapprima, collegandomi alle sue ultime parole fraintesi completamente.
    Credevo che con "la seconda" si riferisse all'atto pratico in cui entrambi eravamo molto capaci di mostrare il nostro amore l'un l'altra. Immaginai la mia mano sarebbe stata accompagnata fino al suo punto più sensibile e caldo, invitandomi a rendere concreta, di nuovo, la dimostrazione passionale del sentimento che ci legava.
    Mi ero infatti abbassato a baciarla, perché a discapito del quesito urgente che mi vorticava in testa, avrei rimandato volentieri la discussione se avessi intuito mia moglie avesse urgenze diverse, ma non meno importanti, a cui dover assolvere.
    Però, non appena realizzai dove fosse stata posata, invece, la mia mano, mi bloccai.
    Alzai lentamente la testa, osservai il palmo abbandonato sul ventre piatto della mia donna, mi girai ancora, stordito, perplesso, a cercare una risposta nei suoi occhi.
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    Mi sorrideva, il suo sguardo parlava, ma io, stranamente, avevo difficoltà a recepire. O forse non volevo farlo.
    Ricollegai i suoi discorsi, il senso delle sue frasi, le allacciai a quella mano accompagnata, non casualmente, a posarsi sul suo grembo. Il grembo che poco prima avevo baciato con devozione, come era mia abitudine fare.

    "I-io… non…"

    Balbettavo, non avevo idea di cosa dire, neppure cosa pensare. Con timore esternai l'unica e prima riflessione che mi balzò in testa nel metabolizzare il senso del suo messaggio.

    "Non… non è possibile, tu non puoi più…"

    Era andata in menopausa qualche anno prima, me l'aveva detto lei stessa. Non aveva più avuto il ciclo, così come era normale che fosse per una donna della sua età.
    No, assolutamente, dovevo aver capito male per forza. A meno che…

    "Hai preso le pozioni fertilizzanti? Senza dirmi niente?"

    Agivano esattamente al contrario dei contraccettivi. Aiutavano il concepimento. Nel caso di assunzione da parte di un soggetto femminile aiutavano la produzione di ormoni per favorire un buon funzionamento dell'apparato riproduttivo, nel caso specifico di una donna in età avanzata… sì, era possibile potesse tornare fertile.
    Il mio cuore perse un battito. Forse anche tre o quattro.
    Non le lasciai tempo e modo per rispondere, staccai la mano dal suo ventre per portarla alla testa, in un gesto dettato dall'incredulità, dallo sconcerto.
    La notizia piombava talmente inaspettata che sul momento non riuscii a provare nient'altro.

    "Venus… Sei incinta??"

    Insomma era davvero questo che stava tentando di dirmi?
    Quante volte le avevo posto quella domanda, sempre con un tono diverso. Speranzoso, preoccupato, sconvolto, entusiasta…
    Stavolta… stavolta fu un mix indecifrabile di emozioni.
    Prima fra tutte, la paura.

     
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    Venus McDolan • 35 y. o. • Guaritore • PC
    Anche se avessimo vissuto altri mille anni non avrei mai saputo trovare le parole per convincerlo di quanto mi sentivo fortunata di essere stata la sua compagna, la madre dei suoi figli, sua moglie.
    Alzai gli occhi cielo quando mostrò stupore mentre glielo ribadivo per la forse milionesima volta.
    Quando mi chiese cosa avrei fatto in caso le nostre vite avessero preso direzioni diverse e con terzi o quarti incomodi attorno mi bloccai. Non ne avevo idea. Per quanto mi sforzassi l’unica cosa che riuscivo a realizzare in proposito era che non volevo nemmeno pensarci.
    Pensai fosse meglio rispondere con un sorriso. Uno strano sorriso che non era ne spontaneo ne forzato. Le miei parole cercarono di essere il più sincere possibile ma non ero certa di riuscire a convincere me stessa per cui dubitavo che la mia risposta risultasse chiara ed esaustiva.
    Probabilmente no. Avrei scelto altri mezzi.
    Forse se non ci fossero stati i bambini probabilmente mi sarei allontanata andando il più lontano possibile per evitare di assistere alla sua felicità accanto ad altri ma avendo dei figli era una soluzione difficile da ipotizzare. In quel periodo avevo scoperto di essere capace di provare rabbia ed odio. Sentimenti difficili da gestire che anche nei momenti peggiori non si erano mai riversati contro di lui ma bensì verso le cause della nostra rottura e verso le persone che l’avevano resa possibile. Pur non andando fiera di ciò che avevo scoperto di poter provare avevo dovuto fare i conti con quei sentimenti. Mi era sempre stato impossibile pensare a Walter come ad un amico, immaginare di affrontare la questione di una famiglia allargata non rientrava nel mio concetto di ‘risolvere civilmente’ qualcosa che per me non sarebbe mai stato risolvibile. Non ero nata per fare l’amante e nemmeno per fare la comparsa. Non erano ruoli che mi appartenevano e quindi mi risultava estremamente difficile immaginare il mio comportamento se fossi stata costretta ad accettare l’inaccettabile.
    Sperando si contentasse di una risposta che nulla aveva di rassicurante non solo per il dire ma anche per il mio sguardo che stentava a reggere il suo per l’intima vergogna che provavo nell’ammette che forse avrei potuto fare cose di cui mi sarei pentita mi dedicai ad inoltrarmi in un altro tipo di ginepraio. Se quelle che avevo espresso e pensato erano solo ipotesi quello con cui dovevo fare i conti erano propositi e progetti.
    Walter rispose prontamente al mio sollecito. Annuendo compresi che la briciola seminata era stata raccolta ma ancora non bastava. Si stava avvicinando al punto senza averne ancora colto l’essenza.
    Con il mio gesto lo avevo indirizzato a focalizzare l’attenzione sul mio grembo e questo pareva aver deviato, anche se non poi di tanto, quella che era la strada che avevo scelto per fargli comprendere il mio progetto.
    Accarezzando il dorso della sua mano sorrisi sentendolo balbettare. Pareva stessimo giocando ad una caccia al tesoro e forse era così. Il premio in palio era talmente importante e così vicino da individuare che sentivo il cuore scoppiarmi in petto per l’emozione ma avevo anche timore della sua reazione quando fosse giunto a scoprirlo.
    Mi sentii avvampare. Calore e rossore partirono dalla base del collo per raggiungere l’attaccatura dei capelli. Non era certo vergogna quella che provavo bensì una sorta di timidezza mista al timore per doverlo e poterlo mettere al corrente di qualcosa che io trovavo tanto audace quanto lecito, necessario e bellissimo.
    <hai preso le pozioni fertilizzanti? Senza dirmi niente?>
    Aveva capito dove volevo arrivare, forse aveva capito o cominciava a capire il motivo di quella che poteva sembrare l’idea più assurda che potessi aver mai concepito da quando stavamo insieme e ne avevo concepite diverse di strampalate nel corso degli anni ma quello che volevo evitare, a prescindere, era che pensasse era che avevo agito con premeditazione.
    No…no…cioè… non proprio e non per questo scopo.
    Scuotendo il capo mi misi supina. Appoggiando i gomiti sul cuscino piegai gli avambracci andando a posarvi sopra il viso che rimase girato nella sua direzione.
    Non era mia intenzione riaprire il cantiere, pensavo di aver già dato ma ora mi rendo conto che nulla succede per caso e ringrazio la Stewenson per avermi dato, involontariamente, questa opportunità.
    Da quando il ciclo, diverso tempo prima, era diventato irregolare preparando il mio corpo a quella che era la fine della fertilità non avevo mai accusato disturbi particolari. Il passaggio era avvenuto senza grossi traumi fino ad un paio di mesi prima quando le vampate di calore avevano reso il mio sonno irregolare e le miei giornate segnate da calori improvvisi e sudarelle fastidiose.
    Lavorando in ospedale avevo chiesto consiglio alla mia ginecologa di fiducia, la dottoressa Stewenson appunto, che mi aveva consigliato e prescritto la terapia che avrebbe dovuto alleviare i sintomi del disturbo compatibile col mio stato. Fra le avvertenze della cura c’era l’ipotesi che potesse indurre l’ovulazione trattandosi di terapia ormonale debitamente riveduta e corretta dalla magia e dall'arte della pozionistica.
    Grazie al cielo Walter era un Guaritore e un pozionista; non avrei dovuto redigere in trattato di medicina magica per fargli comprendere come funzionava. Mi basava solo trovare il coraggio di ricordargli quel particolare che ora assumeva un’importanza che andava ben oltre le mie sudarelle.
    Ricordi che un paio di mesi fa sono stata dalla Stewenson? Mi ha dato una pozione per le caldane a base di ormoni che ho preso regolarmente e da allora sto benissimo. Mai stata meglio.
    Nulla di più vero. Non avevo più vampate e dormivo regolarmente senza bruschi risvegli nel cuore della notte per asciugare il sudore.
    <vensu…sei incinta??>
    La sua domanda, inevitabile a quel punto, venne posta insieme alla carezza che posò sul mio capo adagiato sul cuscino. Nella sua voce c’erano mille sfumature confuse fra loro. Potevo udirle ma non solo. Le respiravo e le univo alle mie che erano di tenore diverso. In me c’era aspettativa, c’era desiderio, c’era stupore per l’ipotesi di poter sconfiggere un demone, c’era un’esigenza di rivalsa verso un destino troppo crudele per poter essere accettato e c’era speranza, tanta speranza che quell’ipotesi che al momento avevo ritenuto trascurabile potesse venire accolta anche da mio marito come qualcosa di poteva sembrare miracoloso la possibile.
    Non lo so, è ancora presto per dirlo ma…se fosse…io sarei al settimo cielo e tu…
    Sollevandomi dal materasso mi girai sul fianco mettendomi parallela a lui. Faccia a faccia, guardandoci il viso il mio sguardo divenne dolce ma il mio indice, sollevato e puntato contro il suo petto, la diceva lunga nel sottolineare il prosieguo della frase.
    Tu… Mr. Brown, non mi lascerai da sola ad affrontare questa nuova avventura. Ho bisogno di te. Lui o lei avranno bisogno di te quindi …godiamoci questa attesa e come hai già fatto una volta aggrappati a noi. Non ti lasceremo andare.
    Suggellando con le labbra la promessa avvicinai il corpo al suo e pregai. Pregai intensamente rivolgendomi ad ogni dio, ad ogni santo e anche a qualche demone. Avrei venduto ben volentieri l’anima anche al diavolo se avesse esaudito le mie suppliche.
    Domani si parte. Per un nuovo viaggio e verso nuovi orizzonti. Tu ed io. Ci concentreremo solo di noi e ci concederemo ogni sorta di svago senza pensare al peggio. Andrà tutto bene tesoro. Te lo prometto.
    In un angolo della mia mente il terrore c'era ancora ma ora c’era una nuova luce che avrebbe illuminato le nostre giornate. Speravo solo che lui potesse vederla e che si affidasse a quella luce reagendo ed aggrappandosi ad essa e alla concretezza del nostro amore. Fosse anche stata l’ultima cosa che potevo fare ero certa che fosse quella giusta, la cura più efficace e potente. La luce poteva sconfiggere l’oscurità e il suo male era un male oscuro, terribile. Serviva qualcosa di altrettanto potente e luminoso per combatterlo, chi o cosa più e meglio di una nuova vita poteva cambiare il destino?
    Abbracciandolo stretto avrei potuto sentire il nostri cuori battere allo stesso ritmo mentre la mia pelle aderiva alla sua e miei occhi si chiudevano per respirando il suo profumo.












    Parlato


    Edited by venus - 10/10/2021, 21:56
     
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    Quasi senza fiato l'ascoltai rispondere ai miei quesiti. Anche la mia malattia passò in secondo piano. Un'eventuale gravidanza in un contesto del genere… mi spaventava, per più motivi.
    Ero oramai convinto fossimo fuori dai giochi da parecchi anni, mai e poi mai mi sarei sognato di attendere con il cuore in gola una risposta che avrebbe rivoluzionato, per la sesta volta, la nostra vita.

    "La Stevenson?"

    La voce di mia moglie era carica di aspettativa, i suoi occhi erano luminosi, emozionati. Era come fare un tuffo nel passato. Mi sembrava di avere di nuovo di fronte a me la Venus di trenta, quaranta anni prima che mi comunicava di avere, finalmente dopo mesi di tentativi, un ritardo e di crederci fermamente.
    Se allora avevo sperato insieme a lei, oggi non riuscivo a dire di poterlo fare.
    Ammutolito, ricordai insieme a lei le cure somministrate dalla sua ginecologa contro i disagi dovuti alla menopausa. Non mi ero preoccupato poi molto, due mesi addietro, di conoscere gli effetti collaterali della medicina, avevo visto Venus stare meglio e riprendere a riposare serenamente e tanto mi era bastato. Non mi aveva parlato di quel rischio. Forse il ciclo non le era mai tornato e non ci aveva dato peso, però ora… sembrava crederci veramente.
    Magari era solo speranza, magari era una sensazione, ma dato ci fosse passata già cinque volte, se il suo sesto senso la portava ad essere ottimista… ecco, allora mi preoccupavo davvero.
    Senza dire niente, ancora sconvolto, ricambiai il suo bacio e lasciai mi abbracciasse, mentre il mio sguardo turbato si focalizzava su un punto imprecisato della camera aldilà della sua schiena.
    Compresi in quel momento che mia moglie, oltre a non voler accettare assolutamente quale fosse il mio destino, desiderasse continuare a sperare con tutta se stessa a tal punto da tentare di accendere un nuovo barlume di felicità nella nostra vita, una felicità a lungo, lunghissimo termine come se questo avesse avuto davvero potere di posticipare il tragico evento.
    Mi sentii morire dentro nel realizzarlo. Quello di Venus mi appariva anche come un tentativo disperato di cercare un motivo in più per vivere, dopo, senza di me.
    Come potevo assecondarla, coinvolgendo un'altra innocente, minuscola vita in quello che sarebbe stato alla fine un dramma?
    Come potevo non farlo, senza distruggerle quel sogno che probabilmente le stava dando forza e volontà per andare avanti?
    Continuando ad abbracciarla, mi presi del tempo per trovare le parole giuste, il modo meno doloroso per lei per iniziare perlomeno ad affrontare la dura e cruda realtà.
    Solo Merlino sapeva quanto avrei desiderato renderla felice, donarle tutto ciò che ardentemente dimostrava di bramare, tutt'ora, dopo tutti quegli anni.
    E solo Merlino sapeva quanto mi costasse doverle parlarle schiettamente, senza andare ad alimentare false illusioni.
    Sciogliendo il contatto, ritrassi il volto per poterla guardare negli occhi, una mano sul suo viso. Le sorrisi, nel vano tentativo di rendere più dolce la mia ferma decisione.

    "Tesoro… Non possiamo essere egoisti. Questa creatura crescerebbe senza un padre, non… non avrebbe alcun ricordo di me se non in foto o attraverso i vostri racconti. E tu… dovresti crescerlo da sola. Anche se sei in ottima salute e ringrazio Merlino per questo, con lo scorrere del tempo avrai comunque meno energie per dedicarti ad un bambino. Non sarebbe giusto né per te, né per lui."

    Feci scivolare la mano dalla sua guancia fino al suo braccio scoperto, seguendo il percorso con lo sguardo mentre continuavo a riflettere su cosa dire e come poter trasmettere il mio pensiero a riguardo.
    Temevo con una sola parola di troppo di spingerla nel baratro della disperazione, allo stesso tempo con qualcuna di meno di lasciarle comunque strumenti per continuare ad illudersi e sperare.
    In entrambi i casi le avrei fatto del male ed era proprio ciò che non volevo assolutamente.

    "Non intendo sacrificare la serenità di mio figlio per… per cosa? Sono malato, Venus. È molto diverso rispetto a quando sono stato prigioniero degli Oscuri. In quel caso avevo un nemico fisico contro cui potermi difendere con la mente, ero molto più giovane, il mio corpo molto più forte. Adesso… è un male per certi versi ancora più subdolo quello che mi sta consumando dentro. Non si fermerà, tesoro…"

    Come a conferma delle mie stesse parole, un rantolo mi risalì dal petto facendomi tossire. Spostai la mano da lei per portarla al petto mentre abbassavo il viso contro il braccio che mi sosteneva sul materasso.
    Aspettai mi passasse la fitta di dolore e di avere di nuovo fiato prima di tornare a rivolgere gli occhi su di lei. Non avevo finito, volevo dirle tutto prima che prendesse parola e tentasse di contraddirmi. Perché ci avrebbe provato, ne ero sicuro.

    "La felicità dei nostri figli non vale quanto la mia vita. Vale molto di più. Non la metterò in repentaglio solo per sperare in un miracolo. Puoi capirmi, piccola?"

    Tornando ad accarezzarla, le lasciai un bacio delicato sulle labbra.
    Se le avevo tolto la possibilità di sognare, gliene volevo comunque dare un'altra per non demoralizzarsi completamente.

    "Cercherò una cura e la troverò. Non mi guarirà, questo no, ma farò di tutto per allungare l'aspettativa di vita. A costo di inventarmene una io stesso o girare tutto il pianeta, troverò il modo di restare al tuo fianco il più possibile."

    Facendo una lieve pressione con le dita, la obbligai a tenere gli occhi fissi nei miei che la fissavano determinati, risoluti.

    "È una promessa, Venus. Adesso basta, non pensiamoci più per stanotte, mh?"

    Stendendomi su di lei, affondai il volto contro la sua spalla, stringendola e baciandola.
    Finché avessi avuto fiato, finché la ninfa vitale non avesse abbandonato l'ultima cellula del mio corpo stanco, non avrei mai smesso di proteggerla e provare a darle sempre un motivo per sorridere.
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    Stava succedendo tutto troppo in fretta. Fino ad un paio di settimane prima quei pensieri non ci avevano nemmeno sfiorati e mai avrei immaginato di doverli affrontare, non così presto o così tardi.
    La nostra vita non era mai stata tranquilla ma mio marito ed io avevamo vissuto gli ultimi trent’anni sereni in quando consapevoli di poter contare, sempre e comunque, uno sull’altro.
    Fino a un paio di settimane prima potevamo contare su un equilibrio collaudato da una lunga esperienza di vita vissuta insieme ed ora c’era il serio rischio questo equilibrio venisse a mancare nel peggiore dei modi. Per quanto cercassimo di essere razionali, eravamo sicuramente entrambi sconvolti dalla notizia della malattia di Walter. Avevamo bisogno di tempo per metabolizzare e anche se Walter pareva rassegnato ad andare incontro a quello che pareva essere il suo destino io non lo ero ed avrei cercato in tutte le maniere di fare in modo che non si assuefacesse all’idea di non avere nessuna speranza.
    Scuotendo il capo, mentre mi guardava in viso, potevo comprendere quanto la notizia di quella che era una mia speranza ma che al momento era solo una ipotesi lo avesse sconvolto. Lo udii replicare con sua consueta razionalità chiedendomi quanto sforzo gli costasse e quanto fosse sempre presente e forte l'istinto di protezione che aveva nei miei confronti.
    Quello che diceva era da persona responsabile quale lui era e capivo bene le sue obiezioni ma non era tutto li e non doveva andare per forza così. Non speravo di dover crescere il suo bambino da sola, speravo di crescerlo insieme a lui e ai nostri figli.
    Contraendo nervosamente la mascella replicai alle sua ragionevolezza con i miei argomenti che non mi sembravano del tutto campati in aria.
    Non sarà così. Semmai vedrà la luce questo bambino avrà una madre ed un padre non più giovanissimi e che anche per questo potranno dedicarsi solo a lui. Avrà dei fratelli e delle sorelle; nascerà già zio. Avrà dei nipoti quasi coetanei. Tu non te ne andrai tanto presto tesoro. Come hai fatto per gli altri sarai il suo pilastro e la sua roccia. Il nostro non è egoismo, è amore. Ameremo nostro figlio ancora di più sapendo quanto gli dobbiamo.
    Sentivo crescere dentro le radici della convinzione in ciò che dicevo. I pensieri vorticavano nella mia mente scannerizzando e cercando i motivi di tale determinazione che, per qualcuno estraneo alla situazione, alle nostre conoscenze di Guaritori e di Maghi, potevano benissimo sembrare vaneggiamenti di una mente alla deriva della disperazione.
    Mi sedetti sul letto piegando le gambe ed appoggiando i glutei sui talloni. Il rollio della barca, il mare sotto e attorno a noi, l’oscurità della notte e la nostra testata confidenza unita al fatto che eravamo soli e nessuno avrebbe interrotto una delle conversazioni più angustiate della nostra vita induceva a non fermarsi dall’esporre tutte quelle che era le poche ma a mio avviso concrete e non trascurabili possibilità che un sogno diventasse realtà.
    "La felicità dei nostri figli non vale quanto la mia vita. Vale molto di più. Non la metterò in repentaglio solo per sperare in un miracolo. Puoi capirmi, piccola?"
    La tua vita non ha prezzo. Non ne ha per i tuoi figli e non ne ha per me. Non ti vorrebbero sentire parlare in questo modo. Sono certa che loro sarebbero d’accordo con me e sono anche certa che ne tu ne io ne loro sapremmo perdonarci se non ci provassimo.
    Era meschino far leva sui sensi di colpa ma era sicuro quanto il fatto che il sole sorge ad est che ne avremmo avuti tutti quanti in caso non avessimo dato il giusto credito a quella opportunità. Non si trattava di accanimento terapeutico. Non gli avrei mai chiesto, dopo aver visto la brutta faccia del medico tedesco e dopo aver sentito quello che proponeva, di chiedergli di sottoporsi a tentativi il cui esito aveva lasciato intendere fosse alquanto improbabile e di sicuro non potevo permettere che lo facessero a pezzi torturando e facendolo soffrire per nulla. Vederlo tossire e comprimersi il petto era già abbastanza preoccupante e doloroso non tanto per la tosse in se per se ma per ciò che quel sintomo rappresentava. Il suo respiro difficoltoso rammentava che il male c’era semmai avessi potuto ignorarlo.
    Dopo aver ricevuto il bacio che mi pose a fior di labbra sopirai appoggiando le mani sulle ginocchia. Ero quasi commossa dal suo altruismo che contrastava non poco con quella che era la mia determinazione.
    "Cercherò una cura e la troverò. Non mi guarirà, questo no, ma farò di tutto per allungare l'aspettativa di vita. A costo di inventarmene una io stesso o girare tutto il pianeta, troverò il modo di restare al tuo fianco il più possibile."
    Le staminali Walter. Le cellule staminali del cordone ombelicale. Fermeranno la tua malattia, potrai guarire grazie a tuo figlio. Troverai il modo di usarle per sconfiggere il male. Ne sono certa ma intanto….cechiamo uno spezzaincantesimi.
    Ammesso che la più importante controindicazione della pozione prescritta dalla Stevenson potesse diventare realtà avevamo la possibilità di viaggiare. Il mattino dopo avrei inviato un gufo ad Alexandra, mia sorella. Lei aveva conoscenze al Ministero e mi avrebbe suggerito dove trovare il miglior Spezzaincantesimi. Walter era uno dei migliori nel suo campo e mai come in quella occasione poteva mettere in campo le sue competenze. Unendo le forze, le abilità e le compentenze …dovevamo farcela. Era imperativo.
    Non c’era altro da dire per il momento. La strada era tracciata, dovevamo solo seguirla, attendere e sperare ma fino a quando il suo sguardo avrebbe incontrato il mio la speranza non si sarebbe mai nemmeno affievolita.
    Svuotata del peso dell’ammettere ciò che sentivo e ricaricata dalla nuova forza che ne era scaturita mi distesi accanto al lui e per il resto della notte nessun pensiero triste sarebbe arrivato ad turbare baci, carezze e sussurri che confermavano quanto di meglio ci fosse al mondo e ciò l’amore che ci univa.
    Il mattino dopo fui la prima a svegliarmi. Osservando il viso di mio marito lo vidi immerso nel sonno. Il riposo stendeva i suoi tratti facendolo apparire più giovane e in salute di quel che non era. Mi incantai a guardarlo fino a quando il primo raggio di sole non fece capolino dall’oblo’ dell’imbarcazione.
    Scivolando sul materasso allungai la mano per prendere la vestaglia, la indossai e raggiunsi, a piedi nudi e senza far rumore, la cambusa. Trovai l’occorrente per preparare la colazione e non usai la magia per prepararla. Avevo, avevamo e volevo che ci prendessimo tutto il tempo che non ci eravamo potuti permetterci di prendere per consumare il primo pasto della giornata insieme.
    Dopo aver apparecchiato il tavolo con ciò che sapevo gradiva salii in coperta e mi appoggiai al parapetto della barca lasciando che l’aria frizzante del mattino spazzasse via ogni residuo di remora. Respiravo a pieni polmoni godendo del momento dell’attesa di sentire i passi di mio marito e non appena ebbi il sentore si stesse avvicinando per giungermi alle spalle mi voltai.
    Ti andrebbe di visitare l’Italia? Firenze, Venezia, Napoli, Roma, la Sicilia, la Sardegna. Cibo buono, buon vino e tanta gente un po’ folle. Che ne dici?
    Era una meta che consideravo esotica, lontana dai nostri usi e costumi ma da quel che ricordavo incontrava i gusti di Walter e sottolineai quel pensiero strizzando l’occhio al mio ancora assonnato marito al quale tesi le braccia per il primo bacio della giornata.



    Parlato


    Edited by venus - 11/10/2021, 20:48
     
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    Tentare di distogliere mia moglie dalle proprie convinzioni era fin da sempre stata una missione impossibile.
    Con il passare degli anni quel lato del suo carattere non si era affatto smussato. Io, non meno testardo di lei, ci provavo sempre a farla ragionare, non mi arrendevo in partenza ben sapendo avrei solamente sprecato fiato.
    Esattamente come quella notte.
    Non avrebbe mai e poi mai condiviso il mio punto di vista. Avrebbe significato arrendersi e lei non ne aveva alcuna intenzione.
    L'ascoltai senza avere più forza, né voglia di controbattere consapevole che nessun argomento sarebbe mai riuscito a farle cambiare idea.
    Avevo paura, ma non gliela avrei mostrata apertamente. Ci mancava le dessi anche quel pensiero. Temevo avrei avuto un motivo in più per essere terrorizzato nel lasciarla per sempre. Nella disperazione più totale mi sarei lasciato abbracciare dalla stretta eterna della morte sapendo di lasciare l'amore della mia vita, da sola, con un bambino piccolo da accudire o, peggio, ancora in grembo.
    Soppraffatto dal dolore avrei detto addio al mio ultimo figlio, chiedendogli perdono per non essere stato abbastanza forte da potergli restare a fianco ancora per molti anni.
    Mi abbandonai ai baci ed alle carezze della mia donna, preferendo godere delle ultime ore di quella notte tutta nostra, noi due da soli in mezzo alla distesa del mare. Crucciarsi, a quel punto, non sarebbe servito più a molto se non a rovinare uno dei nostri ultimi momenti.
    Nonostante tutto continuavo ad essere abbastanza razionale da rassegnarmi all'evidenza. Avevamo appena fatto l'amore, inconsapevole dell'esistenza di quella possibilità non avevo usato precauzioni, perciò… se davvero fosse stato destino dovessi diventare padre al traguardo della mia vita, così sarebbe stato e non avrei potuto farci più niente. Avrei dovuto farmene una ragione in fretta, nel caso. Non avevo tempo per disperarmi, pentirmi o piangermi addosso. Non più.
    Il resto della notte continuammo ad amarci, ma stavolta non me la sentii di avere rapporti completi. Da anni non me ne ero più preoccupato, non ero neanche tanto convinto di avere i riflessi sufficientemente pronti. Speravo Venus non ci restasse troppo male, ma evidentemente, come me, non aveva voglia di sprecare fiato per altro se non nel dedicarci passionalmente l'un l'altra.

    Riuscii a riposare piuttosto bene dopo. Dormii profondamente scaldato dal calore del suo corpo nudo contro il mio, l'essermi abbandonato completamente a lei mi aveva infine aiutato a rilassarmi tralasciando pure i discorsi piuttosto gravosi che avevamo affrontato.
    Quando mi svegliai, ancor prima di aprire gli occhi, realizzai fosse già mattino e che Venus non fosse più al mio fianco.
    Mi attardai ancora qualche minuto sotto le coperte, quando mi alzai sgranchii le articolazioni provate dalla soddisfacente ginnastica notturna ed andai a darmi una sciacquata veloce in bagno.
    Rivestitomi e raggiunto l'esterno addocchiai subito la mia donna osservare il suo elemento naturale dal parapetto della barca.
    Neanche il tempo di raggiungerla che lei già si era girata a sorridermi, rendendomi partecipe delle proprie idee sul proseguimento del viaggio.
    Accolsi il suo abbraccio ricambiandolo, le diedi un dolce e caldo buongiorno su quelle labbra che non smettevano di farmi impazzire in milioni di modi, anche al di fuori delle lenzuola, e senza esitazione le risposi.

    "Ovunque desideri."

    Quelli erano desideri facili da esaudire, attuabili, che potevo controllare e realizzare. Era una gioia per me sapere di poterlo fare. Almeno questo.
    Avvistato il tavolino già allestito e pronto per la colazione, feci per raggiungerlo tenendole una mano. In via del tutto eccezionale avevo una gran fame, di sicuro merito della nostra notte d'amore.
    Dopo essermi accomodato imburrai le prime tre fette biscottate, quelle per Venus. Era il mio rituale della Domenica mattina, quando finalmente ci era concesso di condividere la colazione in tutta calma. Per quanto fosse possibile avere calma con figli e nipoti scalpitanti e saltellanti attorno.
    Comunque, ogni Domenica prima di prendere la mia parte, preparavo quella per Venus. Spalmavo il burro e la marmellata, versavo il caffè con un goccio di latte per iniziare, poi verso fine pasto le chiedevo quale frutto gradisse, lo sbucciavo e lo dividevamo a metà.
    E non permettevo a niente e nessuno di impedirmi di riservare quella coccola a mia moglie.

    "Stavolta potremmo davvero spostarci in treno, o in macchina. Raggiungiamo l'Italia per tappe, on the road. Ci fermiamo quando ci va, dove ci va. Monaco di Baviera, Norimberga, paesini sconosciuti… Possiamo passare per la Svizzera. Che ne pensi?"

    Le passai il piatto con le sue fette biscottate imburrate e ricoperte di marmellata di albicocche.
    Se avesse accolto la mia idea avremmo evitato l'aereo. Nessuno ci rincorreva adesso, per quel che mi riguardava potevamo procedere con tutta calma e goderci il viaggio chilometro per chilometro.
    La frizzante brezza mattutina del mare mi fece rabbrividire e solo allora feci caso al fatto Venus fosse ancora in vestaglia.

    "Ti prenderai un malanno così, tesoro…"

    Mi alzai, recuperai una coperta dalle sdraio occupate la sera prima e gliela sistemai sulle spalle, accertandomi fosse ben protetta e calda.

    "Non vorrai ammalarti proprio ora, alla nostra seconda luna di miele."

    Riprendendo posto, le rivolsi un sorriso complice. Non trovavo un modo migliore per definire quella vacanza.
    La luna di miele ufficiale non era stata poi così diversa. Avevamo passato il tempo a mangiare, viaggiare e rotolarci tra le lenzuola. Il tempo a disposizione era stato molto più breve, non saremmo riusciti a passare troppi giorni distanti dai nostri figli. Sufficiente però a concepire William. Tre settimane dopo Venus aveva scoperto di essere incinta.
    Ecco, questo speravo proprio non si replicasse adesso, realizzai solo dopo aver parlato che mia moglie avrebbe potuto fraintendere la mia allusione.


    "Vediamo di rincasare solo in due stavolta, mh?"

    Buttai lì allora in tono distratto, sorseggiando il mio caffè.
    A conti fatti, le possibilità erano quasi le medesime di allora. Sarei potuto stare attentissimo d'ora in avanti, tuttavia questo non avrebbe reso nulli i rischi corsi inconsapevolmente le volte precedenti.
    Concentrai sguardo ed attenzione sulla colazione, pur sapendo di non farla felice, non riuscivo e non volevo nasconderle la mia negazione a proposito. Confidavo questo non le impedisse di godersi la nostra ultima vacanza insieme.
     
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    Non ero affatto riuscita a convincerlo ma ero sollevata per averlo messo a parte di quelle che erano ipotesi e prospettive. Mi resi conto che non era d’accordo con me. lo udii dalle sue parole e ne ebbi conferma dal fatto che durante il rapporto intimo che seguì la conversazione, diversamente da come succedeva di solito, all’apice si ritrasse.
    Eravamo nelle mani del destino ma continuavo a pensare che fosse meglio dare una mano al fato in caso, come era già successo, si distraesse. Non mi sarei accanita nel persistere ma sicuramente non mi sarei nemmeno arresa e Walter doveva immaginarlo visto che mi conosceva bene.
    L’inizio della nuova giornata prevedeva anche l’inizio di un nuovo viaggio e di un nuovo stile di vita. Senza orari, senza impegni, senza vincoli di sorta.
    Consumammo la colazione in tranquillità. Amavo essere coccolata anche di primo mattino. Le attenzioni che mi riservava, in genere un privilegio della domenica, stavano diventando un vizio e non mi spiaceva affatto essere viziata.
    Intenerita da tanta premura e mai sazia di bearmi della sua presenza consumai il pasto guardandolo. Ogni volta che mordevo la fetta biscottata lo mangiavo con gli occhi che ne traevano soddisfazione e brillantezza.
    Avrei dovuto abituarmi all’alternanza dei pensieri che andavano e venivano dalla mia mente. Ero consapevole che ci sarebbero stati momenti in cui non sarei riuscita a non pensare al peggio ma dovevo evitare che questi influissero sul mio umore mettendolo a disagio. Non sarebbe stato facile ma glielo dovevo. Lui stava facendo l’impossibile per farmi sentire serena e i suoi sforzi non dovevano essere vanificati dal pessimismo.
    Approvai all’istante la proposta di non usare l’aereo. Pensavo fosse anche opportuno evitare di smaterializzarci troppo spesso. Per quel che mi riguardava poteva essere pericoloso, per quel che riguardava Walter poteva essere una fatica inutile visto che avevamo deciso di prenderci tutto il tempo che volevamo e che potevamo avere.
    Usando la bacchetta facemmo appello ad una mappa ben dettagliata sulla quale individuammo il tragitto più piacevole da percorrere usando i mezzi babbani per raggiungere l’Italia. L’idea di passare attraverso la Svizzera per fare una sosta non mi spiaceva affatto. Anzi. Puntando il dito in un preciso punto della cartina sollevai lo sguardo entusiasta.
    Penso che sia un’ottima idea. C’è un treno che ferma a Brienz. C’è un lago e tante montagne.
    Ovunque ci fosse acqua per me è ideale e a Walter erano sempre piaciuti i boschi. Sarebbe stato piacevole sia fare passeggiate sulle rive del lago che inoltrarci per i sentieri delle foreste. Era la stagione ideale per ammirare i colori della vegetazione che mutavano dal verde scuro estivo alle più svariate tonalità dei caldi colori autunnali.
    Chissà che non riusciamo a trovare qualcuno dei tuoi amati horklump.
    Storsi il naso ripensando ai funghetti che usava come ingredienti per le sue pozioni. Un ricordo ormai lontano che trasformò la smorfia in sorriso e una strizzatina d’occhio.
    Mi accorsi che facesse fresco solo quando me lo fece notare come mi fece notare, ribadendolo, il suo concetto di non voler tornare a casa in tre come, in effetti, era successo durante la nostra breve ma intensa luna di miele.
    Sei un guastafeste ma se pensi di voler ripetere l’esperimento di stanotte smetterò di prendere la pozione e avvamperò ogni tre per due ed ogni volta che le caldane mi sveglieranno ti farò sentire quanto sono fastidiose.
    Ridacchiavo ma nel contempo mi era piacevole aver trovato il modo di potergli dire che non gli avrei forzato la…mano. Mi sarei affidata alla speranza e al destino, senza arrendermi e senza sottovalutare qualsiasi altra opportunità avessimo incontrato sul nostro cammino.
    Trascorremmo il resto della giornata godendo del sole e del mare. Amavo i suoi borbottii e non me li feci mancare. Nel primo pomeriggio volli a tutti i costi fare il bagno e udii le sue proteste continuare fino al momento cui non tornai a bordo e non mi vide asciutta e vestita.
    Riportando in porto l’imbarcazione la lasciai guardandola con nostalgia. Era stata teatro di momenti intensi che non avrei dimenticato. Prima di scendere recuperai il tappo della bottiglia che avevamo bevuto a cena per aggiungerlo ai ricordi della nostra scatola e mano e nella mano ci dirigemmo verso la stazione presso la quale acquistammo il biglietto per Brienz.
    In treno mi assopii. Appoggiando il capo sulla spalla di Walter chiusi gli occhi lasciando che il paesaggio sfilasse oltre i finestrini del convoglio. Il suo respiro fra i miei capelli mi cullò mi fino all’arrivo. Era già buio e faceva freddo.

    Al bar prendemmo qualcosa di caldo e informazioni circa dove alloggiare. Optammo, anche dietro suggerimento del barman che a quell’ora non aveva molto da fare, per un B&B che includeva nel servizio anche il nolo di un’auto già disponibile all’esterno della stazione.
    Grazie o malgrado il navigatore di bordo giungemmo a destinazione dopo aver girato in tondo per un’ora buona. Le maledizioni che non si beccarono i babbani per i loro aggeggi imprecisi furono solo quelle che vennero dimenticate.
    Parcheggiata l’auto però compresi che ne era valsa tutta la pena. Il posto era magnifico anche al buio e non vedevo l’ora di poterlo ammirare alla luce del giorno. Stanchi per il viaggio prendemmo possesso della nostra camera. Dopo aver fatto una doccia calda mi sentivo molto meglio disposta verso gli svizzeri e anche verso i babbani.
    Le pareti di legno della nostra stanza rendevano esattamene il senso di calore e intimità.
    Il lettone comodo e il caldo piumino erano invitanti tanto quanto era piacevole il tepore del fuoco del caminetto che riscaldava la stanza. Pareva di vivere una favola. Lo sarebbe stata se, ogni tanto, il tarlo del triste pensiero che quella fiaba poteva non avere un lieto fine non avesse tentato di affacciarsi alla mente.
    Accoccolati uno accanto all’altro sotto le coltri ci riscaldammo a carezze e baci. Gli sguardi persi uno degli occhi dell’altra ad indovinare pensieri e desideri.
    Chi l’avrebbe mai detto vero Walter? Io e te, da soli, alla nostra età, nel bel mezzo di una fiaba.
    Era quello che pensavo. Eravamo nel mezzo della fiaba della nostra vita. Sicuramente non poteva essere il ‘c’era una volta’ visto che eravamo spostati da un trentennio ma non era ancora giunta la parola ‘fine’. Il nostro libro era ancora aperto e ci avrebbe riservato altre soprese.
    Ho buttato via la pozione. Se deve essere sarà. Non pensiamoci più.
    E così fu. Non ci pensammo per tutta la notte che passammo occupandoci uno dell’altra fino a quando il sonno non ci colse e al mattino ad accoglierci fu la luce del giorno e un timido raggio di sole. Una giornata forse fredda ma luminosa ci attendeva e non vedevo l’ora di affrontarla.
    Scendemmo che era giorno fatto ormai. Oltre a noi due nella veranda adibita all’occorrenza c’erano altri ospiti. Dapprima non feci caso a chi stava già consumando la prima colazione. Il buffet era così interessante e vario che riempii il mio piatto e quello di Walter di quasi tutto quel che c’era. Avevo appetito e Walter aveva bisogno di nutrirsi in maniera adeguata. Non volli sentire proteste in proposito. Gli chiesi gentilmente ma risolutamene di sedersi e di lasciarsi servire.
    Mentre gustavamo il caffè ebbi la netta sensazione che fossimo osservati. Sollevando lo sguardo dalla tazzina non vidi nessuno interessato a noi ma girandomi di lato notai una donna.
    Non ero mai stata molto fisionomista. Potevo ricordare numeri, date, eventi e nomi con facilità ma quanto a focalizzare lineamenti e fisionomie non ero molto pronta ma quel viso, quel portamento mi dicevano più di qualcosa.
    Nemmeno il tempo di poter comunicare a voce la mia perplessità ed ecco che la mano della donna si sollevò per un saluto. Ricambiando educatamente il cenno con un piccolo movimento del capo vidi la vidi alzarsi ed avvicinarsi al nostro tavolo.
    Dottoressa McDolan, Che piacere rivederla. Anche lei qui?
    Nel suo sguardo potevo leggere la vivida speranza di essere riconosciuta che nutriva e venendo che tardavo a rispondere, abbassando la voce, riprese
    L’epidemia di Lupus. Sono Evans, Ellionor Evans
    Ricordavo quel periodo. Ero risultata immune alla tragedia che aveva mietuto molte vittime fra le schiere di Maghi e Streghe. Ricordavo anche quanto Walter, a quel tempo, si fosse preoccupato di sapermi a contatto con quel tipo di infezione che poteva ed era stata letale per tanti nostri simili.
    Mi ricordo di lei.
    Mi chiami Ellie per favore. Le devo la vita.
    Arrossii. Non avevo fatto altro che il mio dovere di fortunata Guartitrice e la sua gratitudine mi stava mettendo in imbarazzo.
    Ellie. Come stà? Hai più avuto problemi?
    Scuotendo il capo la donna asserì di essere completamente guarita dal contagio e di non aver riportato conseguenze tranne un intenso desiderio di cibarsi di carne poco cotta durante la fase di luna piena.
    E’ in vacanza dottoressa? Questo locale è della mia famiglia. Lo abbiamo rilevato una decina di anni fa.
    Mi faceva piacere vederla in buono stato. Era stato uno dei casi più fortunati, eravamo riusciti ad intervenire in tempo, prima che il contagio mutasse la sua natura.
    Si troverà…mi scusi…vi troverete bene qui. E’ un posto incantevole ma…
    Piegando il busto abbassò il tono della voce rendendolo quasi un sussurro.
    State attenti. La foresta potrebbe essere pericolosa per voi. Se doveste avere dei problemi non esitate a riferirmelo.
    Non capivo il perché di quell’allerta. Cosa o chi mai poteva nascondersi nella foresta per indurre la mia ex paziente a metterci sull’avviso.
    Non volli dar troppo peso alle sue parole, in fondo non potevo dire di conoscere quella donna se non per averle prestato delle cure. Presentai mio marito e dopo qualche altro formale convenevole prendemmo congedo per approssimarci all’uscita e quello che vidi oltre la porta, ciò che la sera prima era avvolto nell’oscurità, mi lasciò a bocca aperta.
    Pareva di avere davanti un presepe fuori stagione tanto era incantevole il panorama.







    Parlato


    Edited by venus - 12/10/2021, 16:31
     
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    Più invecchiavo meno riuscivo a passare sopra ai colpi di testa di Venus. Quando si era tuffata a discapito dell'aria frizzante e l'acqua gelida non avevo smesso un solo istante di rimbrottarla dal parapetto della barca. Forse per via dei miei costanti lamenti, forse a causa della temperatura, per fortuna non mi aveva fatto stare con il fiato sospeso troppo a lungo e quando era tornata sulla barca io ero già lì ad accoglierla con un telo per trascinarla subito dopo all'interno dello Yacht, senza risparmiarmi dal brontolare su quanto fosse sconsiderata delle volte.
    Comunque tralasciando il mio lato burbero e brontolone che spesso si scontrava con quello giocoso e sempre allegro di mia moglie, il resto della nostra vacanza continuò a filare liscio. Nonostante il pensiero costante che ci accompagnava, riuscivamo ad essere o mostrarci tutto sommato spensierati, riconoscenti e felici per ciò che stavamo vivendo.
    Il viaggio in direzione di Brienz fu piuttosto comodo, ma lungo. Il treno ci impiegò quasi undici ore per arrivare a destinazione.

    Sebbene avessimo trascorso la maggior parte del tempo seduti, a sonnecchiare, leggere e conversare fra noi quando giungemmo, già a sera inoltrata, nel B&B consigliato dal bar della stazione, stendendomi a letto mi resi conto di essere fisicamente distrutto. Tale consapevolezza mi affliggeva, mi ricordava qualcosa non funzionasse più molto bene a livello fisico.
    Fino a qualche anno prima arrivavo a sera sì stanco dopo aver trascorso magari dodici ore in piedi tra le corsie dell'ospedale a correre tra un'urgenza e l'altra, ma mai così affaticato come mi sentivo adesso. Eppure avrei dovuto sentirmi rigenerato da quella vacanza tanto attesa da trascorrere insieme a mia moglie.
    Avevo sorriso sentendola parlare amorevolmente appoggiata al mio petto, celando quello che era a tutti gli effetti un forte senso di disagio. Non vi diedi importanza. Sapevo avrei dovuto convivere con la spossatezza, la debolezza crescente e la sempre meno resistenza nelle membra.
    Provai invece a controbbattere alla decisione da lei presa di interrompere la pozione ormonale contro le vampate di calore. Se l'aveva fatta stare meglio, aiutandola a riposare a dovere, non volevo affatto la sospendesse per fare un piacere a me. Provai a spiegarle non fosse necessario, che avrei adottato precauzioni se proprio c'era il rischio, ma mia moglie, caparbia e testarda, sapeva come mettermi a tacere.
    monophy
    Con la solita grazia che la contraddistingueva si era seduta su di me intimandomi di risparmiare fiato ed energie da sfruttare in altri modi maggiormente graditi. Non ci aveva messo molto a convincermi. Avevo smesso di borbottare contrariato quasi subito ed il resto delle ore non avevamo parlato se non per sussurrarci parole o brevi frasi d'amore tra un'effusione e l'altra.
    Il giorno seguente non mi ero svegliato riposato, nonostante fossi crollato addormentato tra le braccia di Venus ed avessi dormito profondamente fino al mattino. Appesantito dalla stanchezza eravamo scesi insieme per la colazione, dove avevo cercato inutilmente di servire mia moglie come d'abitudine. Aveva insistito talmente tanto affinché mi sedessi e la lasciassi fare che non avevo potuto fare altro che obbedire, sperando magari in tal maniera di recuperare un po' più di forze.
    Probabilmente si era accorta anche lei ne avessi bisogno. Per quanto cercassi di non mostrare alcun segno di malessere non avevo dubbi Venus avesse notato la mia innaturale lentezza, il mio incedere meno sicuro, il viso segnato dalla spossatezza.
    Avevo sbocconcellato senza vero appetito qualche morso qua e là della deliziosa colazione svizzera offerta dal B&B, tentando di spostare l'attenzione della donna altrove, ora sul panorama a cui potevamo assistere parzialmente dalla finestra, ora sui quadri variopinti alle parete, ora sul possibile itinerario da seguire. Avevo quasi finito gli argomenti disponibili, quando al nostro tavolo si era avvicinata una donna presentata poi come una ex paziente di Venus, nonché figlia dei proprietari del posto.
    Sorridendo inorgolgito l'ascoltai tessere lodi sulla mia donna, la quale non era sprovvista di capacità e bravura neanche nel suo lavoro. Eccelleva in tutto ciò a cui si dedicava con amore, serietà e determinazione la mia Venus.
    Le avvertenze di tale Ellie sul pericolo dei boschi non mi impensierí più di tanto, perciò finita la colazione uscimmo per esplorare i dintorni e, come da programmi, la cittadina di Brienz.
    Il luogo era talmente incantevole da sembrare essere uscito da un libro di fiabe. Io e Venus avevamo viaggiato molto in passato, ma forse, quel luogo, ci sarebbe rimasto impresso nella mente e nel cuore molto più profondamente di altri.
    Passeggiando ci fermavamo spesso ad ammirare il panorama, ma anche perché il mio passo si faceva via via più lento, tanto da essere io stesso a chiedere a Venus, ad un certo punto, di sederci su una panchina nei pressi di un lago.

    Avevo poco fiato e continuavo a sentirmi stanco, molto stanco. Ed i colpi di tosse non mi davano tregua.
    Posando un paio di dita sulle labbra calde di mia moglie le intimai il silenzio, bloccando sul nascere la sua ennesima richiesta di tornarcene in camera a riposare.

    "Sto bene. Il viaggio di ieri mi ha stancato, ma è tutto a posto. Non ho voglia di tornare in albergo, godiamoci più che possiamo questo posto."

    Le cinsi le spalle, stringendola contro di me, consapevole non sarei riuscito mai a convincerla del tutto. Ma doveva farsene una ragione, se non voleva legarmi e farmi lievitare dritto fino alla camera.

    "Secondo te cosa intendeva la tua paziente? Cosa c'è in questi boschi? Non credo siano popolati da Mannari, non avrebbero costruito un Bed and Breakfast proprio qui altrimenti. A meno che non venga fuori che la colazione alla fine siamo noi."

    Nel tentativo di distrarla e distrarci la buttai sullo scherzo, volgendo lo sguardo sulla distesa di alberi proprio al limite opposto del lago. Sembrava tutto talmente tranquillo, pacifico che mi pareva assurdo pensare ci fosse davvero qualche pericolo nascosto là nei dintorni.

    "Per sicurezza ci teniamo alla larga, non si sa mai."

    Di guai ne avevamo già abbastanza senza che ce li andassimo pure a cercare.
    Restammo una mezz'oretta seduti a goderci la vista, poi rimettendomi in piedi spronai Venus a fare altrettanto e dirigerci verso il centro del piccolo comune.
    Fianco a fianco prendemmo a camminare, ma dopo pochi metri fui costretto a fermarmi. Una fitta lancinante mi strinse il petto in una morsa talmente dolorosa da mozzare il respiro e farmi piegare in avanti su me stesso.
    Venus era qualche metro avanti a me, presa dall'osservare un gruppo di cigni avvicinarci alle sponde del lago non aveva modo di accorgersi dell'accaduto.
    Lì per lì, ringraziai fosse così, che non mi vedesse in quello stato. Ma un istante dopo compresi non sarebbe passato. Non stavolta.
    Uno spasmo mi buttò con un ginocchio a terra, strinsi il tessuto degli abiti all'altezza del petto come a volerlo strappare via alla ricerca disperata di ossigeno.

    "Ve...nus…"

    La vista si offuscò, i rumori si fecero ovattati. Mi accasciai al suolo e persi i sensi.


     
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    Mi ero ripromessa di non volerlo trattare come un ammalato. Non volevo che si sentisse continuamente sotto osservazione e non volevo nemmeno trasmettergli parte della mia ansia che era sempre in agguato anche se riuscivo a nasconderla abbastanza bene.
    Desideravo con tutto il cuore che quella fosse davvero una vacanza, una seconda luna di miele, un periodo di meritato riposo e svago solo per noi due ma le circostanze quel giorno parevano congiurare contro i miei propositi.
    Walter era affaticato. Più del solito. Il suo passo era lento e il suo respiro difficoltoso. Adeguavo la camminata alla sua ammirando lo splendido panorama delle rive del lago e del sentiero che decidemmo si prendere per inoltrarci nel bosco sul retro del B&B che ci ospitava. Mi fermavo spesso. Sia per osservare lo spettacolo che avevamo attorno sia per dar modo a mio marito di non forzare l’andatura facendo numerose pause. La scusa poteva essere una foglia con una forma insolita, un fiore che spiccava, solitario, nella fessura della roccia che avevamo alla nostra sinistra o per aver sentito o immaginato di sentire lo squittio di un ratto. Ero terrorizzata dall’idea che un topo, piccolo o grande che fosse non aveva importanza, potesse attraversami il cammino e un po’ per gioco un po’ sul serio accentuavo la fobia saltellano ora a destra ora manca a seconda della direzione dell’ipotetico suono.
    Walter ridacchiava udendo i miei gridolini striduli o le mie esclamazioni meravigliate ogni volta che la marcia si interrompeva ma la sua allegria era offuscata dalla fatica tanto che ad un certo punto gli proposi di tornare indietro per andare in camera a riposare.
    "Sto bene. Il viaggio di ieri mi ha stancato, ma è tutto a posto. Non ho voglia di tornare in albergo, godiamoci più che possiamo questo posto."
    Ad una donna testarda quale io ero non poteva che capitare un marito altrettanto risoluto. Quando eravamo d’accordo niente e nessuno poteva fermaci ma quando i nostri pareri non erano in linea diventava una gara. A volte discutevamo diplomaticamente, altre volte un po’ meno.
    Alzai il gli occhi al cielo facendogli chiaramente intendere che non me la stava raccontando giusta e gli cinsi la vita col braccio mentre storcevo la bocca.
    Sei peggio di un bambino. Quando ti metti in testa una cosa non c’è verso.
    Gli rimproveravo quello che lui spesso rimproverava a me ma faceva parte di noi e del nostro rapporto brontolarci a vicenda.
    A poco servì il suo tentativo di sviare il discorso tirando in ballo le parole della mia ex paziente. A parte la minaccia topesca non pareva ci fosse nulla di strano tranne la bellezza del posto che era veramente un sogno. Seduti uno accanto all’altra sopra una panchina chiusi gli occhi porgendo il viso ai pochi raggi di sole che riuscivano a filtrare fra le fronde ancora fitte degli alberi.
    L’odore dell’umido del primo muschio, quello un po’ acre delle foglie che iniziavano a cadere che facevano da tappeto sotto i nostri piedi, il sentore di pulito ed incontaminato arrivava prima alle narici e poi ai polmoni ossigenandoli ma Walter pareva non trarne molto beneficio.
    <secondo te cosa intendeva la tua paziente? Cosa c'è in questi boschi? Non credo siano popolati da Mannari, non avrebbero costruito un Bed and Breakfast proprio qui altrimenti. A meno che non venga fuori che la colazione alla fine siamo noi.>
    Risposi a mio marito più per dargli modo di riprendersi che per convinzione anche se un po’, dovevo ammetterlo, quell’avvertimento così strano e fuori luogo mi aveva colpita.
    Anche se ci fossero mannari, cosa che ritengo poco probabile, dubito che tu sia appetibile come pasto tesoro. Troppe ossa e poca ciccia. Se può rassicurarti stanotte uscirò di ronda.
    <per sicurezza ci teniamo alla larga, non si sa mai.>
    Ecco. Appunto.
    Ovviamente non avevo nessuna intenzione di avventurarmi nel bosco di notte ma pur di strappargli un grugnito o uno sbuffo avrei detto mille sciocchezze. Ridacchiando cambiai posizione. Distesi il capo appoggiandolo sulle sue gambe ed allungando le mie sulla panchina.Da quella posizione, ad occhi socchiusi, potevo vederlo in viso senza fargli sentire l’apprensione del mio sguardo. Pareva essersi ripreso quando propose di riprendere il cammino e alzandomi mi parve di buon auspicio la sua idea di raggiungere il centro del paese. Forse sarebbe stato troppo faticoso per lui ma non volevo limitarlo.
    Mi accorsi quasi subito di non aver fatto bene ad assecondarlo. Mentre osservavo una coppia di cigni maestosi che nuotavano con eleganza sul velo dell’acqua del lago udii il suo lamento. Girandomi di scatto li vidi piegato in due, il viso stravolto da una smorfia di dolore. Ebbe giusto il tempo di balbettare il mio nome prima di cadere a terra.
    Percorsi i pochi passi che mi separavano da mio marito col cuore che pareva scoppiarmi in seno. Inginocchiandomi a terra dovetti a forza aprire i pugni delle sue mani che stringevano i suoi abiti.
    Incurante del rispetto del patto che obbligava i maghi a non fare incanti in luoghi ove ci potessero essere eventuali presenze di babbani, non me ne poteva fregare di meno di essere richiamata dal Ministero in quella occasione, estrassi dalla tasca la bacchetta puntandogliela alla gola.
    Anapneo
    Ero certa di aver castato l’incantesimo in modo corretto. Ero una Guaritrice per Merlino e non era certo la prima volta che mi succedeva di intervenire d’urgenza. Dovevo ammettere che avevo molto più sangue freddo ad operare sui pazienti che su mio marito sapendo cosa lo affliggeva ma avevo esperienza e questo doveva pur contare.
    La magia invece pareva non aver sortito nessun effetto. Walter non dava segni di vita se non per il rantolo del suo respiro che non accennava a migliorare.
    Sempre più tesa ed agitata sapevo di dover mantenere la calma. Non potevo rimanere li a non far nulla ed era necessario agire con velocità e fermezza
    Prima di ricorrere a situazioni estreme provai alla maniera babbana. Stringendogli il naso fra le dita forzai la sua bocca ad aprirsi, avvicinai la mia alla sua soffiandovi dentro il mio respiro. Ci provai una volta, due, tre, forse solo alla decima mi arresi comprendendo che anche quella tattica non funzionava.
    L’angustia mi mise le ali ai piedi, o meglio, alle mani. Con il catalizzatore feci appello ad una delle piccole canne, la più sottile, che fungevano da vegetazione sulle rive del lago. Non appena l’ebbi fra le mani la spezzai appuntendola. Con i polpastrelli delle dita tremanti cercai il punto in cui sapevo di poter incidere mentre osservavo il petto di mio marito che si alzava e si abbassava in maniera sempre più irregolare.
    La mano esperta smise di tremare quando affondai la punta della canna nella gola del mio uomo. Mi sentii tremare subito dopo ma non ebbi il tempo di realizzare cosa stava succedendo. La netta sensazione di non essere più da soli mi costrinse a girare il viso verso quello che più che un fruscio era un vero proprio spostamento d’aria.
    Dovetti stringere gli occhi per focalizzare l’eterea figura che inquadrai nel folto del bosco, in un punto dove i raggi del sole non riuscivano a far passare la loro luce Una donna alta, bionda, dal viso diafano come il più bianco dei marmi mi osservava e taceva.
    Pur impressionata da quella presenza così strana e poco opportuna in quel posto e in quel momento girai nuovamente il viso verso mio marito.
    Walter…Walter respira, ti prego …respira!
    Gli occhi di mio marito, pur rimanendo chiusi, parvero reagire. Le sue palpebre si muovevano e lo sentii mugolare.
    Non c’è magia che tu conosca in grado di salvarlo.
    La voce della donna mi arrivò come un secchio di acqua gelata. Disturbante, irritante, crudele persino.
    E tu che ne sai? Chi sei? Sei sei così esperta perché non ci aiuti? E’ mio marito, io... lo amo.
    Accarezzando il volto di Walter cercavo di sorridergli mentre due grosse lacrime scendevano a solcami le guance.
    Va tutto bene tesoro. Così, bravo, respira.
    Non udii nessun suono ma con la coda dell’occhio vidi la donna fare un passo avanti. Rimaneva sempre protetta dall’ombra che pareva essergli amica.
    Posso farlo io per te ma voglio qualcosa in cambio.
    Era così chiaro e lampante che la sconosciuta non fosse una babbana che dovetti ascoltarla. Il tono della sua voce era suadente e rassicurante. La sua bellezza ammaliava. Pareva fluttuasse mentre si muoveva. Non poteva essere una veela, il suo corpo aveva grazia ma era rigido, troppo rigido per essere umano.
    Non c’era tempo per scendere in trattative. Le avrei dato la mia stessa anima in cambio di quel che prometteva.
    Dimmi cosa vuoi e non perdere tempo...sta morendo!!!
    Non potevo far altro, non ero in condizione di fare altro. La mia voce pur non volendo era un grido disperato.
    Voglio te o tua figlia. Qui. Fra dieci anni esatti. Se non decidi in fretta tuo marito ti spirerà fra le braccia.
    Mi stava prendendo il panico. Walter dopo un primo sussulto pareva peggiorare invece di migliorare e io non potevo lasciarlo morire in quel modo, in mezzo ad un sentiero. Se quella donna poteva davvero fare qualcosa….avevo dieci anni avanti a me per decidere il da farsi mentre non avevo che pochi secondi per decidere del suo destino. Avrei venduto la mia anima anche al diavolo, non esitai nemmeno un istante nel rispondere.
    Accetto ma fai presto, ti prego!!!!













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    Edited by venus - 12/10/2021, 22:40
     
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    Morte significava dolore?
    Perché lo sentivo ramificarsi dal petto fino a raggiungere ogni cellula del mio corpo. Se un corpo lo avevo ancora. Non ero in grado di muovermi, percepivo di non aver controllo sulle membra pesanti come macigni.
    Oppure significava gelo?
    Avevo freddo, molto freddo. Non smettevo di tremare.
    Non avevo coscienza alcuna di cosa stesse accadendo. Erano soltanto queste due sensazioni a cullarmi in quello stato in cui sentivo di essere in bilico tra la vita e l'oblio eterno.
    Stillettate roventi mi trafiggevano da parte a parte, scuotendomi a tal punto da spingermi ad implorare di smetterla, di lasciarmi stare… di lasciarmi morire. Forse erano solo urla nella mia testa, forse erano solo delirii di una mente farneticante a causa della febbre alta. O forse era l'inferno. Sapevo sarei finito lì, me lo aspettavo. Avevo arrecato troppi dispiaceri e dolori a chi amavo per non finirci nel mezzo.
    Più di una volta avevo sentito il corpo farsi più leggero, la tortura delle carni divenire più lieve, l'oscurità divenire sempre più pressante, il freddo mescolarsi al sangue nelle vene… ed era in quelle volte che riuscivo a sentire la voce di mia moglie. Mi implorava. Mi implorava di resistere, di restarle accanto. Mi chiamava. Ed io mi aggrappavo alla sua immagine e le rispondevo. O credevo di farlo.
    Fu un'agonia lunga. Non avevo idea quanto effettivamente, la concezione del tempo, dello spazio era del tutto assente. Mi sembrarono essere trascorsi mesi, ma potevano essere stati anche solo pochi minuti.
    Sebbene il dolore , il peso all'altezza del petto mi avesse abbandonato solo parzialmente, quando realizzai di riuscire ad avere percezione del mio corpo, provai a muovere le dita delle mani, riuscendoci.
    Mossi le gambe, molto lentamente, ignorando le fitte attraversarmi da capo a piedi. Senza aprire gli occhi realizzai di essere nudo, coperto da una sola coltre. Giacevo su un letto di foglie, o forse fiori, o erba.
    L'odore pungente del muschio risvegliò l'olfatto assopito insieme a me fino ad allora.
    Tentando di deglutire sentii un bruciore intenso alla gola, su cui portai una mano mugugnando infastidito. Mi accorsi fosse fasciata.
    Provai a sbattere le palpebre. Mi ci volle qualche minuto buono per riuscire a mettere a fuoco qualcosa. Era tutto buio, una fioca luce di candela illuminava pareti di legno ed un tetto coperto da semplici arbusti.
    Avevo la vista offuscata, le orecchie fischiavano, la testa doleva tanto da farmi venire la nausea. Assottigliai lo sguardo nel vano tentativo di cercare sollievo.
    Prima di vederla, ebbi la sensazione di non essere solo. Una presenza diafana si avvicinò al mio giaciglio, facendomi sobbalzare e provocandomi un'altra scarica di dolore generale.
    Spalancai gli occhi. Una donna alta, bionda, dalla pelle bianca quanto il suo abito mi osservava senza mostrare alcuna emozione.

    "Sei stato accarezzato dalla morte, Mago."

    A discapito delle sue fattezze, nemmeno la voce era umana. Ricordava il sibilo del vento tra le foglie.
    Aprii la bocca, provai a parlare, ma avevo il fuoco ad infiammarmi dentro dalla bocca fino all'esofago.
    Strinsi le mascelle, premetti le dita sulla gola, provai a deglutire di nuovo il nulla stringendo gli occhi.
    Quando li riaprii lei era ancora lì ad osservarmi imperturbabile.

    "M-mia… mo...glie…"
    "Lei mi appartiene adesso che sei tornato. Lei o tua figlia."


    Continuai a fissarla senza capire. Che razza di creatura era quella? Forse un fantasma? E cosa diavolo stava dicendo? A me interessava solo sapere dove si trovasse Venus, se stesse bene, se fosse al sicuro.

    "Do..Ve… È?"

    Ero convinto di star ancora sognando quando la figura femminea si avvicinò ulteriormente, senza provocare alcun rumore. Chinandosi su di me, il suo volto sfiorava il mio eppure non avevo alcuna percezione del suo respiro.

    "Non tentate di ingannarmi. Io le ritroverò, ovunque loro si nasconderanno e prenderò entrambe. La donna e l'ultima nata."

    Allora ebbi la prova tangibile non si trattasse di un fantasma. Le unghie della sua mano si conficcarono nella carne della mia spalla, facendomi grugnire di dolore.
    Ero ancora troppo provato a debole per provare a scrollarla di dosso. Ogni mio tentativo fu vano e mentre i miei occhi affogavano nei suoi, rossi come le fiamme dell'inferno da cui ero appena risalito, il suo palmo mi marchiò sulla pelle una croce della grandezza di un galeone.
    Provai ad urlare, ma non uscì niente dalle labbra se non un ringhio rauco.
    Spostando con vigore un braccio per provare a spingerla via urtai alcuni oggetti appoggiati su un ripiano vicino al ciaciglio, provocando un gran trambusto di cocci rotti e vetri in frantumi.
    Ma l'essere non si scompose minimamente ed il fuoco continuava a bruciarmi.
    Forse mi ero sbagliato. Forse l'inferno era appena cominciato.
     
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    Non ci avevo messo molto per capire con chi avevo stretto un patto. Per quanto mi facesse ribrezzo l’idea che quella creatura potesse anche solo sfiorare mio marito non potevo far altro che sperare mantenesse il suo impegno. Non era difficile mentire per i vampiri. Avevano centinaia d’anni d’esperienza nel farlo. Avevano anche secoli di conoscenza e di pratica in ogni arte e in ogni scienza. Avevano visto cose che sicuramente io non immaginavo nemmeno e non avevano praticamente nemici essendo immortali.
    Invece di chiederle per quale motivo mi avesse fatto la sua proposta mi preoccupai di alzarmi. Con un cenno la donna mi suggerì di trasportare il corpo esanime di mio marito ove il sole non potesse raggiungerlo. Usando la magia feci lievitare Walter fin nei pressi della vampira non perdendo di vista per un solo attimo le sue mosse. La creatura prese Walter fra le braccia come se si trattasse di un fuscello. Mio marito era alto e nonostante non fosse molto robusto era ben piazzato ma lei non accusò nessun cenno di sforzo nel sollevarlo e trasportarlo.
    Seguimi.
    Lo avrei fatto anche senza il suo invito. Non lo avrei lasciato solo nemmeno se me lo avesse ordinato il diavolo in persona.
    Camminammo per una buona ora inoltrandoci nel folto della foresta. Le amenità del paese e del lago sparirono dalla visuale lasciando il posto ad alberi, cespugli e rocce sulle quali a volte incespicavo. La donna pareva pattinare sul terreno invece. Faticavo a tenere il passo e per ben due volte la vidi fermarsi per attendermi. Si arrestò davanti a quello che a me sembrava ed aveva tutto l’aspetto di essere un albero concavo forse leggermente più grosso dei suoi compagni.
    Piegandosi la vidi introdursi nella cavità del tronco. La seguii così in fretta che andai a sbattere contro la sua schiena e mentre lei non fece una piega io emisi un lamento. Era dura e solida come una montagna a dispetto delle forma esile e delicata del suo corpo.
    Dove siamo, dopo ci stai portando.
    Senza girarsi mi rispose con la voce glaciale.
    A casa mia.
    Pensai di aver capito male. Non poteva abitare in un …albero. Varcando la soglia mi resi conto che il suo dire poteva corrispondere al vero. Tutto l’interno della ‘casa’ era di legno ma a dispetto delle dimensioni dell’albero c’era spazio, tanto spazio e un ambiente non solo confortevole ma lussuoso.
    Aspetta qui e siediti
    Nemmeno per idea. Non lo lascio solo.
    A dispetto di tutta la confusione che avevo in testa e dell’ansia che mi artigliava il petto quella era una delle poche certezze che sentivo di avere e non volevo tenerla per me.
    Impossibile capire, dal tono neutro della sua voce, se fosse adirata per la mia esternazione ma capii immediatamente che non era d’accordo con me quando, girandosi, mi piantò addosso gli occhi.
    Le fessure delle sue pupille non davano adito a dubbi quindi decisi di abbassare il tono della voce e di cambiare atteggiamento.
    Non sarò d’intralcio
    Senza abbandonare con lo sguardo la figura ancora priva di coscienza di Walter rallentai il passo tenendomi a debita distanza dall’enorme letto sul quale la donna adagiò mio marito.
    Girandosi la vidi venire nella mia direzione e mi raggelai. Perché non si occupava di lui, stava male, stava morendo, perché mi guardava in quel modo. Domande che rimasero inespresse ma che ebbero pronta risposta.
    Mi serve il tuo sangue
    Immediatamente pensai che lo volesse per se, per nutrirsi ma come se leggesse il mio pensiero la fredda fece un altro passo avanti.
    Non bevo sangue di donne gravide. Mi serve per lui.
    Ma…come lo sai? Cosa intendi fare?
    Nemmeno io potevo esserne certa e pensavo di aver diritto ad una spiegazione.
    Nelle tue vene in questo momento scorre anche il suo sangue. Ne sento l’odore.
    Dovevo essere davvero frastornata per non averci pensato. I vampiri fiutavano l’odore del sangue a distanza di miglia e il mio doveva averla colpita riconoscendone la composizione.
    Prenderò solo il necessario, la tua bambina non correrà nessun rischio.
    A quel punto glielo avrei dato anche tutto, fino all’ultima goccia se era necessario e pur sapendo che era un pensiero orribile non ero abbastanza lucida da riuscire a reprimerlo.
    Senza opporre resistenza tesi il braccio acconsentendo. Con provata abilità estrasse dalle mie vene una provetta da laboratorio del liquido col rubino che scorreva nella vena del mio braccio sinistro dopo di che mi fece sedere nell’angolo più lontano al letto della stanza.
    Tensione, stanchezza, ansia, angoscia e paura parvero prendere il posto del sangue estratto. Guardandomi attorno mi accorsi che mi girava la testa. Focalizzai l’attenzione su Walter risoluta a non lasciarmi andare alla debolezza e alla disperazione. Il suo petto si alzava e si abbassava ancora, era vivo. Pallido tanto quanto la vampira ed immobile esattamente come riusciva ad essere la donna ma respirava ancora.
    La fredda con in tocco della mano girò il corpo inerme di mio marito mettendolo supino. Allungando il collo vidi la donna iniettare nella sua schiena una parte del mio sangue. Walter sobbalzò. Fece uno scatto che mi fece alzare dalla sedia e la mia mossa ricevette un’occhiata della creatura che non aveva bisogno di parola. Dovevo star seduta e non muovermi.
    Obbedii anche a quell’ordine muto imprecando fra i denti. Il silenzio della camera era tanto inquietante quanto assoluto. La schiena della vampira mi copriva la visuale e per resistere alla tentazione di alzarmi di nuovo cominciai ad osservare i particolari della camera. Non c’erano fotografie, non c’erano oggetti personali che potessero farmi pensare che vivesse con qualcuno. Non c’erano finestre ne tende. C’erano libri, molti libri, c’era uno scrittoio con foglie e penne, c’era un minuscolo specchio sopra una un’antica toletta. Guardando meglio, mimetizzata nella parete, notai una porta socchiusa. Dalla fessura, allungando il collo, vidi quella che pareva essere una culla. Distolsi immediatamente lo sguardo sperando di non apparire troppo curiosa e quando lo riportai sul letto vidi il busto della donna piegato su mio marito. La vampira aveva denudato la sua schiena. Con la mani imbrattare di rosso vermiglio disegnava strani simboli sulla pelle del mio uomo. Dalle sua labbra uscivano parole a me incomprensibili. Una nenia, una cantilena che sapeva di arcaico e di magico tanto era cadenzata e ripetitiva. Non avrei saputo con che ritmo stesse trascorrendo il tempo. A momenti mi pareva di essere appena entrata nella stanza. A momenti mi pareva di essere lì da ore.
    Chiusi gli occhi per quello che parve un minuto e quando li riaprii sentii la voce della donna.
    <sei stato accarezzato dalla morte, Mago>
    Trasalii udendo mio marito balbettare mentre chiedeva di me.
    Le risposte secche della vampira giunsero alle mie orecchie come una condanna ma risentire la voce di Walter era un sollievo talmente grande che fredda o non fredda mi alzai dalla sedia per accorrere al capezzale dell’uomo della mia vita.
    Sono qui tesoro. Andrà tutto bene. Non preoccuparti.
    Ero preoccupata a sufficienza per tutti e due. Per tutti e tre a quel punto perché ormai era chiaro che le mie speranze erano state esaudite.
    <non tentate di ingannarmi. Io le ritroverò, ovunque loro si nasconderanno e prenderò entrambe. La donna e l'ultima nata.>
    Fra dieci anni. Non prima e non se lui non guarirà.
    Quelli erano i patti. Walter ne venne a conoscenza nella maniera peggiore, stava soffrendo terribilmente per il trattamento che donna gli infiggeva, era cosciente anche se forse non perfettamente lucido. Nel momento il cui il braccio di mio marito che tentava di evitare il contatto con la fredda si agitò per respingerla urtò contro qualcosa che fino a quel momento mi era stato impedito di vedere. Una mezza dozzina di vasetti di quella che poteva essere ceramica postati sul comodino finirono a terra andando in mille pezzi.
    Il pavimento si cosparse di cocci e cenere e capii che Walter aveva appena mandato in frantumi delle urne cinerarie.
    Lascialo. Ci penso io a lui adesso.
    Pur sapendo che anche spingendola non l’avrei spostata di un millimetro presi la mano di mio marito fra le mie. Appoggiando le labbra sulla fronte riarsa dalla febbre deposi un bacio all’attaccatura dei capelli unito ad un sospiro di sollievo nel vederlo addolorato ma reattivo.
    Col groppo in gola staccai le labbra dalla pelle riarsa rimanendo piegata su di lui. Con le lacrime che rischiavano di inondarmi gli occhi lo vedevo sfuocato ma era sufficiente per farmi capire quanto soffriva.
    Stirai le labbra in un mezzo sorriso mentre la destra gli accarezzava il viso. Mi accorsi che il mio cuore aveva ripreso a battere e non avrei saputo dire da quanto tempo si era fermato.
    E’ tutto finito tesoro. Presto starai bene.
    Pareva impossibile anche solo sperarlo vendendo in che stato si trovava.
    Senza staccare gli occhi da sul viso sentii la mia voce rivolgersi alla donna.
    Potresti procurarmi dell’acqua e un sedativo? Soffre, soffre troppo…
    Con la velocità di un lampo la vampirà sparì per tornare immediatamente dopo con quanto richiesto.
    Si chiamerà Tekla e, per la cronaca, tuo marito ha appena buttato all’aria il mio e una mezza dozzina di antenati. Bella riconoscenza.
    Che fosse dispiaciuta o divertita o irritata non era dato sapere. La sua espressione non cambiò di una virgola. Non c’era compassione negli occhi della donna, non c’era …niente. Totale indifferenza. I suoi tratti rimanevano rigidi e bellissimi come quelli di una splendida statua.
    Non me ne preoccupai. Strappando un pezzo del mio vestito lo intinsi nella brocca d’acqua che la vampira aveva portato e lo appoggiai sulla fronte di mio marito. Infilando la mano sotto il suo collo sollevai il suo capo appoggiando alle labbra il bicchiere con la pozione calmante affinchè almeno un po’ del liquido che conteneva potesse bagnargli le labbra. Ripetei l’operazione più volte. A volte il dolore lo faceva contorcere rendendo vano il tentativo ma nei momenti in cui si rilassava riusciva ad ingoiare e a deglutire l’amara medicina.
    Solo quando il bicchiere risultò vuoto lo vidi stendere le membra ed abbandonarsi al sonno indotto.
    Nel frattempo Tekla aveva fatto un passo indietro permettendomi di sedermi sul bordo del letto. Fra le mie stringevo la mano di Walter accarezzandone il dorso. I miei occhi adoranti non smettevano di osservare il suo volto. Non voltai lo sguardo nemmeno quando la donna, all’improvviso, parlò.
    Un tempo ero come te. Una strega innamorata del suo uomo. Ho avuto un figlio da lui ma poi…tutto è cambiato. Dopo il parto sono stata trasformata e…non provo più nulla.
    Nonostante tono e lineamenti continuassero a rimanere immutati le sue parole mi colpirono. Non fui in grado di aggiungere nulla alle sue parole ma arrivai a provare pena per lei.
    Mi distesi a fianco di Walter, cinsi il suo fianco con le braccio ed ascoltai il suo respiro. Il suo contatto caldo e rassicurante. Il battito regolare del suo cuore e la tanta stanchezza e tensione provaTe mi fecero chiudere gli occhi. Un sonno irrequieto e a tratti irregolare venne a far riposare le mie membra mentre incubi e sogni si alternavano della mia testa stanca e confusa.











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