Peaceless

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    Non sto tremando io, e' una reazione assolutamente naturale allo shock del corpo. Lo shock deriva da un pre-collasso cardiaco, in genere a seguito di ingenti perdite di sangue, traumi o ustioni. Tenere le chiavi ferme per riuscire ad infilarle nella toppa e' praticamente impossibile, cadono una volta e con un rantolo di petto e stringendo i denti cosi forte quasi a sentirli spezzarsi, le raccolgo.
    Provo di nuovo.
    Il tremore e' cosi forte che le chiavi tintinnano una contro l'altra facendo sembrare il rumore, un gregge di mucche in fuga.
    Shock cardiaco.
    Non e' uno shock cardiaco, e' ipovolemico.
    Ho perso tanto di quel sangue che se me ne sono rimasti due litri in corpo, mi riterrei fortunato.
    Non e' cosi grave. Le chiavi sbattono continuamente contro la toppa, e ne approfitto per misurare il polso con due dita. Dico, sono ancora in tachicardia, va tutto bene, secondo stadio, dico, il polso e' ancora buono, avrò un crollo tra circa 12 minuti, 15 con un po' di fortuna. Fuori e' tutto talmente buio che non riesco a capire nemmeno dove sia il problema piu' grande. Oltre ad aver perso la bacchetta.
    Porca puttana ho perso la mia bacchetta. Mi e' schizzata via e credere che volesse un duello alla pari e' stato un errore fatale.
    La chiave entra e gira, il peso contro il battente e' talmente forte che crollo in avanti, sul tappeto crema, a pancia e cosi mi riesco a rendere conto di dove sia il problema, dallo sterno in giù sento un dolore pulsante, ma sollevare la gamba destra sembra impossibile.
    Mi viene da vomitare, mi restano 7 minuti, 10 se fortunato.
    Schiudo le labbra e cerco di comporre il nome di Igor sulle labbra.
    Poi ricordo che non e' a casa questo weekend.
    Le labbra, un rantolo. Non c'è niente di piu' normale che tenere duro per il corpo fino all'arrivo dei soccorsi. Ci sono milioni di testimonianze che sostengono di come pazienti dopo giorni di agonia, siano morti appena visto il personale. Non sarà il mio caso. La colpirò là dove creda di essere invincibile.
    Ma ora devo stare attento a non finire in stadio terzo di shock. O non potrò fare assolutamente niente.
    Sento una luce che si accende alle mie spalle.
    Quando vedo il suo viso davanti il mio, l'unica cosa che dico e' "N...non dorm...ire..." però poi chiudo gli occhi, così stanco. E mi addormento
     
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    In effetti sono preoccupata, è uscito per il suo solito giro ma non è ancora rientrato.
    Una persona normale direbbe che si è attardato con degli amici, non c'è niente di male in questo.
    Fossi una poco sicura di me direi che si sta trastullando con un'altra donna, ma so che non lo farebbe, per quanto voglia negarlo mi ama troppo per rischiare di prendersi una cinquina in faccia e una sfuriata che se la porterebbe fin dentro la tomba e oltre.
    Quindi si, sono preoccupata e lo percepisce anche Night che mi guarda senza dire mezza parola.
    O meglio, una cosa l'ha detta – dov'è papà?- bella domanda.
    Vorrei saperlo anche io, penso in risposta, ma fortunatamente le mie labbra dicono altro – sta tornando, è uscito per prendere una boccata d'aria-
    Gli scenari che si formano nella mia testa sono tanti e nessuno bello.
    Lui ha una taglia sulla testa, i suoi ex colleghi gli danno la caccia, c'è n'era una poco meno di un paio di mesi fa proprio fuori l'uscio di casa, e non me la potrei scordare neanche volessi.
    Sto elaborando un piano d'azione, ovvero intercettare Igor e farmi tenere la bambina, quando sento una chiave nella toppa di casa e il tempo per un attimo si ferma assieme al tonfo sul battente che segue subito dopo.
    Sono pronta a schiantare chiunque sia, ma riposo la bacchetta quando mi accorgo che quel corpo ricoperto di sangue è quello di Ichabod.
    -Chab- ho giusto il tempo di fare i passi che ci separano per sorreggere il suo corpo e quasi perdere l'equilibrio.
    Pesa tre volte me e non sono certa di riuscire ad arrivare sul divano.
    Lo adagio per terra – non dormire, infatti, ehi- gli do dei colpetti sul viso -Ichabod resta con me- mi allungo per prendere la bacchetta e gli annaffio la faccia con un aguamenti – Non _ Dormire- ripeto quando apre un occhio dei due.
    -Vorrei dirti tante cose in questo momento e nessuna carina, tipo che ti ha detto la testa di andare da solo, ovunque tu sia andato- parlo per tenerlo sveglio, magari ha pure la forza di ribattere e incazzarsi, sempre meglio di niente, ma intanto provvedo con quel poco di magia bianca che conosco, e richiamo a me qualsiasi tipo di pozione utile mi venga in mente – chi è stato?-
     
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    Un brivido dall'incanto di acqua, mi scuote talmente forte che dal tronco in giù non avverto più niente, la vista diventava offuscata e le piccole pacche sul viso diventavano sempre più lontane.
    La sento borbottare, ma sento rumori confusi, si sta lamentando, ma non riesco a prestare attenzione. Non riesco nemmeno più a ruotare gli occhi per seguirla nei movimenti. Sento un freddo incommentabile ed illogico.
    "Spo..." mi ripete qualcosa, forse crede che io stia nominando qualcuno. Le labbra si schiudono di nuovo e ripetono alla sua pausa "...sposami" vedo lucine dietro gli occhi, il tutto diventa sfocato. Lo stadio tre. Freddo e gelo, la tachicardia lascia spazio ad un battuto così lento e tranquillo che lo sento nel timpano.
    Il buio.

    C'è un silenzio tombale quando riapro gli occhi, e mi rendo conto che per riordinare le idee mi ci vuole qualche minuto. Sono solo, la luce soffusa in salone aiuta a non ferirmi pupille ed orgoglio. Non sento la voce della bambina ma non vedo nemmeno lei. Se non avessi abbassato lo sguardo verso la gamba, fasciata talmente stretta da non riuscire a farla scendere dal divano, avrei pensato di aver sognato ogni cosa.
    Non oso guardare il mio riflesso sul fondo del vassoio dove ci sono gli strumenti medici utilizzati. Ci sono garze sporche, dittamo e un paio di fiale, probabilmente motivo di quello stato di completo rimbambimento che provo.
    "Ho perso la mia bacchetta" dico con un filo di voce, perchè ora la sento, so che è alle mie spalle "Mi serve una sigaretta... e un bicchiere di gin..."


     
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    Ricordo di essere stata rapida nei movimenti, non sono una guaritrice, penso che se solo lo fossi stata avrei risolto il problema prima, e le mani sarebbero tremate di meno.
    Ma non lo sono e ci ho messo più tempo del dovuto, con maggiore sforzo cerebrale, e non sono certa neanche di aver fatto bene.
    Ma mi ricordo quando in un momento di delirio mi ha detto “sposami”.
    Gli ho risposto “ripetimelo quando sarai guarito” conscia che non lo farà mai.
    In compenso mi sono resa conto che le persone in punto di morte possono dire un sacco di cose, mi ha fatto piacere che abbia comunque avuto un pensiero per noi.
    Sono ferma sulla poltrona e lo guardo mentre dorme, mi chiedo se si riprenderà mai.
    Mi assento solo un attimo per vedere se Night è apposto, la bambina dorme, non si è accorta di nulla.
    Devo però sbrigarmi a togliere di mezzo gli strumenti usati, ora che è tutto nella norma dovrei anche accertarmi che non abbia la febbre.
    Sono alle sue spalle quando vedo che è seduto sul divano e si sta probabilmente rendendo conto che non è stato per niente un sogno.
    Mi dice di aver perso la bacchetta, avanzo e gli sono davanti con un bicchiere di gin in mano che gli allungo – sarebbe il caso di non fumare per le prossime ventiquattro ore, dagli il tempo di riprendersi un attimo al tuo fisico-
    Mi siedo là dove mi son seduta prima e con le braccia sulle ginocchia, il busto leggermente in avanti glielo chiedo – chi ti ha ridotto così?-
     
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    Il mugugno che mi esce dalle labbra quando mi passa il bicchiere è così doloroso che mi fa arricciare la fronte. Mi poso il liquido sulla testa che sembra volermi esplodere.
    "Andata, per le prossime 24 ore non fumerò altro che nicotina" con una mano destra tremante al punto che fatico a stirare la sigaretta artigianale, mi ficco il filtro in bocca e stendo la cervicale sulla testata dello scomodissimo divano.
    "Una donna" era vero, ma speravo si accontentasse di questa risposta, che si mettesse a ridere, mi desse del coglione e basta. Come al solito. Do un leggero colpo di tosse e ne approfitto per mandare giù un sorso di gin.
    "Teoricamente ora siamo pari, e non mi consegnerà a loro" lei sapeva perfettamente a chi mi riferissi, e che quello che poteva costarmi la vita, mi sarà costato di certo di meno. Ci fu un lungo silenzio, dove ebbi l'impressione che lei se ne sarebbe andata di lì a poco, che mi avrebbe guardato, in quel lago di sangue rappreso sulla tappezzeria, quei trentacinque anni di puzza di sigaretta ed alcol, che invece di portare fiori e pasticcini, invece di portare un anello di diamanti, portava sangue, ferite mortali e una sorpresa problematica ogni giorno. Minacciare il padre di Violet, l'amichetta di Night. Amichetta, che scoprisse subito che la gente faceva schifo, che degli amici non ti potevi fidare in età adulta, figuriamoci a quattro anni.
    Non andava nemmeno bene picchiare e rimettere al proprio posto una gang di ragazzini. Si, erano disarmati, ma meritavano quanto avuto.
    Ebbi l'impressione che era lì lì per andarsene.
    Mi guardava con quegli occhi chiari, in silenzio, e mi resi conto che non potevo leggerci dentro. Che potevo aver studiato manuali di comportamentismo e puoi essere il migliore. Ma con alcune persone non funziona.
    Lei mi guarda ed io non so cosa stia pensando. Forse pena. Per me. O per lei.
    Per la prima volta dico qualcosa che uscito dalle mie labbra suona strano, ma non so perchè, mi scivola via letteralmente dalle labbra. A voce bassissima, abbasso lo sguardo sul bicchiere e deglutisco sentendo un pizzicore alla gamba "Mi dispiace".


     
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    Se non fuma affatto è meglio, penso, e mi auto convinco che ce la farò a fargli dimenticare la nicotina anche se lui è convinto del contrario.
    Non ha capito che sta messo male e che non gli conviene fare il bimbo piccolo.
    Osservo la sigaretta spenta tra le sue labbra. Va bene, mi dico, purchè resti spenta.
    Immagino che la donna sia la stessa di cui parlavamo tempo fa.
    Quella con cui non è voluto scendere a compromessi.
    Mi dice che ora sono pari, mi chiedo se e quando lui ha fatto qualcosa. E perchè non me lo ha detto.
    Segreti, ancora segreti.
    Non mi piace che ne abbia con me. In questi anni gli ho dimostrato che è tante cose ma che le ho accettate, ci stiamo lavorando insieme.
    Per me è cambiato tantissimo e io per lui ho fatto altrettanto, ma odio le mezze verità, odio le omissioni.
    Seguito a guardarlo e non riesco a proferire parola.
    Ho così tante cose che mi passano nella testa che alla fine nessuna sta riuscendo a trovare concretizzazione.
    Poi bastano due parole, due semplici parole per scaldarmi il cuore.
    "Mi dispiace".
    Chiudo gli occhi e le assaporo per bene prima di alzarmi e raggiungerlo sul divano.
    Lui è disteso, io sono seduta in un piccolo angolo vicino al suo busto.
    -Dispiace anche a me- sostituisco il refrigerio che può dargli il bicchiere con la mia mano fredda che gli accarezza la fronte e poi il viso.
    -A prescindere da questa sera ultimamente sei inquieto, cosa c'è che non va, Chab? Se non me ne parli io non posso aiutarti-
     
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    Erano passati quattro anni da quando l' avevo portata via dalla sua coscienza, fino a tirarmela delicatamente, come se il filo che ci legava in quel momento, che avevo costruito e tessuto con tanta cura fosse talmente fino da potersi spezzare. L'avevo tirata piano, quando si era dimenata l'avevo lasciata dimenare, avevo smesso di tirare, finchè mi aveva seguito al nord, finchè mi aveva seguito in casa, finchè una parte di lei che mi riteneva il piu' coglione mai visto, aveva cliccato sul tasto "Muto" in favore di una comprensione che raramente avevo trovato nel corso della mia vita.
    Eppure era là tronfia di comprensione, di pazienza e attesa, non aveva mai fretta, e i capelli lunghi e castano chiaro, erano un prolungamento della ragazzina che da piccola adoravo sfottere e prendere in giro, ignorare. Alla fine aveva vinto lei, se di vittoria si trattava.
    Cerco di non guardarla negli occhi mentre mi parla, credo di star provando imbarazzo. Un leggero torpore e calore mi sale sul petto, al collo, alle orecchie rendendole appena arrossate. Bevo un lungo sorso del gin nel bicchiere e mi rendo conto che ha ragione, anche se non può aiutarmi, a quanto pare da solo non ne esco.
    La pausa che prendo e' talmente lunga che penso di non parlare mai più, dalla tasca, con la mano ancora incrostata di sangue rappreso tiro fuori un accendo e il dare avere che ci scambiamo è chiaro ad entrambi, io sto per parlare, ma prima, ho bisogno di una sigaretta.
    La fiamma scrocchia e la punta della cartina scura si accende, spegnendosi subito dopo, mentre un cerchietto rosso, rimane fisso, mentre tiro forte con le labbra una grossa boccata.
    "Ahm..." non ha vissuto per tutto la questione di Eris e all'epoca non mi sembrava granché in accordo, ed ecco il mio camminare sui cocci, io, sto per cercare la sua approvazione, e devo giocarmela bene. "Una veggente mi sta cercando..." respiro "...e io sto cercando lei". Prenderla così larga mi aiuta a non farle cambiare espressione. "Qualcuno ha intenzione di portare via lei" quando ne parlo in questi toni non la nomino, mi limito a indicare con la testa la camera di Night "Una donna bruna, dagli occhi di cristallo" sa perfettamente di chi parlo.
    "Mi e' già successo una volta, non permetterò che capiti ancora. E' successo perchè ero distratto. Non succederà mai più".


     
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