Not ready to say goodbye

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    Assicuratevi di avere le mani pulite, prima di toccare il cuore di una persona.

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    Venus McDolan • 35 y. o. • Guaritore • PC
    L’autunno a Londra era sempre dolce. La temperatura delle giornate piacevole e la loro durata accettabile. Erano finiti giorni lunghi eterni, caldi, afosi e soleggiati. Avere un lavoro part time mi permetteva di poter godere dei pomeriggi occupandomi tranquillamente delle mie faccende. Non c’era mai modo di annoiarsi in casa Brown. Alla mia famiglia si potevano imputare moltissime cose ma non la noia.
    Eravamo in tanti una volta a sedere alla stessa tavola. Ora raramente c’eravamo tutti. Chi all’Accademia, chi ad Hogwarts e chi alle scuole primarie o all’asilo non era facile nemmeno allora trovarci tutti riuniti. Ora era peggio di prima. Ai figli si erano aggiungi i compagni, le compagne e poi i nipoti.
    La nostra tavola era sempre apparecchiata, chi veniva e chi andava, chi rimaneva a dormire e chi tornava a casa dopo un spuntino o un breve saluto.
    Ad Elsie, la mia Elfa, si era aggiunto il suo compagno. Ludo. L’elfo dei miei compianti genitori. In due riuscivano a tenere in modesto ordine la casa e nutrire le greggi di pecorelle che venivano a brucare a casa di mamma e papà.
    Negli anni avevamo ampliato la casa al 19 di Dulwich Road. La pianta dell’albicocco era cresciuta a dismisura e nelle giornate estive offriva riparo ed ombra al centro del grande giardino in cui c’erano, sparsi in perfetto disordine, altalene, uno scivolo e giochi vari sparsi un ovunque compreso un delfino a grandezza naturale.
    Era stato il regalo che avevo fatto ad Alice per il suo terzo compleanno ed ancora resisteva.
    Il salotto ora comprendeva due divani e quattro poltrone. Gli scaffali si erano arricchiti di molti libri compresi quelli di scuola dei ragazzi. Per carenza di spazio molti erano finiti anche nello studio di Walter.
    Ovunque c’erano oggetti. Per gli estranei si trattava di cianfrusaglie, per noi erano ricordi. Souvenir di viaggi, oggetti appartenuti ai bambini che avevano un significato particolare, doni di persone care che amavamo conservare. Ritratti di famiglia e quadretti con le immagini in movimento dei nostri figli erano appesi alle pareti e sulla mensola del camino. Non mancavano mai i fiori freschi, a seconda delle stagioni l’aroma delle fresie, dei tulipani o delle rose aleggiava delicato nella stanza dall’aspetto vissuto.
    Anche la cucina era stata rinnovata. Ampia e luminosa era il regno degli Elfi. O così credevano. Mi guardavano male quando entravo pretendendo di cucinare i pasti per Wakter o per qualcuno dei miei ragazzi. A me piaceva, lo facevo con amore.
    Al piano superiore avevamo trovato lo spazio per due bagni. Uno era stato creato nella nostra camera, unica stanza a non aver subito modifiche. Le altre avevano cambiato la tintura delle pareti più e più volte a seconda degli occupanti. Avevano ospitato culle, lettini a castello poi altri ad una piazza e ora c’era una stanza con un letto matrimoniale a disposizione delle coppie.
    Solo Claire si era sposata, aveva due bambini adorabili e terribili che somigliavano in modo impressionante alla madre, anche nel carattere. Jan aveva una compagna, una ragazza a mio avviso freddina ma molto bella e molto giovane dal quale aveva avuto un figlio, un maschietto. Alexander cambiava partner con la stessa frequenza con cui si cambiava le mutande. Alice era il genio di casa, aveva seguito le orme del padre diventando una eccellente Pozionista. Spesso discuteva con Walter accusandolo di essere ‘vintage, e di non rimanere aggiornato sull’evolversi della materia. Dal canto suo mio marito ribatteva che i giovani peccano di superbia e mancano d’esperienza. Alice era diventata mamma da poco ma non aveva un compagno.
    Howard, il ‘piccolo’ aveva quasi trent’anni era alto quanto suo padre. Aveva scelto la professione di Guardiacaccia. Dopo diversi tirocini fatti all’estero negli ambienti e con le creature più disparate era stato assunto ad Howarts.
    Eravamo orgogliosi dei nostri figli. Ci avevano dato filo da torcere, parecchio. Avevamo passato notti insonni attaccati al cellulare, soprattutto io, chiedendoci dov’erano e con chi erano. Walter era furbo, lo era sempre stato. Mi metteva la pulce nell’orecchio chiedendomi loro notizie lasciando a me il compito di madre rompi che chiamava a tutte le ore della notte.
    Non sempre si respirava un’aria serena nella nostra casa. I problemi non mancavano mai. Spesso si risolvevano con accese discussioni, altre con tanta pazienza e tanta indulgenza. Nel corso degli anni ne avevamo superato davvero tanti. I nostri personali prima e poi quelli dei ragazzi che, crescendo, ne avevano creati parecchi. Jan aveva superato un periodo difficile lasciandosi coinvolgere da compagnie inquietanti, aveva fatto uso di sostanze illegali ed abusato di alcol. Rimanergli accanto nei momenti bui non era stato facile, accompagnarlo durante il percorso della disintossicazione che era stato lungo era stato frustrante.
    Il più delicato e fragile dei nostri ragazzi si era ripreso e pareva intenzionato a seguire la carriera di mia sorella. Aveva frequentato l’Accademia seguendo il corso per diventare Avvomago ed ora lavorava nello studio della zia.
    Non capitava spesso ma c’erano giornate in cui nessuno veniva a farci visita. Walter ne approfittava per dedicarsi al lavoro rinchiudendosi nel suo studio dove rimaneva a volte a che fino a notte fonda. Le pozioni erano, da sempre, la sua passione e dedicava allo studio molte delle sue energie.
    Il crepuscolo era ormai imminente, l’ombra dell’albicocco si stava allungando e l’ovest si stava colorando di un bel colore arancione acceso. Alzandomi dalla sedia a sdraio del giardino dove ero solita riposare prima di cena rientrai in casa chiudendomi alle spalle la portafinestra.
    Elsie mi venne incontro, curva e grinzosa, malferma sulle gambette sottili.
    Il padrone ha chiesto della padrona. E’ nello studio.
    Guardai interrogativa la piccola creatura che alzò le spalle facendomi chiaramente capire che non aveva idea di cosa Walter potesse volere.
    Mi stavo dirigendo verso la cucina, svoltai per raggiungere la porta dello studio di Walter, picchiando piano con le nocche alla porta abbassai la maniglia. Socchiudendo l'uscio allungai il collo cercando la figura del uomo che trovai ad attendermi. Guardandolo gli sorrisi. Nonostante gli anni e gli acciacchi ai miei occhi era rimasto lo stesso 'ragazzo' che avevo incontrato tanti, tanti anni prima a Notturn Alley.
    Mi cercavi?





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    Quante ne avevamo passate io e Venus. La vita non ci aveva risparmiato niente. Avevamo visto e vissuto la morte, delusioni, paure, separazioni, dolori e dispiaceri.
    Ma ci aveva anche donato tanto. La vita stessa, rendendoci genitori per ben cinque volte. Speranze, ritorni, emozioni travolgenti, un amore appassionato ed incondizionato.
    Mi sentivo un uomo fortunato aldilà di tutto. Dopo quello che avevo patito in gioventù, avevo infine trovato la mia isola felice, al fianco della donna di cui continuavo a sentirmi innamorato nonostante il trascorrere inesorabile del tempo. Ero grato per ciò che avevo, sebbene il fato non smettesse mai di metterci alla prova. Ora sembrava proprio volesse farci affrontare un altro grosso ostacolo. Probabilmente l'ultimo.
    Era un paio di mesi che accusavo molto di più la stanchezza. Proprio io, che mi ero rifiutato di ridurre l'orario di lavoro passando spesso giornate intere in ospedale e quando tornavo a casa non mi risparmiavo di giocare ore con i miei nipoti se questi erano in visita, oppure tolto il camice da Guaritore mi mettevo a studiare vecchi tomi di pozionistica, sperimentando di tanto in tanto nuovi intrugli.
    Faticavo la mattina ad alzarmi dal letto, nei giorni liberi invece di svegliarmi di buon ora come abitudine mia e di Venus, preferivo continuare a sonnecchiare.
    Spesso mi mancava il respiro. Bastava un leggero sforzo in più a costringermi a rallentare o fermarmi per riprendere fiato.
    Inoltre fastidiosi colpi di tosse mi provocavano dolorose fitte all'altezza del petto.
    Non ci avevo badato più di tanto, come sempre facevo quando mi ammalavo. Pensai ad una semplice influenza dovuta al cambio di stagione o, ancora più banalmente, al corpo oramai invecchiato che mi chiedeva di seguire ritmi più lenti, rilassati.
    Avevo ignorato anche i suggerimenti di Venus e delle mie figlie di farmi dare un'occhiata una volta per tutte, minimizzando distoglievo sempre l'attenzione da me e cambiavo argomento.
    Presi in considerazione il pensiero di dover effettivamente capire cosa avessi per trovare la cura adeguata da assumere, solo dal momento in cui cominciai a non sentire abbastanza fiato per stare dietro ai miei nipoti al parco. Non volevo rinunciare a loro. Non potevo permettere che una stupida influenza mi mettesse ko in quel modo.
    Perciò, senza avvertire nessuno, cominciai a fare i controlli di routine a cui non mi sottoponevo da anni. Non avevo detto nulla nemmeno a Venus, per non farla preoccupare, perché se ero arrivato al punto di farmi visitare significava davvero non stessi affatto bene.
    Ed alla fine era bastato poco, veramente poco, per capire che quello non era un banale malanno di stagione.
    La terra mi era mancata sotto i piedi. Ero rimasto agghiacciato ed il mio pensiero era corso subito alla mia famiglia. A Venus.

    Era già passato qualche giorno da quando avevo fatto l'amara scoperta. Mi ero trattenuto in ospedale, senza tornare a pranzo pur sapendo ci fosse Jan con famiglia in visita, con la scusa di dovermi occupare di un paio di casi urgenti. In realtà, avevo cercato altri pareri. Avevo indagato sulla possibilità di tentare delle cure. Avevo cercato invano di trovare anche solo una piccola misera speranza da poter dare ai miei cari, insieme alla brutta notizia.
    Era ormai quasi sera, da quando ero tornato a casa mi ero rinchiuso nello studio, cercando tempo e modo per affrontare Venus. Non potevo più aspettare a dirglielo. Da quando eravamo tornati insieme, ben quasi trent'anni prima, non le avevo mai omesso niente. Niente.
    Qualsiasi dubbio, incertezza, timore o scoperta veniva condivisa immediatamente con lei. Per tal motivo in quegli ultimi giorni ero stato più taciturno, chiuso, l'avevo quasi evitata. Avevo come timore che solo guardandomi negli occhi avesse potuto capire tutto.
    Il momento di temporeggiare era finito.
    Dondolai tra pollice ed indice il campanellino, facendolo tintinnare. Prima ancora di riappoggiarlo sul tavolo, l'Elfa Elsie si era smaterializzata di fronte alla scrivania dove ero seduto.

    "Elsie, vai a chiamare Venus, per favore."

    La Creatura fece un mezzo inchino referenziale prima di sparire di nuovo. Con il tempo avevamo imparato a rispettarci a vicenda. Io oramai la vedevo come un membro della nostra numerosa famiglia. Lei mi aveva riconosciuto come il suo 'buon padrone', come spesso mi definiva.
    Sfilai gli occhiali dei quali ero costretto a fare uso da qualche anno ormai, quando dovevo leggere o consultare dei documenti. Strinsi un'asticella in pugno, mentre pensieroso, fissavo la foto incorniciata, vicino al portapenne, dove io e Venus, molto più giovani, eravamo circondati dai nostri figli. Ricordavo ancora quel giorno. Avevamo improvvisato una gita sotto insistenza dei ragazzi, un pic nic fuori città. Venus aveva tra le braccia un William ancora in fasce, tra le mie gambe era seduta Alice treenne, in mezzo Alexander che mostrava orgoglioso il suo primo buchino tra i denti e da un lato e l'altro Claire e Jan, già belli grandicelli. Erano trascorsi trent'anni da allora.
    Alzai gli occhi sulla porta dello studio, sentendo la voce di Venus.
    Alzandomi in piedi, presi tra le mani un paio lastre, le mie, che stavo esaminando.

    "Sì, vieni, vorrei mostrarti una cosa."

    Aggirando la scrivania le feci cenno di sedersi sulla poltroncina di fronte, proprio quella che avevo occupato io stesso poco prima per ore, osservando la mia sentenza raffigurata su un paio di pezzi di plastica.
    Non indugiai, non avrebbe avuto senso e Venus doveva sapere.
    Spensi la luce dello studio, feci illuminare una parte di parete adibita allo scopo, e dopo aver posizionato le lastre su di essa, andai alle spalle della donna, poggiando le mani sullo schienale della poltroncina.

    "Che diagnosi daresti a questo paziente?"

    Sapevo non avrebbe avuto difficoltà a rispondere. Era talmente evidente da essere quasi inquietante. Le pareti esterne dei polmoni erano state in parte intaccate da macchie scure di varie forme e dimensioni. Era questione di mesi, forse un anno prima che si infiltrassero andando a colpire anche gli organi vicini.
    Le poche volte che mi era capitato un caso simile era perché lo sventurato o sventurata era stata vittima di attacchi di magia nera.
    Non credevo che le ripercussioni avrebbero potuto presentarsi anche a distanza di tanti anni. Mi ero illuso che la prigionia sotto gli Oscuri fosse un incubo oramai molto lontano, che non avrebbe più influenzato la mia vita attuale. Purtroppo non era così.
    Ascoltai la risposta professionale, dettagliata e precisa di Venus senza battere ciglio. Quella era forse la decima volta che l'ascoltavo, da una voce ancora diversa.
    Ero sicuro però lei non sarebbe stata tanto distaccata se avesse saputo di star osservando i polmoni, prossimi al collasso, del proprio compagno di vita.
    Andai a riaccendere la luce, l'ombra di un sorriso sulle labbra.

    "Non perdi un colpo, tesoro mio."

    Le tornai davanti, presi le due lastre e mi accomodai proprio di fronte a lei. Sul mio viso non avrebbe letto niente di diverso dal sincero, profondo sentimento di devozione nei suoi confronti.
    Mi ero ripromesso di non mostrarmi spaventato, triste o disperato. Dopo il primo momento di sconvolgimento avevo accettato la mia sorte. D'altronde avevo da sempre considerato la mia vita di minor importanza e valore rispetto a quella di chi amavo.
    Le allungai le lastre affinché le prendesse, il suo sguardo era confuso, non capiva ovviamente il perché le avessi chiesto un parere sull'evidenza. La osservai abbassare gli occhi sulle immagini, poi lentamente, quasi per caso, alzarli sul bordo superiore dove avrebbe trovato trascritto il nome del paziente, proprio dell'uomo seduto di fronte a lei.

    "Penso sia arrivato il momento di farci quella vacanza che rimandiamo… Da quanto? Vent'anni?"

    Le avrei lasciato il tempo di collegare, di metabolizzare e comprendere.

    Nell'attimo in cui fosse tornata a guardarmi, mi avrebbe visto proteso con il busto verso di lei, all'apparenza tranquillo, sereno, in pace con me stesso, come se veramente l'avessi chiamata per questo, per organizzarci la famosa vacanza che ogni tanto usciva dai nostri discorsi e riguardo la quale oramai ci eravamo rassegnati a scherzarci sopra.
    Quell'anno, forse, che mi restava sarebbe servito alla mia famiglia per accettare nel modo meno traumatico possibile il fatto ed a me per godermi quanto più tempo possibile con loro.
     
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    Non esitai un attimo ad entrare nello studio. Richiudendomi la porta alle spalle mi avvicinai a Water osservando ciò che aveva fra le mani.
    Comprendendo fossero lastre mi avvicinai per visionarle. Essendo entrambi Guaritori capitava, a volte, di scambiarci e chiederci pareri su qualche caso particolarmente interessante o complicato.
    Di chi si tratta? Non di un bambino spero.
    Dopo anni di carriera ancora non mi ero abituata o rassegnata a formulare diagnosi infauste per piccoli pazienti. Mi struggevo solo all’idea.
    Avevamo cinque figli ed avevamo avuto la fortuna di vederli cresce sani. Avevano avuto problemi naturalmente, Jan con le sostanze, Alexander prima con le tonsille e poi con una forma persistente e perniciosa di una infezione che si era procurato a dodici anni tentando di emulare il padre nel preparare pozioni. Alice si era rotta due volte un braccio, William era finito all’infermeria della scuola almeno dieci volte con bernoccoli e tagli vari. Non erano mancate le malattie tipiche dell’infanzia, le influenze e le indigestioni. Tanta roba se moltiplicata per cinque ma comunque tutti problemoni o problemini che avevano avuto rimedio con cure adeguate, tanta pazienza e tanto amore.
    Mi misi a sedere e osservai le lastre. La diagnostica per immagini mi aveva, da sempre, dato uno strano senso di inquietudine. Ogni malattia, per definizione, era brutta. Quelle che non presentavano sintomatologia visibile ad occhio nudo generalmente erano le più ostiche da individuare e da curare.
    I miei occhi si fecero attenti sul focalizzare il problema. Si trattava dei polmoni di una persona adulta e mi chiesi come mai Walter chiedesse il mio parere circa un caso tanto grave quanto lampante da diagnosticare. Le macchie scure che li avevano intaccati non lasciavano ombra di dubbio circa la loro natura e, purtroppo, nemmeno circa l’impossibilità di curarli. Il danno era stato causato chiaramente da magia oscura e non c’erano antidoti o terapie in grado di rimediare.
    Espressi il mio parere alla termine del quale emisi un triste sospiro di tristezza. Scuotendo il capo dovetti fare i conti, come mi era già successo molte volte nell’arco della mia carriera, con la frustrazione. Non poter far nulla di concretamente utile per i pazienti era la parte peggiore della professione di Guaritore.
    <non perdi un colpo, tesoro mio>
    Purtroppo le lastre parlano fin troppo chiaro. Sarà un duro colpo dover comunicare il verdetto.
    Di questo si trattava, di un verdetto più che di una diagnosi.
    A quel punto mi attendevo che Walter riponesse il tutto dato che eravamo concordi anche se continuavo a chiedermi per quale motivo avesse voluto avere il mio parere per un caso che non dava adito ad incertezze.
    Mi sarei alzata per precederlo all’uscita se non lo avessi visto sedersi a fianco a me. Girandomi verso di lui vidi con quanto amore mi guardava. La sensazione che mi trasmetteva era così intensa che mi arrivò come un’ondata calda, avvolgente. I tratti del suo viso parevano sereni, sembrava volesse rassicurarmi anche se non ne intuivo la ragione.
    Gli sorrisi col cuore. Mentre le mie labbra parevano, stranamente, non voler collaborare nel manifestare quel provavo. I sensi, per un motivo che non capivo o che non mi rifiutavo di prendere in considerazione, istintivamente si misero all’erta. L’ormai ben nota attitudine a dare ascolto all’istinto mi fece raddrizzare il busto mentre le mie mani prendevano dalle sue le lastre che mi porgeva.
    Feci molta fatica a staccare gli occhi dai suoi per abbassarli sui fogli plastificati. Avrei voluto non farlo e non capivo il perché di quanto mi stesse costando. Avevo avuto l’immensa fortuna di avere la certezza dei suoi sentimenti. Un privilegio, immeritato, del quale godevo da oltre trent’anni e che ancora mi lasciava stupita e grata. Avevo amato ed amavo il mio compagno ora come allora, forse di più ammesso che fosse possibile. Insieme ai nostri figli era la mia vita. Insieme a lui i miei sogni, i miei desideri erano diventati realtà.
    Compresi fin troppo presto la ragione della mia ritrosia e della mia confusione. L’occhio professionale cadde sul punto in cui i tecnici radiologi erano soliti inserire il nome del paziente e in quel momento compresi che mai niente sarebbe più stato come un’attimo prima.
    Un maglio appuntito ed infuocato venne a colpire il mio cuore che prese a sanguinare e a bruciare. Purtroppo riuscivo a capire fin troppo bene ma non riuscivo a razionalizzare. Rifiutavo a priori anche il solo pensiero, non ero nemmeno in grado di concepirlo. Dal punto più profondo della mia anima oltre alla certezza di ciò mostravano le lastre sentivo nascerne altre. Non le repressi ma feci l’impossibile per nasconderle.
    Gli occhi mi si colmarono di lacrime silenziose. Sentivo le iridi bruciare sotto le palpebre abbassate. Tremolavano sul bordo inferiore silenti, infide, difficili da reprimere . Non potevo permetter loro che scendessero a bagnarmi le guance, non volevo, non era il momento di piangere e men che meno era il momento di arrendersi.
    Se per un qualsiasi paziente quelle lastre significavano una condanna ….no, per Walter non era possibile. Io dovevo, io volevo fare qualcosa per lui. Doveva permettermelo. Dovevo provare il tutto per tutto. Anche l’impossibile.
    Deglutendo il sapore salato del pianto represso sollevai le palpebre. Il suo viso continuava ad apparire sereno ma ora che sapevo comprendevo anche il perché. Il suo gesto d’amore era quanto di più toccante e sconvolgente avesse mai percepito il mio cuore.
    Tenendo strette le lastre gli sorrisi.
    Certo tesoro, faremo la nostra vacanza. Ne faremo ancora tante, una per ogni anno che ci rimane da vivere e saranno ancora tanti. Ti darò uno dei miei polmoni, entrambi se necessario. Troveremo chi è in grado di eseguire l’intervento, il migliore. Dovessimo andare fino in Cina lo troveremo.
    Avrei dato la mia vita per lui e lo avrei fatto senza aver bisogno di pensarci. Privarmi di un polmone mi pareva davvero ben poca cosa. Non mi sarei arresa tanto facilmente davanti una stupida diagnosi anche se ero certa che Walter, prima del finto consulto che mi aveva richiesto e che aveva usato come pretesto per mettermi al corrente di quella…di quel…non riuscivo nemmeno a dargli un nome, avesse chiesto pareri molto più autorevoli del mio. Lo rifiutavo a priori e a prescindere. Mi stavo comportando molto più come compagna, come donna profondamente e totalmente innamorata del suo uomo che come Guaritrice. Forse lo comprendevo ma era più forte di me rifiutare il pensiero di continuare a vive in un mondo dove lui non c'era.
    Prendendo le sue mani fra le mie riuscii a sorridergli di nuovo. Non era lui a dover dare coraggio a me. Ero io a dovergli suscitare speranza, coraggio e voglia di lottare contro un destino che pareva segnato. Diverse volte il fato aveva provato a separarci. Non ci era mai riuscito e non ci sarebbe riuscito nemmeno il quella occasione. Comunque fosse andata eravamo uniti, nel bene e nel male, in salute e malattia e uniti saremmo rimasti.



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    Notando i suoi occhi accendersi di comprensione ed inumidirsi di lacrime, mi ero aspettato di dover accogliere una reazione disperata.
    Non avevo idea di come mi sarei comportato io al suo posto. Magari avrei dato di matto, sarei impazzito e sarei corso a consultare i miei tomi alla ricerca di una cura immediata. O forse il mio cuore non avrebbe nemmeno retto all'idea, sarei stato colto di infarto accasciandomi ai suoi piedi.
    Venus non fece niente di tutto questo. Lei mi sorrise, le sue parole non contemplarono nemmeno la possibilità di doverci dire addio a breve, per sempre.
    Negazione. Certo, avrei dovuto aspettarmelo.
    Quante volte dando responsi negativi ai miei pazienti li avevo sentiti controbattere le mie diagnosi, spesso dando a me del ciarlatano o di Medimago buono a nulla. Quante volte avevo visto i loro cari insistere affinché venissero somministrate cure palliative, credendo ciecamente, fino all'ultimo, potessero funzionare.
    Faceva parte del processo di accettazione. Aveva appena ricevuto la mazzata. Doveva prendersi tutto il tempo necessario per realizzare, comprendere, assorbire la notizia.
    Abbassai lo sguardo, stringendo le labbra. Avrei tanto desiderato poter condividere la sua determinazione. Assicurarle avremmo trovato una soluzione, saremmo riusciti a superare anche questa, insieme. Ma non potevo illuderla. Potevo semplicemente restarle a fianco, accompagnarla a metabolizzare il colpo, trasmetterle quanta più serenità e pace possibile.
    Non sarebbe stato facile, per nessuno dei due. Era proprio durante le difficoltà che ci stringevamo l'un l'altra, dandoci forza.
    Cingendo le sue mani tra le mie, alzai gli occhi, immergendoli nei suoi, devoti, caldi e rassicuranti. Ricambiai il sorriso, celando il disagio nel non poterla assecondare nelle sue certezze.
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    "In Cina eh? Potrebbe essere un viaggio interessante…"

    Premetti le labbra sulle dita della mia donna, segnate dal tempo ma molto più curate delle mie che risultavano invece ruvide, alcune mancanti, altre marchiate di piccole cicatrici e segni ottenuti durante il maneggiamento degli ingredienti delle pozioni o gentile ricordo, anch'esse, da parte degli Oscuri.
    Restai in quella posizione per qualche minuto, non riuscendo a fare a meno di chiedermi quante altre possibilità di baciarla, accarezzarla e stringerla mi fossero rimaste prima di non avere più le forze nemmeno di parlare o muovermi dal letto che avrebbe accolto il mio ultimo sonno.
    Qualche giorno prima avrei dato per scontato di avere almeno altri trent'anni se non di più davanti a me. Mia madre aveva centocinque anni, aveva da poco sepolto mio padre di dieci anni più anziano di lei e, nonostante i normali acciacchi, aveva ancora fiato e vigore per farmi le sue ramanzine.
    Un colpo di tosse prontamente soffocato contro la mia spalla mi riscosse dai pensieri, costringendomi a strizzare gli occhi a causa della dolorosa vibrazione al petto.
    Un anno. Ora mi trovavo a sperare, con tutto il cuore, mi fosse concesso almeno un anno.
    Rimettendomi in piedi invitai Venus a fare lo stesso, sul mio viso non avrebbe più colto alcuna smorfia di dolore prontamente sepolta dietro un'espressione rilassata.
    Lasciai le sue mani andando verso il giradischi appartenuto a mio padre, spostai il braccio sul disco già posizionato. La musica dalle note dolci, giunse alle nostre orecchie riempiendo lo studio. Sapevo non avrebbe avuto difficoltà a riconoscerla. Era la nostra canzone. Quella che le avevo dedicato durante il primo ballo al nostro matrimonio quasi trent'anni fa.



    Tornai da lei, una mano sul suo fianco coperto da una morbida camicia di lino, l'altra a cercare la sua e l'accompagnai in una danza lenta, a ritmo della melodia che tante volte eravamo tornati ad ascoltare negli anni e le cui parole avevo da sempre trovato molto appropriate nel descrivere il mio amore per lei.
    Abbassai il capo, lasciando un bacio delicato sulle sue labbra.

    "Andiamo a cena fuori stasera, piccola? Dove vuoi tu, non badiamo a spese."

    Quante volte mi ero promesso di cercare di ritagliarci più tempo insieme. Per una cena, un viaggio o semplicemente una passeggiata. Troppo spesso altri impegni, lavorativi o legati ai nostri figli o nipoti ci avevano distolto dai propositi iniziali. Se prima rimandare non era un problema, adesso non era più fattibile. Ogni giorno l'avremmo vissuto pienamente, intensamente fino all'ultimo secondo che ci sarebbe stato concesso.
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    Appoggiai il viso vicino al suo, ascoltando le parole della canzone che rieccheggiavano attorno a noi, cominciai a canticchiare, in un sussurro.

    "Didn't we almost have it all
    When love was all we had worth giving?
    The ride with you was worth the fall my love… Loving you makes life worth living…"


    Speravo queste parole avrebbero potuto confortarla e cullarla ogni volta che ne avesse sentito bisogno.
     
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    Temevo che non sarei mai riuscita a metabolizzare quella notizia. Era una cosa talmente fuori dalla mia portata che avevo la quasi certezza, ed esageravo per difetto, che non ci avrei mai creduto fino in fondo. Avevamo ancora tanti anni davanti. Non eravamo più ragazzi, non eravamo nemmeno più giovani ma mi ostinavo a pensare che avevamo il futuro davanti a noi, che avremmo visto i nostri nipoti crescere e diventare adulti, che avremmo potuto vederne nascere altri. I nostri figli avevano ancora bisogno di noi, della guida sicura di Walter, dei suoi consigli, del suo affetto incondizionato. Quanto a me ….no no no non riuscivo proprio a concepire di vivere senza di lui.
    Lo avevo già fatto una volta. Trent’anni prima. Non lo avrei sopportato una seconda. Allora non ero certa dei suoi sentimenti, anzi, tutto faceva pensare che non ci fossero speranze per il nostro amore e invece questo era stato più forte delle incomprensioni, più forte degli errori, più forte delle delusioni e dei sensi di colpa inflitti e provati.
    Stringendo le sue mani, forte dell’amore immenso che gli portavo e della determinazione che mi teneva dritta la schiena lessi nel suo sguardo tutto ciò che non diceva, tutto ciò che mi stava dando e che avrebbe voluto darmi. Non potevo dargli altro che la mia forza. Il mio cuore era suo da tempo immemore ormai; batteva perché batteva il suo.
    Con un sorriso che volevo convincermi dovesse essere sereno gli risposi.
    Andremo ovunque sarà necessario andare. Ovunque avrai voglia di andare. Direi di iniziare dalla Germania. Il Dott. Krummell è il miglior specialista di pneumologia ma ti avviso che non escludo di trascinarti a fare un’altra luna di miele in Amazzonia. Ho avuto notizie di uno sciamano che pratica magia bianca e nera a scopi curativi.
    Non avevo idea di come dirlo ai ragazzi. Per noi erano e sarebbero rimasti sempre i cuccioli che avevamo messo al mondo ma erano adulti ed avevano il diritto di sapere. Ricacciai quest’altro pensiero che non ero ancora in grado di esaminare con la lucidità necessaria fissando le labbra di Walter che baciavano le mie dita. Le nostre mani non erano più levigate ed agili, così come la nostra pelle aveva perso parte della freschezza giovanile ma non avrei rinunciato ad un sola ruga. Me le ero guadagnate tutte e cercavo di portarle con dignità così come Walter portava le sue cicatrici, le sue ferite, la menomazione della sua mano a perenne ricordo di ciò che aveva passato.
    Non voleva vedermi piangere. Ne ero certa. Non voleva nemmeno vedermi disperata. Non era di quello che aveva bisogno. Aveva bisogno di sentirsi amato ed accompagnato in un viaggio la cui meta per lui era certa. Gli avrei dato tutto. Tranne la rassegnazione. Per quanto mi sforzassi di trovarne una sola briciola non c’era ombra di resa dentro di me ma nonostante questo non intendevo pressarlo.
    Qualunque cosa accada la affronteremo insieme. Ti ricordi cosa ti dissi tanto tempo fa? Non è vita se non è vissuta insieme e ne vivremo ogni attimo, ogni stilla, ogni frazione di secondo. Fino in fondo e anche oltre.
    Avrei atteso lottando con le unghie e con i denti con la consapevolezza che il suo ultimo respiro, semmai avesse dovuto precedere il mio, sarebbe stato sulle mie labbra. I miei occhi e il mio sorriso lo avrebbero accompagnato fino al chiudersi dei suoi. Ne poteva essere certo. Quello che sarebbe venuto dopo non lo avrebbe saputo e non avrebbe potuto impedirlo.
    Con che forza riuscisse a pensare di andare ad armeggiare attorno al giradischi non lo capii fino a quando le note della nostra canzone non riempirono lo studio con la melodia che aveva fatto da colonna sonora al primo ballo del nostro matrimonio.
    Era estremamente difficile ingoiare il magone ma sapevo di doverlo fare. Con la gola serrata ascoltai le prime note alzandomi e rispondendo al suo invito. Fra le sue braccia mi ero sempre sentita al sicuro. Protetta da ogni male. Continuavo a credere che fosse così e con quella certezza mi abbondonai al suo abbraccio seguendolo nella danza.

    Allacciandomi alle sue spalle vidi brillare l’oro della fede nuziale alla mia mano sinistra, la mano del cuore. Rivissi l’emozione emozione che avevo provato durante lo scambio degli anelli. Avevamo organizzato il nostro matrimonio da soli, senza l’aiuto di nessuno. Al ricevimento solo noi, i nostri figli e i parenti più stretti.

    Sul ripiano più alto dell’armadio conservavo ancora il bouquet che Walter col quale Walter mi aveva accolta all’ingresso della sala appositamente preparata per il rito. Non potei fare a meno di sorridere pensando al suo imbarazzo, a quanto era impacciato col mazzolino fra le mani. Come ora aveva cinto la mia vita attirandomi a se prima di condurmi davanti all’officiante.
    Appoggiando il viso alla sua spalla unii la mia voce alla sua nel canto.
    The way you used to touch me felt so fine We kept our hearts together down the line A moment in the soul can last forever
    Comfort and keep us Help me bring the feeling back again

    La dolce culla della melodia, la voce suadente dell’artista che cantava, il conforto delle sue braccia ancora possenti mi stringevano e …le parole assumevano un significato troppo rappresentativo per essere ignorate e troppo intenso per non colpire dritto al cuore.
    Tenendolo stretto, mentre la canzone sfumava lasciando che la puntina del giradischi gracchiasse avvicinai le labbra al suo orecchio. Vecchia abitudine quella di sussurrare. Con tanti figli spesso era capitato di scambiarci i nostri desideri, quelli più arditi, bisbigliando per non farci sentire che da noi stessi.
    Certo tesoro. Usciamo. Da oggi sono in congedo illimitato. Torniamo nel locale dove abbiamo festeggiato il nostro tardivo fidanzamento. Scommetto che non te lo ricordi.
    Un sorrisino, timido ma sincero stavolta, spiegò le mie labbra che si appoggiarono al suo collo lasciandogli un bacio. Dubitavo che se ne fosse scordato ma mentre il mio cuore sanguinava il balsamo del suo calore faceva la magia di tenere a freno il dolore. Mi sarai disperata dopo. Mi sarei potuta disperare quanto volevo se e quando la peggiore, la più crudele e ancora non contemplata delle ipotesi fosse divenuta tragica realtà.
    Ora volevo dedicarmi solo a lui e non perdere un solo battito del suo cuore, un suo respiro, un suo tocco, un suo sguardo.
    Non lo avrei trattato da malato. Non meritava compassione ma amore e quello non gli sarebbe mancato nemmeno dopo che avessimo esalato l’ultimo fiato che avevamo in corpo.






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    Edited by venus - 1/10/2021, 00:38
     
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    In un momento come questo mi venne quasi da ridere a sentirla menzionare gli sciamani. Non credevo in quel tipo di cura, lei lo sapeva. Mi avrebbe trascinato ovunque, pur di tenere vivida la speranza, anche da un qualsiasi fanatico che si spacciava da esperto Medimago. Ed io l'avrei assecondata. Perché se era di questo di cui aveva bisogno adesso, per accettare ed abituarsi al dolore, l'avrei seguita fin in capo al mondo pur essendo consapevole sarebbe stato tutto inutile. Pur se, ad ogni incontro, ancora ed ancora, avessi dovuto ascoltare la mia sentenza di morte da timbri di voce e volti da ogni nazionalità.

    "Bene, partiamo allora. Ma solo se mi assicuri che dedicheremo al massimo mezza giornata agli specialisti. Il resto del tempo ce la spassiamo. Io e te, da soli finalmente."

    Prevedevo che ogni incontro sarebbe stato un duro colpo da digerire per Venus. Ne sarebbe uscita sempre più abbattuta ma non meno determinata. Oltre all'amaro che avrebbe dovuto inghiottire, desideravo tentasse di vivere qualche ora, se non serena almeno piacevole insieme a me.
    Mi pentivo di non averlo fatto molto prima. Quando non avremmo dovuto per forza far tappa negli ospedali di diverse località, quando sicuramente avrei avuto più fiato ed energia per farle godere il viaggio senza che venisse turbata dal mio stato di salute.
    Chiusi gli occhi ascoltando la sua voce unirsi alla mia fino alla fine della melodia che aveva sancito ufficialmente la nostra unione. Nonostante la sua volontà nel trasmettermi sicurezza, sapevo, dentro di lei, fosse latente il terrore di dover accettare e realizzare la peggiore delle sorti. La sua mente, al momento, non voleva concepirlo perché ciò avrebbe completamente distrutto la bolla di apparente serenità nella quale desiderava sentirci avvolti entrambi. E quella bolla non l'avrei fatta scoppiare io. Almeno non subito, non ora. Avevo paura che così facendo, costringendola a guardare in faccia la realtà senza usare filtri che la distorcessero, non le avrei dato tempo e modo per prepararsi all'inevitabile, tragico epilogo.
    Avvolgendole la schiena con entrambe le braccia la strinsi contro di me, mentre piegavo il collo per accogliere il suo bacio.
    Nei nostri anni insieme avevo tentato innumerevoli volte di proteggerla dal dolore, quello fisico e quello emotivo. Quello inflitto dalle altrui azioni, da se stessa o da me. Da quello più profondo, come un sentimento ferito a quello più banale, come una stupida influenza.
    Non sempre ne ero stato in grado. Quando fallivo mi sentivo inutile, impotente, non degno di averla al mio fianco.
    Proprio come adesso. Involontariamente ero io stesso a provocarle quella pena struggente da cui non potevo neanche lontanamente difenderla. Ancora una volta ero causa del suo dolore.
    Ancora ad occhi chiusi, deglutendo l'amarezza e l'afflizione dell'impotenza, trovai la forza di ridacchiare sentendola fare la scelta sul luogo dove cenare.

    "È vero che ho sempre avuto problemi di memoria ma non potrei mai scordare di aver dovuto prenotare più di due mesi prima per essere certo di trovare posto."

    Era uno dei locali più rinomati della città. La sua panoramica richiamava clientela da ogni parte del globo. Da allora non ci eravamo più tornati. Erano passati diversi decenni, non avevo idea neanche se ci fosse ancora.
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    Spostando il viso andai a guardarla, quella luce che si accendeva nei suoi occhi mozzafiato ogni volta che mi guardava aveva il potere di farmi sentire l'uomo più affascinante sulla faccia della terra. Dopo tutti questi anni, ancora faticavo ad accettare di meritare tanto amore.

    "È esigente Signora Brown. Vedrò cosa posso fare."

    Se era vero che quella sarebbe stata una delle ultime occasioni di udire uno dei desideri espressi dalle labbra che amavo, avrei fatto qualsiasi cosa per accontentarla.
    Appoggiai la fronte alla sua e la baciai, teneramente. A distanza di tanti anni, la passione mai del tutto sopita tra noi, aveva lasciato spazio a contatti più delicati, carezze velate, teneri baci. Non avevamo mai smesso di cercarci da quel punto di vista, era un aspetto base e fondante del nostro rapporto, però quando lo facevamo era la delicatezza e la premura del sentimento l'uno verso l'altra a guidare i nostri gesti.
    Stringendola a me pensai che senza di lei, la mia vita non avrebbe avuto alcun senso e motivo di esistere. Pensai per lei fosse lo stesso, me lo aveva detto. E realizzai quindi quale fosse il reale, sottinteso significato delle sue parole ascoltate poco prima.
    < Ti ricordi cosa ti dissi tanto tempo fa? Non è vita se non è vissuta insieme… >
    Così aveva detto.
    Colto dall'inaccettabile consapevolezza, le presi con urgenza il volto tra le mani, agganciando il suo sguardo al mio, nel quale avrebbe letto per la prima volta da quando era entrata nello studio, un'ombra di turbamento.


    "Venus…"

    Fino ad allora non lo avevo ancora realizzato. Avevo un motivo in più, quello che mi faceva tremare maggiormente, nel temere il sopraggiungere ineluttabile della morte.

    "Promettimi… Promettimi che non lascerai da soli i ragazzi, dopo… dopo che…" Non volevo pronunciare quelle parole, ero consapevole sarebbe stato per lei più doloroso di ricevere una coltellata nello stomaco. "Avranno bisogno di te, Venus. Soprattutto Alice e Will."

    Erano i più piccoli, quelli che non erano ancora sistemati del tutto, che continuavano a cercare, più spesso degli altri due, consigli od il semplice conforto della presenza di noi genitori.
    Sarebbe stato un duro colpo per loro dover affrontare il lutto. Specialmente per Alice con cui avevo da sempre avuto un rapporto speciale.
    Se Venus avesse deciso di…
    No, sarebbe stato troppo. Per loro. E per me. Non potevo concepirlo.
    Dopo tanti anni bastava una semplice occhiata per intuire cosa ci passasse per la testa. Nelle iridi cerulee di mia moglie riconobbi una traccia fugace di incertezza.

    "Venus, promettimelo!"

    La scossi leggermente, la risposta tardava ad arrivare mentre i suoi occhi continuavano a parlarmi al posto delle sue labbra.
    Il senso di impotenza cresceva.
    Se non ero stato in grado di proteggerla da vivo… come avrei potuto sperare di farlo da morto?
     
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    Mezz’ora. Non di più. Promesso.
    Mi stava facendo in regalo. Lo faceva per me. Lui aveva accettato quella che pareva dovesse essere la sua sorte e stava dando a me il dono di illudermi di poter fare qualcosa per lui.
    Dentro la testa avevo una confusione terribile. Pensieri avversi cozzavano uno contro l’altro respingendosi. Cosa dovevo fare? Cosa era meglio per lui? Lui e solo lui era importante. Non potevo arrendermi senza lottare ma non potevo nemmeno infiggergli tormenti forse inutili che lo avrebbero privato del poco tempo che gli rimaneva a disposizione per vivere appieno, come voleva, come desiderava, a modo suo.
    Mi sentivo profondamente egoista nel chiedergli di privarsi anche di quella mezz’ora che mi aveva promesso.
    Mi chiedevo perché. Perché proprio a lui, perché così presto. Suo padre aveva quasi il doppio dei suoi anni quando ci aveva lasciato, sua madre era ancora abbastanza in forma da essere più che autonoma. Perché lui non poteva avere la stessa fortuna. Era l’uomo migliore che conoscessi, aveva reso me migliore e non era stato facile. Mi aveva dato tanto, mi aveva dato tantissimo ed aveva ancora moltissimo da dare e da ricevere. L’amore dei suoi figli, dei nipotini, il mio; immenso ed infinito.
    Merlino bastardo! Prendi me, prendi me e lascialo vivere. Lui senza di me ce la farà.
    Sei egoista Venus. Sei una dannata egoista.
    Mentre il primo pensiero, la prima supplica, nasceva di getto nella mia mente, con rabbia, con furore, con disperazione aprendo una piaga nel mio cuore il secondo rigirava il coltello nella ferita. Lui soffriva, soffriva per me, per il pensiero di lasciarmi e di lasciare la sua famiglia, per la consapevolezza che correva il rischio di non vivere altri compleanni, feste di diploma, fidanzamenti e matrimoni dei nostri figli e dei nostri nipoti. Soffriva per la consapevolezza di non poterci essere per curare un ginocchio sbucciato, un mal di denti, per non poter risolvere i problemi che sarebbero sorti in futuro, per non essermi accanto nel farlo. Non potevo fargli questo. Lui era tutto per me.
    Il resto del tempo lo passeremo insieme, io e te, da soli.
    Perché non lo avevamo fatto prima, perché avevamo sempre rimandato, tergiversato, posticipato di prenderci più tempo solo per noi due. Mi sembrava tutto così assurdo che avessimo sempre avuto troppo da fare, troppi problemi di cui occuparci, troppe incombenze a cui attendere per non considerare che la sabbia della nostra clessidra non era infinita ed ora che il destino ci stava sbattendo in faccia la cruda realtà era tardi per tornare indietro.
    Non rimaneva che vivere quei mesi, forse l’ultimo anno, appieno. Volevo pensare solo a lui, a tenergli mano, a stringerlo e guardarlo negli occhi per imprimermi nella mente ogni suo singolo tratto, ogni sfumatura della sua voce, tutte le espressioni del viso e tutta, tutta la profondità del suo sguardo colmo d’amore. Solo Merlino sapeva quanto ne avrei avuto bisogno. Dopo.
    Se lui trovava la forza di sorridere dovevo trovarla anche io, non ero mai stata alla sua altezza. In quel frangente dovevo esserlo.
    "È vero che ho sempre avuto problemi di memoria ma non potrei mai scordare di aver dovuto prenotare più di due mesi prima per essere certo di trovare posto."
    Lo troveremo il posto. Se c’è ancora la cameriera di allora, quella che ti faceva gli occhi dolci, non avrai problemi a farci riservare un tavolo ma…bada…ti tengo d’occhio!
    Ero stata ed ero gelosa di mio marito. Per come lo vedevo, per come lo sentivo, per come lo amavo nessuna donna poteva resistergli.
    Sollevando il viso appoggiai le labbra sulla fossetta che aveva sul mento mentre la mia mano accarezzava il volto dell’uomo che adoravo. Guardarlo negli occhi era perdersi, era smettere di pensare, era godere della sua visione.
    "È esigente Signora Brown. Vedrò cosa posso fare."
    Esigente e fortunata Mr. Brown. La donna più fortunata dell’emisfero solare.
    Quanto era vero! Avevo il meglio fra le braccia. Un privilegio ed una fortuna immeritati che mi facevano sentire minuscola fra le sue braccia che mi cullavano. Quelle stesse braccia mi sorreggevano da oltre trent’anni, erano il mio rifugio, la mia casa, il mio nido caldo ed accogliente. Dentro il petto sul quale appoggiavo il viso c’era la metà del mio cuore e della mia anima.
    Prendendomi il viso fra le mani, probabilmente turbato dalla frase che gli avevo rammentato, mi trafisse con lo sguardo. Voleva delle promesse, mi stava chiedendo l’impossibile, l’inconcepibile. Gli era sempre bastato guardarmi negli occhi per intuire i miei pensieri, non glieli avevo mai nascosti ed ero certa che anche in quel momento li percepisse.
    Non potevo promettere ciò che chiedeva, non volevo mentire e nello stesso tempo non potevo negargli, per egoismo, di disattendere ad un suo desiderio. Se mi avesse chiesto la luna sarebbe stato più facile accontentarlo. I ragazzi avevano bisogno anche di lui. Ricordarglielo sarebbe stato crudele e meschino da parte mia. Non li avrebbe mai lasciati di sua volontà.
    Abbassai le palpebre troppo lentamente perché Walter non facesse in tempo ad accorgersi della mia titubanza. L’invito a promettere quanto chiedeva esigeva una riposta che non ero pronta a dargli ma che dovevo impormi di esaudire. Stavo firmando anche la mia di sentenza e lui lo avrebbe capito. Promettendo mi condannavo a una non vita, ad un inferno che mi avrebbe bruciato l’anima. Concependo quel pensiero mi accorsi di star meglio. Avrei sofferto le pene dell’inferno e ne ero consapevole. Per lui valeva la pena, per quello che mi aveva dato, per quello che mi stava dando. Avevo avuto e avevo il suo amore. Lui veniva prima di tutto. Veniva prima, veniva molto prima di me stessa. Con la voce rotta dall’impotenza e con la penna che andava ad intingere il pennino direttamente del mio cuore straziato acconsentii. Prima col capo che si sollevò fino a sostenere il suo sguardo. Poi con gli occhi umidi e sinceri. Dopo ancora con le parole sussurrate sulle sue labbra.
    Te lo prometto.
    Non riuscii ad aggiungere altro. Lo abbracciai forte tenendolo stretto e mi lasciai cullare ancora dalle sue braccia.
    Minuti lunghi ed intensi. Dolci come il miele e amari come il fiele. Dovevo imparare fin da subito a convivere con entrambi i sapori.
    Staccandomi da lui lo presi per mano invitandolo a seguirmi in camera per cambiarci d’abito. Salimmo le scale mano nella mano, sorridendoci e guardandoci come se fosse la prima volta. Richiudendo la porta della nostra stanza invece di dirigermi all’armadio per indossare l’abito più bello del mio guardaroba feci un incanto.
    Accio scatola
    Fra le mie mani apparve l’oggetto magicamente richiesto. Un portaoggetti di legno a forma di libro contrassegnato dal simbolo dell’infinito.
    Nel mostrargliela, mentre cercavo di tenerla saldamente fra le dita, mi accorsi che le mani tremavano.
    Riempiremo questa scatola con pensieri, oggetti e qualsiasi altra cosa troveremo e riterremo per noi importanti e carine da conservare durante la nostra vacanza. Quando torneremo a casa sarà colma di cose belle, di cose inutili, di souvenir e di tante emozioni.
    Averla mi avrebbe aiutata? Forse. Riempirla sarebbe stato un modo avere qualcosa di tangibile da stringere fra le mani.
    Porgendogliela gli sorrisi. Lo amavo così tanto da avergli promesso di sopravvivergli. Non potevo ancora credere di averlo fatto e solo Merlino sapeva come ci sarei riuscita.
    Ora vestiti Mr. Brown. Mi hai promesso una cena romantica. Tu ed io. Da soli. Ti prometto che dormirai sul divano se osi fare gli occhi dolci alla cameriera.
    Deponendo la scatola fra le sue mani gli sorrisi. Non sapeva quanto mi costava e, nel contempo, quanto mi faceva piacere che mi osservasse e mi ascoltasse mentre brontolavo. Sapeva di 'normale'. Mi girai per andare ad indossare l’abito migliore che avevo. Da quel momento in poi tutto doveva essere migliore. Io dovevo essere migliore. Dovevo farlo ed esserlo per lui e fare qualcosa per lui era possibile anche quando era impossibile.




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    Sghignazzai tra me e me sentendola tirare fuori, dopo tutti quegli anni, il dettaglio della cameriera durante la nostra cena. Ecco, quello lo avevo dimenticato. Le occhiatine che aveva lanciato al nostro tavolo avevano disturbato non poco la Strega, ma ero riuscito a farle dimenticare il fastidio quando avevo tirato fuori l'anello e le avevo chiesto di diventare mia moglie.
    A quel punto anche la cameriera, se per qualche ragione si fosse fatta idee strane, non aveva potuto fare altro che constatare di essere testimone di un amore sincero ed appena sancito.

    "Tesoro, non tengono cameriere di cinquanta o sessant'anni. Al massimo posso provare a farne capitolare un'altra. Dici che faccio ancora colpo sulle ventenni?"

    Scherzavo ovviamente, lo avrebbe capito. Mi piaceva stuzzicarla e farla ingelosire, per lei era esattamente lo stesso. Appena capiva potessi essere infastidito da una presenza scomoda, uno sguardo di troppo da parte di altri uomini, cominciava a fare battutine finché non iniziavo a sbottare e sputare il rospo.
    Era bella, oggettivamente bellissima la mia Venus. Il tempo sembrava essersi fermato appositamente e soltanto per lei, perché egli stesso avrebbe ritenuto un sacrilegio segnare troppo duramente dei lineamenti sì perfetti. Solo i capelli davano indizi sulle sua età non più giovanile.
    Anche il fisico, ai miei occhi, era rimasto perlopiù immutato da dopo la nascita di William. Venus non aveva mai smesso di lamentarsene. Diceva che quell'ultima gravidanza l'avesse completamente sformata, che non riusciva a riavere il corpo di prima. Si lamentava di qualche smagliatura in più, delle forme rese più morbide. Inutile ripeterle fosse diventata, se possibile, ancora più bella e sensuale di prima. Mi rispondeva avessi problemi di vista e non fossi oggettivo. A volte prendevamo come pretesto quell'argomento per punzecchiarci e subito dopo fare pace a modo nostro, quello che ci riusciva meglio in assoluto.
    Accerrazzando il suo viso delicato tra le mani, l'ascoltai, con un sospiro di sollievo, arrendersi alla promessa. Ero consapevole di averle chiesto molto, però ero certo, convintissimo che se la sarebbe cavata bene anche senza di me. Lo aveva già fatto, poco più di trent'anni prima. Per evitare di sprofondare nell'oblio della disperazione si era aggrappata con le unghie e con i denti all'amore per i nostri figli e, piano piano, era risalita verso la luce. Se a quel tempo non fossi tornato, ero sicuro sarebbe anche riuscita ad essere felice ancora, con qualcun altro.
    Non escludevo potesse accadere anche stavolta, già la vedevo circondata da pretendenti di generazioni diverse bramare un suo sguardo interessato, una sua carezza distratta. Solo il pensiero mi avrebbe fatto ribollire il sangue nelle vene, se non avessi preferito continuare a concentrarmi sul presente, non dando importanza a quelle che sarebbero state questioni di minor rilevanza.
    D'altronde era la migliore delle prospettive quella che vedeva Venus pronta a ricominciare una nuova vita, per essere felice. Dovevo accettarlo, se non addirittura sperarlo. Per ora non ero pronto a farlo però.
    La baciai sulle labbra, sorridendole per esprimerle tutta la mia gratitudine. Era forte la mia Venus. Ce l'avrebbe fatta senza di me, anche se adesso era convinta di no.

    "Grazie. La vita che ti aspetta non sarà meno bella di quella vissuta finora. Io sarò sempre con te, nello sguardo dei nostri figli, nei tratti dei nostri nipoti e pure in quelli dei nostri bisnipoti che tu conoscerai."

    In ogni caso non sarebbe stata sola. Il calore della nostra famiglia l'avrebbe riscaldata, abbracciata e stretta a sé quando io non avrei più potuto farlo fisicamente.
    Seguendola, uscimmo dallo studio per raggiungere la camera da letto, continuavo a sorriderle ogni volta che i nostri sguardi si incrociavano e lei faceva lo stesso. Anche le piccole cose sarebbero cambiate d'ora in avanti. Anche gesti che prima davamo per scontati, adesso li vivevamo in modo diverso. Più intensamente, fino in fondo.
    La guardai richiamare a sé una scatola di legno, il cui scopo mi venne chiarito subito dalla sua spiegazione.
    Me la porse, la strinsi tra le mani senza perdere l'ombra di un sorriso ora addolcito.

    "È un'ottima idea, piccola."

    Lo era davvero. Un piccolo scrigno dei ricordi che le avrebbe fatto compagnia e, speravo, dato conforto in futuro ritornando alla mente alla nostra ultima vacanza che ci apprestavamo a vivere godendo di ogni singolo attimo.
    Sedendomi sul bordo del letto, continuavo a non perdere un suo movimento. La guardai darmi le spalle verso il grande armadio a muro e riprendere a minacciarmi con il discorso della cameriera.
    Oh sì, era già capitato mi lasciasse notti a dormire sul divano perché, a suo dire, mi ero permesso di dare troppa confidenza ad un'altra donna. Non me ne faceva passare una. Io per la maggior parte delle volte nemmeno mi rendevo conto di essere oggetto di attenzioni interessate.
    La osservai cominciare a spogliarsi per cambiarsi d'abito, senza darsi cura della mia presenza, come era normale avvenisse tra coppie oramai ben consolidate. Vedersi nudi era la normalità. Il mio sguardo, però, quella sera era diverso.
    Appoggiai di lato sul letto la scatola dei ricordi senza staccarle gli occhi di dosso, portai le mani sul materasso facendo leva sulle braccia per sostenere il busto lievemente inclinato all'indietro.
    Amavo guardarla mentre si cambiava, eppure, a causa delle nostre vite frenetiche, non mi concedevo mai i minuti necessari per soffermarmi a godere dello spettacolo. Normalmente mentre lei si cambiava io facevo lo stesso, un bacio al volo ed ognuno si dirigeva di corsa alle proprie incombenze. La sera invece di solito mi precedeva, quando la raggiungevo era già ad attendermi sotto le coperte.
    Ora, sentendosi osservata, la vidi bloccarsi e volgere parte del volto verso di me.

    "Continua, non fare caso a me."

    Non volevo interpretasse male il mio interesse. Non avevo intenzione di farle saltare la cena per dedicarci ad altre attività. Le avevo promesso l'avrei portata fuori, finalmente, dopo neanche ricordavo quanto e così avrei fatto. Per il nostro dessert speciale avremmo avuto tempo e modo.
    Ora mi sarebbe bastato farla mia con gli occhi, osservare il suo corpo splendido venire scoperto dalle vesti, incantarmi di fronte all'eleganza delle sue naturali movenze, pensare che quello splendore fosse davvero tutto mio.

    "Sei una meraviglia, tesoro. Non è che per caso hai assunto l'esilir di eterna giovinezza senza dirmi niente?"

    Dopo aver aspettato si spogliasse, mi avvicinai, passai una mano ad accarezzarle la spalla, il braccio e la schiena, mentre le mie labbra si posavano nell'incavo del collo.
    Aveva scelto un abito blu scuro. Diceva di non sentirsi più a suo agio con colori troppo sgargianti. Per me non faceva nessuna differenza, l'avrei trovata incantevole anche con tutte le tonalità dell'arcobaleno addosso.

    "Ti aiuto..."

    Di solito era lei a chiedermi una mano per tirarle su una zip o chiuderle un bottone, per me diventava spesso l'occasione d'oro per baciarla e sfiorare la sua pelle nuda, finendo il più delle volte a ritardare agli appuntamenti.


     
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    Se sperava che non mi fossi accorta che rideva sotto i baffi si sbagliava. Alzai gli occhi al soffitto irritandomi ancora, dopo trent’anni, per le smancerie della tipa.
    <tesoro, non tengono cameriere di cinquanta o sessant'anni. Al massimo posso provare a farne capitolare un'altra. Dici che faccio ancora colpo sulle ventenni?>
    Dai due giorni ai duecento anni sono tutte attratte da te compresa tua moglie che è la prima della lista. Hai forse qualcosa da ridire sulle sessantenni?!!
    Ero esattamente in quella fase di età per cui era meglio che badasse a ciò che rispondeva mentre ridacchiavo senza preoccuparmi di farlo sotto i baffi.
    Scherzare non avrebbe rimarginato il buco che avevo nel cuore ma sorridere stemperava un po’ la tensione e solo Merlino sapeva quanto ne avevamo e ne avremmo avuto bisogno entrambi.
    Da quando lo avevo conosciuto, da quando era entrato nella mia avevo trovato sempre difficile stargli lontana. Emotivamente non era mai successo, lo avevo amato da subito. Rimanere distante fisicamente…avevo dovuto farlo e mi era quasi costata la vita. Ancora oggi, come allora, come sempre, essere nella stessa stanza e non toccarci era una causa persa in partenza. Se era successo che non avessi dato peso o la giusta importanza ad un bacio dato di fretta o ad una carezza me ne rammaricavo. Non potevo pensare di non aver goduto appieno anche di un suo solo, singolo, battito di ciglia. Se avevo commesso anche solo una di quelle mancanze non sarebbe successo di nuovo. Lo avrei toccato, abbracciato e baciato ogni singola volta che ne avessi avuto opportunità o l’avrei creata.
    Risposi al bacio prendendo il suo viso fra le mani, invece di chiudere gli occhi li tenni socchiusi per poterlo guardare. Non avrei potuto farlo per sempre come avevo sperato, come era giusto che fosse. Presa dalle tante cose che facevano parte della vita probabilmente non avevo mai nemmeno pensato che la sua potesse finire prima della mia. Se ci fosse stato un dio giusto non lo avrebbe permesso, avrebbe dovuto fare in modo di lasciarci partire per l’ultima destinazione insieme come, insieme, avevamo vissuto.
    Avevo promesso. Me ne sarei pentita per tutto il resto della mia vita ma non gli avevo mai mentito e avrei mantenuto fede al suo desiderio. Nulla però mi impediva di sperare che potesse succedere il miracolo di poterlo accompagnare, mano nella mano, anche nell’ultimo viaggio. Avrei vissuto col sorriso se ne avessi avuto la certezza.
    Non ero in grado di fare una sola ipotesi su quello mi aspettava, dentro di me mi ripetevo che era prematuro per farlo e per convincermi di questo dovevo pensare che avevamo tempo, ancora tempo per stare insieme. Solo in quel modo, solo sperando in miracoli e convincimenti avrei potuto non lasciarmi prendere dalla disperazione deludendolo e rovinando quel che ci restava.
    <grazie. La vita che ti aspetta non sarà meno bella di quella vissuta finora. Io sarò sempre con te, nello sguardo dei nostri figli, nei tratti dei nostri nipoti e pure in quelli dei nostri bisnipoti che tu conoscerai.>
    Come riuscivo a non gridare sentendo quelle parole nemmeno il cielo lo sapeva. La mia vita sarebbe finita nello stesso istante in cui lui avesse esalato l’ultimo respiro. Quello che sarebbe venuto dopo non sarebbe stato degno del nome di vita, non della vita che avevo conosciuto e amato vivere con lui. Sarebbe rimasto dentro di me per sempre. Non solo perché avevamo dei figli, dei nipoti ed avremmo potuto avere dei pronipoti. Sarebbe rimasto parte di me perché era mio ed io ero sua, perché lo amavo così tanto che definire dove io finivo e dove lui iniziava mi era impossibile come impossibile era poter concordare con lui su quanto bella sarebbe stata la mia vita dopo di lui. Mi spiaceva non poter assentire ma non ci riuscivo proprio.
    Accarezzandogli il viso trovai, non so dove, il modo di sorridergli.
    Sarò con te. Ora, dopo e sempre. Non sarai solo, il mio amore ti seguirà ovunque andremo e ovunque andrai. La mia mano e il mio cuore non ti verranno mai meno.
    La stessa mano che gli avevo promesso prese la sua e la strinse per suggellare quello che era più di un giuramento, era una certezza che volevo sentisse. Qualcosa che, oltre alle parole, gli risultasse tangibile così come tangibili desideravo fossero gli oggetti che avremmo deposto e conservato in quella che stava per diventare la scatola della nostra e vita e della nostra storia.
    <È un'ottima idea, piccola.>
    Inizio io.
    Dirigendomi verso l’armadio mi allungai per aprire l’anta più alta, quella dove erano riposti gli indumenti che non usavamo più o che usavamo di rado.
    L’abito con cui ero uscita la sera della sua dichiarazione era ancora lì. Con l’aiuto della bacchetta lo feci planare sul letto, appellai un paio di forbici con le quali ritagliai la stoffa sagomandola a forma di cuore.
    Il primo elemento di quella che speravo sarebbe stata una lunghissima serie andò a ingombrare il fondo della scatola. Non avrei mai più messo quell’abito, non era adatto alla mia età e alla mia figura ammorbidita dalle gravidanze ma poterne vedere il colore brillante e saggiarne, con le dita, la delicatezza del tessuto era il concreto esempio di un desiderio realizzato. Non avevo mai osato chiedere a Walter di ufficializzare la nostra unione. Stare insieme a lui era mio sogno e lo era sempre stato con o senza anello al dito ma dovevo ammettere che quella sera era stata una delle tante serate più belle della mia vita.
    Riponendo quel che restava dell’abito mi girai a guardarlo con gli occhi sognanti della donna di trent’anni prima.
    Grazie tesoro. Hai reso meravigliosa quella serata. Hai reso meravigliosa tutta la mia vita.
    Superando a stento l’emozione iniziai a cambiarmi. Era del tutto naturale farlo in sua presenza, lo avevo fatto chissà quante volte, quasi tutti i giorni. In genere mentre mi vestivo lui faceva lo stesso. Vedendolo indugiare nei preparativi lo guardai. Non pareva aver cambiato idea circa l’uscire e continuai a spogliarmi per poi iniziare rivestirmi. Indossando la gonna la feci scivolare sui fianchi un po’ più torniti di quelli di quando avevo trent’anni di meno.
    <sei una meraviglia, tesoro. Non è che per caso hai assunto l'esilir di eterna giovinezza senza dirmi niente?>
    Come facesse a farmi sentire sempre desiderabile solo lui lo sapeva. Lo sapeva e lo sapeva fare. Spesso mi lamentavo osservandomi allo specchio quando notavo una ruga che il giorno prima non c’era. Mi irritavo quando, facendo le scale di corsa, arrivavo in cima col fiatone o per non essere più tanto veloce nello sbrigare le commissioni. Sentivo il tempo che passava, lo accusavo e mai come in quel momento avrei voluto che il mio tempo finisse insieme al suo. Non un attimo dopo e non un attimo prima. Soffrivamo entrambi e ne ero consapevole. Lui non avrebbe mai voluto che provassi quello che provava lui, ne ero certa. Io non volevo che lui provasse per nulla la mondo quello che provavo io. Erano due strazi diversi ma molto simili. Protettivi come eravamo sempre stati uno nei confronti dell’altra avremmo continuato fino all’ultimo ad esserlo.
    Infilando il top sopra la gonna volli provare di scherzare come avrei fatto in maniera naturale se non avessi appena ricevuto quella terribile notizia.
    Ti sei mai chiesto per quale motivo non ti ho mai trascinato a forza dall’oculista? La tua miopia ci ha fatto risparmiare fior di galeoni in trattamenti estetici costosi e dolorosi.
    Sapeva davvero farmi sentire meravigliosa, mi guardava con gli occhi del cuore ed io lo sapevo bene che per il cuore chi si ama è bellissimo. Lui per me lo era, ai miei occhi era il seducente ed intrigante uomo col quale, una notte di tanto tempo, avevo affrontato un’idra.
    Si offrì di aiutarmi e per allacciare la fascia che univa il top alla gonna ci mettemmo molto più tempo ed impegno del necessario. Tempo prezioso, tempo di baci e carezze dei quali avremmo fatto tesoro e ai quali non volevo più rinunciare.
    Arrivammo al locale con parecchio ritardo e mai ritardare mi era parso così giusto, così opportuno e piacevole. Ad accogliergli venne una cameriera col fisico di una pin up appena ventenne. Pizzicai il gomito di Walter che, elegante come solo lui sapeva essere, ridacchiò.
    La ragazza ci accompagnò al nostro posto e trovai strana la coincidenza che il tavolo a noi assegnato fosse lo stesso di allora. Girando il viso osservai Walter che sorrideva e compresi.
    Da perfetto cavaliere scostò la sedia per farmi accomodare e nel prendere posto ne approfittai per avvicinare le labbra al suo orecchio per un sussurro.
    Solo tu riesci a fare magie anche senza bacchetta, anche senza ‘quella’ bacchetta.
    Non avevo bisogno di spostare lo sguardo per farmi intendere da mio marito, sapeva benissimo a cosa mi riferivo mentre sorridevo sia per la sorpresa che per la gioia del presente. Dovevo apprezzare ogni attimo di quel presente. Era tutto ciò su cui potevo contare e a cui attaccarmi.
    La cameriera non ci porse il menù, non ci porse la carta dei vini e nemmeno ci chiese cosa desideravamo mangiare. L’idea che mio marito avesse pensato anche a quello mi fece scuotere il capo ridacchiando.
    Avrei volentieri commentato se la ragazza non fosse ritornata subito dopo con due calici di vino, la stessa dorata bevanda con la quale avevamo brindato quella fatidica sera.
    Scusate Signori Brown, la proprietaria del locale chiede se può raggiungervi al tavolo. Ha qualcosa per voi.
    Guardai Walter interrogativa pensando fosse opera sua quella intrusione che mi sembrava inopportuna. Nel suo sguardo vidi il mio stesso stupore che aumentò nel notarlo.
    Cortesia ed educazione volevano che non potessimo rifiutare e non ci rimase che acconsentire. Non appena la cameriera si allontanò chiesi a mio marito se avesse idea di cosa stava succedendo anche se era palese che non fosse al corrente. Prima che le sue parole lo fermassero si avvicinò al nostro tavolo una elegante Signora in tailleur grigio perla. In mano reggeva un sacchettino di velluto bordeaux.
    La guardammo confusi approssimarsi a noi per poi fermarsi e sorriderci.
    Buonasera, vi ricordate di me? sono la proprietaria del locale, tanto tempo fa vi ho serviti, a questo stesso tavolo, durante una serata importante per voi.
    Appoggiando sul tavolo il sacchetto continuò a parlare.
    Avrei voluto rendervelo molto tempo fa ma non sapendo il vostro recapito mi è gradita l’occasione per poterlo fare stasera.
    Strizzando appena gli occhi focalizzai il viso della donna. Il tempo era passato anche per lei ma osservandola da vicino era indubbio che si trattasse proprio della ex ragazza che aveva fatto gli occhi dolci a Walter.
    Allungando la mano sempre più stupita ed ora anche incuriosita sciolsi il nodo che teneva serrata la bustina, rovesciandola sul tavolo ne emerse un gemello. Il gemello della camicia di Walter che avevamo cercato per anni e che pareva essersi dissolto nel nulla.
    Prendendolo fra le mani lo porsi a mio marito affinchè anche lui lo riconoscesse e poi mi rivolsi alla donna.
    Grazie. Ci ha fatto una bella e gradita sorpresa. In effetti lo abbiamo cercato per mari e monti senza riuscire a comprendere dove potesse essere finito.
    Allungando la mano raggiunsi quella di Walter e l’appoggiai sul dorso.
    Quella sera penso di non essere stata gentile con lei e le chiedo scusa. Lei è stata la prima, involontaria testimone dell’ufficializzazione del nostro rapporto. Quest’uomo meraviglioso che siede accanto a me è diventato mio marito voglio ripetere ora, davanti a lei che ne sarà nuovamente testimone, stesse parole che gli dissi quella sera.
    Alzandomi, come avevo fatto allora, tenni salda la sua mano e lo guardai negli occhi.
    Si, voglio sposarti, lo desidero con tutto il cuore e con tutta l’anima. Ti amo e ti amerò per sempre.
    Non ero stata molto prolissa di parole quella sera. L’emozione mi serrava la gola, lo stupore e la gioia mi illuminavano gli occhi e le gambe mi tremavano.
    Con qualche ruga in più a segnarmi il viso ripetei la mia promessa con immutata emozione, con la voce tremante e le gambe molli. Lo avrei sposato infinite volte, nemmeno per un istante mi ero pentita di averlo fatto. Lo amavo e lo avrei amato perché mi era inconcepibile non farlo.
    Il giorno dopo saremmo partiti per un’avventura dalla destinazione e dal destino ignoti ma rinnovare le promesse mi avrebbe aiutata, in caso ne avessi avuto bisogno, a ricordarmi era stata la scelta giusta, l’unica possibile per due cuori che battevano uno per l’altro.









    Parlato


    Edited by venus - 8/10/2021, 16:37
     
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    Ci eravamo dovuti prendere qualche giorno prima di partire.
    Io, a malincuore, avevo rassegnato le mie dimissioni a lavoro. Solo ai colleghi più vicini, increduli nell'apprendere la notizia, avevo spiegato quali fossero i motivi. Non era stata una decisione semplice da prendere. Ero molto attaccato al mio lavoro, mi sarei sentito sicuramente perso nel non dover più entrare tutte le mattine al St Mary, attraversare i suoi corridoi, avere a che fare con pazienti di ogni età, non rivedere più volti che oramai erano entrati a far parte della mia vita.
    Ma non avevo scelta. Il tempo che mi restava era giusto lo dedicassi completamente alla mia famiglia. Così avevo deciso e così sarebbe stato.
    Venus nel frattempo era riuscita a fissare un incontro con il Dottor Krummell, esperto di pneumologia ad Amburgo. Saremmo partiti da lì.
    I nostri figli ancora non ne erano stati messi a conoscenza. Li avevamo informati saremmo partiti per una vacanza e non si erano posti questioni a riguardo. Da anni ce ne avevano sentito parlare.
    Alice, tanto simile a sua madre, molto attaccata a me e sensibile ad ogni mio più percettibile cambiamento di salute aveva sorriso nel sentirci comunicare la notizia, raccomandandosi con Venus di non farmi stancare troppo, perché non mi vedeva ancora in forma.
    Io e mia moglie l'ascoltavamo senza perdere il sorriso, sebbene entrambi temessimo il momento in cui avremmo dovuto mettere al corrente tutti i nostri figli sulla realtà.
    Lo avremmo fatto una volta tornati, dopo aver ricevuto pareri in più da parte di altri medici.
    Avevo proposto a Venus di partire con il treno, fare delle soste, spostarci con altri mezzi su ruote ben sapendo quanto l'atterrisse salire sugli aerei, ma lei non aveva voluto sentire ragione. Era intenzionata a raggiungere Amburgo il prima possibile, senza perdere tempo.
    Ed, alla fine, la determinazione l'aveva aiuterà a controllare il terrore. Il viaggio era stato più tranquillo del previsto e le mie mani meno graffiate del solito.

    Eravamo arrivati un paio di giorni prima della visita e li avevamo dedicati a girare la città da turisti, mano nella mano, tra le sue vie incantevoli, gli affacci sul mare, i canali che illuminati di sera davano un'atmosfera calda e romantica, i graziosi caffè in cui ci fermavamo spesso a bere bevande calde per riscaldarci dalle temperature miti.
    Purtroppo mi stancavo facilmente. Anche se cercavo di non darlo a vedere, Venus si accorgeva subito del respiro affaticato, del mio passo, già zoppicante, divenuto più lento, della poca resistenza a restare in piedi per più di un paio d'ore. Facendola passare più per una sua necessità piuttosto che mia, proponeva di tornare a riposarci in camera o fermarci a rifocillarci da qualche parte.
    Le ero immensamente grato per le sue premure ed ogni sera, prima di addormentarmi stringendola la ringraziavo.
    Il giorno e l'ora dell'incontro con il Dottor Krummell arrivò ed insieme a lui le cattive notizie. Dopo aver esaminato tutti i miei valori, le lastre, aver ascoltato il mio respiro ed effettuata, scrupolosamente, una visita generale, passò direttamente al dunque. Serio, compunto, dietro la sua folta barba grigia ci aveva chiesto di non illuderci. Ci aveva informato il quadro non fosse roseo e non potessimo permetterci di essere troppo ottimisti ma che, se fossi stato disponibile, avrei potuto sottopormi ad ulteriori esami, perlopiù invasivi e tentare delle cure, di cui mi elencó tutti i possibili effetti collaterali.
    Avevo inghiottito il nulla, tentando di mandare giù invano il peso oramai costante all'altezza del petto.
    Tenendo gli occhi puntati sul Medimago avevo accettato, senza battere ciglio. Non andai ad incrociare lo sguardo di Venus, sapevo che se avesse colto nel mio una minima traccia di incertezza si sarebbe opposta nel sottopormi a trattamenti stressanti, quasi sicuramente inutili. Io invece ero assolutamente determinato nel voler procedere.
    Non perché pensassi di avere possibilità. Avevo capito benissimo da come Krummell ci parlava e mi fissava in attesa di un responso, che ci stava dando solo un'occasione per continuare a sperare se avessimo desiderato farlo.
    Volevo andare avanti per Venus, affinché un domani non avesse rimorsi o rimpianti per non avermi spinto a tentare tutte le strade possibili. Volevo che almeno su quel fronte potesse essere serena, conscia di aver tentato il tutto e per tutto.
    Quando il Medimago tedesco ci congedó dichiarando si sarebbe messo in contatto con noi per darci orario e data dell'inizio del percorso, fuori la giornata cominciava a volgere a termine.

    "È andata bene, no?"

    Prendendo la mano della donna, attraversammo il piccolo parco di fronte allo studio di Krummell, respirando l'aria frizzantina dell'approssimarsi della sera.
    Venus era taciturna, immaginavo stesse rimuginando su quanto fosse stato detto.
    In realtà non era andata granché bene. Ci era stato chiesto, in pratica, di cominciare a metterci il cuore in pace ed accettare l'amara verità.
    Avevo previsto che quell'incontro non sarebbe stato facile da digerire, non tanto per me che ormai avevo accettato, non potevo dire completamente ma in gran parte, la tragica sorte, quanto più per mia moglie. Non era stupida, aveva capito benissimo fosse una situazione disperata, però era inevitabile che una piccolissima parte di lei avesse sperato fino all'ultimo nel miracolo.

    "A quanto pare dovremo tornare qui. Non mi dispiace come idea."

    Se proprio dovevamo, sarebbe stato meglio vedere il lato positivo della faccenda. Saremmo tornati ad Amburgo e, forse, nel migliore dei casi, la mia aspettativa di vita sarebbe cresciuta di qualche mese.
    Uscendo dal parco la guidai verso una delle strade principali, ma arrivati ad un semaforo, invece di attraversare, la spinsi di lato in un vicolo semi nascosto.
    Le presi entrambe le mani, abbassando il viso sul suo.

    "Ho una sorpresa."

    Le sorrisi, nella penombra. Avendo facilmente previsto l'incontro con Krummell avrebbe potuto deprimerla e sconfortarla, mi ero scervellato per organizzare una serata diversa, in modo da alleviarle, almeno in parte, i brutti pensieri.
    Ci smaterializzammo, stretti l'uno all'altro. Nonostante il tragitto non fosse stato lungo, una volta toccato nuovamente il terreno con i piedi, le mie gambe avevano quasi ceduto facendomi perdere l'equilibrio e sbattere contro il muro dell'abitazione vicino alla quale eravamo riapparsi. Portai una mano alla testa, girava e le tempie sembravano trafitte da una lama ardente.
    Sentivo Venus vicino a me osservarmi e toccarmi, preoccupata.

    "Tranquilla piccola, sono solo un po' stanco."

    Ed era vero. Come era vero che fino ad un anno prima mi smaterializzavo a miglia di distanza senza battere ciglio.
    Mi staccai dalla parete, tentando di darmi subito un contegno riafferrando la mano di mia moglie affinché mi seguisse fino alla meta.
    La condussi nei pressi di un porticciolo dove c'erano diverse barche ormeggiate.
    Camminando sul pontile di legno, mi fermai proprio davanti ad una di esse. Quella per la quale, la mattina stessa, dopo essermi allontanato dal Hotel con una scusa, avevo preso accordi per noleggiarla.
    Ad essere precisi era un piccolo Yacht, con un modesto spazio esterno già allestito per la cena e la parte interna suddivisa in spazio notte, bagno e mini cucinotto.
    CharterJamm-1
    Guardai mia moglie, aspettando realizzasse quali fossero le mie intenzioni.

    "Le va un giro tra i canali di Amburgo, Signora Brown?"
     
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    Assicuratevi di avere le mani pulite, prima di toccare il cuore di una persona.

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    Espletare tutte le formalità delle dimissioni senza dover spiegare ai nostri figli il vero motivo per cui avevamo entrambi deciso di rinunciare alle nostre professioni non fu semplice. Walter ed io amavamo il nostro lavoro e i ragazzi lo sapevano. Adducemmo il pretesto della meritata vacanza da troppo tempo rimandata per convincerli che avevamo il desiderio di non porre un limite temporale al nostro soggiorno all’esterno. Forse qualcuno ci aveva creduto, forse altri avevano avuto dubbi ma nessuno contestò la nostra scelta. I nostri figli si mostrano d’accordo circa la nostra decisione approvandola con più o meno entusiasmo. Per un po’ avrebbero dovuto gestire le loro vite da soli, senza contare sulla presenza dei genitori e dei nonni. Contavamo di dar loro le dovute spiegazioni al nostro ritorno. Questo ci sollevava da un’ulteriore cruccio che solo il cielo sapeva quanto ci sarebbe costato affrontare.
    Rifiutai categoricamente di affrontare il viaggio verso Amburgo col treno. Aborrivo gli aerei, Walter lo sapeva benissimo avendo fatto spesso i conti e subito la mia fobia. Il pretesto, credibile, che avemmo risparmiato tempo volando piuttosto che viaggiando su rotaie era credibile ma non era del tutto esatto. Walter si sarebbe affaticato troppo sul convoglio, se potevo evitargli un disagio ne ero ben felice; il testo non era importante.
    Il soggiorno ad Amburgo, che non avevamo mai avuto occasione di visitare, apparve da subito piacevole. La cittadina era incantevole. Gironzolare senza meta fra le sue vie era una novità per entrambi. Spesso adducevo ad un pretesto per fermarci a bere qualcosa o per assaggiare un dolce in una pasticceria. Fare del pause permetteva a mio marito di non stancarsi troppo ed era bello stare seduti a guardare il passeggio davanti a qualcosa di caldo o di fresco a seconda dell’occasione.
    Pur rimanendo sempre vigile ed attenta ad ogni suo sospiro cercavo di non mostrarmi troppo apprensiva ma in cuor mio tremavo per ogni colpo di tosse che gli scuoteva il petto.
    Giunto il momento dell’appuntamento con il Dott. Krummell ascoltai il responso del luminare. Purtroppo il suo parere non fu di conforto. Consigliò altri esami ed altri accertamenti per tentare cure delle quale illustrò eventuali benefici e controindicazioni.
    Uscendo dallo studio del professionista ero oppressa non solo dalla diagnosi ma anche dal senso di colpa. Mi veniva da chiedermi se fosse giusto chiedere a mio marito di sottoporsi ad interventi invasivi che lo avrebbero fatto soffrire anche fisicamente oltre che psicologicamente. Walter si era detto disposto e disponibile a fare i tentativi proposti dallo specialista ma in cuor mio sapevo che lo stava facendo solo ed esclusivamente per me, per non farmi avere rimpianti o rimorsi, per non spegnere il lumicino della speranza che mi brillava, ostinato e persistente, nello sguardo.
    <e’ andata bene, no?>
    Deglutii senza annuire e senza scuotere il capo. La mia mente cominciava a rassegnarsi all’idea di perderlo ma il mio cuore continuava a ribellarsi ed io, da istintiva, la ragione non volevo ascoltarla.
    Il professionista era stato chiaro, ci aveva promesso che ci avrebbe convocati non appena avesse organizzato gli esami.
    <a quanto pare dovremo tornare qui. Non mi dispiace come idea>
    Non mi ha fatto un buona impressione Krummel, secondo me non merita tanta fama.
    Sicuramente non ispirava simpatia. Troppo tedesco sia nei modi che nell’aspetto. Se anche aveva mostrato interesse per condizioni di Walter era stato solo per motivi professionali, non si era minimamente lasciato coinvolgere emotivamente. Non aveva fatto altro che fare il suo lavoro ma era di mio marito che si trattava per Merlino non di un ‘caso’ da studiare e su cui fare esperimenti.
    Assorta in quei tristi pensieri non badai a dove stavamo andando fino a quando Walter non mi annunciò di avere una sorpresa. Nemmeno il tempo di chiedere o di immaginare di cosa si trattava ci smaterializzammo e nel momento dell’impatto col terreno sentii mio marito rischiare di perdere l’equilibrio.
    Osservandolo notai che il suo colorito era biancato, si era dovuto appoggiare al muro per sorreggersi nonostante lo tenessi per mano.
    <tranquilla piccola, sono solo un po’ stanco>
    Certo tesoro, tutta colpa di quel tedesco che l’ha tirata più lunga del necessario. Sei la mia roccia, lo sei sempre stato.
    Dio quanto era vero! In lui avevo trovato un approdo sicuro, un porto riparato in cui tornare, un faro che aveva illuminato anche le notti più buie. Pensare che quella luce avrebbe potuto spegnersi era un pensiero non potevo permettermi di fare.
    In qualche modo ci riprendemmo entrambi. Camminando più lentamente di quel non era il nostro solito cinsi il suo fianco col braccio mentre lui appoggiava la mano sulla mia spalla. Quando mi resi conto di quel che aveva organizzato rimasi a bocca aperta.
    Mano nella mano salimmo su una delle barche più belle ormeggiate in un piccolo porticciolo. L’imbarcazione era illuminata ed allestita come se non attendesse altro che noi due. Salendo a bordo potei ammirare il tavolo apparecchiato per due e anche portandomi le mani al volto non riuscii a celare l’espressione meravigliata quando compresi che non era 'solo' una cena romantica il programma della serata.
    Nonostante l’arietta frizzante la temperatura era mite, il tempo era buono e notte giovane. Guardandomi attorno estasiata ci misi più di qualche minuto per rendermi conto che non stavo sognando.
    Walter e l’acqua. Che poteva esserci di meglio e di più. Assolutamente nulla.
    Non chiedo di meglio che affidarmi a lei Capitano.
    Ero sempre stata sicura con lui accanto. Mi aveva sempre protetta, per un periodo aveva cercato di farlo anche rischiando di compromettere quello che era diventato il nostro rapporto.
    Il mio suggerimento di cenare prima della partenza venne accolto con un sbuffo spazientito da mio marito. Walter liberò l’imbarcazione dalla cima che la teneva ormeggiata e da provetto navigatore si diresse al largo lasciando alle nostre spalle le luci della città.
    Ci dirigemmo verso la periferia di Amburgo, la strumentazione di bordo aiutava la guida dell’imbarcazione non richiedendo la costante presenza del timoniere. Affacciata a prua della barca sentivo il vento fresco che spettinava i capelli. Sciolsi lo chignon nel quale li avevo raccolti lasciandoli liberi. Nonostante l’età non avevo mai avuto cuore di tagliarli. Pur non vendendo in maniera distinta la riva a causa dell’oscurità le ombre degli alberi che costeggiavano il canale erano percepibili. Lontano dalla illuminazione artificiale la volta celeste si presentava punteggiata da milioni di stelle. La luna piena rifletteva la sua luce dorata sulle acque scure del canale. Pareva un sentiero. Una strada fluorescente che brillava indicandoci il cammino.
    Walter armeggio facendo scendere l’ancora e fermando l’imbarcazione.
    Raggiungendolo in cabina di pilotaggio gli chiesi di sedersi a tavola e di permettermi di servigli la cena.
    Prima di iniziare volli proporre un brindisi. Alzando i calici guardai il suo viso stanco nel quale brillavano gli occhi che tanto amavo.
    A te tesoro, a questa serata magica. Dovrei dirti che non avresti dovuto ma è tutto così perfetto che posso solo dirti grazie. Non so cosa ho fatto per meritarti.
    Era vero, ancora me lo chiedevo. Gli avevo procurato tanti di quei guai che continuavo a sorprendermi e chiedermi il motivo di tanta devozione.
    Glielo chiesi. Dopo aver gustato un fantastico piatto di spaghetti allo scoglio che gustammo sorridendoci e non smettendo di bearmi della sua vista non potei trattenermi dal porgli la domanda.
    Ti sei mai pentito di avermi portato a casa tua quella notte? La tua vita sarebbe stata diversa se non lo avessi fatto.
    Mi ero innamorata di lui fin dalla sera del nostro incontro e non ci avevo messo molto a rendermene conto. Poi era arrivato Alexander, inaspettato, a sorpresa. Poi un’altra serie infinita di eventi e problemi, non ultima la nostra separazione e vari tentativi di riavvicinamento non andati a buon fine. Avevo avuto modo, nel corso degli anni, di fare molti errori e di pentirmene amaramente ma non mi ero mai pentita della mia scelta. Sapevo che mi amava, lo potevo vedere e perfino toccare il suo amore ma non era sempre stato così.
    Finita la cena, con un calice di vino elfico fra le mani, ci sedemmo a poppa della barca su due sdraio affiancate. Col passare del tempo la temperatura si era abbassata. Rovistando nella parte inferiore dell’imbarcazione trovai due coperte con le quali ci riparammo dal fresco. Mi preoccupai di avvolgerla attorno a mio marito affinchè non avesse a risentire del cambio di temperatura.
    Attorno a noi solo la notte, il rumore dell’acqua e il canto di qualche uccello notturno in lontananza.
    Appoggiano la mano sulla sua buttai fuori quello che mi tormentava da quando eravamo usciti dello studio del medico tedesco. Per quanto mi costasse sentivo di non poter rimandare. Se il destino aveva deciso che il suo tempo fosse prossimo a scadere glielo dovevo.
    Walter ascoltami perché temo che non avrò il coraggio per ripeterlo una seconda volta.
    Le luci provenienti dalla cambusa era appena sufficienti a far intravvedere i nostri profili. Girandomi verso di lui il mio viso, in penombra, era visibile solo parzialmente, il tono della voce era basso, le parole uscivano lente ma ben ponderate e decise nonostante il nodo che ne impediva la fluidità.
    Mi hai dato tanto nel corso di questi anni, mi hai dato tutto te stesso. Nessuno avrebbe saputo fare di meglio o di più. Hai sempre messo avanti a te i nostri figli e me. Ora ti chiedo di non farlo, non proteggermi, non ora. Non dobbiamo per forza tornare da Krummell.
    Ero certa che avesse capito cosa intendevo. Non mi stavo arrendendo, avrei continuato a sperare fino a anche oltre all’impossibile ma non gli avrei più chiesto di assecondare il mio egoismo. Non potevo chiedergli di ascoltare altre sentenze, altri verdetti, altre condanne.
    Il mio amore non può guarirti. Per immenso che sia non può far nulla ma voglio tu viva il tuo tempo senza assilli, al meglio possibile cominciando da ora.
    Avrei atteso che meditasse ne se aveva bisogno, avrei atteso che bevesse se ne aveva voglia, avrei atteso all’infinito se fosse stato necessario e poi gli avrei teso la mano, lo avrei sollecitato ad alzarsi per dare inizio ad una notte che nessuno di noi due avrebbe dimenticato. Lo avrei fatto sorridendo perché era quello che meritava, perché era quello che volevo e perché avevo capito che nulla, nemmeno il mio sogno più grande era potente ed importante quanto farlo felice per il tempo che ci era concesso di poterlo fare insieme.
    Non era ancora finita e la vita ci aveva riservato non poche soprese per pensare lo fosse compresa e non ultima quella serata e la camera con lettone che ci attendeva. Non volevo trattarlo da malato, non ora che aveva ancora vita, forza e passione per stringermi a se.















    Parlato


    Edited by venus - 5/10/2021, 22:31
     
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    Non mi meravigliai di sentirla criticare Krummell. Come approccio al paziente si discostava molto dal suo, inoltre dalle sue labbra non erano uscite previsioni ottimistiche riguardo il mio destino. Avrebbe potuto esserci Merlino in persona al posto suo, Venus avrebbe avuto comunque da ridire riguardo le sue competenze.
    Evitai di affrontare l'argomento sul momento, lasciando si facesse trascinare dall'atmosfera che avevo creato per distrarla e migliorare le conclusioni di una giornata piuttosto stressante per entrambi.
    Guidai lo Yacht tra i canali illuminati della città, percorrendo il fiume Elba giungemmo allo sbocco del mare del nord, silenzioso, deserto, buio, illuminato dai raggi lunari che si specchiavano sul pelo dell'acqua. Era tutto per noi.
    Cenammo godendoci lo spettacolo del panorama, soddisfatto nell'essere riuscito a fare sorridere mia moglie, nonostante tutto, brindai insieme a lei senza riuscire a fare a meno di sentirmi ancora immeritevole per tanta e tale devozione da parte sua.
    Ero stato io quello sbagliato tra noi due. Io quello che aveva rischiato di rovinare nel modo peggiore e più doloroso il nostro rapporto. Eppure lei non smetteva di ripetere quanto si sentisse fortunata nel trovarsi al mio fianco, incredula addirittura nel ricevere il mio amore. Proprio lei, che invece aveva sempre fatto di tutto per prendersi cura di me anche quando non lo avrei meritato, mi aveva accolto e perdonato. Se qualcuno doveva essere grato lì ero solamente io e spesso mi sembrava di non dimostrarle abbastanza quanto fossi riconoscente. Senza di lei sarei stato un uomo perso, finito.
    < Ti sei mai pentito di avermi portato a casa tua quella notte? La tua vita sarebbe stata diversa se non lo avessi fatto. >
    Sorseggiai il vino bianco dal mio calice, incrociando poi le braccia suo tavolo prima di risponderle, sul viso l'accenno di un sorriso.

    "Non mi sono mai pentito di averti salvata. Semmai posso essermi pentito per ciò che è successo dopo."

    Non era un segreto per nessuno di noi due, quando avevo scoperto di Alexander non avevo fatto i salti di gioia, mi ero sicuramente pentito di non aver usato precauzioni e di essermi lasciato sedurre da una donna per la quale allora ero convinto di non provare nulla se non riconoscenza per avermi salvato la vita ed un timido accenno di affezione nell'aver oramai conosciuto la sua storia.

    "Ho sicuramente pensato di aver commesso un errore. Ma a quel tempo ero cieco e se non fosse stato per te avrei capito troppo tardi a cosa avessi deciso di rinunciare. Allora il pentimento mi avrebbe perseguitato a vita. Perché tu, piccola, sei l'errore più bello e più giusto che avessi mai potuto commettere."

    Riprendendo in mano il calice, lo accostai al suo per poi alzarlo e portarlo alle labbra distese in un sorriso.
    Di errori ne avevo fatti tanti, tantissimi. I peggiori erano stati quelli che avevano ferito lei e di conseguenza anche i nostri figli, ed era proprio quando avevo creduto di agire nel modo più giusto.
    Tutte le volte in cui invece era stata lei a scegliere per me, per noi, ci aveva sempre condotti sulla strada migliore, quella più felice per tutti. Venus era la mia salvezza, il mio porto sicuro.
    Dopo aver fatto fuori anche mezza grigliata mista di pesce, andammo a stenderci a poppa. Mi godetti la premura di mia moglie di rimboccarmi per bene la coperta affinché non venissi disturbato dagli spifferi freddi dell'aria notturna.

    "Avrei dovuto fingermi malato molto prima."

    Scherzai, rilassandomi sulla sdraio. Nonostante la piacevolissima serata a conversare con mia moglie e riempire lo stomaco con una deliziosa cena a bordo di una barca nel mezzo del nulla, continuavo a sentire le membra appesantite dalla spossatezza. Infatti non avevo neanche finito la bottiglia di vino, ben cosa strana da parte mia.
    < Walter ascoltami perché temo che non avrò il coraggio per ripeterlo una seconda volta. >
    Il suo tono improvvisamente serio mi preoccupó. Finora avevamo riso e scherzato, sapevo non le mancassero le ragioni per essere turbata, però, in modo del tutto irrazionale, andai a pensare potesse avere qualche altro disagio che andasse aldilà del mio stato.

    "Dimmi tutto…"
    < Mi hai dato tanto nel corso di questi anni, mi hai dato tutto te stesso. Nessuno avrebbe saputo fare di meglio o di più. Hai sempre messo avanti a te i nostri figli e me. Ora ti chiedo di non farlo, non proteggermi, non ora. Non dobbiamo per forza tornare da Krummell. >
    Avrei dovuto aspettarmelo riguardasse questo, in parte non potei fare a meno di tirare un sospiro di sollievo. Le risposi senza pensarci due volte, prendendo la sua mano tra le mie e strofinandola per scaldarla. Era gelida.

    "Sì, va bene. Se non ti ha convinto possiamo sempre cercare qualcun'altro."

    Ciò che non potevo aspettarmi, invece, era il proseguo del suo discorso. Non era Krummell il problema. Non mi stava chiedendo di andare a chiedere un altro parere, un nuovo consulto. Mi stava dicendo di godermi il tempo che restava senza immolarmi a cure che, molto probabilmente, non avrebbero portato benefici se non ulteriori stress per un corpo che, via via nei mesi, sarebbe andato a debilitarsi ed indebolirsi a causa della malattia.
    Non riuscii a ribattere, in silenzio incassai il colpo senza sapere cosa rispondere. Da un lato ero d'accordo.
    Affidarmi ad un medico avrebbe portato via tempo, energie, forze che invece avrei potuto dedicare al cento per cento a lei ed alla nostra famiglia.
    Se lei mi parlava in quel modo, significava stesse arrendendosi all'evidenza, a ciò che sarebbe stato e non avremmo potuto cambiare.
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    Assorto, senza ancora spiccicare parola la seguii all'interno dello Yacht, dove la camera da letto era già pronta ad accoglierci, calda, accogliente e confortevole.
    L'accompagnai fino al bagno dove avevo riposto il necessario per la notte sgraffignato sempre quella mattina di nascosto prima di raggiungere il porto. Lei mi aveva guardato piacevolmente sorpresa, io le avevo lasciato un bacio sulle labbra prima di lasciarla sola per darle la giusta tranquillitá per sistemarsi e mettersi comoda.
    Tornato nella stanza mi ero seduto sul bordo del materasso, avevo sfilato il maglione e lasciato la camicia aperta fino a metà. Con le mani appoggiate sulle ginocchia e la testa bassa mi ero concesso modo e tempo di riflettere prima di sentire Venus raggiungermi.
    Avevo alzato il capo, guardandola. Immediatamente tornai a sorridere. Mi bastava vederla per trovare coraggio e voglia di affrontare ogni genere di ostacolo o timore.
    Mi stesi sul letto ed invitai lei a fare lo stesso. Se mi fossi sentito meno debilitato mi sarei alzato in piedi, l'avrei raggiunta e baciata con tutto l'ardore che sentivo scorrermi nelle vene ancora, dopo tutti questi anni. Ma prima avevamo un discorso in sospeso da affrontare.
    Girandomi di lato verso di lei, le accarezzai una guancia, specchiandomi nella meraviglia dei suoi occhi.

    "Penso dovremmo fare ancora qualche tentativo. Possiamo consultare altri medici, se non ci convincerà nessuno potremmo comunque dire di averci provato. Se le cure non funzioneranno smetteremo subito. Dobbiamo provarci, per i nostri figli."

    E volevo provarci anche per lei. Continuavamo a proteggerci a vicenda. Venus voleva farmi soffrire meno possibile. Io volevo sollevarla da ulteriori pensieri gravosi che avrebbe potuto avere in futuro, non avendo tentato di intraprendere tutte le strade possibili.
    Non avremmo mai smesso di farlo, non avremmo mai smesso di interporre il benessere dell'altro al nostro. Forse questo era uno degli aspetti che aveva reso il nostro rapporto così speciale, forte e profondo.
    Abbassai il viso sul suo, baciandola. Schiusi le labbra, in un contatto pur sempre delicato, mentre con un braccio l'attiravo a me, stringendola e con la sinistra l'accarezzavo.
    C'era altro però che mi premeva chiarire con lei.

    "Venus…" Mi distaccai appena, fissando lo sguardo serio nel suo. "Se hai bisogno di sfogarti, urlare, piangere… Fallo. Non devi trattenerti, non con me. Ora siamo solo noi due, non ci udirá nessuno. Soltanto il mare là fuori."


    Era un pensiero che mi assillava da giorni. Da quando le avevo comunicato la notizia non aveva versato una lacrima, aveva sempre prontamente nascosto il suo dolore dietro un sorriso tirato o un'espressione fintamente serena non appena si accorgeva di avermi tra i paraggi.
    Non avevo idea se durante la mia assenza avesse trovato qualcuno, un'amica, un collega, una conoscenza qualsiasi con cui sfogarsi. Me lo auguravo, ma il timore stesse reprimendo tutto dentro, lo soffocasse senza permettersi di dare libero sfogo all'angoscia, non mi faceva quasi più dormire la notte.
    Il suo era il modo migliore per avvelenarsi dalla pena e dal dolore. Non avevo aspettato altro, invano, se non abbracciarla e stringerla a me sperando di sentirla finalmente piangere e disperarsi come probabilmente io al suo posto avrei già fatto incapace di reggere la sofferenza.
    Ora, nella camera di quella barca in mezzo al suo elemento naturale, speravo si sentisse libera abbastanza da lasciarsi andare. Non era un caso se avevo deciso di portarla proprio lì. Da soli.
    Io, lei, ed il mare.
     
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    Venus McDolan • 35 y. o. • Guaritore • PC
    C’era tanta pace attorno a noi. Pace e silenzio. Pareva che nulla di brutto potesse succedere protetti dall’oscurità e cullati dalle onde.
    Se la luce del giorno o quella invadente delle luci artificiali mettevano in risalto quanto e come, nel corso degli anni, eravamo fisicamente cambiati l’oscurità, senza nasconderle, le mitigava. Osservando il profilo di Walter illuminato dalla sola luce della luna vedevo lo stesso profilo, la stessa postura, udivo la stessa voce calda e profonda dell’uomo a cui avevo dato il cuore molti anni prima. Nulla pareva cambiato mentre tanti erano stati i cambiamenti a cui avevamo assistito.
    Il nostro rapporto aveva navigato per mari tempestosi per diverso tempo. La sua ragione contro il mio istinto, il mio caratteraccio contro il suo che non era certo arrendevole ci avevano fatto cozzare uno contro l’altra più volte. La vita ci aveva fatto affrontare prove, ostacoli e eventi che avevano rischiato di farci perdere ma questo non era successo e quando la tempesta si era placata ci eravamo ritrovati cambiati e migliori. Eravamo dovuti arrivare al punto di pensare che tutto era perduto per capire che non potevamo fare a meno l’uno dell’altra.
    Parlando alla notte, liberamente, come si stessi parlando con me stessa, dissi il mio sentire a mio marito.
    Non sono mai stata così felice di sentirmi un ‘errore’. Ne ho fatti tanti. Col senno di poi qualcuno lo rifarei.
    Sorrisi ripensando a quanto ero angustiata nel dovergli comunicare la notizia che Alexander era in arrivo. Non l’aveva presa affatto bene sul momento. Mi rattristai nel pensare al rischio di non nascere che aveva corso Alice. A volte, ancora oggi che era una donna fatta, quando la guardavo coccolare suo padre con la stessa aria da innocente furbetta di quando era infante mi sentivo profondamente in colpa nei suoi confronti. Per fortuna quell’errore lo avevo evitato. Nostra figlia era un raggio di sole che aveva riscaldato e continuava a riscaldare le nostre esistenze.
    Non mi pentivo affatto di aver sempre detto la mia anche quando potevo star zitta, non mi pentivo delle liti che erano servite a chiarirci, non mi pentivo, soprattutto, di aver sempre dato ascolto al cuore anche quando la ragione tendeva ad arrendersi. Non mi pentivo per la mia testardaggine che se tante volte aveva provocato discussioni alla fine era servita a farci riavvicinare.
    Col trascorrere degli anni avevo imparato ad apprezzare il buon vino. Dapprima limitandomi ad assaggiare qualche sorso dal bicchiere di Walter e poi facendogli compagnia sorseggiandolo insieme a lui.
    <avrei dovuto fingermi malato molto prima>
    Centellinando il buon rosso durante il dopocena, sdraiati uno accanto all’altra, la sua voce mi riscaldava molto più della coperta e molto meglio dell’alcol. La dorata luce dell’astro che splendeva in cielo probabilmente non nascondeva del tutto il mio sorriso e sicuramente il tono della voce lasciava chiaramente intendere che mie labbra si arricciavano in una smorfia divertita nel rispondergli.
    Lo hai fatto. Ricordi quando Alice ha avuto il morbillo? Ti sei ricoperto il petto di pois scarlatti per solidarietà e ho dovuto dare la pozioni ad entrambi per non sgamarti.
    Per non parlare di quando si era rotta il braccio. Padre e figlia avevano giocato al gatto e la volpe per tutta la durata della convalescenza della briccona che non aveva mai risparmiato una a suo padre.
    La luna poteva vedere i nostri visi che si erano distesi mentre ci immergevano nei ricordi. Viverli ci era parso difficili, farli riaffiorare dava il dolce senso di quella che era la nostra famiglia, il nostro valore e tesoro più grande.
    Passare dal sorriso al serio divenne ancor più triste. L’argomento che stavamo trattando non era un ricordo bensì qualcosa con cui dovevamo fare i conti.
    Avvertendo di avere la sua completa attenzione, dopo aver esposto il mio sentire, ascoltai la sua reazione. Aveva compreso dove volevo arrivare. Aveva probabilmente anche capito che la mia non era una resa e che stavo cercando di non indurlo ad assecondarmi solo per non farmi sentire, un domani, in colpa per non averci provato ed io volevo provarci. Non seguendo le teorie di Krummel però. Da sole non sarebbero bastate. La medicina magica aveva potenziali notevoli ma c’era, ci doveva essere, ci voleva uno stimolo in più che non poteva essere concentrato in una pozione o in una serie di interventi. Ci voleva qualcosa di potente, di talmente forte da farlo reagire, da indurlo a ribellarsi a quello che pareva un destino segnato. Lo vedevo e lo sentivo rassegnato e seppur comprendendo il suo stato d’animo non lo condividevo.
    Hai ragione. Dobbiamo farlo. Per i nostri figli.
    Aveva appena detto la parola magica. Già in passato l’amore per i suoi figli lo aveva salvato. Avrebbe dato la vita per loro senza pensarci una mezza volta. Se aveva funzionato allora poteva funzionare di nuovo. I figli erano miracoli, sapevano fare miracoli per chi li amava come Walter amava i suoi. Si trattava di giocare il tutto per tutto. Era un azzardo e lo sapevo. Per compiere il miracolo a cui auspicavo ne serviva un altro ma perché non provarci? Eravamo avanti con gli anni ma la passione fra noi non si era mai spenta, non era venuto meno il brivido che attraversava la mia pelle quando mi guardava in un certo modo. Amarci col cuore e col corpo per noi era ancora naturale, esaltante, irresistibile.
    Con quel pensiero che mi frullava per il capo, mentre raggiungevamo la cambusa e il lettone sul quale avremmo trascorso la notte lo ascoltai quasi distrattamente mentre parlava. Quando realizzai ciò che stava dicendo lo sguardai. Non mi stupiva che si stesse preoccupando per me mentre io stavo facendo la stessa cosa per lui. Avevamo solo un diverso obiettivo.
    Piangere? E perché dovrei piangere? Sono qui con te, non vorrei essere da nessuna altra parte.
    Sfogarmi si. Ne sentivo il bisogno e la necessità ma volevo farlo a modo mio e se avessi urlato, cosa che non escludevo, non sarebbe stato per la disperazione.
    Walter Brown, mi hai appena ricordato ed accusato di essere una donna testarda. Non ho nessuna voglia di passare la notte a piangere.
    Da guaritrice e da strega sapevo che era possibile sperare nel miracolo. Avere sangue magico nelle vene dava dei privilegi e mai come in quel momento ero grata alla sorte di avermi fatto nascere col dono. Nessuna pozione era potente come l’amore che univa due corpi e due cuori fondendoli assieme. Pensarci troppo su, ragionare, valutare le controindicazioni non era da me. Era da me agire d’istinto, avevo vissuto seguendolo; unito alla mia testardaggine mi aveva fatto vivere una vita da favola insieme all’uomo che amavo. Avrei continuato ad agire in quel modo che, in quello specifico caso, tutto poteva essere tranne che spiacevole
    .

    Questa notte è tutta per noi tesoro e se mi sentirai urlare non sarà certo per il dispiacere.
    Non intendevo dirgli quale era la mia speranza, non quella notte. Avremmo passato ore a parlarne se lo avessi fatto e non avevo nessun bisogno di fingere su quali erano le mie intenzioni. Ero sinceramente e palesemente attratta da mio marito, non si sarebbe stupito, mentre si sedeva sul letto, di veder cadere la fascia che teneva unita la gonna al top, non si sarebbe meravigliato nemmeno quando anche la parte inferiore del vestito fosse finita sul pavimento di legno della barca che rollava.
    Mentre mi avvinavo a lui andando a sedergli sulle ginocchia avrebbe invece riconosciuto lo sguardo ardente dei miei occhi mentre slacciavo i bottoni della sua camicia.
    Ora se vuoi puoi fingerti malato. Lascia che ti curi mentre ti prendi cura di me.
    La cura che avevo in mente era tutt’altro che palliativa. Era ciò che desideravo. Quando facevamo l’amore i nostri pensieri svanivano ed era di quello che avevamo bisogno. Entrambi. Amarci. E se avessimo dovuto ripetere l’esperimento mai prova mi sarebbe stata più gradita.
    Assaggiando il sapore del vino dalla sua bocca lo strinsi a me senza pensare a nulla che non fosse viverlo, vivere momenti di dolcezza e passione che ci avrebbero dato coraggio e forza per affrontare il domani e io lo volevo un domani. Lo volevo quanto volevo lui e mentre lo baciavo; appoggiando il pizzo del top sul suo petto, mi sentii rinascere. Piena di energia e di speranza. Ancora una volta stavamo toccando il fondo, come allora pareva che tutto fosse perduto ma ora eravamo insieme a tentare di risalire. Non era un errore provarci in quel modo affatto invasivo e tutt'altro che doloroso. Il mare era stato mio alleato, non mi avrebbe deluso nell’occasione più speciale della nostra vita. Quella notte non sarebbe stata un punto di arrivo ma una nuova partenza. Per un altro viaggio, per un’altra avventura che avremmo vissuto. Insieme.



















    Parlato


    Edited by venus - 8/10/2021, 16:31
     
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    Riuscii a ridere al ricordo di me ricoperto di pallini colorati con il pennarello rosso, allo sguardo fiducioso di mia figlia che aspettava fossi io il primo ad assumere l'amara medicina per darle coraggio. L'avevo fatto senza battere ciglio, così come mi ero preso due giorni per stare a casa da lavoro fingendo di dover trascorrere la convalescenza insieme a lei.

    "Giusto. Ma allora non eri così premurosa, eri molto più interessata nel prendermi in giro e non vedevi l'ora di farmi ingurgitare quella medicina disgustosa."

    Aveva riso non poco sia alle mie spalle nascondendosi da Alice, sia direttamente in faccia, ripetendomi quella bambina da adolescente, una volta avesse appreso quale ascendente esercitasse su di me, avrebbe di sicuro abusato del suo super potere per rivoltarmi come un calzino.
    E così era stato.
    Per fortuna era da sempre stata una ragazzina abbastanza assennata, altrimenti a quell'ora ci saremmo ritrovati in famiglia una delinquente dato tutte le libertà che le avevo concesso.
    I ricordi di un passato spensierato si dissolsero durante il nostro scambio di battute riguardo il da farsi per quanto concerneva le cure.
    Fui lieto nel sentirla assentire con la mia decisione, nel nominare i nostri figli anche la sua determinazione sembrava essersi ravvivata. Loro erano il nostro ossigeno, il nostro carburante quando temevamo di star arrivando al capolinea e non essere in grado di superare qualche imprevisto non calcolato e più difficoltoso di altri.
    Anche in questo caso estremo il pensiero rivolto a loro ci avrebbe aiutato a trovare la forza necessaria per andare avanti, tentare il tutto per tutto, senza arrenderci alla crudezza del destino.

    "Bene, allora… Non appena torniamo a Londra fissiamo altri appuntamenti. Per adesso, godiamoci questi giorni…"

    Non dovendo più attendere risposte da Krummell, potevamo organizzare i giorni rimanenti della vacanza come più avremmo preferito. Sarebbe stato piacevole concentrare i nostri pensieri sulle mete desiderate da raggiungere, tralasciando per il momento i gravosi e ben poco allegri impegni medici.
    Non venne invece assolutamente recepita la mia richiesta di aprirsi allo sfogo. O per meglio dire, venne recepita prendendo una direzione che non avevo calcolato, almeno non subito.
    < Piangere? E perché dovrei piangere? Sono qui con te, non vorrei essere da nessuna altra parte. >

    "Sì, ma…"

    Niente, non mi diede tempo di parlare o di agire. Le parole mi morirono in gola nello stesso istante in cui i suoi abiti venivano lasciati cadere sul pavimento, scoprendo interamente quel corpo che mai, nemmeno nei nostri periodi più bui, avevo smesso di desiderare.
    Le mie membra anchilosate dalla stanchezza si gonfiarono subito di vigore non appena me la ritrovai seduta sulle ginocchia, con la labbra che esprimevano ardenti promesse e gli occhi che mi invitavano a tacere qualsiasi dubbio.
    Le braccia, subito di istinto la strinsero contro il mio corpo, le mani scesero a toccarle le gambe, stringerle le cosce e percorrere la linea della vita per raggiungere la chiusura del reggiseno che venne immediatamente slacciato.
    Il viso affondato contro il suo petto inspirava a pieni polmoni il suo odore seducente, quello a cui non ero ancora riuscito ad abituarmi dopo quasi quarant'anni, quello che riusciva a mandarmi fuori di senno nell'attimo stesso in cui mi invadeva le narici.
    Con gesti repentini che sorpresero pure me stesso, la feci stendere sul materasso e liberandomi della camicia mi lasciai andare su di lei, catturandole le labbra in un bacio appassionato.
    Ero certo che se il destino fosse stato tanto generoso da concedermi altri trent'anni da vivere insieme, non avrei mai smesso di desiderarla con la stessa profonda, a volte anche dolorosa, intensità.
    Negli ultimi giorni non ero riuscito a combinare granché. Vuoi per la spossatezza, vuoi per la debolezza di un corpo malato che cominciava a perdere colpi, vuoi per pensieri vari, quasi vergognandomene mi ero stretto a lei sperando che la mia strana mancanza di stimoli non la offendesse o preoccupasse ulteriormente.
    Quella notte però era nostra, avremmo recuperato il tempo perduto, godendo ogni ora, minuto e secondo che ci sarebbe stato donato.
    Alzandomi con il busto le sfilai top e reggiseno, restando poi in contemplazione di quel corpo ai miei occhi semplicemente perfetto. I segni del tempo lo avevano reso ancora più sensuale ed attraente. Mi abbassai a baciarlo dalle spalle, fino a sotto l'ombelico, lì dove mi soffermavo sempre, proprio dove svettava il segno di una smagliatura, un vecchio ricordo della gravidanza di Will, della quale Venus si lamentava spesso perché, a suo dire, più ampia e visibile delle altre.
    Io l'amavo, come ogni sua più piccola parte di lei, a maggior ragione essendo consapevole fosse un'impronta di passaggio di uno dei nostri ragazzi.
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    Tornando su di lei incontrai il suo sguardo e le sorrisi, riconoscente per tutto ciò che aveva fatto, stava facendo ed avrebbe fatto per me, felice di saperla e sentirla mia, completamente sopraffatto da un amore che non sarebbe mai finito, neppure al sopraggiungere della mia ora, non poi tanto lontana.
    Facendole passare le braccia dietro la schiena, l'avvolsi in un abbraccio colmo di gratitudine, passione e devozione, scaldato dal sentimento eterno che ci aveva tenuti uniti e vicini fin dalla origini del nostro rapporto, anche quando sembrava essere andato perso per sempre.

    "Ti amo, piccola mia…"

    Un timido sussurro al suo orecchio dalle labbra impegnate a percorrere il viso ed il collo di baci, abbandonato in quell'abbraccio il cui calore speravo avrebbe continuato a scaldarla anche una volta che i nostri corpi sarebbero stati costretti a dividersi.
    Non ero solito fare quel tipo di dichiarazioni. Preferivo di gran lunga dare dimostrazioni fisiche, non risparmiarmi in atti pratici, con la vecchiaia anzi, e grazie all'influenza di Venus avevo imparato ad esprimere più facilmente le mie emozioni verbalmente, ma non mi ero mai sforzato poi tanto a cambiare quell'aspetto di me. Non l'avevo ritenuto necessario. Non fino ad ora.
    Non avrei dato più niente per scontato, le avrei trasmesso con ogni mezzo a mia disposizione la profondità del legame che mi dava forza e volontà per continuare ad affrontare ogni giorno con il sorriso e la voglia di vivere fino alla fine.
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    <per sempre piccola. Sono parte di te ormai, come tu sei parte di me.>
    Quanto era vero. Eravamo vissuti in perfetta simbiosi per tanto di quel tempo e talmente intensamente che risultava impossibile ritenerci due persone distinte.
    Orbitavamo uno attorno all’altro con la stessa forza con cui la terra orbitava attorno al sole. Una metafora che mi fece sorridere; la trovavo particolarmente adatta. Lui era il mio sole, io la sua terra, il nostro amore era pioggia che dava origine alla vita.
    Il suo guardarlo mi riscaldava il cuore e l’anima facendoli volare verso spazi immensi e senza fine dove tempo e dimensioni perdevano di importanza.
    Mentre staccandosi da me si metteva al mio fianco rimasi immobile. Trattenendo fra la mia la sua mano l’accompagnai per farla posare sul ventre. Il calore del suo palmo sulla nuda pelle si irrorò per tutto il corpo dandomi una sensazione di beatitudine.
    Chiudendo gli occhi sospirai sorridendo.
    Lo stridio di un gabbiano, il suono delle onde e i nostri respiri. Dovevo memorizzare e incidere nella mente quell’istante. Dovevo focalizzare sia mentalmente che emozionalmente quell’attimo. Poteva sembrare uno dei tanti, magici, momenti che avevamo condiviso ma era qualcosa di più. Poteva essere cruciale quel momento. In silenzio ascoltavo ogni minima variazione dei nostri respiri concentrandomi sul qui ed ora del nostro stare insieme e su quello del mio corpo. Ne ascoltavo ogni possibile sfumatura ben sapendo che erano talmente tante che era impossibile individuare e riconoscere quella che cercavo.
    Non dovevo essere troppo apprensiva, non dovevo avere fretta e non dovevo mettermi ansia. Tanto meno dovevo metterne a Walter per cui quando sussurrò il mio nome riaprii gli occhi girando il viso verso il suo.
    Muovendomi molto lentamente allacciai le gambe alle sue e sollevando il busto lo guardai adorante.
    Mi ero sempre chiesta se Walter fosse cambiato nel corso degli anni o se fosse stato il nostro rapporto a far si che il suo vero essere potesse venire alla luce così chiaramente. Sicuramente il tempo lo aveva ammorbidito, aveva smussato alcuni angoli del suo carattere. La paternità lo aveva reso più paziente e disponibile ma mi sorprese che fosse proprio lui, che in genere svicolava all’insistere del mio voler sapere anche le cose più assurde, a sollecitarmi a chiedere. Dovetti reprimere l’impulso di dire la prima cosa che mi passava per la testa che avrebbe suonato più o meno così: Non è ancora il momento per fare testamento Mr. Brown.
    Comprendendo che parlava seriamente ed escludendo a priori che volesse lasciarmi le sue ultime volontà proprio in quel momento mi feci seria. C’erano stati momenti, nel nostro passato, che non avevo mai capito appieno. Momenti e situazioni che a caldo avevo rifiutato senza mai aver avuto, in seguito, voglia di approfondire. Per vigliaccheria, per paura delle risposte, per timore di vivere e far rivivere anche a lui situazioni che non era stato affatto piacevole affrontare.
    Appoggiando le labbra sul suo petto vi deposi un tenero bacio per poi sollevare il braccio ed andare ad accarezzare il viso dell’uomo che amavo più della mia vita.
    Solo se mi prometti che non crucciarti con sensi di colpa che ormai abbiamo sepolto. Il passato è passato. Non può tornare e quindi non può più nuocere.
    Riallacciandomi, almeno in parte, al pensiero che avevo concepito poco prima appoggiai il viso sul suo torace rimanendo per qualche attimo ad ascoltare il battito del suo cuore il cui ritmo era molto simile al mio. Un tempo mi sarei agitata nel porgli domande. Lo avevo sempre fatto temendo le risposte. Ora potevo affrontarle con la consapevolezza che per dure potessero essere il nostro vissuto mi permetteva di poterle vedere sotto una prospettiva diversa.
    C’è stato un momento
    Mi incespicai usando quel termine. Non si era trattato solo di un momento. Ripresi correggendo il tiro.
    …un periodo in cui ho temuto che tu avessi perso di vista quelli che sono alcuni dei nostri comuni valori. I più importati, come quello della famiglia. Ti va di dirmi quali erano i tuoi pensieri in quel periodo?
    Sapevo e ricordavo fin troppo bene quelle che erano state le sue parole e avevo ben presente anche quelle che erano state le sue azioni ma quello che aveva pensato, quello che lo aveva indotto a farmi intendere che per noi non ci potesse essere un domani insieme ancora mi erano difficili da comprendere.
    Hai mai davvero pensato di poter vivere lontano o ai margini della tua famiglia guardandola crescere senza farne parte integrante e viverla nel quotidiano? C’è stato un momento o più momenti in cui hai pensato che sarebbe stato meglio vivere lontano da me?
    Qualunque cose avesse risposto sapevo quello che era successo dopo quei momenti. Potevo affrontare l’ascolto di quelli che erano o potevano essere stati i suoi pensieri, i suoi sentimenti e i suoi dubbi. Eravamo sposati da oltre trent’anni e se lui poteva affrontare e vincere il pensiero della sua malattia la prova a cui mi stavo sottoponendo era ben lieve a confronto.
    Non era solo del passato che volevo sapere. Le mie più fervide speranze e le mi attenzioni presenti e future erano volte all’oggi e al domani. Al nostro presente e al nostro futuro. Insieme.
    Unendo le nostre fronti continuai ad accarezzare il suo viso come se fosse non l’ultima ma la prima volta che le mie dita si posavano sui suoi lineamenti. Il mare nero dei suoi occhi a diretto confronto con le acque chiare e trasparenti dei miei.
    Probabilmente gli sarebbe parso strano quello che mi approssimavo a chiedergli, la sua risposta era importante. Mi spiaceva porgliela in quanto mi rendevo conto di metterlo in una situazione affatto semplice. Il mio sguardo divenne più intenso ma meno brillante. Forse non avrebbe capito il vero senso della domanda e non volevo nemmeno lo comprendesse appieno. Temevo potesse ostacolarmi mentre ero ben decisa a perseguire l’alimentare della mia speranza e dei miei propositi.
    Se fosse successo a me di avere la prospettiva di un tempo limitato davanti…tu avresti…avresti…
    Dio quanto era difficile dire senza dire e senza mentire. Mentire non potevo, avrebbe fiutato l’odore della menzogna attraverso la mia pelle oltre che a vedere cambiare l’espressione del mio viso.
    Seguendo il profilo delle sue labbra provai a portare a compimento la frase.
    Fatto e tentato l’impossibile.
    Non era una domanda. Ne ero certa. Lo avrebbe fatto senza esitare anche correndo il rischio di schiantarsi. Non si sarebbe arreso davanti a nulla.
    Se io volessi fare lo stesso…per te….a modo mio…ti arrabbieresti….molto?
    Speravo che la prendesse come una ipotesi vaga e non ben definita. Razionalmente lo era ma quando mai ero stata razionale? Ora meno che meno volevo esserlo. Ero assolutamente convinta di star facendo la cosa giusta e la migliore, l’unica che poteva darmi la speranza di poter riaccendere nei sul sguardo la determinazione che tante volte avevo visto nei suoi occhi e che temevo di veder spegnersi.
    Potrebbero significare rimetterci in gioco, potrebbe essere necessario affrontare dei cambiamenti. Saresti disposto ad affrontarli…con me?
    Ero consapevole di non stargli proponendo di giocare a far finta di nulla. Nella nostra vita di cambiamenti ne avevamo fatti tanti ed ora che avevamo raggiunto una ragionevole quiete la sua malattia prima e la mia soluzione azzardata poi di avrebbero messi in subbuglio. Ci saremmo incasinati la vita ma il nostro amore era forte più che a sufficienza affinchè nulla compromettesse il nostro rapporto. Da soli non eravamo nulla, insieme eravamo uno la forza dell’altro, ci alimentavamo a vicenda. Mi bastava guardarlo negli occhi per averne la meravigliosa certezza.
    Prima che potesse rispondermi posai le labbra sulle sue. Irresistibili e attraenti come lo erano sempre state e come sempre, soprattutto in quel momento, le percepivo.










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