Our Duty

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    Spingere una sedia a rotelle non è divertente per nessuno, specie se sei solo una ragazzina che sta portando il padre a prendere un po' d'aria per distrarlo dalla depressione che lo coglie ogni singola ora del giorno dentro quelle quattro mura domestiche, e speri che, facendo così, potrai vederlo sorridere come un tempo.
    E allora perchè, nonostante questi ricordi spiacevoli, ho comunque deciso d'intraprendere la carriera di medimaga, consapevole che prima o poi avrei dovuto affrontare un tirocinio dove mi avrebbero piazzata a scarrozzare malati in giro per l'ospedale?
    Perchè è ciò che desidero, ed è quello che è giusto fare. Sono più forte dei miei demoni, l'ho dimostrato molte volte, e curare la gente è il mio sogno. Vedere mio padre bloccato nel suo letto è stata solo la scintilla iniziale, ciò che ha ravvivato un fuocherello già presente in me.
    Continuerò a spingere sedie a rotelle per sempre, se sarà necessario, anche quando finirò l'università e inizierò a lavorare e ci saranno infermieri a farlo al mio posto... Se servirà, le mie braccia saranno pronte.
    Oggi è un'adolescente, quella che sto portando nella sua stanza al quarto piano. Ha 16 anni, e no, niente gambe rotte o emorragie interne, il pancione gonfio ed il piano verso cui siamo diretti possono spiegare meglio di me la situazione: è incinta.
    Incinta, e sola. Si perchè a quanto pare il tizio che l'ha messa incinta non ne ha voluto sapere, e i genitori sono chissà dove a farsi i cazzi loro o sono bloccati nel traffico, o che cazzo ne so, fatto sta che la piccola Martha -così ha detto di chiamarsi all'accettazione- per ora ha solo me ed il collega al mio fianco a cui affidarsi.
    Io e Bram frequentiamo il corso insieme in Accademia, e ci siamo trovati a fare tirocinio più o meno nello stesso momento al San Mungo. Non ci ho mai parlato più di tanto in aula, preferisco concentrarmi sulle lezioni e stare alla larga da quelli come lui. Quelli col cromosoma y, intendo.
    Però io sono cambiata rispetto a due anni fa, e il piccoletto sembra un bravo ragazzo con quel corpicino esile ed i tratti gentili. Credo di averlo visto girare ogni tanto in compagnia di quel labrador umano che è mio nipote, e secondo Eizen suo figlio si circonda solo di personcine per bene perchè altrimenti il suo cuore da giuggiolone non reggerebbe -l'ultima parte l'ho aggiunta io- quindi diciamo che mi fido.
    Non ho ancora capito se gli faccio paura o no, data la stazza e la resting bitch face, ma adesso potrò dargli dimostrazione di quanto io possa essere dolce, quando voglio. E con chi voglio.
    Avanti tesoro, siamo arrivati.
    Attraverso la porta della stanza che il collega sta tenendo gentilmente aperta, così da far accomodare la ragazzina a cui sono iniziate le contrazioni circa un'ora fa. Dall'accoglienza ci hanno chiamati entrambi per tenerla d'occhio, a quanto pare un po' d'infermieri sono occupati, altri in ferie e bla bla bla... E' un lavoro facile per due tirocinanti, no? Solo controllare una ragazzina pregna, niente di che.
    L'aiutiamo ad alzarsi per raggiungere il letto, io un braccio e Bram l'altro. Martha si lamenta del dolore con mugugni e brontolii e sembra un po' spaventata, ma il suo volto si rilassa un poco non appena poggia il capo sul morbido cuscino.
    Le carezzo la fronte un po' sudaticcia sorridendo dolcemente per rassicurarla mentre il piccoletto le controlla i parametri.
    Andrà tutto bene tesoro, ci siamo noi con te. Vado a prenderti dell'acqua e torno subito, va bene?
    Mi scosto da lei per poi rivolgermi a Bram con un tono diverso, un po' più duro ma non cattivo, quasi da colonnello. Mio padre ne andrebbe fiero.
    Dalle qualcosa per il dolore se ne ha bisogno, ma non esagerare. Hai la situazione sotto controllo, vero?
    Glielo chiedo più per me e la ragazza, che per lui. Ho notato un velo di nervosismo nel suo sguardo, come se sotto sotto si stesse cagando sotto dall'ansia, e non è quello che mi serve da lui in questo momento.
    Gli poggio una mano sulla spalla in una presa decisa ma delicata, quasi volessi infondergli un po' della mia forza. Un secondo dopo, sono fuori dalla porta.
     
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    Bram era una persona che accettava molte cose e si adattava a molte altre, ma c’era una cosa che proprio non gli andava giù, anche se non avrebbe mai avuto il coraggio di lamentarsene con qualcuno: sul suo nuovo cartellino del San Mungo, appeso al taschino della sua divisa, spiccava a caratteri cubitali il suo nome, cosa più che normale visto che tutti i tirocinanti e medici ne avevano uno, se non fosse che non era quello che aveva richiesto lui, bensì il suo nome completo, Abraham.
    Non poteva sopportare di essere ora chiamato in quel modo ovunque andasse - persino da chi ormai sapeva di doverlo chiamare unicamente Bram - e gli sembrava di avere almeno novant’anni in più addosso quando veniva appellato in quel modo.
    Eppure, sapeva già che se lo sarebbe tenuto perché mai avrebbe avuto il coraggio di andare da chi di dovere e metter su una storia inutile per un nome.
    Era incredibile come, nell’arco di una sola mattinata, avesse già sentito tutti i commenti di sorta e soprattutto non richiesti, tra cui i più popolari: “Abraham! Come Abraham Lincoln” e “Mio nonno si chiama Abraham. È così vecchio da aver combattuto sia nella prima che nella seconda guerra mondiale al fianco dei babbani”.
    Un supplizio che avrebbe volentieri evitato e da cui sperava di fuggire quando fu chiamato alla reception, sperando che magari qualche guaritore gli avrebbe permesso di assistere a qualcosa di più serio di un semplice giro di visite.
    Invece no. Si ritrovò con una ragazzina incinta ed in travaglio e Vanya, sua compagna di corso. Sul momento non seppe decidere quale delle due cose fosse la peggiore. Non che avesse qualcosa contro Vanya, non ci aveva nemmeno mai veramente parlato, ma lei era così alta e… così minacciosa.
    Con un sospiro mentale, Bram si preparò a quanto lo aspettava. Normalmente avrebbero dovuto semplicemente accompagnarla in camera e prepararla per l’imminente parto.
    Non era inusuale che certi compiti venissero rilegati ai tirocinanti e a dirla tutta quella era una passeggiata. Nel suo primo anno di tirocinio Bram si era dovuto occupare di cose ben peggiori - dal pulire quintali di vomito, sangue, pus e altri fluidi corporei al mettere mani dove nessuno avrebbe voluto metterle - per cui dare una stanza ad una ragazza in travaglio e aiutarla a mettersi a letto corrispondeva alla sua idea di paradiso in quel momento.
    Peccato che non si sarebbero limitati solamente a quello, ma anche al doverla tenere d’occhio e monitorarla fino all’arrivo di un’ostetrica. A quanto pareva in quel momento nessun altro era reperibile, causa mancanza di staff. E sì, la cosa lo stava rendendo abbastanza nervoso. Sperava solo che l’adolescente non sputasse fuori il bambino proprio sotto i suoi occhi perché non era uno spettacolo a cui avrebbe voluto assistere, altrimenti avrebbe scelto ostetricia come specializzazione.
    Questo non voleva di certo dire che fosse indifferente alla sofferenza della ragazza e alle sue espressioni di dolore, né al fatto che fosse lì completamente sola.
    Molto spesso Bram si ritrovava ad empatizzare troppo con i suoi pazienti e sapeva che era una cosa che avrebbe dovuto superare prima o poi.
    In quel momento il dispiacere che provava per lei, lo avrebbe portato ad essere particolarmente gentile e premuroso, ma il nervosismo lo tratteneva un pochino, rendendolo più rigido. Gli sembrava di avere a che fare con una bomba pronta a scoppiare da un momento all’altro.
    Avrebbe voluto essere più deciso, come la sua collega che non stava mostrando neanche un minimo segno d’ansia ed anzi, aveva preso in mano la situazione, quasi comandandolo a bacchetta.
    In un’altra situazione Bram se ne sarebbe risentito e avrebbe cercato di farle capire che erano sullo stesso livello, che avrebbero dovuto decidere insieme come agire, ma in quel momento era ben felice di lasciarle le redini in mano. Per cui rimase un pochino in disparte, mentre Vanya rassicurava Martha, la loro giovane paziente, e quasi saltò su con un sussulto nel sentire la collega che annunciava che sarebbe uscita a prendere dell’acqua.
    Per un brevissimo istante le rivolse uno sguardo carico di terrore e quasi provò l’impulso di dirle di non andare o di offrirsi volontario per andare a prendere lui stesso l’acqua.
    Ma quando Vanya lo sovrastò in tutta la sua altezza e gli chiese se avesse la situazione sotto controllo, Bram rispose di sì, istintivamente, senza esitazione.
    Il suo senso del dovere e il suo voler dare sempre il meglio, non solo nello studio ma anche nel tirocinio, erano troppo forti per permettergli di comportarsi da coniglio in quel momento.
    La professionalità veniva prima di tutto, persino prima della paura di vedere un bambino uscire da un corpo umano. E poi su, non sarebbe toccato a lui assistere al parto, erano lì solo per tenerla sotto controllo. La ragazzina era in travaglio solamente da un’ora e Bram aveva già notato che le contrazioni erano a cinque minuti di distanza l’una dall’altra. Era in fase dilatante, ma comunque aveva ancora una luuuunga strada davanti a sé prima di sputare fuori il piccolo.
    Rimasto solo con Martha, le si avvicinò con cautela, quasi si stesse avvicinando a della nitroglicerina, e dopo un secondo di smarrimento, tirò fuori la bacchetta per iniziare i vari controlli di routine.
    Controllò il battito del suo cuore e la pressione, comprensibilmente più alti della norma, ma comunque entro i limiti del normale.
    “Ok… umh… se ti tiri su la maglietta vediamo come se la passa il bambino”
    Era facile anche quello, un incantesimo gli avrebbe permesso di controllare le contrazioni, che sarebbero apparse su un ologramma magico sospeso su Martha, ed il battito del cuore del piccolo che ben presto riecheggiò tra le pareti della stanza.
    “Sta bene?!” domanda più che lecita.
    “Direi che sta alla grande” Bram le rivolse un sorriso rassicurante, a cui lei sembrò sul punto di rispondere con un altro sorriso, quando una nuova contrazione la colse, spingendola ad aggrapparsi al braccio del giovane Dubois con la forza di Hulk.
    Furono i sessanta secondi più lunghi della vita di Bram ed era pronto a scommettere che il suo braccio sarebbe apparso come fatto di cartapesta quando finalmente Martha si sarebbe decisa a lasciarlo andare.
    Fu in quel momento che Vanya fece il suo ritorno, per ritrovarsi davanti la scena di una ragazzina in preda al dolore e Bram prigioniero della sua presa, un po’ pallido in volto ed impacciato nel darle rassicurazioni.
    Una volta libero, incurante del braccio arrossato, Bram si avvicinò a Vanya e la trascinò in un angolo della stanza.
    “Ehi” si strofinò nervosamente le dita sulla fronte “È tutto a posto, ho controllato sia lei che il bambino, sembra tutto nella norma. Le contrazioni sono regolari, a circa cinque minuti l’una dall’altra, direi che è appena entrata nella fase dilatante. Quindi… ecco… arriverà sicuramente un’ostetrica in tempo, no? Perché… voglio dire, siamo solo due tirocinanti, mica possiamo farlo noi. Non è nemmeno la nostra specializzazione, cioè non è la mia. È la tua per caso?” lo chiese con tono speranzoso. “Ma sì, sì che manderanno qualcuno per tempo. Ti pare che ci lasciano da soli a fare una cosa che non abbiamo mai fatto”
    A quel punto sembrava parlare più a se stesso che a Vanya, quasi stesse cercando di rassicurarsi da solo.
    “Comunque… comunque c’è un’ultima cosa da controllare” si schiarì la voce con fare ancora più nervoso “La dilatazione. Ecco, mi chiedevo se lo faresti tu”
     
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    I miei passi riecheggiano lungo il corridoio tranquillo e semivuoto del quarto piano, in mano ho il bicchiere d'acqua con cui dissetare la piccola Martha in preda alle contrazioni, ma a differenza della calma che ho attorno nella mia testa iniziano a prendere vita scenari apocalittici.
    Tutta colpa di quel piccoletto e del terrore che gli ho letto negli occhi poco prima di andarmene... Ma io mi chiedo, in nome di tutto ciò che è sacro, perchè cazzo scegli di diventare medico se ti caghi addosso all'idea di rimanere solo con una ragazzina incinta sul punto di partorire?! Cristo, se mai dovrà assistere ad un'asportazione di organi interni cosa farà, oltre a ovviamente vomitare come un'ossesso e svenire?
    Le uniche cose che mi consolano sono la velocità con cui ha detto si dopo che gli ho chiesto se aveva tutto sotto controllo e la certezza che non oserà combinare casini per evitarsi la bocciatura e la mia eventuale furia omicida vendicativa. Ah, anche il fatto che dalla stanza non sento provenire urla agonizzanti e non vedo pozze di sangue fare capolino da sotto la porta, ma dettagli.
    E poi si ok, non ha l'espressione da totale idiota, questo glielo concedo, e credo che il suo nome fosse sempre in cima quando uscivano i risultati degli esami, segno che in qualche strano modo sa cosa sta facendo e dove mettere le mani. A meno che non sia uno di quelli bravi nella teoria perchè passano la vita con la testa ficcata nei libri e schifosi nella pratica... Succede eh, non gliene faccio una colpa ed io per prima non sono in grado di far tutto alla perfezione, ma dovrei perlomeno suggerirgli di lavorare sul levarsi quell'espressione da cane bastonato per darsi un tono, o finirà col farsi mettere i piedi in testa troppo spesso.
    Dovrebbe anche mangiare di più e mettere su massa muscolare o rischia un'ernia da qui a breve se prova a sollevare un paziente da solo con quegli stecchi che si ritrova al posto delle braccia.
    In sintesi: so già che mi toccherà portare molta pazienza, e ne ho la conferma nell'esatto istante in cui varco la soglia della stanza e vedo Martha che gli sta stritolando un braccio nel bel mezzo di una contrazione e lui la sta guardando come se avesse la morte nel cuore. Se credessi in Dio gli chiederei di darmi la forza per affrontare la nottata, ma essendo atea dovrò affidarmi solo a me stessa, quindi sospiro e vado avanti.
    Ecco tesoro, bevi.
    Le avvicino il bicchiere alle labbra quando il dolore cala e lei lascia andare lo stuzzicadenti arrossato di Bram. Con la coda dell'occhio noto i parametri sospesi sopra di lei e sorrido nel notare che vanno alla grande.
    Abbandono il bicchiere sul mobile accanto al letto un secondo prima che il collega mi trascini in un angolo per parlare... O meglio, per esibirsi in un monologo incentrato su nervosismo, panico e desiderio di essere altrove. Vorrei potergli tirare un ceffone per calmarlo e farlo tacere, ma mi limito a guardarlo con un sopracciglio alzato, simbolo della mia profonda disapprovazione per questa sua scenetta da matricola a cui hanno appena chiesto di pulire le chiappe di un vecchio.
    No, non è la mia specializzazione, ma lascio volentieri a te il reagirne come se fosse una tragedia.
    Lo punzecchio senza alcun segno di divertimento sul viso o nella voce, continuo a guardarlo con sguardo di pietra eccetto l'ormai onnipresente sopracciglio che, mio malgrado -e anche suo probabilmente- va ad innalzarsi nel momento in cui mi chiede di controllare la dilatazione al posto suo.
    Sul serio? Hai per caso paura che il mostro vagina ti stacchi le dita con le sue zanne?
    Faccio fatica a credere che un potenziale medico sia così pudico, davvero, non riesco ad immaginarmi nulla di così discordante nell'intera galassia conosciuta. Ecco, forse giusto un professore di Volo che soffre di vertigini sarebbe altrettanto assurdo.
    Potrei obbligarlo, costringerlo a ficcare la mano guantata là dove non batte il sole mentre gli suggerisco di farsi crescere un paio di testicoli, ma la verità è che non potrei sopportare di vederlo scoppiare a piangere e Martha ha bisogno di una persona seria che la controlli, e poi il modo in cui mi guarda il piccoletto è davvero quello di un cucciolo di foca che sta chiedendo al cacciatore di risparmiarlo da morte certa.
    Quindi, alla fine, dopo il secondo di quello che so diverrà una lunga sequela di sospiri, mi avvicino alla ragazza per prepararla al controllo. In cinque secondi sono dentro di lei e rimango un attimo interdetta quando sento che ha raggiunto quelli che mi sembrano cinque centimetri di dilatazione... Mi sembra troppo presto, è passato poco tempo, ma potrei benissimo sbagliarmi e non tutti i parti sono uguali. Prima o poi arriverà un'ostetrica e la farà partorire, non c'è alcun bisogno di preoccuparsi.
    Direi intorno ai cinque centimetri, non dovresti metterci moltissimo a sparar fuori il piccolo. Hai già scelto un nome, tesoro?
    Sorrido alla ragazza stesa con tutta la dolcezza di cui sono capace mentre mi sfilo il guanto e lo getto via, non prima di aver fulminato Bram con lo sguardo.
    Martha, tra un ansimo e l'altro, mi risponde di no, ma non sembra molto intenzionata a chiacchierare al momento e mentre lei si gode un secondo di pausa ne approfitto per chiederle scusa e spingere fuori dalla porta Bram, torreggiando poi su di lui a braccia incrociate e occhi affilati.
    Ascoltami bene, Abraham.
    Inizio con tono sicuro e appena appena stronzo, chiamandolo col nome appuntato sul cartellino, che deduco essere quello completo.
    A me serve un collega, non un nanerottolo spaventato, è chiaro? Rifai una sceneggiata del genere e giuro che ti tiro un ceffone, è nostro dovere rassicurare i pazienti, non innervosirli ancora di più. Se ti caghi addosso allora puoi pure andartene, oppure tira fuori il coraggio e vieni dentro ad aiutarmi con quell'adolescente sola che ha solo bisogno di compagnia e di qualcuno che le tenga la mano. E dammi pure della stronza acida se ti fa piacere, a me non frega un cazzo.
     
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    Bram decise di non ammettere ad alta voce che Vanya lo innervosiva - e lo innervosiva parecchio - con quel suo modo di fare particolarmente minaccioso ed infastidito.
    Aveva la sensazione che dirglielo avrebbe solamente peggiorato le cose, anche se una parte di lui sperava in un dialogo civile, per cui decise di tenerselo per sé e mandare giù la sensazione di disagio e frustrazione che gli procurava.
    Dopotutto non era nemmeno il momento giusto di cedere a tali sensazioni - così come non era il momento di cedere al panico - dal momento che erano in servizio e c’era una ragazzina in pieno travaglio di cui occuparsi. Per quanto avrebbe voluto scappare di lì e andare il più lontano possibile, la professionalità era ancora ciò che contava di più in assoluto per lui.
    “Io non… non sto reagendo come se fosse una tragedia” oh sì, altroché se lo era “Sono solo preoccupato”
    Quello gli era almeno concesso, no? Nessuno lo aveva mai preparato ad una cosa del genere e mostrare un po’ di nervosismo alla sua prima esperienza non gli sembrava un qualcosa da condannare. Non aveva mai battuto ciglio prima di allora, nemmeno davanti le ferite peggiori, e non vedeva niente di strano nell’avere una debolezza.
    Però riconosceva che avrebbe almeno dovuto lavorare sul proprio pudore, perché gli sarebbero capitate molte altre occasioni in cui avrebbe dovuto vedere un corpo nudo o le parti intime di qualcuno e non poteva permettersi di agitarsi per una cosa del genere.
    Ma di certo non avrebbe detto in quel momento, proprio a Vanya, che di vagine non ne aveva mai viste in vita sua, figurarsi toccarne una o infilarci le dita dentro.
    “Ma figurati!” ribatté invece “Ho pensato che magari preferirebbe che fosse una donna a farlo…”
    Rimase in disparte, mentre Vanya controllava la dilatazione. Abbastanza vicino alla ragazzina e abbastanza vicino da sapere subito cosa stesse accadendo, ma in un punto da cui non avrebbe potuto vedere tra le sue gambe nemmeno per sbaglio.
    I suoi occhi si spalancarono quando la sua collega annunciò a che punto stesse la dilatazione.
    “Cinque centimetri?” ripeté “Di già?”
    Stava quasi per aggiungere che non era possibile, che in base alle contrazioni non potesse essere già a quel punto, ma contraddire Vanya non gli sembrava la cosa migliore da fare, senza contare che era lei quella con le dita nelle parti intime della ragazzina e quindi lo sapeva meglio di lui quanto fosse dilatata.
    Di quel passo, comunque, il bambino sarebbe davvero potuto nascere più in fretta del previsto, ma Bram non lo dava per scontato. Sarebbero anche potute passare ore prima che la dilatazione arrivasse a termine.
    Nel dubbio, lui divenne forse più pallido di quanto fosse già.
    Inerme si lasciò spingere fuori dalla stanza da Vanya e quando se la ritrovò a torreggiare su di lui con fare minaccioso e con i suoi dieci centimetri in più, per qualche secondo si sentì sopraffatto dal suo atteggiamento e da quel sopracciglio alzato.
    Poi Vanya lo chiamò con il suo nome completo e la sua ansia si trasformò in frustrazione.
    Non poteva farsi mettere i piedi in testa in quel modo. Frequentavano lo stesso anno e facevano tirocinio dallo stesso tempo, avrebbero dovuto considerarsi dei pari ed invece lei si atteggiava in quel modo superiore e tutto questo perché Bram fino a quel punto aveva dimostrato solamente di avere paura.
    “È nostro dovere anche collaborare tra di noi senza minacce” la rimbeccò infastidito “Va bene se vuoi dirmi di tirare fuori le palle, va bene se vuoi qualcuno che collabori con te senza cagarsi addosso, ma direi che adesso quella che sta facendo una scenata sei tu. Ho tutto il diritto di essere preoccupato, sono un tirocinante - siamo tirocinanti - e non mi sono mai trovato in questa situazione e nessuno mi ha mai preparato ad affrontarla. Non c’è niente di male nello sperare che arrivi presto un guaritore perché se ci siamo solo tu ed io e qualcosa va storto è un casino”
    La sua voce era bassa, calma, anche sentiva i palmi delle mani sudati ed il suo cuore batteva un po’ più veloce della norma.
    A quel punto avrebbe voluto riavvolgere il tempo e lasciar perdere tutta quella filippica, dirle solo “sì, d’accordo” e tornare nella stanza. Ma ormai era in ballo e ad essere sinceri non ci si sentiva così male a tentare di farsi valere.
    “Se sei tanto sicura di te e delle tue capacità buon per te, ma sarebbe meglio che tenessi a mente che non ne sappiamo abbastanza. Di certo potremmo cavarcela con un parto che fila liscio e senza complicanze, ma se non fosse quello il caso… beh spero che la tua saccenza ci sia di aiuto. E no, non sprecherò fiato a dirti che sei una stronza acida, penso tu lo sappia già da te”
    Inspirò, ora un po’ intimorito all’idea di beccarsi davvero quel ceffone. Non tanto per il dolore, quanto per l’umiliazione che ne sarebbe conseguita.
    “Detto ciò, ti prometto che non esternerò più la mia preoccupazione lì dentro. Avrai tutto il mio appoggio e farò qualunque cosa debba essere fatta”
     
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    Dare schiaffi morali -e a volte pure fisici- al prossimo è un'attività che mi riesce oltremodo bene. Non ho peli sulla lingua e dico sempre ciò che penso, anche quando potrei finire col ferire una persona e magari farla persino piangere, trattenermi è impossibile.
    Quando però gli individui che mi trovo davanti sono dei cosetti fragili e con gli occhioni da cucciolo di foca spaventato come Bram, allora la situazione si complica. No, ovviamente non intendo dire che mi sento in colpa, ci mancherebbe... E' solo che impuntarmi sembra pure fin troppo facile, come sparare sulla croce rossa, e sento quasi la mancanza delle risposte piccate che potrebbero dare le stronze snob come Daphne Mikkelsen.
    Lo guardo dall'alto col mio sopracciglio inarcato e quasi mi aspetto che scoppi a piangere e mi chieda perdono in ginocchio o peggio, che se ne vada via lasciandomi sola con la ragazzina incinta ed il paio di palle che si è dimenticato di agganciarsi con cura stamattina.
    Se dovesse accadere allora mi sentirei esonerata dal chiedergli scusa o parlargli nuovamente in maniera civile durante il tirocinio e le lezioni, da ora in poi lui rimarrebbe per sempre la foca senza gonadi nella mia testa, ed io lo guarderei con disprezzo mentre sfila nei corridoi con la sua cappa da bimbo spaventato che vuole fare il supereroe ma ha troppa paura dei mostri sotto il letto.
    Invece, contro ogni previsione, il nanerottolo apre la bocca e ciò che ne esce mi sorprende. Soprattutto perchè non sta urlando come una pazza isterica a cui si è appena rotta un'unghia.
    Il sopracciglio s'inarca sempre più e sbatto un paio di volte le palpebre, ma non mollo l'espressione da stronza che mi contraddistingue. Ok, forse ho un po' esagerato a sgridarlo in quel modo perchè appunto siamo solo tirocinanti e ci sta che abbia un filo di ansia... Ma cristo santo, che ci lavori sopra se vuole continuare a fare questo lavoro, altrimenti nessun ospedale che si rispetti lo assumerà!
    E ovviamente sono sicura di me e delle mie capacità in campo medico, non c'è neanche bisogno di dirlo, però... Però la probabilità di far nascere da sola un bambino perchè siamo a corto di personale ed il mio collega ha scelto di fuggire devo dire che mi ha spaventata per una frazione di secondo, lo devo ammettere.
    E se il cordone è stretto attorno al collo ed io non sono capace di sfilarlo? E se la madre inizia a perdere troppo sangue? Tutte domande a cui c'è una risposta, ma che non ho mai avuto modo di mettere in pratica prima d'ora, figuriamoci in solitaria.
    Quindi si, mi tocca sentire questo coso che mi promette sarà in grado di darmi il suo appoggio senza impazzire, ed essergliene pure grata. Però non glielo dirò mai ad alta voce, fanculo.
    Oh, tu guarda... Allora le hai davvero le palle.
    Un angolo delle labbra si piega in un sorrisetto sarcastico e forse un po' crudele, ma me ne sbatto. Gli passo oltre e, prima di aprire la porta della stanza e rientrare, mi volto a guardarlo per rivolgergli uno sguardo un po' spazientito.
    Muovi il culo o no? Martha ci aspetta. Ah, e ringrazia il tuo dio che non ti abbia appeso al muro per i capelli, nanerottolo. Sei bravo nel nostro lavoro e mi servi vivo.
    Gli lancio un'occhiolino ed un secondo dopo sono dentro, la ragazzina sta avendo un'altra contrazione e qualcosa mi dice che sarà una lunga notte.

    E' passata quasi un'ora e di un'ostetrica nemmeno l'ombra. Ho controllato la dilatazione tra una chiacchiera e l'altra, e si sta allargando parecchio perchè a quanto pare il piccolo ha una voglia matta di nascere.
    Durante il lasso di tempo in cui abbiamo atteso Bram le ha fatto qualche domanda su cosa studia o le piace fare quando non è pregna, e devo dire che è bravo in queste cose e non siamo nemmeno poi così malaccio come squadra: lui distrae e io mi prendo cura di lei con gesti dolci come carezze o passarle l'acqua.
    Peccato però che a un certo punto non è più servito a niente e Martha è preoccupata, dolorante e desiderosa di abbracciare suo figlio.
    Su tesoro, andrà tutto bene. Se non arriverà qualcuno lo faremo nascere noi, te lo prometto.
    Fortunatamente il nanerottolo non è qui ad ascoltare o avrebbe già protestato a gran voce. L'ho mandato di volata a chiedere perchè cazzo non si è ancora presentato nessuno ed è via da troppi minuti, tanto che dopo un po' mi dico che forse è fuggito sul serio alla ricerca di lidi migliori e più tranquilli.
    Quando sbuca dalla porta però lo guardo con sollievo, che però si tramuta subito in fastidio quando mi rendo conto che insieme a lui non c'è un cazzo di nessuno. Dove merda sono finiti tutti?!
    Quindi? Cosa ti hanno detto? Perchè cazzo non viene nessuno?! Qui abbiamo un bambino che sta praticamente per nascere, non possiamo trattenerlo ancora a lungo, cazzo!
     
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    Per un attimo l’espressione di Vanya sembrò davvero quella di una persona pronta a tirare un ceffone, di quelli che ti facevano girare la testa di trecentosessanta gradi e ti facevano anche dimenticare il tuo nome, e Bram avrebbe tanto voluto fare un passo indietro e alzare le mani in segno di difesa, ma non osò muoversi per non fare la figura dell’idiota.
    Le aveva già dato abbastanza dimostrazioni di quanto il suo animo fosse debole senza che le facesse vedere anche di avere paura.
    Tanto, Vanya gliela poteva leggere negli occhi la preoccupazione davanti quello spaventoso sopracciglio sempre più alzato, al punto che si sarebbe aspettato di vederlo schizzare via dal suo volto.
    E poi, dopo un lungo silenzio, quello che accadde sorprese non poco Bram: nessuno schiaffo, nessun’altra minaccia, solo un sorrisino di scherno e parole poco amichevoli ma non offensive.
    Dentro di sé Bram ringraziò davvero che non avesse deciso di appenderlo al muro, perché Vanya aveva tutta l’aria di essere una persona in grado di farlo davvero. Dal momento che aveva messo abbastanza alla prova la propria sorte, decise di non lamentarsi per il ‘nanerottolo’ e di seguirla nella stanza. Dopotutto, a modo suo, Vanya gli aveva anche fatto un mezzo complimento.

    Bram fece come aveva promesso, per tutto il tempo mantenne l’espressione più neutra che poteva mostrare, ma dentro di sé combatteva contro il panico, la preoccupazione ed il senso del dovere che si faceva sentire più prepotente che mai. Nonostante il tentativo di mantenere la calma, si poteva notare benissimo la sua mascella contratta e il suo volto più pallido del solito.
    Il tempo tra una contrazione e l’altra era diminuito drasticamente e l'ultima volta che Vanya aveva controllato la dilatazione - cinque minuti prima - era arrivata a sette centimetri.
    Giunse alla conclusione di aver fatto male i conti, quando aveva inizialmente monitorato Martha credendola appena entrata nella fase dilatante, ma dopotutto ostetricia non era la sua specializzazione, per cui non si criticò troppo per quell’errore.
    Adesso, la sua unica preoccupazione era solamente una: il bambino stava per arrivare e non c’era nemmeno l’ombra di un guaritore che sapesse esattamente cosa fare.
    Quando Vanya gli disse di andare a controllare perché nessuno stesse arrivando, Bram non si fece pregare, notando che anche lei iniziava ora ad apparire particolarmente preoccupata. Ed era anche ora, si disse il giovane Dubois, mentre correva per raggiungere la reception il prima possibile.
    “Senti, tesoro, tra meno di un’ora qualcuno sarà da voi, ok?” l’infermiera dietro il bancone non sembrò particolarmente toccata quando Bram le spiegò la situazione e la sua calma frustrò il ragazzo. “Ti pare? Nessuno vi lascerà soli a fare una cosa del genere, questo è un ospedale serio. Sì, ho capito che è di sette centimetri, ma è il suo primo figlio, la strada è ancora lunga, credimi”
    Tornare a mani vuote fu una sconfitta, senza contare che aveva paura che Vanya potesse prendersela con lui.
    “Tutti gli ostetrici e le ostetriche di turno oggi sono occupati…” spiegò, persino più pallido di quanto non fosse prima “Alla reception mi hanno detto che qualcuno arriverà sicuramente in tempo” ma non ne era più così sicuro a quel punto. “È convinta che manchi ancora parecchio”
    Ma a giudicare dall’urlo di Martha e dal modo in cui si aggrappò a Vanya in quel momento, sembrava che dovesse sputare fuori il bambino da un momento all’altro.
    Passò quasi un’altra ora invece, ma nessuno si fece vivo e fu a quel punto che Bram si alzò in piedi, con nervosismo e andò a prendere dei guanti, lanciandone un paio a Vanya.
    “Va bene, senti, controlliamo e se è pronta lo facciamo nascere noi. Ho letto un sacco di cose sul parto, so più o meno cosa fare…”
    Ma leggere era ben diverso dal fare e Bram aveva il cuore in gola nell’avanzare quella soluzione e mettersi in gioco tanto apertamente. Ma cos’altro avrebbe potuto fare?
    Inspirò. “Vieni a darmi una mano?” non le avrebbe chiesto di controllare lei soltanto, questa volta, lo avrebbe fatto anche lui, ma l’idea di sbirciare da solo tra le gambe della povera Martha lo spaventava ancora troppo.
    Tuttavia, quando Vanya fece per muoversi, Martha si aggrappò a lei con ancora più forza ed il terrore nello sguardo.
    “Non lasciarmi! Restami vicino…”
    E Bram si disse che la ragazzina aveva più bisogno di supporto di quanto ne avesse lui. Con il panico nello sguardo, fece ciò che andava fatto e controllò a che punto fosse la dilatazione.
    “Umh… credo di aver sentito la testa…” lanciò un’occhiata a Vanya, prima di abbassare lo sguardo, in parte terrorizzato ed imbarazzato e in parte affascinato dallo spettacolo che gli si proponeva davanti gli occhi. “La vedo... “ aggiunse con un filo di voce. “Va bene, Martha, è ora di iniziare a spingere. Devi farlo quando senti la contrazione, non prima e non dopo. Durante la contrazione. Capito?”
     
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    Che si ficchi la sua convinzione nel culo, non è lei quella con una ragazzina incinta cazzo!
    Mantenere la calma in una situazione simile è difficile, ed io non sono famosa per avere molta pazienza, ma per quanto voglia urlare e correre dalla stronza in reception per sbatterle la testa sul piano di lavoro e poi obbligarla a chiamare qualcuno -anche da un altro stato, me ne frega un cazzo di nulla della provenienza dei medimaghi di merda- mi trattengo per il bene mio e di Martha perchè lei è già abbastanza agitata per conto suo ed io ho voglia di laurearmi.
    Il nanerottolo sta peggio di prima, il contrasto tra il colore scuro dei capelli ed il pallore del viso è più marcato e vorrei quasi misurargli la pressione perchè se dovesse svenire nell'istante in cui il bambino dovesse decidere di nascere allora si che la situazione diverrebbe tragicomica, soprattutto perchè rimarrebbe a terra mezzo morto fino alla fine del mio compito.
    Le contrazioni si fanno via via più forti e Martha mi stringe con talmente tanta potenza che credo di sentir scricchiolare un paio di giunture delle dita, ma trattengo il respiro e lancio un'imprecazione a bassa voce così che non possa sentirmi e provare vergogna o qualche altra stronzata simile... Merda, se fossi io quella con un melone che spinge per uscirmi dalla vagina probabilmente farei di peggio e forse è per questo che l'idea di diventare madre non mi ha mai sfiorata nemmeno per sbaglio.
    Lasciamo scorrere quest'altra ora di merda, ma ovviamente appare esattamente nessuno. Siamo soli, abbandonati a causa di un calo di personale nella giornata più sbagliata di tutte... Grandioso!
    Sono nervosa e preoccupata per lei, sta soffrendo troppo e mi da fastidio vederla così sudata e arrossata con gli occhi supplicanti. Fortunatamente la foca senza gonadi mi precede e, meraviglia delle meraviglie, tira fuori le palle e prende una decisione sensata. Lo guardo a metà tra la sorpresa ed il sollievo quando mi propone di far nascere noi il piccolo incidente di percorso, e non posso essere più d'accordo di così.
    Annuisco quando mi chiede di dargli una mano, ma non faccio in tempo a compiere mezzo passo che la ragazzina mi afferra terrorizzata ed io osservo prima la sua mano che stringe la mia e poi il viso pallido di Bram con preoccupazione, emozione che provo a spazzare via sostituendola con un po' di fiducia perchè cazzo se ne abbiamo bisogno.
    Possiamo farcela. Andrà tutto bene, il mostro vagina non ti mangerà.
    Gli faccio l'occhiolino per firmare questo vano tentativo d'incrinare appena la tensione che si respira in questa stanza, e ho come l'impressione che al principino non andrà a genio, ma me ne sbatto.
    Sono atea, ma se esiste un dio dei medimaghi allora ti prego, ti prego, fa che il mio collega non svenga perchè non ho le braccia così lunghe da arrivare alle gambe di Martha per tenerle il figlio. Mi accorgo che il nanerottolo ha scordato gli strumenti, ma almeno sta facendo un buon lavoro nel dare istruzioni alla ragazzina, così evito di puntualizzare quanto sia stato sciocco perchè ha già abbastanza peso sulle spalle.
    La contrazione arriva, e con essa la spinta e consequenziale urlo della sedicenne. Vorrei strillare anche io, ma gonfio solamente le guance e picchio il pavimento con un piede per esternare il dolore mentre in testa tiro giù ogni tipo di santo dal calendario.
    Avanti così, brava! Come sta andando lì? Dimmi che non ha il cordone ombelicale stretto attorno al collo perchè se ti sei scordato le forbici giuro che te lo faccio strappare coi deeeeeeeehhhhhh!!
    La frase alla fine si trasforma in un lamento da balena che va a morire sola su una spiaggia abbandonata perchè Martha ha ricominciato a spingere. Mai più reparto ostetricia, piuttosto pulisco sbocco di vecchi da qui all'eternità!
    Allungo il collo verso quello che sta succedendo davanti alla faccia di Bram ma vedo poco e nulla quindi mi toccherà fidarmi e continuare a dargli dello stronzo fortunato perchè non è lui quello con una frattura composta all'appendice.
    Infine, dopo svariati urli e imprecazioni, la bestia scivola fuori dal ventre materno ed io riesco a liberarmi dalla tagliola del cazzo che è sua madre, distrutta ma felice di vedere il suo sgorbio insanguinato tra le braccia della foca con ormai giusto un'accenno di gonadi.
    Dimmi che sta bene e che è valsa la pena di soffrire così tanto.
    Mi avvicino un po' arrancando al collega per controllare il vermicello nudo che, grazie dio dei medimaghi, sta emettendo vagiti.
    Ovviamente è un maschio, ti pareva... Quindi immagino vada all'aria ogni possibilità di chiamarlo Vanya.
    Sorrido scuotendo appena la testa fingendo di essere contrariata, ma in verità sono felice di vedere questa nuova piccola vita che sta appena iniziando a muoversi in questo mondo del cazzo che gli riserverà tanti calci in culo quanti piaceri. Appoggio una mano, quella sana, sulla spalla di Bram e la scuoto appena per far si che si volti verso di me e noti che nei suoi confronti non provo solo astio, perchè ok essere stronze e acide, ma so riconoscere i meriti altrui.
    Sei stato bravo, nanerottolo. E' valsa la pena non appenderti al muro per i capelli.
     
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    Se avesse potuto farlo, Bram sarebbe letteralmente scappato da quella stanza. Forse urlando.
    Non perché, come aveva tenuto a sottolineare Vanya, il mostro vagina lo avrebbe mangiato e lui lo temeva, ma perché il peso di tale responsabilità era così grande che due semplici tirocinanti non avrebbero dovuto portarlo sulle proprie spalle.
    Lui e Vanya non avevano le conoscenze e i mezzi per poter fare qualcosa nel caso il parto avesse preso una piega sbagliata, sarebbero stati completamente impotenti e qualunque cosa fosse andata storta sarebbe sicuramente ricaduta su di loro.
    L’idea di vedere la propria carriera andare a puttane per quel motivo faceva paura, ma faceva ancora più paura avere tra le mani la vita di una sedicenne e del suo bambino non ancora nato. Se fosse successo loro qualcosa non se lo sarebbe mai perdonato ed era certo che fosse lo stesso per Vanya.
    Lanciò un’occhiata appena spaventata alla collega intrappolata nella morsa della giovane Martha.
    Avrebbe voluto pregare la ragazzina di mollarla e lasciarla avvicinarsi per dargli un aiuto, ma Martha sembrava ancora più spaventata di quanto lo fosse lui stesso e non si sarebbe mai messo in ridicolo in quel modo.
    Certo, se la situazione si fosse fatta più complicata, richiedendo anche l’intervento di Vanya, ovviamente lo avrebbe detto, ma per il momento sembrava essere tutto sotto controllo… se non si considerava il fatto che Bram aveva solo letto tutte le indicazioni che stava dando alla ragazzina, senza mai metterle prima in pratica o assistervi di persona.
    “Credo… credo bene” rispose alla domanda della collega che sembrava star provando lei stessa un gran dolore - Martha doveva essere molto più forte di quel che sembrava o forse tutte le donne diventavano una sorta di Hulk al momento del parto - “Stai andando bene, Martha. Continua a spingere durante le contrazioni”
    E solo in seguito al commento di Vanya si rese conto che nella fretta e nell’ansia di fare qualcosa non aveva preso niente di quello che sarebbe potuto servirgli. Perfetto.
    “La testa è fuori. Niente cordone intorno al collo” rassicurò dunque la collega, tuttavia un po’ più pallido di quanto non fosse già ora che si doveva apprestare ad agguantare il neonato in uscita. Gli tremavano un po’ le mani, ma si impose di rimanere calmo e continuare il suo dovere. Solo che per un attimo fu tentato di chiedere a Vanya di scambiarsi i posti, avrebbe di gran lunga preferito farsi spappolare il braccio. Lo frenò solo la paura che il bambino potesse schizzare fuori durante lo scambio senza nessuno a prenderlo.
    “Un ultimo sforzo, ok? Mancano le spalle e poi tutto il resto sarà una passeggiata”
    O almeno credeva, da quel che gli era parso di capire le spalle erano l’ostacolo più grande, una volta passate quelle il corpo del neonato sarebbe dovuto scivolare fuori senza problemi.
    E comunque, per quanto fosse ormai abituato a vedere di tutto in quell’ospedale, era certo che avrebbe avuto gli incubi per almeno una settimana dopo aver visto un bambino uscire dal corpo di una ragazza.
    Infine, come aveva previsto, dopo qualche altra spinta il corpicino sgusciò fuori senza alcuna fatica e in un attimo Bram si ritrovò tra le mani un bimbo sporco, imbronciato, e già parecchio agitato. Mentre i primi vagiti riempivano la stanza, l’espressione del Dubois mutò da preoccupata e concentrata a meravigliata.
    Per un attimo non si mosse, non sapendo bene cosa fare con quel neonato urlante che teneva tra le mani ancora un po’ tremanti, e fu con una certa emozione che lo osservò.
    Fu il commento di Vanya a farlo sciogliere un po’, con una lieve risata.
    “Non c’è un corrispettivo maschile di Vanya?” chiese poi, alzando lo sguardo su di lei. “Passami un telo, per favore”
    Allungò la mano verso la collega per farsi passare il telo e usarlo per pulire sommariamente il neonato e passarlo poi alla neo mamma che non sembrava aspettare altro.
    “Non ti sentirai male dopo avermi fatto un complimento, vero?” punzecchiò poi Vanya “Comunque sai cosa? Ti lascio l’onore di tagliare il cordone e aspettare l’espulsione della placenta. Voglio dire, io ho afferrato il marmocchio urlante e non so quanto mi ci vorrà per riprendermi dalla cosa, ora tocca a te”
    Si allontanò di un passo dal letto, sperando non si notasse quanto ancora fosse rigido nei movimenti, seppur la tensione fosse diminuita di parecchio ormai. Sorrise innocentemente a Vanya, sperando che non decidesse di appenderlo in quel momento al muro, come aveva minacciato qualche ora prima, e sperando anche che captasse la richiesta di aiuto. Non era certo di potersi occupare anche di tutto il resto, gli sembrava di aver fatto abbastanza. Gli batteva ancora forte il cuore, ma forse era più per l’emozione che per tutta l’ansia che aveva provato.
    Per quanto fosse stato un po’ traumatizzante, era stata anche un’esperienza unica - e sicuramente irripetibile, visto che voleva tenerla tale -.
    “Forse dovremmo anche controllare che il piccolo stia bene, anche se a giudicare dai polmoni che si ritrova direi di sì”
     
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    So che per i russi è il diminutivo di Ivan, ma io sono svedese e quel coso è troppo piccolo per portarsi addosso un nome così imponente.
    Passo il telo al collega ed indico col mento la bestiola che tiene tra le braccia e pulisce con perizia, quasi non si direbbe che poche ore fa questo stesso ragazzo rinsecchito stesse per darsela a gambe all'idea di affrontare il mostro vagina, il che fa di lui la prova vivente che mettersi letteralmente di fronte ai propri incubi è la chiave per sconfiggerli.
    Dovrei scusarmi con Martha per aver dato a suo figlio del coso, ma la ragazzina è troppo distrutta e allo stesso tempo desiderosa di abbracciare suo figlio per prestarmi la minima attenzione, il che per me è perfetto. Sono carini insieme, e riesco persino a dimenticare il dolore provato alla mano dalla tagliola umana che è stata l'adolescente nei miei confronti quando lei gli lascia una piccola serie di baci sulla piccola fronte lucida.
    Il mio desiderio di creare una famiglia è minimo, per non dire quasi totalmente inesistente, e coi bambini piccoli ci so fare quanto un lupo messo a guardia di un gregge di pecore, ma chissà... Magari tra dieci o quindici anni, quando la mia carriera sarà avviata e avrò trovato la persona giusta con cui condividere la vita, potrei pure pensare di adottare qualche bestia già cresciuta e in grado di emettere versi di senso compiuto e a cui non servano pannolini.
    Comunque quest'esperienza mi ha fatto capire che ostetricia è definitivamente la specializzazione che eviterò per sempre e con tutta me stessa, e qualcosa mi dice che Bram la pensa come me.
    Mi scappa uno sbuffo divertito quando mi chiede se mi sentirò male dopo avergli fatto quel complimento, e l'istante dopo quasi mi pento di averglielo detto quando mi trovo ad alzare un sopracciglio di fronte alla sua richiesta di aspettare la fuoriuscita della placenta... Però è stato davvero bravo, mio malgrado, e si merita una piccola pausa.
    Dopo mi offrirai un caffè.
    Intimo con tono che non ammette scuse mentre mi piazzo davanti alle gambe aperte di Martha ed inizio a mettermi all'opera.
    Mi servono un bagno caldo e un'aspirina, altro che caffè cazzo... E un gigantesco hamburger per recuperare le forze che ho perso, sempre che riesca a reggerlo con la mano monca, forse dovrei farla controllare al collega ed in caso trattenere gli improperi in caso di microfratture.
    Cazzo, dovresti dargli il nome di qualche tenore, senti che fiato.
    Abraham.
    La voce di Martha risuona sopra il pianto del piccolo, che viene interrotto quando lei se lo porta al seno ed in quel momento torna un po' di pace.
    Si chiamerà Abraham.
    Sorride voltandosi verso la foca senza gonadi, ed io sono un misto d'incredulità, allegria e sarcasmo mentre alzo gli occhi sul collega e lo fisso divertita ma col perenne sopracciglio alzato.
    Ma tu guarda... Stronzo fortunato.
     
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