Be Loved

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    -Abbiamo poco meno di mezz'ora per lasciare la stanza, immagino che tu sia al corrente che non si può stare oltre le cinque e trenta del mattino. certo si, va tutto bene. Non dovrebbe?-

    "Mi ha detto che deve essere un pacco così grande di porcherie da mangiare che deve venirle il mal di pancia" riepilogo mentre conto sulle dita per rispondere alla domanda di lei: che dobbiamo prendere ad Hogsmeade?
    "Poi Dan ha bisogno di due pozioni, abbiamo finito quelle curative, ci pensi che non ci passino niente dall'ospedale?" le chiedo aggrottando le sopracciglia, con una bambina e Dan a casa spendevo così tanto in pozioni curative che se ne andava un terzo dello stipendio, ci eravamo ammalati tutti e tre insieme e alla fine era stata Phoebe a prendersi cura di noi, scuotendo la testa, e dicendo che noi maschi eravamo davvero eccessivi. La Zuppa che ci aveva cucinato era anche davvero buona, questo voleva dire una sola cosa: passava decisamente troppo tempo da sola.
    "Poi devo passare a ritirare il regalo per Dennis: hai partecipato al suo regalo?" le chiedo riferendomi al nostro collega "Gli hanno regalato il porta bacchetta più trash mai visto te lo assicuro" e faccio una risata decisamente poco mal celata.
    Una musica da lontano mi costringe a girarmi, una sorta di piccola fiera, sul fondo del viale di Hogsmeade, credo fosse per salutare l'estate, questo almeno a giudicare dal freddo che era calato quella sera.
    Quando mi volto verso di lei mi rendo conto che ha i denti leggermente scoperti in un mezzo sorriso. Ne avevamo fatti di passi avanti, eravamo a Hogsmeade, e lei sembrava sorridere a modo suo.
    Non era qualcosa che obiettivamente credevo possibile.
    Continuava a saltare sul posto quando un rumore troppo forte le giungeva dalle spalle, o continuava a voltarsi all'indietro mentre camminavamo per viali o strade particolarmente scure, come se si aspettasse di vedere qualcuno all'improvviso. Aveva guardato il mese addietro Phoebe con un misto di trasparenza e profondità, come se non avesse voluto esser elì, come se stesse guardando la scena dall'alto e non le appartenesse. Ma aveva fatto del suo meglio, e avevamo cenato tutti insieme, mentre Dan mi continuava a prendere a calci sotto il tavolo.
    "Tutto bene?" le chiedo sorridendo. Anche se ricordai all'improvviso quanto lei detestasse quella domanda, quindi alzo le mani, dico "Nel senso: vuoi una birra?".
     
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    La figlia di Jack aveva fatto l'elenco delle cose che avrebbe voluto, Mak era indecisa se fosse stata veramente lei oppure il coinquilino di Jack, il famigerato zio Dan.
    Dan lo conosceva anche lei, aveva avuto modo di averci a che fare nel periodo in cui aveva alloggiato nel loro appartamento, prima di tornare a casa e far si che la sua vita precipitasse nell'oblio più di quanto fosse lecito.
    -Non è un buon momento in ospedale, forse per questo sono un po' braccine corte- qualcosa passavano ma chiaramente per una famiglia numerosa come quella di Jack non erano sufficienti.
    Lei invece, che era sola, aveva tantissime fiale di dittamo e pozioni curative.
    Non sapeva se questa fosse una cosa buona oppure no, quello che sapeva era che era davvero triste.
    Era comunque chiaro che aveva un sacco di cose da fare, Mak per un momento si ritrovò ad invidiare la sua vita così movimentata.
    Lei, se non fosse stata in sua compagnia, ora si sarebbe ritrovata in casa, quella specie di monolocale che aveva preso in affitto stanca di restare rinchiusa come un topo in ospedale.
    Tanto risultava lampante che se volevano parlarle l'avrebbero trovata anche lì.
    Il trucco stava nel non restare mai nello stesso posto per più di un mese.
    -Certo che si, se c'è una cosa che faccio sempre è partecipare ai regali di tutti- tanto l'iter era abbastanza semplice, le dicevano la quota e lei sganciava i galeoni. Fine.
    Si voltò per guardarsi attorno, sentiva che qualcuno la stesse seguendo ma non riconosceva nessuno nei volti dei presenti.
    La gente si era recata al villaggio per la fiera che si stava svolgendo alla fine della strada, oltre la piazza, per festeggiare la fine dell'estate e dare il benvenuto all'autunno.
    "Tutto bene?"
    Lei si volse a guardarlo e si rammaricò di essere stata nuovamente colta in flagrante a guardarsi in modo circospetto attorno.
    Ma prima che potesse rispondergli lui cambiò il tiro.
    -Certo, perchè no. Entriamo ai tre manici?-
    Il locale era affollato ma non abbastanza da non trovare un tavolo per due.
    Lei si sedette e poco dopo ordinarono la famigerata birra.
    -L'altro giorno ho parlato con la nuova infermiera, mi ha citato un tuo paziente, un certo Plamenov, sai dirmi il suo nome? Ho come l'impressione di conoscerlo-
     
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    "Credevo volessi and... okok, tre Manici sia!" in fondo la fiera di Hogsmeade squillava nemmeno fosse Natale, si sentivano giostrine e risate, schiamazzi di bambini e qualcosa che somigliava vagamente ad un'asta, con numeri e prodotti, ma ormai, il rumore nei tre Manici ci aveva investito al punto che faticavo a sentire persino la voce della stessa Makenzie.
    Arricciai fronte e naso, scoprii leggermente i denti e ripetei "Cosa?" quando afferro la domanda di lei, accompagnata da un indice puntato verso un tavolo vuoto, annuì, pensando improvvisamente che era strano non volesse rimanere all'aperto, non credevo fosse affatto amante degli ambienti chiusi, ma quando si proponeva la scelta, questa ricadeva sempre su un locale. Magari affollato, sebbene cercasse comunque intimità. Scelte strane.
    Però eseguo.
    Le sposto la sedia e mi siedo di fianco a lei, spalle alla porta, come preferisce senza averlo nemmeno mai chiesto.
    Ed io che credevo volesse farmi una scenata per la Roberts!
    "Ehi si, era un bel tipo, ma è corsa veloce la voce!" la rimprovero. Segno due birre, sollevando indice e medio alla cameriera che non doveva avere più di diciotto anni. "Dunque, il nome" torno a lei e tamburello con le dita mentre arriccio e scavo nella memoria. Vedo all'incirca trenta pazienti al giorno, senza contare quei cinque, dieci che magari hanno bisogno di un consulto o di aiuto, ricordarmi il nome di uno in particolare è un dilemma. Una volta ci fu uno scambio di persone, perchè ci si era ricordati male un nome, per fortuna ce ne siamo accorti prima che operassero uno dell'altro. Una micro tragedia sfiorata.
    "Dimitri, no Ivan" e annuisco con la testa "Ivan Ivan, era un modo dell'est" poi socchiudo un solo occhio "No aspetta, Igor" nego con la testa "Non me lo ricordo, sono passati troppi giorni, ma perchè ti interessa? Andavate a scuola insieme?" Sollevo le spalle e faccio spazio alle birre.
    "Tra l'altro, forse sai, pensavo di iscrivermi a quel corso guaritori, non appena avrò messo da parte un bel gruzzolo" dico "Quelli delle vacanze non vorrei toccarli, avevo promesso a Phoebe... ehi? Ci sei ancora?" e le passo una mano davanti agli occhi per ridestarla.
     
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    Non era propriamente corretto.
    La voce poteva anche non essere corsa ma lei, da paranoica quale era, aveva gli occhi perennemente puntati ovunque lui fosse.
    Erano giorni ormai che si diceva di dover mettere sul piatto tutto quanto con Jack, avevano iniziato una specie di relazione e l’ultima cosa che voleva era che si facesse del male.
    Conoscendolo aveva anche capito quanto lui ci tenesse alla famiglia e che fosse al sicuro.
    Frequentando lei questo non avveniva ma neanche voleva incappare nei soliti errori in cui si teneva tutto dentro e prendeva decisioni autonome, senza interpellarlo.
    -Ricorda Jack, so tutto ciò che ti riguarda- una mezza verità che incorniciò con un occhiolino di accompagnamento.
    Stava lì a pensare “ora mi dice Igor” e sperare che non lo fosse quando invece fu lui stesso a dargliene conferma.
    -Andavamo a scuola insieme, e non mi aspettavo di trovarlo qui a Londra- involontariamente il dito le si mise a picchettare sul tavolo e per una frazione di secondo mosse gli occhi quasi a pensare che se lo sarebbe ritrovato alle spalle.
    -Oh .. si, fai bene- disse distratta provando poi a concentrarsi totalmente su di lui - Sei sprecato come infermiere- e di nuovo a vagare con lo sguardo altrove – mi pare ci siano delle convenzioni fino al mese prossimo, per madri e padri singol- per un attimo gli parve persino di vederlo poco distante dall’uscio della porta – cosa? Si certo, ci sono.
    Dicevo, fino al mese prossimo, se ti iscrivi, il corso è gratuito per i genitori singol, certo devi vedere il reddito ma .. penso tu possa rientrare
    - fece un sorso e abbassò lo sguardo colpevole - Jack, dobbiamo parlare-
     
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    Ed eccole qua, le parole magiche.
    E no, non intendo Avada Kedavra o Expecto Patronus, o... insomma.
    Le parole magiche, la coppia incrimanata, come dice Dan: dobbiamo+parlare.
    Non esce mai niente di buono da queste parole, ma proprio mai, non c'è possibilità di scampo, perchè a pensarci bene, se qualcuno deve dirti qualcosa di bello in genere lo fa senza pensarci, velocemente, senza remore e senza ansie, non ha bisogno di alcuna introduzione a riguardo. E' quando deve partire l'annuncio grave o triste che si ha sempre bisogno di qualche momento di attesa e pausa, lo fanno anche in ospedale, la gente del personale fa a gara per dare le buone notizie, e per le cattive, ce le giochiamo con gli stecchetti della saletta della pausa pranzo, chi tira fuori il bastoncino più corto perde. Eppure non è che comunque risulti più facile, rimandi, respiri e quando vedi il parente del malato, quello già capisce e fa probabilmente la stessa faccia che sto adesso facendo io.
    E niente, ce la siamo goduta finchè è durata.
    La guardo un po' sulle mie, cercando di tenere su un sorriso finto come una moneta da una falce svizzera.
    Ed ecco che forse la questione Igor e paziente aveva i suoi ottimi risvolti.
    Chiedo: "E' il tuo ex? Vuoi... si insomma..." penso che lo stratagemma di fingermi per nulla offeso che mi aveva consigliato Dan fin dall'inizio, conscio che con Makenzie non sarebbero forse durate, sia già parzialmente buttato alle ortiche.
     
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    - Ma chi? Igor?- gli chiese inarcando un sopracciglio – non è il mio ex- ci tenne a precisare senza neanche sapere perché.
    Igor per lei non era stato altro che un inquilino, a volte, una presenza ingombrante altre.
    Un compagno di scuola, quando frequentava Durmstrang.
    La puttana di Ichabod quando non si intratteneva con altre donne.
    -Ma dobbiamo parlare del mio ex, si- inutile girarci attorno, aveva scelto di essere onesta in quel momento, anche se era difficile, dannatamente difficile.
    -Il fatto che Igor sia qui vuol dire solo una cosa, mi sta cercando e non vuole farmi i complimenti per la promozione- allungò una mano e prese la sua – Jack, non so da che parte iniziare questo discorso..- a volte sperava che lui le leggesse nella mente perché potesse capire da solo il groviglio di pensieri che l’attanagliavano.
    -Io da quest’uomo sono scappata. Nonostante non mi amasse più pretendeva che gli stessi accanto, abbiamo discusso, c’è stato un incidente e io ho desiderato … - gli lasciò andare la mano e ritrasse lo sguardo – ho desiderato che morisse- ma questo non era successo, chiaramente, e da allora pretendeva che pagasse lo scotto.
    -Lui è vivo ma vuole me morta, se non mi vuole morta non vuole che io abbia una vita serena, felice, non vuole che io stia con nessun uomo- tornò con lo sguardo nel suo – non ti ho mai rifiutato perché non mi piacevi.. e non avrei mai voluto metterti in questa scomoda situazione- ma lui sapeva essere convincente e lei era fatta di carne e ossa.
    Jack le piaceva, le era sempre piaciuto. Anche quando stava con Ichabod era stato in grado di insinuarle il dubbio che forse non fosse amore quello che provava per lui, magari ossessione o solo paura. Aveva avuto paura di Jack e di quello che provava per lui, ma in quel momento non riusciva a pentirsi di aver ceduto alle sue attenzioni.
     
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    La vocina nella mia testa mi diceva, stranamente con la voce di Dan, che quando avrei imparato a farmi gli affari miei sarebbe stato chiaramente troppo tardi. Non che avessi tirato io fuori la questione dell'ex, insomma se ne sarà ricordata di certo ben prima, ma l'idea che potessi averla instradata io, se ne sarebbe andata dopo molto molto molto tempo.
    Non mi sfuggì eppure lo sguardo impaurito di lei. Un po' come quando ti fai coraggio, eppure lo sai benissimo che andrà presumibilmente tutto male, un po' come quando il guaritore di turno ti chiede di andare a dare pessime notizie per conto suo, e tu non puoi fare diversamente. Lo fai, ma con il terrore che un po' la cosa interessi anche te, un po' con l'idea di essere responsabile.
    Lei aveva quegli occhi lì, e non mi aveva mai parlato in quel modo. Non mi aveva mai raccontato così di sé anche se morivo dalla voglia di sapere. Ogni giorno. Quale fosse il suo passato e il suo vero presente.
    "Come può essersela presa tanto per aver desiderato morisse? A noi in ambulatorio succede almeno una volta al giorno" era impensabile che una presenza grossa e scomoda, oscura come quella di Ichabod Blackwood potesse in qualche modo sentirsi minacciato da una ragazza. Con probabilmente la metà dei suoi anni. Mi dico che dovrei documentarmi su questo Blackwood.
    Quando ritrasse la mano sentii improvvisamente freddo.
    Eppure mi scappò un leggero sorriso quando parlò del fatto che probabilmente già all'epoca avessi qualche speranza.
    "Ascoltami bene, non si è fatto vivo fino ad ora, giusto? O c'è altro che non so?" le chiedo inclinando la testa "Secondo me ti stai preoccupando più di quanto dovresti, tra l'altro leggevo qualche tempo fa che semmai quella gente rimettesse piede a Londra ci sarebbe una taglia così grossa sulla loro testa che potrei permettermi metà del villaggio di Hogsmeade, e mi resterebbero abbastanza galeoni per far intestare una area completa del San Mungo a nome mio" le spiego.
    "Non trovo ci sia motivo di preoccuparsi" e tra l'altro non volevo essere indelicato ma... "Karen inoltre non è mai più tornata" e non aggiungo altro mentre scavo con le dita delle noccioline nervosamente senza sapere se fosse o meno un argomento tabù. Per essere sicuro non aggiunsi altro.
    Ma era chiaro, credo fosse un argomento sufficiente per mettere a tacere le sue paure.
     
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    -Non stiamo parlando di una persona .. normale- gli fece presente accennando appena a un sorriso.
    -Mettici pure che abbiamo avuto una discussione e lui non ne è uscito vincitore, per una volta nella vita.. – si passò nervosamente una mano tra i capelli, distolse lo sguardo per un attimo e poi tornò su di lui – io ammetto di avere paura più di te in questo momento che di Ichabod- gli confessò.
    -Sei così puro Jack, che se io ti raccontassi di quella notte probabilmente sceglieresti di non volermi vedere mai più. Ti immagino già a cambiare i turni e a evitarmi ogni volta che mi presento in ambulatorio- magari esagerava ma voleva che capisse in pieno l’entità del peso di quello che cercava di dirgli.
    -No, non si è fatto vivo fino ad ora, lui non può venire a Londra, appena lo farebbe .. verrebbe arrestato- abbassò lo sguardo – ma Igor può- il nome del suo ex compagno di viaggio uscì flebile, quasi impercettibile- lui è un memento. E ho paura che abbia scelto di passare per altre vie per mandare il suo messaggio- scosse il capo e dentro di lei sapeva già quale sarebbe dovuta essere la soluzione al problema – non vuole che io sia felice, la morte sarebbe sin troppo semplice, non causa sofferenza, semmai la preserva. A soffrire di più è chi resta..- erano gli affetti, le persone che restavano attorno alla persona amata, ormai passata a miglior vita.
    -Lascio te scegliere, vuoi comprendere a pieno con il rischio di odiarmi per sempre, o schifarmi, o..-non aveva parole per descrivere la situazione – oppure vuoi decidere semplicemente di rischiare o lasciar perdere questa storia?- oramai era così in tilt che non era neanche certa di essersi espressa con frasi logiche.
     
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7 replies since 20/9/2021, 08:16   84 views
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