nightmare

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    Aveva creduto di essere al sicuro tra le mura di Hogwarts ma la presenza del Volhard si era fatta sentire anche lì. Dopo un periodo di ambigua assenza, qualche settimana dopo l'inizio di Hogwarts, Lorence aveva ripreso a farsi sentire, portando ovviamente avanti le sue minacce. Aveva saputo del suo trasferimento, in qualche modo. Della sua nuova carica di prefetto, della sua casata. Conosceva persino la sua camera all'interno della sala comune. Era come se, anche se non gli era permesso di mettere piede all'interno del castello, lui fosse lì, guardando ogni sua mossa. Ne aveva parlato a Mason, cercando supporto. Aveva pianto, di nuovo, e le sembrava di non riuscire più a fare altro. Si odiava per essere diventata quel tipo di persona che non avrebbe creduto di essere mai: debole. E forse era proprio quello l'obiettivo del Volhard. Farla sentire insicura, sola, priva di alcuna speranza. Di notte, quando riusciva ad addormentarsi, si risvegliava col fiato corto e la sensazione opprimente delle sue mani su di sé. Aveva pensato di scappare, ancora. Era stato Mason a farla desistere. Le aveva detto di restare al castello tutto il tempo necessario e di non badare a nessuna delle istigazioni ricevute. Le aveva spiegato che di sicuro il suo obiettivo era quello di vederla fuori di lì, così da poter avvicinarsi e lei non avrebbe dovuto dargli modo di realizzare il suo desiderio. Per quanto quelle parole non potessero allontanare il timore di vederlo spuntare in uno dei corridoi del castello, in parte l'avevano aiutata a rassicurarsi. Ad Hogwarts era al sicuro e Mason l'avrebbe aiutata fuori.
    Quel fine settimana avrebbe dovuto raggiungere la propria famiglia per i soliti controlli di routine al San Mungo. Mason l'avrebbe scortata da Hogsmeade fino a Londra e tutto sarebbe andato bene, continuava a ripeterselo.
    Era arrivata prima del previsto, seguendo un gruppo di studenti in trasferta verso il villaggio. Lì, aveva cercato una panchina sulla quale sedersi, una dalla quale avere una buona visuale sulle persone lì presenti. Pinky, seduta accanto a lei sulla panchina, la rassicurava con la sua presenza mentre Helena, per stemperare la tensione, fumava una sigaretta. Accarezzò il manto setoso della volpe quando la vide agitarsi. Si guardò attorno timorosa per accertarsi fossero da sole, prima di curvarsi verso la compagna. «Pinky, tranquilla.» Le diede un buffetto tra le orecchie, poggiando di nuovo la schiena contro il supporto in legno della panchina. «Ora arriva.» Lo ripetè a se stessa mentre si concedeva un nuovo tiro, guardando l'orologio al polso. Quando tirò su lo sguardo però, si ritrovò dinanzi un'ombra. Il sorriso sul volto che aveva, le ghiacciò il sangue nelle vene. Per un attimo che sembrò eterno, smise persino di respirare. La sigaretta bloccata tra le labbra, gli occhi sgranati a fissare il Volhard. L'attimo dopo, afferrò la volpe con uno strattone e corse via da quell'incubo diventato reale. Scappare era l'unica cosa che le era rimasta da fare.
     
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    Seduto sulla poltrona nella stanza che le aveva concesso. Una stanza principesca, più grande di quanto avrebbe mai potuto immaginare, più sfarzosa di quanto si potesse permettere da qui ad un altra vita. Le aveva concesso servitori ai quali era stato espressamente detto di accontentarla in ogni suo capriccio... Le aveva messo in testa una corona, ed in cambio c'era soltanto una cosa che lei avrebbe dovuto dargli.
    Lorence strinse la presa sul bracciolo della poltrona, mentre con l'altra mano si massaggiava il mento lentamente. Ingrata. Si suol dire che una prigione dorata fosse pur sempre una prigione, la verità era un'altra. Un po' di furbizia e quel tanto che bastava di sano doppiogiochismo e quella prigione dorata avrebbe potuto aprirsi a svariate possibilità. Che cos'era l'amore in confronto al potere? Lorence non capiva. Eppure l'aveva lasciata libera per un po', o per lo meno glielo aveva fatto credere.
    Non era stato troppo difficile capire dove si fosse rintanata, ma se pensava di essere al sicuro, se davvero credeva che ad Hogwarts sarebbe riuscita a sottrarsi dal suo destino, doveva essere davvero una stupida.
    “Signor Volhard, è tutto pronto.” la voce di Alfred lo distolse dai suoi pensieri. Lorence si alzò in piedi e si sistemò la giacca, prima di girarsi verso il suo servitore, “Augurami buona fortuna, Alfred.” disse sorridendo compiaciuto. Ripose il rosario, nascosto fino ad allora fra la mano ed il bracciolo della poltrona, nella tasca e mosse i primi passi per uscire da quella stanza. Il fido servitore si chinò appena in una riverenza, prima di rispondere serio, “Lei non ne ha bisogno, signore.” Ed era vero. La fortuna era oppio per gli sprovveduti. A cosa serve la fortuna quando sia ha potere?

    L'osservò per un po'. Aspettava Chesterfield? Sorrise malevolo, scuotendo il capo. Quanto poteva essere stupida? Seduta lì su quella panchina, in attesa dell'amato che venisse a salvarla da quella brutta situazione... La faceva più cinica, più intelligente. Se non fosse ormai una questione davvero pressante e personale, l'avrebbe lasciata lì. Avrebbe lasciato che i suoi sogni da sciocca si avverassero. Ma non poteva. Era stata sorpassata una linea, un confine oltre il quale non si poteva tornare indietro.
    Uscì dal suo nascondiglio e lentamente le andò incontro. Vide la paura impossessarsi dell'espressione e degli occhi della Haugen. Le sorrise, cattivo. E fu irritato e divertito quando la vide afferrare la sua stupida volpe e tentare di scappare. Si morse il labbro inferiore prima di smaterializzarsi e riapparire esattamente davanti a lei, interrompendo così quel suo patetico tentativo di fuga. “Anche tu mi sei mancata, Sophie.” le disse, fingendo di aver risposto ad una sua simile affermazione, mentre l'afferrò in un abbraccio troppo stretto, “ Pronta a tornare a casa?” le sussurrò all'orecchio, in una domanda che non lasciava margine a risposte diverse da un si.

     
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    Quando era scappata da Londra, sebbene triste e sola, si era sentita libera. In fondo aveva sempre saputo di non poter trovare in quella fuga una soluzione definitiva ai suoi problemi ma ci aveva sperato. In realtà, aveva solo congelato le sue drammaticità. Le aveva messe in pausa. Così era stato quando si era lasciata relegare a casa di suo fratello per la punizione da scontare prima del ritorno ad Hogwarts. E poi c'era Hogwarts. Aveva provato insomma ad allontanare il più possibile quel momento, quell'incontro. Lo aveva fatto perché per quanto si fosse sforzata di pensare e ripensare, non aveva trovato alcuna soluzione alle minacce di Volhard. Aveva in definitiva due opzioni: scappare, lasciando i propri affetti in guai peggiori o accettare i suoi soprusi. Il panico provato per quel aut aut la costrinse alla fuga. Avrebbe dovuto prevedere la sua reazione.
    Prima di poter scappare ancora, si ritrovò ingabbiata in un abbraccio che le tolse il fiato. Gemette così come Pinky, eppure non riuscì a dir altro. Averlo di nuovo ad una così ravvicinata distanza, le geló il sangue nelle vene.
    Fece l'unica cosa che le sembrò appropriato fare. Imitando Pinky che provava a divincolarsi, lo morse. Un morso violento e profondo contro la sua spalla. E non lasciò la presa fino a quando non sentí il sapore ferroso sulla lingua.
    «Ce l'ho già una casa.» Approfittando di quel momento, si allontanò di qualche passo, mettendo Pinky a terra e provando ad indurla alla fuga. Avrebbe potuto cercare Mason e condurlo li. Ci sperava.
    «Toccami di nuovo ed urlerò così tanto da fare arrivare qui anche la regina.» Gli intimò, estraendo la bacchetta. La mano tremante a reggere l'arma.
    Avrebbe soltanto voluto trovare un modo per liberarsi di quel mostro una volta per tutte. Era stanca di ritrovarselo davanti qualunque cosa facesse, anche quando non c'era. La sua presenza era diventato un tarlo nella sua vita. Un'oppressione continua che non le dava alcuna tregua.
    «Devi lasciarmi in pace, cazzo.» In parte sembrò una supplica. In parte, lo era. Gli chiedeva una via d'uscita dall'incubo in cui l'aveva scaraventata un anno prima. Gli chiedeva la libertà. Dopo il male che lui le aveva fatto, sarebbe stato il minimo. «Non voglio avere più niente a che fare con te.»

     
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    Che non sarebbe stata ferma fra le sue braccia, come se non avesse aspettato altro, Lorence lo immaginava. Ma da questo ad un gesto così barbaro, impulsivo come un morso, no. A quello non era preparato, né a quello né al dolore che ne conseguì. La spintonò via e si toccò lo spalla, sentendo immediatamente il caldo viscoso del sangue contro le dita. Alzò lo sguardo disgustato ed iracondo verso Helena, che pareva compiaciuta, così sicura di sé. «Ce l'ho già una casa. Toccami di nuovo ed urlerò così tanto da fare arrivare qui anche la regina.» E le parole che pronunciò con tanta spavalderia gli diedero ragione a crederlo. Certo, non era il luogo più adatto per una scenata, la Haugen sapeva perfettamente che c’era una parvenza che non andava smentita. Un velo di Maya che non andava squarciato, perché l’apparenza era necessaria al potere. E senza l’apparenza, il potere perdeva gran parte della sua efficacia. Perché apparire era rinvigorire la credibilità e Lorence non avrebbe perso credibilità per colpa di quella stupida ragazzina che faticava a capire quale fosse il suo fottutissimo posto nel mondo.
    «Devi lasciarmi in pace, cazzo.» Lorence evocò delle bende con l’incantesimo ferula, le quali tamponarono la ferita, stringendosi contro di essa per impedire al sangue di fuori uscire. «Non voglio avere più niente a che fare con te.» No? Lorence ridacchiò, cercando di contenere il terribile fastidio che il comportamento decisamente poco maturo della ragazza gli aveva procurato. C’erano delle apparenze da preservare.
    “ Perché devi essere così dannatamente ostinata?” le domandò alzando lo sguardo su di lei. Notò solo in quel momento la volpe che scappava. Avrebbe potuto schiantarla, oh si che avrebbe potuto. Ma non era il caso di attirare l’attenzione su di sé, su di loro. Se la missione di quella bestiaccia era avvertire il prode cavaliere senza macchia e senza paura, non aveva nulla da temere. Se quel pezzente sperava che l’aver ucciso suo padre fosse una garanzia per riuscire a fare lo stesso con Lorence, era solo un patico illuso. Lo erano entrambi, e probabilmente era quell’affinità fatta di scarsa perspicacia ed intelligenza che avevano scambiato per amore.
    Si avvicinò nuovamente ad Helena, per niente intimorito dalle sue minacce, “Dimmi perchè non puoi semplicemente accettare ” le afferrò il polso della mano sinistra e lo strinse, portando la mano della ragazza all’altezza del proprio volto, “che le cose vadano esattamente come devono andare.” tirò fuori dalla tasca l’anello che le aveva già dato, e stringendo ancor di più la presa sul polso della ragazza, glielo mise nuovamente all’anulare e sussurrò fra i denti “ Questo anello, semper in digito. un incanto che fece restringere l’anello contro la carne della Haugen, rendendolo incandescente per alcuni secondi. Anche gli occhi del Volhard erano incandescenti. “ Ed ora… ” aggiunse guardandola con odio, “ Torniamo a casa. ”
    Lorence non le diede il tempo per altri stupidi colpi di testa. Tenendola stretta per il polso si smaterializzò portandola con sé.

     
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    Il dolore che provò in reazione al suo gesto, non fu soltanto fisico. Vedere quell'anello stringersi intorno al proprio dito, diventare incandescente e bruciare, scavò un buco nel suo petto. Avrebbe voluto urlare ma la sua lingua sembrava essersi incollata al palato. «Toglimelo» Ci provó comunque a liberarsene. Non ottenne risultati. Il suo cuore accelerò i propri battiti, e dinanzi a quel che accadde poco dopo reagire fu impossibile. Era motivato a farlo ma il suo corpo non resse alla potenza di quelle emozioni. La rabbia e la paura la scossero al tal punto, che mandarono in tilt il suo corpo e prima che potesse provare a reagire, svenne.
    Quando riaprì gli occhi non seppe quanto tempo fu passato. Si risveglió di colpo, come sempre avveniva negli ultimi mesi. Il fiato sospeso, gli occhi sgranati e le mani tremanti. Si aggrappò a quello che riconobbe essere un letto, non il suo. Si guardò attorno mettendosi a sedere di scatto riappropriandosi degli ultimi dettagli di cui ricordava. E le venne da piangere. Avrebbe voluto farlo sul serio. Trattenne le lacrime dietro gli occhi lucidi però quando comparve la figura del Volhard dinanzi a sé. Si appiattì contro la testiera del letto. Era nella tana del lupo e sarebbe stato inutile nasconderlo: era terrorizzata. «Dove sono?» La sua voce tremó mentre gli chiedeva notizie su quel posto. Per quanto fosse pregiato e pulito, non le piaceva. Urlava di pericolo.
    «Voglio andare a casa.» Squittì, guardandosi intorno prima di riuscire a mettersi in piedi. Si allontanò da lui frapponendo il letto tra loro.
    Pensò di reagire, attaccarlo ma non sarebbe servito a molto. Valutó la possibilità allora di dargli ciò che voleva o fingere di farlo. A quel punto avrebbe fatto di tutto per convincerlo a lasciarla andare. «Lo dirò ai miei. Davvero.» Annuì, costringendosi a tenere su le lacrime nonostante premessero prepotenti per uscire. Lo avrebbe illuso. Gli avrebbe detto di aver acconsentito a raccontare del matrimonio ai suoi genitori. Forse gli sarebbe bastato sapere anche solo quello. «Se non torno da loro si preoccuperanno. E poi penseranno male. » Aggiunse poco dopo puntando il proprio sguardo in quello dell'altro. Provava a convincerlo.
    «Non scapperò. Te lo giuro. » A dita incrociate lo avrebbe fatto.


    Edited by dark/queen - 24/9/2021, 00:35
     
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    Era rimasto ad osservarla per tutto il resto del tempo dormire. Seduto sulla poltrona di fronte al suo letto, rigirandosi fra le dita i grani del rosario che aveva preso l'abitudine di portarsi dietro. La fede, per Lorence, era una cosa seria ed era curioso come un devoto di Cristo potesse fare tanto male a qualcuno. Non che ne avesse la reale percezione... ma gli occhi della Haugen. C'era qualcosa di inebriante e allo stesso tempo di odioso nel modo in cui la paura le esplodeva nello sguardo in sua presenza. Lorence ne era affascinato, ma dopo si scopriva ad esserne odiosamente infastidito. Rigirandosi il religioso artefatto non poteva evitare di interrogarsi rispetto quelle sensazioni così contrastanti... c'era una ragionevole irragionevolezza in quel sentire così opposto.
    «Dove sono?» S'era svegliata. Fastidio. Quello lo conosceva bene, gli capitava troppo spesso di avvertire quella sensazione durante l'arco del giorno. Fastidio a dover mantenere un sorriso di circostanza, fastidio nell'essere contraddetti, fastidio nel constatare che la sua futura sposa ancora non riconosceva la propria stanza...«Voglio andare a casa.» e nemmeno quella che sarebbe stata la sua casa. «Lo dirò ai miei. Davvero. Se non torno da loro si preoccuperanno. E poi penseranno male. » Quel fiume di parole non fece altro che aumentare il suo fastidio. Per chi l'aveva preso? Lorence voleva si che fosse più gentile, più disponibile con lui, ma dover sempre ricorrere al ricatto, alla coercizione... per cosa? Vederla supplicare promesse che non avrebbe mantenuto? «Non scapperò. Te lo giuro. » Che non aveva alcuna vera intenzione di mantenere. “Oh Sophie...” sospirò alzandosi, posando il rosario nella tasca dei pantaloni, dopo averlo celato nel pugno, lontano da sguardi che non ne avrebbero compreso il senso. Si sistemò la giacca e andò a sedersi sul bordo del letto dove era distesa Helena. La guardò con occhi pietosi, “Vorrei tanto poterti credere...” le disse allungando una mano a sfiorarle i capelli, “Sai, non sei stata proprio onesta con me.” aggiunse dopo poco, spostandole una ciocca di capelli dietro l'orecchio, “Scappare così... hai idea di quanto io sia stato in pena?” Per lei, per se stesso. Lorence non amava perdere, non amava non ottenere ciò che desiderava. Non sapeva cosa significasse essere messo da parte, o non essere preferito a qualcun altro. Aveva avuto la fortuna di nascere e crescere in una famiglia molto più che agiata, di riuscire in tutto ciò che facesse, aveva collezionato centinaia di trofei... Eppure Helena Haugen continuava a scappare, continuava a rifiutarlo, respingerlo. Come aveva fatto fin dalla prima volta. Ad un Vohlard viene insegnato che bisogna prendersi ciò che si vuole... e Lorence l'aveva fatto, si era preso Helena quella notte ed aveva deciso che sarebbe stata sua per sempre. “Voglio solo che tu sia felice...” sussurrò, come se lo stesse confessando. Come se stesse confessando qualcosa che andava invece mantenuta segreta... “Io posso renderti felice, se solo tu la smettessi di renderlo così difficile aggiunse, con lo stesso tono di chi parla coi propri pensieri, discutendo con se stesso.

     
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    Si odiava. Si odiava a tal punto che avrebbe voluto colpirsi. Scoprirsi le gambe e tracciare nuove linee sanguinolente e rossastre sulle sue cosce martoriate dai segni della sua muta sofferenza. Avrebbe voluto urlare e colpirlo. Farlo fino a quando le sue mani non fossero state zuppe del suo sangue ed il suo corpo inerme su quel letto sul quale lei non voleva stare. Non fece nemmeno quello. Restò immobile sotto il suo tocco. Lo sguardo perso, il corpo tremante. Più provava a scappare da quell'inferno, più ci si ritrovava immersa. A quel punto, ogni buon proposito di riscatto, sembrò svanire. Forse, pensò, era quello il suo destino. Forse provare a scappare non sarebbe mai servito a nulla perchè inutile era scappare dall'inevitabile. Lorence era il suo destino inevitabile. Il fato a cui non avrebbe mai potuto sottrarsi.
    Asciugò una lacrima silente, ascoltando le sue parole. Sapeva quanto stupido sarebbe stato provare ad opporsi. Non ne avrebbe ricavato nulla, forse solo altro dolore. L'unico modo che aveva per provare ad uscire da lì, sarebbe stato quello di assecondarlo. «Io smetterò di farlo, te lo prometto.» Annuì, lo sguardo ancora lontano dall'altro. Si ritraeva, per quanto in modo impercettibile, per cercare di porre spazio tra loro. Scappare, ancora, non sarebbe stato opportuno ma restargli accanto era qualcosa che ancora non riusciva a fare. «Sono stata scorretta. Io... mi dispiace.» Continuò quella messinscena, impegnandosi nel recitarla. Non fu nemmeno così complicato. Era perennemente afflitta dal senso di colpa, che non era così impensabile prendere ad incolparsi. Si era convinta col tempo di meritare tutto il male ricevuto a causa di quel che era stata. Se fosse stata meno dura col prossimo, magari le cose sarebbero state diverse. Magari non si sarebbe ritrovata prigioniera in una gabbia dorata. «Voglio solo essere felice.» Lo disse con la voce incrinata mentre lo guarda. Le labbra tremanti ed una muta supplica di lasciarle almeno modo di respirare, ora che ne aveva ancora la possibilità. Non sarebbe stato facile farlo quando avrebbe raccontato le bugie che Lorence voleva alla sua famiglia. «Non farmi male.» Fu l'unica cosa veritiera che riuscì a dirgli tra le lacrime. Una supplica che solitamente avrebbe taciuto ma che ora era troppo stanca per poter continuare a combattere, non riusciva a nascondere.
     
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    C'era qualcosa di inebriante e fastidioso. Quel fastidio che può diventare piacere se correttamente indirizzato. Sentiva la paura trasudare da ogni centimetro della diafana pelle della Haugen, e quel profumo era estasi e tormento, così come avvertiva nei suoi occhi vacui, quella luce... quella tendenza caparbia verso la ribellione che sembrava stinta... brace, dalla quale il fuoco avrebbe potuto tornare ad ardere.
    Ne era compiaciuto e... Poteva chiamarsi spaventoso quello che provava all'idea che quel fuoco potesse tornare a divampare in lei prima che lui riuscisse a gettarvi sopra tutto il gelo che l'avrebbe resa finalmente sua?
    L'ascoltò sper-giurare di non scappare più. Ancora non aveva il coraggio di guardarlo in faccia e per Lorence fu naturale domandarsi se ciò che non poteva sostenere guardandolo fosse il suo sguardo o la menzogna.
    Cos'era l'amore in confronto al rispetto? In confronto ad una paura reverenziale ? A cosa serviva sperare nell'amore, quando POTERE, FAMA e TIMORE potevano dare altrettanto e ancor di più? La consapevolezza malevola di essersi innamorato di quella ragazza alla quale non avrebbe mai davvero potuto dare nulla, mai potuto rendere felice... Lorence cercava a riusciva magistralmente a tenerla a bada, in quell'angolo di cuore che resisteva e restava ancora caldo. O non così freddo...
    «Sono stata scorretta. Io... mi dispiace.» A quelle scuse, Lorence si mise ancor più dritto di quanto la sua postura abituale lo costringesse alla rigidità. False. Volle crederle, tanto era capace di ingannare, quanto di ingannarsi. Lasciò che si prendesse in giro, molto più di quanto lo stesse facendo Helena, perchè volle credere a quelle scuse. Ci credette. Se lo impose. Tornò a carezzarle il volto, scendendo sulla lunghezza dei suoi capelli, fino a toccarle la spalla. «Voglio solo essere felice.» E Lorence non avrebbe voluto altro che renderla felice, questo non aveva alcun gioco di potere sotteso. Era un desiderio sincero al quale non sapeva, non voleva darsi una spiegazione. Il sapere di non poterlo realizzare gli provocava una rabbia che difficilmente poteva contenere... Sapeva che il cuore della Haugen non era suo. Sapeva che esisteva sulla faccia del pianeta un omuncolo, un verme che glielo aveva sottratto. E se non fosse esistito? Se fosse sparito improvvisamente nel nulla? Certo, non avrebbe dovuto essere lui l'artefice materiale di tale sparizione, Helena non l'avrebbe mai perdonato. «Non farmi male.» … ma dopo il dolore iniziale, avrebbe dimenticato Chesterfield, scomparso troppo giovane in un tragico incidente. E allora Helena sarebbe stata sua. Sua e di nessun altro. Quella speranza, questa nuova possibilità che gli si aprì nella mente, tuttavia, riuscì a mitigare la sua frustrazione. “Non ti farò del male.” non aveva mai davvero voluto fargliene, ma la sua natura... “Se tu mi darai una possibilità, giuro che ti renderò felice Sophie.” a quel punto si alzò e andò ad accovacciarsi di fronte a lei, poggiandole una mano sulle ginocchia e ricercando il suo sguardo, perchè era ora che lo guardasse. “Se solo vorrai, io farò di te la principessa che sei e la regina che meriti di essere.” la serietà con cui pronunciò quelle parole aveva un che di folle, così come la luce che gli si accese negli occhi. Folle e disperato. “Insieme potremmo essere i padroni di questo stupido mondo.”

     
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    La paura, quella vera, l'aveva già provata in vita sua. Ricordava di averla provata quando da piccola era caduta da quella casa sull'albero. Ricordava di averne avuto quando i guaritori le avevano fatto intuire di non avere la minima idea di come trattare la sua maledizione. Ne aveva avuta quando Lorence l'aveva schiacciata togliendole la possibilità di replicare. Quella volta non muoveva un dito su di lei ma la sensazione che riuscì ad ottenere fu la stessa, anzi forse anche peggiore. Terrore. Helena sentiva di non avere scampo e di non averne nemmeno quando sarebbe riuscita a venir fuori di lì. Lorence le stava, poco metaforicamente, mettendo un guinzaglio da cui liberarsi sarebbe stato impossibile e la Haugen non aveva possibilità alternativa. Doveva acconsentire al suo volere, pena un dolore che non voleva più provare.
    Annuì alle sue parole. Annuì alle sue finte premure. Non si oppose anche se avrebbe voluto farlo. Trattenne i pugni che avrebbe voluto dargli e le parole che avrebbe voluto urlargli. Lasciò andare entrambi in quelle lacrime che non riuscì a contenere e che copiose presero a bagnarle il volto e a scuoterle il petto in singhiozzi incontenibili.
    «Io lo voglio.» La sua voce fu un sussurro, mentre puntava lo sguardo appannato nello sguardo della bestia che aveva dinanzi. Non era amore quello, ma parlarne sarebbe stato inutile. A lui interessava vincere su di lei, e lo aveva appena fatto. Aveva vinto ed Helena si era arresa. Le aveva tolto tutto. Ancor peggio, le aveva tolto la speranza. Arrendersi era l'unica cosa che le restava da fare.
     
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8 replies since 9/9/2021, 21:33   142 views
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