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Helena || Tromsø, Norvegia

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    Non aveva mai avuto un'opinione particolarmente marcata sui coniugi Haugen. Pur essendo stata loro ospite svariate volte, non aveva avuto occasione di familiarizzare particolarmente con nessuno dei due; per quel poco che si era data pena di osservare le erano parsi del tutto simili a molti genitori del loro ambiente: molto ricchi, con una posizione sociale prestigiosa e di conseguenza.. estremamente impegnati. Non c'era niente in loro che Daphne avesse mai pensato di poter condannare particolarmente, considerato che quello era l'assetto tipico delle famiglie dell'alta società magica, né nulla che l'avesse mai colpita positivamente.
    Nell'ultimo anno le cose erano radicalmente cambiate. Da quando Helena era stata spinta a fare un passo indietro, praticamente costretta a non portare avanti la sua battaglia per ottenere giustizia, svariate persone implicate nella vicenda erano finite nella lista nera di Daphne. Tra queste, figuravano anche i coniugi Haugen: come avevano potuto mettere la propria posizione sociale, il proprio prestigio, la reputazione.. sopra il benessere della loro stessa figlia? L'anima di Helena sanguinava ancora e loro le avevano chiesto di dimenticare, di guardare oltre. Di accettare che il suo stupratore fosse a piede libero, intento a costruirsi una vita brillante e da privilegiato. La Mikkelsen non era una ragazza ingenua e sognante, era cresciuta in un mondo di gioielli sfavillanti, convenevoli, galateo e sorrisi finti. Un mondo all'interno del quale anche un brindisi intriso di ipocrisia poteva rimescolare le carte in tavola determinando le scelte e le posizioni di svariate famiglie. Anche se ormai era stata tagliata fuori da quel mondo, Daphne riconosceva ancora l'importanza di ciò che le era stato inculcato nella mente fin dall'infanzia, per questo motivo era tuttora così angosciata per la propria reputazione. Ma se chiudeva gli occhi e provava ad immaginarsi come una madre, sapeva esattamente quanto sarebbe stata disposta a fare e a sacrificare per proteggere la propria figlia. Dunque, la posizione degli Haugen, il loro ruolo all'interno di tutta quella faccenda, era semplicemente imperdonabile. Erano nella sua lista nera. Questo non le impediva di mostrarsi falsamente cortese, far buon viso a cattivo gioco pur di poter trascorrere parte delle sue vacanze estive insieme ad Helena.
    D'altra parte.. era possibile che anche lei fosse nella loro lista nera, da quando aveva abbandonato la casa paterna. Ma evidentemente la loro posizione al riguardo non era abbastanza estrema da rifiutarle ospitalità per un paio di settimane.
    Il barman di quel pub, ieri sera, non ti ha tolto gli occhi di dosso neanche un istante.
    Seduta sul letto di Helena, Daphne sollevò la mano destra davanti a sé e distese le dita diafane per osservare meglio le unghie tinte di un rosso scuro. Le parvero perfette e poté dirsi soddisfatta del suo operato. Solo a quel punto lanciò un'occhiata di sbieco all'amica, chiedendosi come andassero le cose tra lei e Mason: il loro rapporto era quanto di più simile ad un giro costante sulle montagne russe, un sali e scendi di cui spesso la Mikkelsen si perdeva i pezzi, suo malgrado.. considerato quanto preferisse avere un certo controllo sulla vita sentimentale dei suoi amici più intimi. In ogni caso, la battuta sul barman era più un pretesto per tirare fuori un argomento che si portava dietro fin dal suo arrivo a Tromso. Aveva passato giorni a rimandarlo, decisa a godersi la vacanza prima di mettere sul tavolo una verità che temeva potesse risultare sgradita alla norvegese. Ma ormai era arrivato il momento di farci i conti: anche se sapeva benissimo che non sarebbe stata affatto in grado di reggere il colpo se Helena avesse confermato le sue ipotesi più negative.
    Io.. si schiarì la voce, appoggiando la schiena contro la testiera del letto Sto uscendo con una persona.
     
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    Avere Daphne lì con lei l'aiutava ad allontanare angoscianti pensieri. Era bello riaffacciarsi a vecchie abitudini, cercando di dimenticarsi del resto e per un po' aveva persino funzionato. Persino sopportare i suoi genitori le sembrava meno complicato con la rossa al suo fianco, non che fosse comunque particolarmente difficile visto che i suoi erano sempre fuori per lavoro e/o commissioni. Era un nuovo equilibrio comunque quello che Daphne le aveva donato, uno in cui, stranamente, riusciva a mantenere la calma. La notte tornava ad essere complicato relegare in un angolo della propria testa il carico di problemi che l'attanagliavano, ma dormire con qualcuno al suo fianco, con lei, mandava via parte dei suoi timori. Lì, con lei, nessuno avrebbe potuto farle ancora del male. Daphne non lo avrebbe permesso. Si era anche concesso uno strappo alle sue abitudini, riconcedendosi alla socialità. Aveva passato la serata precedente in un pub a divertirsi come al solito e a parte alcuni momenti in cui la paura aveva tornato a farsi pressante, era stato piacevole.
    Arricciò il naso alle sue parole. «Ah sì?» Aveva sempre cercato le attenzioni degli uomini. Essere guardata ed adulata, era quello a cui più di ogni cosa aveva ambito da sempre. Nell'ultimo anno però, quel tipo di attenzioni la facevano sentire sporca. Si doveva anche a quello il motivo del suo cambio di stile, per certi versi più castigato di quanto non lo fosse mai stato di solito. «Dovevi dirmelo. Potevamo approfittarne per farci offrire qualche drink in più allora.» Scherzò comunque, sporgendosi per ammirare il risultato sulle sue unghie, approvando con un sorriso. Le mostrò a sua volta le proprie, dipinte di nero.
    Volse il capo di scatto quando la sentì proferire quella rivelazione, guardandola con un mezzo sorriso. «E me lo dici soltanto ora?» Non c'erano state molte occasioni di quel tipo nell'ultimo periodo, e sentir parlare di argomenti come quelli le avrebbe fatto bene. Oltretutto, sentir Daphne pronunciare una frase simile, non era cosa di tutti i giorni. «Oddio... è una cosa seria?» Solitamente una rivelazione simile, non avrebbe meritato attese o particolari momenti. Sarebbe stata tirata fuori senza importanza tra una cosa e l'altra. Il modo in cui la Mikkelsen intavolò l'argomento però, destò sospetti nella Haugen che prese ad osservarla per qualche attimo, prima di esplodere in un urletto sorpreso ed entusiasto. «No, cazzo, non ci credo.» Saltò dinanzi a lei, poggiando le mani sulle sue ginocchia. «Allora? Chi è? Lo conosco?» Provò ad indagare a quel punto, decisa a saperne di più. «Non dirmi che è quel Hollingsworth. Cioè okay è carino ma non sembra esserci altro sotto quel sorriso da pubblicità del dentifricio.»
     
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    Non rispose alla battuta di Helena, forse perché nella disinvoltura di quest'ultima scorse un appiglio che in passato l'avrebbe portata a prolungare quel gioco a lungo. Le battute sui ragazzi, sulle attenzioni che ricevevano da loro, erano all'ordine del giorno un tempo: a volte era solo un modo per coccolare il proprio ego, a volte si divertivano con commenti ironici o persino crudeli. Quelli di Daphne, almeno, lo erano: sempre.. e di una crudeltà sincera. Quante cose erano cambiate negli ultimi due anni? Scherzare con Hel sui ragazzi non era più semplice e naturale come in passato e Daphne se ne era appena resa conto, probabilmente perché era in assoluto la prima volta che tentava di farlo. Era da quando la sua migliore amica le aveva raccontato della violenza subita che evitava di fare allusioni simili, a meno che non fosse l'altra a tirare fuori l'argomento. E ora, nel farlo, si rendeva conto che anche se la Haugen mostrava disinvoltura - sincera o meno che fosse - era lei stessa a sentirsi a disagio. E un'altra cosa era cambiata: accanendosi nel prendersi gioco dei ragazzi che frequentava, nell'esibire di fronte all'amica il valore meramente frivolo che attribuiva loro, nello scherzare su quanto pendessero dalle sue labbra.. Daphne aveva sempre tratto una sensazione piacevole, vagamente inebriante. Il potere. Le sembrava di avere potere su di loro e questo le piaceva: in qualche modo la faceva sentire soddisfatta, riscattata. Quello che per anni non aveva voluto vedere, però, era che la sua infanzia e la sua adolescenza l'avevano vista preda del potere e non detentrice di esso. Non era lei ad avere potere sugli uomini, ma era uno di loro ad avere potere su di lei. Tutto questo, adesso, la nauseava. Non voleva più prendersi gioco dei ragazzi, semplicemente perché non aveva più voglia di perdere tempo con loro. Ma per quanto riguardava suo padre.. liberarsi di lui non era altrettanto facile.
    Beh sì, qualcosa del genere..
    Gli occhi fissi sulle unghie nere di Helena, come se avesse bisogno di fissarle a lungo per capirne il colore. Una cosa seria. Quello che stava succedendo con Harumi lo era? Darsi una risposta la terrorizzava.. ma avendo vissuto solo rapporti che per lei di importante non avevano nulla, non poteva evitare di rendersi conto che ciò che nel corso degli ultimi mesi aveva iniziato a provare per la Wàng era senza dubbio qualcosa di diverso. Diverso da qualunque esperienza mai vissuta con un ragazzo. Tanto per cominciare.. era reale.
    In un altro contesto l'entusiasmo mostrato da Hel l'avrebbe fatta sorridere, l'avrebbe divertita e magari spinta a fare un po' la misteriosa, giocare sullo scalpore di quella confessione. Ma la natura di tale confessione le faceva percepire ogni minima reazione dell'amica come una fonte di nervosismo, di tensione.
    Harvey..? No, io e lui in realtà non ci frequentiamo più da un po'.
    Forse lo avrebbe difeso, avrebbe affermato che Harvey infondo era più di quel che dava a vedere. Lo avrebbe fatto, anche se probabilmente lui nemmeno lo avrebbe apprezzato: adorava l'immagine di sé stesso che offriva agli altri, era il suo scudo. Lo avrebbe fatto.. se ciò che l'Hollingsworth aveva fatto a Bram non l'avesse spinta ad allontanarsi da lui, al punto che solo pensare ad Harvey la faceva arrabbiare e la feriva al contempo. In ogni caso, l'ipotesi di Helena era comunque più accostabile a lei di quella che era la verità. Era evidente che la norvegese non avrebbe mai potuto ipotizzare l'identità della persona di cui la Mikkelsen stava parlando, dal momento che per anni la rossa aveva fatto di tutto per rendere una simile ipotesi quanto di più assurdo per chiunque la conoscesse.
    Studia Magingegneria in accademia, ha la mia età.
    Non riusciva ancora ad alzare lo sguardo per incontrare gli occhi dell'altra. Le iridi azzurre ancora fisse sulle unghie laccate di nero che ora stringevano le sue ginocchia, animate dalla sorpresa. L'immagine di Helena che ritraeva improvvisamente le mani da lei le attraversò la mente come un bagliore luminoso, tanto violento da accecarla. Si rese conto che se non avesse parlato in quel preciso momento, la paura l'avrebbe sopraffatta. Così, alzò finalmente gli occhi cercando quelli della mora.
    Si chiama Harumi. Ed è.. una ragazza.
    A quel punto il suo sguardo rimase incastrato in quello di Helena per un lungo attimo, come sospeso nel tempo. Nella sua mente continuava a ripetersi la battuta scherzosa che almeno due anni prima Helena aveva riservato a Pressley Jackson: una frase che forse la Haugen nemmeno ricordava, ma che era scolpita a fuoco nella memoria della rossa. Forse a causa del suo egocentrismo, forse per via del rifiuto che per così tanto tempo aveva provato per sé stessa.
    Ti prego, dì qualcosa.
     
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    Per un attimo si fermò a guardarla, dubbiosa. Si rendeva conto di essere eccessivamente sospetta e paranoica, lo era sempre e di chiunque nell'ultimo periodo, ma ammetteva che il sentirle dire che la persona interessata frequentasse il corso di magingegneria, la indusse a pensare subito a persone che non erano lì presenti. Presenze che in effetti non potevano avere niente a che vedere con Daphne, non più. «Ah. Wow. E chi è? Lo conosco?» Provò quindi a dissimulare il timore provato. La risposta che le diede, le tolse le parole di bocca. Non ne fu turbata o sconvolta, restò semplicemente attonita a guardarla. Ricordava chiaramente alcuni dei vecchi commenti di Daphne dinanzi ad atteggiamenti amorosi di persone dello stesso sesso. Ricordava lo sdegno e a volte la cattiveria messa nelle reazioni derivate. Aveva dato a quegli atteggiamenti spiegazioni differenti. Ora però, in qualche modo sembravano aver senso e lei si sentì una stupida per non aver capito prima una verità che era sotto i suoi occhi.
    Non disse nulla. Per una manciata di secondi, forse minuti, non aprì bocca.
    «Ti si è sbavato.» Fu ciò che disse quando la Mikkelsen le chiese di parlare, indicandole con un cenno del capo lo smalto sbavato sull'indice. Si lasciò andare a sedere dinanzi a lei, tirando lo sguardo su di lei. Ancor non disse nulla. Cosa avrebbe dovuto dire? Ogni parola a quel punto le sembrava essere incredibilmente sbagliata. Si accusava in fondo, per essere stata un'amica poca attenta. Quanto aveva sofferto in silenzio per arrivare a quella rivelazione? «Io non me lo sarei mai aspettata.» Le confessò infine. Non emise giudizi, né altro. Le diceva solo la verità. Da sola probabilmente non lo avrebbe ma capito. Provò però a virare la discussione su altro. Lasciare che gravasse sulla sua anima, a cosa sarebbe servito?
    «Non avrei mai creduto che Daphne Mikkelsen potesse scegliere una nerd.» Provò a smorzare i toni, a farle capire, nel migliore dei modi che per quanto inaspettata, non era una notizia che le cambiava la vita, o cambiava i loro rapporti. Sarebbero state amiche in ogni caso. «Com'è? Carina?» Si sdraiò accanto a lei, guardandola dal basso mentre le pungolava il braccio. «Deve esserlo di certo.»

     
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    Dopo la sua confessione, il tempo parve dilatarsi all'infinito. Helena aveva reagito con un'espressione di evidente stupore dipinta in quello sguardo che la danese conosceva bene, ma oltre ad un linguaggio non verbale - peraltro non accompagnato da gesti particolari - non vi era stata alcuna risposta. Semplicemente, la Haugen non parlava. E forse il silenzio poteva dirsi decisamente meglio di alcune parole, ma per la Mikkelsen era una tortura sottile ed estenuante. Pur conoscendo bene Helena, stavolta non poteva cercare di indovinare quali pensieri le passassero per la testa: quello era un argomento troppo estraneo alle loro solite conversazioni, una notizia del tutto insospettabile per la sua migliore amica, sebbene fossero legate da anni. A ciò si aggiungeva la difficoltà improvvisa della rossa nel concentrarsi sull'altra, difficoltà espressa attraverso il suo improvviso distogliere lo sguardo, un attimo dopo averle chiesto in modo diretto un commento. L'aveva chiesto, certo, ma non era sicura di volerlo ascoltare. Eppure al contempo desiderava davvero che quel silenzio si infrangesse: si sentiva schiacciata in un controsenso generato dalle sue stesse emozioni, che non le lasciava scampo.
    Oh, già.
    Reagì al commento di Helena sul suo smalto in modo tempestivo, cogliendo quell'opportunità per crearsi un diversivo sistemando la sua manicure. In realtà un commento simile, seppur nella sua semplicità, era bastato ad alimentare la sua ansia spingendola a chiedersi se non vi fosse un doppio significato in quelle parole. Lo smalto sbavato era un'allusione al fatto che lei non era più impeccabile e priva di difetti come da sempre la vedeva Helena? Daphne aveva sempre saputo che la più piccola la idealizzava un po' troppo, ma allo stesso tempo l'idea che tale punto di vista cambiasse a causa di quanto le aveva appena confidato rappresentava una prospettiva agghiacciante.
    Lo so, io..
    Era già pronta a mettere la mani avanti, a cercare di sistemare le cose, ma la frase di Helena non terminò come Daphne aveva immaginato. Rimase a fissare la norvegese a lungo, le labbra dischiuse e un'impressione interdetta stampata in volto. Si sentiva così incredula di fronte alla leggerezza di quella battuta che faticava a trovare il modo giusto di reagire: la verità era che non aveva preso in considerazione l'idea che Helena potesse scherzarci sopra, come se lei gli avesse semplicemente confidato di frequentare un nuovo ragazzo.
    Beh lei.. non ha esattamente gli interessi che di solito si associano ai nerd.
    Incominciò con una certa titubanza, studiando attentamente la Haugen mentre quest'ultima si sdraiava al suo fianco. Si sentiva ancora un po' irrigidita dalla sorpresa e dal timore provato fino a poco prima, ma quando Hel le pungolò il braccio la sua espressione si sciolse appena un po', in un mezzo sorriso.
    Ma è molto intelligente, questo sì. Ed è.. molto più che "carina". un po' le sarebbe piaciuto sotterrarsi a quel punto, ma la tranquillità dell'altra la aiutava a rispondere nel modo più spontaneo possibile Ha un carattere forte: mi tiene testa, sai? Non sono mai uscita con qualcuno in grado di tenermi testa da pari a pari.
    Chiunque l'avrebbe scambiata per presunzione, ma Helena sapeva quanto ciò fosse vero. Daphne non cercava ragazzi stupidi, però tendeva a prediligere quelli che la idolatravano - per la sua bellezza e il suo atteggiamento, non che la conoscessero realmente come persona - che la viziavano e la assecondavano sempre, quelli che accettavano senza discutere il fatto che fosse Daphne l'elemento più forte della coppia. Li sceglieva lei così, eppure era anche quello il motivo per cui finiva sempre con l'annoiarsi in breve tempo. Oltre al fatto che, chiaramente, quei ragazzi non le erano mai realmente interessati.
    Davvero è tutto ok, per te?
    Forse non aveva senso chiederlo di nuovo, ma la verità era che Helena, tra le persone a cui teneva di più, era proprio quella di cui aveva maggiormente temuto il giudizio. Probabilmente ciò dipendeva dal fatto che quest'ultima non si fosse mai mostrata infastidita dai commenti omofobi che Daphne era stata in grado di partorire in passato, giudizi intrisi di una certa cattiveria che mascherava un dolore incurabile. Eppure sembrava proprio che la Haugen fosse a suo agio con quella novità, molto più di quanto non lo fosse Daphne stessa.
     
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    Il modo in cui ne parlava, avrebbe potuto renderla gelosa. Un tempo lo avrebbe fatto. Saperla così rilassata, presa ed emozionata – sì, lo era – nel parlare di qualcuno però, le scaldava il cuore. Non era mai stato facile essere Helena Haugen o Daphne Mikkelsen. Persone come loro indossavano una maschera apparentemente inscalfibile e nessuno mai si preoccupava di immaginare cosa ci fosse sotto un atteggiamento sempre tanto duro. Sapere invece ci fosse qualcuno in grado di sciogliere la muraglia di durezza messa su dall'amica, la rassicurava. «Io sono più carina però, giusto?» Le chiese fintamente offesa. Non lo era. Le pungolò un fianco storcendo il naso alla sua domanda. Avrebbe voluto esordire con una frase più d'effetto che chiariva quanto quel quesito l'avesse colpita, ma non lo fece. «Credi sul serio mi importi che sesso ha chi ti porti a letto?» Le chiese quindi semplicemente, scuotendo appena il capo distendendosi poi sulla schiena puntando lo sguardo contro il soffitto.
    Curvò appena il capo, sospirando. Avere qualcuno di cui fidarsi, qualcuno oltre la solita cerchia, era la cosa migliore che si potesse desiderare d'avere in un mondo tanto brutto. Un socio oltre le persone a cui normalmente ti saresti affidata. «Se sei felice lo sono anche io.» Aggiunse quindi poco dopo, piegando il capo per indirizzare il proprio sguardo sul volto dell'altra. Le sorrise. Un sorriso rilassata che mettesse ben in chiaro il suo stato d'animo in merito alla notizia data. Era felice avesse deciso di condividerlo con lei. Sperava solo di riuscire a mostrarle e a darle il supporto che meritava. Immaginava non fosse facile vivere in un mondo, in quel contesto, con una notizia così. La Haugen però ci sarebbe stata. Avrebbe fatto qualsiasi cosa in suo potere per proteggerla. «E poi una ragazza è più probabile superi il test d'approvazione by me.» Scherzò sull'argomento, facendo spallucce. «Se però ti fa versare anche solo una lacrima, sappi che diventerà un ottimo tappeto per casa Haugen.»
     
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    Tu per me sei bella com'è bella una sorella.
    La risposta scaturì spontanea dalle sue labbra. Riconosceva la bellezza di Helena e capiva come il suo fascino potesse stregare facilmente molti ragazzi, ma non sarebbe mai riuscita a guardarla diversamente. Questo, a dire il vero, l'aveva sempre confortata: era talmente abituata a vedere in Hel una sorella - una sorella minore da proteggere - da non essersi mai trovata in imbarazzo nel vederla in intimo o in qualsiasi altra circostanza potesse risultare ambigua con una persona verso cui si provava attrazione. Il loro rapporto ormai era questo da anni, tanto che l'affermazione decisa e sicura dell'altra riuscì a toglierle ogni dubbio, spingendola a sospirare di evidente sollievo.
    Che sciocca che sono stata.
    Istintivamente attirò a sé la Haugen e l'abbracciò. Non era abituata a sentirsi così: felice di aver avuto torto. Impattare con una realtà diversa da quella che aveva immaginato era incredibilmente confortante: la faceva sentire più leggera - evento assai raro per lei - e forse persino più coraggiosa rispetto al futuro e al modo in cui avrebbe gestito la sua confessione con altre persone, quando sarebbe arrivato il momento. Con Bram e Jerome aveva dovuto affrontare l'enorme scoglio rappresentato dal fatto che fossero le prime persone del suo mondo affettivo ad esserne messe a conoscenza, ma non poteva negare che il loro orientamento sessuale avesse contribuito a farla sentire meno preoccupata del risultato. Helena, invece, era la prima persona etero con cui riusciva ad aprirsi.. e questo aveva rappresentato una difficoltà non indifferente per la Mikkelsen. Le parole appena pronunciate dalla sua migliore amica l'avevano colpita come la più incredibile delle rivelazioni: ad Hel non importava che lei fosse attratta dalle ragazze, piuttosto che dai ragazzi. Forse a nessuno importava tanto quanto aveva imparato a dare per scontato Daphne. O almeno.. forse per molta gente ciò non comportava alcun giudizio.
    Mi sembra giusto convenne ridacchiando, intenerita di fronte all'istinto protettivo che evidentemente anche Helena nutriva nei suoi confronti Condivido sempre questo approccio.


    Londra, Novembre.

    Non lo faceva mai. Pur possedendo una copia delle chiavi della villetta a schiera che gli Haugen avevano a Londra, era raro che Daphne la utilizzasse per aprire senza prima annunciarsi in qualche modo. Dopotutto Otis era un ragazzo riservato e quella casa era principalmente abitata da lui, le sembrava dunque un po' maleducato piombare all'improvviso, senza nemmeno disturbarsi a suonare il campanello.
    Quel giorno, tuttavia, la rossa non ci pensò due volte prima di far girare la chiave nella toppa ed entrare senza attendere oltre. Fu il silenzio di stanze vuote ad accoglierla, la quiete di un'abitazione avvolta in una penombra pomeridiana in cui tutto sembrava sereno e immobile. Per quel che ne sapeva lei, in quel momento Otis doveva essere di turno in ospedale ed era proprio l'assenza di quest'ultimo ad averla spinta a scegliere quel momento per presentarsi lì. Senza indugiare, si diresse verso le scale che conducevano al piano superiore: aveva bisogno di parlare con Helena e voleva farlo da sola, un faccia a faccia che non prevedeva spettatori né altri partecipanti.
    Trovò la porta della camera della ragazza aperta e solo di fronte a questo si ritrovò ad esitare, fermandosi sulla soglia e appoggiandosi allo stipite con aria assorta mentre i suoi occhi incontravano quelli dell'altra. Cercò nello sguardo di Helena qualcosa che le suggerisse una risposta ai suoi interrogativi, ma vi trovò solo il caos emotivo che vi albergava da tempo e che si era intensificato sempre di più dal giorno in cui Lorence Volhard aveva fatto il suo ingresso in quella vita, imponendo la sua malsana presenza.
    Ho avuto una sgradevole conversazione con il tuo promesso sposo.
    Il motivo per cui aveva deciso di introdurre l'argomento in quel modo non poteva dirsi certo nobile. Ciò che aveva scoperto l'aveva sconvolta al punto da spingerla ad una provocazione, perché ciò che cercava più di qualunque altra cosa era una reazione sincera ed immediata da parte di Helena. Era certa che, di fronte a parole del genere, la norvegese non avrebbe potuto trattenere la verità che sarebbe emersa prepotentemente sul suo volto prima che qualunque parola uscisse dalle sue labbra.
    Non voleva che Hel si sentisse aggredita o accusata, ma allo stesso tempo sentiva dentro di sé un malessere che esigeva di emergere. Aveva bisogno di travolgere Hel con tutti i suoi interrogativi, il suo sconcerto e la sua rabbia disperata, perché aveva passato giorni a ripercorrere mentalmente la conversazione con Volhard, a pensare ad Helena e a ciò che lui le aveva fatto, ad affrontare la presenza di Soren che inevitabilmente si era fatta spazio nei suoi pensieri. La presenza di Theresa, sua madre.
    E alla fine si era resa conto che aspettare era inutile. Che attendere oltre non le avrebbe permesso di elaborare meglio le parole di Lorence e che parlare con Helena era l'unica risposta.
     
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    Era accaduto. La sua parentesi di pace era andata in frantumi. Quando quell'anello le era stato imposto con la forza sul dito, aveva capito che nulla sarebbe stato più lo stesso. Niente era più lo stesso da un po', ma con quell'anello e quella nuova minaccia, sarebbe stato impossibile tornare a fingere di avere una vita normale. Non ce l'aveva. Non l'avrebbe mai avuta. Era una ragazza di diciasette anni che, in qualche modo, avrebbe sposato l'uomo che l'aveva violentata. Cosa avrebbe potuto esserci di normale in tutto quello? Era solo tutto dannatamente schifoso. Orribile.
    Aveva declinato l'invito di Mason con una scusa. Gli aveva detto di dover incontrare dei guaritori, seguire delle terapie. Ci aveva creduto e lei era tornata a casa sua, a Londra. Si era rintanata in casa, nella sua stanza e lì era rimasta, a letto, sperando che tutto il male nella sua vita potesse semplicemente svanire. Ovviamente non era accaduto.
    Non si allarmò quando sentì la porta di casa aprirsi, né i passi farsi vicini alla sua stanza. Se ne restò inerme tra le soffici coperte di quel letto che sembrava decisamente più accogliente della vita che l'aspettava fuori, a nascondere la mano martoriata dai morsi e dai graffi, sotto il cuscino. Vedere Daphne lì sull'uscio della sua stanza, la costrinse a rimettersi seduta, la mano sempre ben nascosta, ma non ebbe modo di darle il benvenuto. Furono le sue parole a precedere ogni sua domanda e a chiarire il motivo per cui lei fosse lì. «Cosa?» Le chiese, scivolando dal letto fino a mettersi in piedi. Il cuore le batteva così forte nel petto da toglierle il respiro. Le ci volle qualche attimo per provare a parlare senza cadere a terra priva di sensi. La stanza aveva preso a girarle vorticosamente intorno ed il pavimento, per qualche istante, sembrava essere sparito. Si sentiva persa. Fluttuante nel mare di pece in cui Lorence non smetteva di lanciarla. «Ti... ti ha fatto del male?» La guardò, cercando sul suo volto i segni di quel che l'altra diceva. Non ne trovò, non in superficie.
    «Scusami Daphne, davvero. Io non volevo nasconderti nulla è che... » E non riuscì a continuare. Coprì il suo volto con le mani, nascondendo la voglia che aveva di urlare, e di crollare.
     
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    Trovare Helena raggomitolata sotto le coperte non l'aveva sorpresa molto, questo non poteva negarlo. Non si era certo aspettata di trovarla entusiasta e in balia dei preparativi per l'annuncio ufficiale del fidanzamento, per quanto la notizia l'avesse sconvolta non era arrivata a pensare che l'accettazione dell'amica fosse sinonimo di felicità. No, era certa che quel fidanzamento, se davvero era avvenuto, l'avesse trovata come un'inerme vittima degli eventi, del potere di un uomo senza scrupoli. Fu inevitabile rivedere, in quella figura che ora stava emergendo dalle coperte aggrovigliate, sé stessa.. quando, tempo prima, aveva passato fin troppe ore nascosta nel suo letto, dopo il terribile incontro con suo padre tra le strade buie di Londra. A costringerla a letto era stato un uomo con manie di onnipotenza, una prepotenza deprivata di ogni traccia di empatia, la convinzione di poter schiacciare il suo prossimo per piegarlo alla sua volontà. Già, Lorence era come Soren. Solo che Daphne non era mai riuscita a colpire suo padre.
    No, ne ho fatto io a lui. Non avevo mai schiaffeggiato qualcuno con tanta violenza da ritrovarmi le dita macchiate di sangue. Questo non è da me.
    Avrebbe voluto poter dire che non andava fiera di quel che aveva fatto, che se ne pentiva. In realtà si pentiva solo dell'aver agito di impulso, come raramente le capitava, senza pensare alle possibili conseguenze e alla facilità con cui uno come il Volhard avrebbe potuto sfruttarle. Non si pentiva dello schiaffo in sé, consapevolezza che di certo non la faceva sentire bene con sé stessa. Era sempre stata contraria alla violenza, aveva iniziato addirittura ad elaborare delle idee contro l'uso della violenza, un progetto. Quanto rancore doveva portare dentro di sé per aver provato soddisfazione nel vedere un rivolo di sangue sgorgare dalle labbra di Lorence? Mostri come lui riusciva a tirare fuori il peggio di lei.
    Ma Lorence Volhard è un essere disgustoso.
    Aggiunse, sentendo la sua voce tremare di rabbia nel pronunciare quelle parole. Non riusciva ad accettare che uomini simili dovessero trovarsi così vicini a lei e alle persone che amava. Per molti anni della sua vita non lo aveva compreso, così ora le sembrava di ritrovarsi improvvisamente accerchiata: come se fosse stata presa d'assalto su più fronti senza riuscire ad intuire che ciò sarebbe potuto accadere. Il suo bisogno di controllo era totalmente in tilt, come un allarme impazzito perché sovraccarico di stimoli.
    Per questo l'unica spiegazione che riesco a darmi al vostro fidanzamento è che deve averti fatto il lavaggio del cervello.
    La danese non pensava che Helena si fosse lasciata convincere dall'idea che quel matrimonio fosse qualcosa di desiderabile. Forse Lorence aveva qualche abilità manipolatoria, ma di certo nulla di paragonabile al talento di Soren Bachskov da cui effettivamente Daphne continuava a sentirsi minacciata: senza contare che, contrariamente a com'era successo a lei con suo padre, l'impatto iniziale di Helena con Lorence era stato subito negativo, segnato da coercizione e violenza. La Haugen sapeva di avere a che fare con una persona orribile, il fatto stesso che avesse chiesto immediatamente all'amica se il ragazzo le aveva fatto del male ne era una prova inequivocabile. Dunque il lavaggio del cervello di cui Daphne parlava doveva aver toccato altri punti, sembrava un'operazione ben più insidiosa di ciò che sarebbe stato più facile immaginare. Stava per fare qualche domanda in proposito, quando la norvegese si portò le mani al volto in preda ad un eccesso di disperazione.
    Hel, la tua mano.. gli occhi azzurri erano caduti inevitabilmente sui segni che spiccavano su quella mano arrossata e martoriata, segni che purtroppo aveva già visto in passato. Si avvicinò a lei prendendole le mani nelle sue e scostandogliele così dal volto Dov'è che tuo fratello tiene l'essenza di Dittamo?
    Di certo in quella casa non poteva mancare, ma Daphne aveva il sospetto che Helena non avesse pensato neanche per un attimo di medicarsi i segni che lei stessa aveva desiderato infliggersi. La rossa esitò qualche istante, osservando le ferite e sentendo rabbia e dolore che si fondevano in lei, pesandole sul petto e stringendole un nodo in gola Lo vedi? Anche questa è opera sua. sentenziò in un improvviso moto di frustrazione Il suo posto non è al tuo fianco, ma in carcere. Tu questo lo sai: ne sono certa.
     
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    La sua risposta non la tranquillizzò, anzi fu il contrario. Dovette reggersi alla scrivania poco distante perchè si fece forte la sensazione di stretta allo stomaco, di mondo che girava e di luce che spariva. Si sarebbe lasciata andare al pavimento ma si sforzò di respirare, di incamerare aria per aggrapparsi alla realtà per quanto orrenda si stesse mostrando. Sapere Daphne contro Volhard, non era che l'ennesimo mattone alla torre che Lorence aveva costruito per lei ed in cui, poco a poco, la stava rinchiudendo. Stava facendo di tutto per lasciarla sola, per allontanare da lei ogni appiglio di salvezza e ci stava riuscendo. Non aveva la minima idea di cosa fosse accaduto tra i due, ma era certa non fosse nulla di buono. Conosceva lo sguardo della rossa, ed era ben conscia della determinazione che racchiudeva. In quell'occasione però, non le era utile. Volhard aveva in mano la sua vita e l'odio di Daphne avrebbe dato al ragazzo solo un'arma in più.
    Nascondere il viso dietro le mani non servì a nulla. Ancor meno quando la rossa si accorse dei suoi tentativi di strapparsi via l'anello incollato alla sua pelle. Si sottrasse al suo tocco, quasi le avesse fatto male. Non era il suo tocco a provocarle dolore ma la realtà dalla quale non poteva fuggire. «Lascia stare. Davvero. Sto bene.» Coprì la mano ferita con l'altra, andando a sedersi nuovamente sul letto. La mano nascosta sotto l'altra, le spalle chine. Doveva sembrare ancora più piccola in quel momento. Si sentiva così, ogni giorno più piccola, quasi come se ogni giorno Lorence le portasse via un pezzo di sé.
    Cadde in un silenzio sofferto, mentre si impegnava ad entrare nella parte che le era stata imposta. Forse, sperava, un giorno di poter credere alle bugie che Lorence le aveva raccontato. Se avesse potuto smettere di pensare, le sarebbe stato facile. Era quello che il Volhard voleva d'altro canto, glielo aveva detto: avrebbe dovuto smettere di opporsi e lasciarsi andare. Lasciarsi manipolare. «Vuole rendermi felice. Me l'ha promesso.» Annuì con voce flebile mentre lo sguardo le si riempiva di lacrime.
    Strinse le labbra, mandando giù il fastidioso groppo formatosi alla gola. Non servì a nulla. «Io...» Le labbra le tremarono mentre grosse gocce le inondavano il viso. «Io ho inventato tutto. Non era vero nulla. Non mi ha fatto del male, sono io la bugiarda. Quindi, per favore, non... non fare nulla.» La sua voce si spezzò in un pianto disperato. La cosa più brutta di tutto quello era che, non solo Lorence le imponeva il distacco dalla sua comfort zone, ma la costringeva a costruirsi da sola la prigione in cui poi lui l'avrebbe rinchiusa. E per quanto la facesse soffrire, sembrava venirle piuttosto bene finora allontanare le persone.
    Non riuscì a farlo con Daphne. Allungò una mano per stringere la sua, mentre la guardava dal basso quasi supplicandola. «Voglio che tu mi sia accanto ma non puoi farlo se ti mostrerai contro tutto questo, lo capisci?» Sperava sul serio lo facesse.
     
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    Il tentativo di Helena di minimizzare i segni sulle proprie mani non era qualcosa a cui Daphne non potesse dirsi preparata, conoscendo la ragazza ormai da parecchi anni. La gestione del dolore era sempre stato un tema insidioso per la Haugen, fonte di preoccupazione per chiunque tenesse a lei, forse per questo Daphne non aveva avuto dubbi nel cogliere in quei graffi e morsi un atto di autolesionismo.
    Quando te la prendi con te stessa di solito sei dannatamente lontana dal "sentirti bene".
    Ora, osservando meglio le mani dell'altra sebbene fossero state sottratte al suo tocco, Daphne si ritrovò inevitabilmente a posare gli occhi sull'anello di fidanzamento che brillava all'anulare. Era un bell'anello, elegante e senza dubbio molto costoso, il genere di pegno che tutte le ragazze del loro ambiente si aspettavano di ricevere insieme ad una proposta di matrimonio. Sapere da chi era stato donato, tuttavia, lo rendeva orrendo agli occhi della danese. Le sembrava che la sua migliore amica indossasse una piccola e preziosa trappola, che imprigionava non solo una delle sue dita, ma per estensione tutta la sua persona. Daphne provò un moto di rabbia nel costatare che la Haugen aveva martoriato la sua stessa carne invece di togliersi quell'anello e di gettarlo a terra, farlo a pezzi con un incantesimo, distruggerlo per sempre insieme al significato che portava con sé.
    Renderti felice? Dopo quello che ti ha fatto non dovrebbe neanche poterti guardare in faccia. È davvero allucinante che sia ancora a piede libero.
    Sapeva com'erano andate le cose e conosceva gli accordi che erano stati presi. Non riusciva a perdonare i genitori di Helena per questo. Solo quest'ultima aveva la sua comprensione, considerato quanto poteva essere difficile per la vittima di un atto del genere sostenere un processo, in particolare se l'altra parte poteva contare su potere, soldi e visibilità persino superiori a quelli degli Haugen. La rossa era amareggiata e frustrata rispetto al modo in cui tutto si era esaurito in un nulla di fatto, ma non avrebbe mai potuto condannare Helena per questo. Tuttavia, ciò che si ritrovava ad ascoltare ora era davvero troppo per lei. Sgranò gli occhi, mentre un'espressione sconvolta si disegnava sul suo viso.
    Perché mi stai dicendo una cosa del genere? replicò, la voce alterata dall'indignazione: qualunque fosse la ragione che aveva spinto la norvegese a ritrattare era inaccettabile ai suoi occhi Hel, a quante persone hai cercato di rifilare questa nuova versione? Perché io so che non hai mentito sullo stupro. E se adesso pensi di potermi convincere a non crederti più perché.. lui ti ha chiesto di farlo, non hai alcuna chance. era nauseata dall'improvvisa certezza che fosse quello il punto, che solo l'influenza del Volhard e la sua ostinazione nel voler manipolare e perseguitare la sua "preda" potesse essere la causa di quell'orribile novità
    Ma nel nostro ambiente, lo sai, non vedono l'ora di bersi questa cazzata. Persino chi non crederà all'innocenza di Lorence farà finta di crederci!
    Era una prospettiva agghiacciante, ma Daphne era piuttosto sicura del suo realismo. Volhard, ora che il padre era morto, ne aveva ereditato ogni ruolo e privilegio: era un uomo di potere in una società che ancora apparteneva agli uomini mentre Helena era sì una ragazza proveniente da una ricca e nota famiglia dell'alta società, ma agli occhi di tutti restava una donna, adolescente e problematica, dalla fragilità diagnosticata su più fronti, la cui credibilità era pronta ad essere data in pasto a chiunque avesse da guadagnarci qualcosa. Daphne sospirò, cercando di controllare le proprie emozioni e la crescente rabbia che si faceva strada in lei mentre, nella sua mente, le figure di Lorence e Soren continuavano ad accavallarsi e confondersi.
    Proprio perché ti sto accanto non posso permetterti di fare una scelta del genere. Vuoi condannarti sposando il tuo stupratore? Vuoi davvero trasformarlo nel tuo carceriere?
    Le rivolse quelle domande con un tono di voce che risultò leggermente più pacato, cercando di fare appello al pragmatismo con cui generalmente cercava di risolvere problemi in cui le era più facile gestire la propria emotività. Ma la verità era che quella situazione toccava corde troppo sensibili della sua anima e il pensiero che le solleticò la coscienza nel ripercorrere mentalmente l'ultima conversazione avuta con Lorence fece scattare qualcosa nel suo cervello.
    Devi dirmi cosa ti ha fatto. Perché per spingerti a questo deve tenerti in pugno in qualche modo, non c'è altra spiegazione. Ti ha minacciata, non è vero?!
     
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    Avrebbe voluto risponderle che lo sapeva e che uno come Lorence, in un mondo giusto, non avrebbe mai dovuto anche solo immaginare di avvicinarsi a lei. Avrebbe voluto dirle che sì, si rendeva perfettamente conto di quanto assurda fosse quella situazione ma era anche cosciente della sua impossibilità ad evadere. Era in trappola e non aveva più alcuna via di scampo. Si sentiva in prigione e Volhard sembrava essersi sbarazzato della chiave che la teneva prigioniera. Si curvò in avanti, coprendosi le orecchie con le mani prima di sbottare in un verso contrariato. Le parole pronunciate dalla Mikkelsen, la ferirono più di quanto avrebbe voluto dimostrare. «Daphne, cazzo! Per favore. Puoi... puoi non usare quelle parole?» Sbottò rossa in viso, mentre si rimetteva in piedi per chiarire quel concetto. Un favore che le chiedeva, per sé. Perchè essere sbattuta in faccia alla verità, non le faceva aprire gli occhi, non aveva certo bisogno di quello. I suoi occhi erano già aperti, anzi erano addirittura sgranati. E sentirle pronunciare quello che era un intimo timore della Haugen, riportò a galla la sua paura. Si sentì soffocare. Percepì di nuovo la presa forte delle sue mani sulla sua pelle e le mancò il fiato.
    Strinse i denti ad occhi chiusi, stringendo le emozioni negativi nelle mani tenute chiuse. E si costrinse a respirare. Ci provò. Lentamente lasciò fluire il respiro pesante in un soffio dolente. Farlo non l'aiutò. Le sembrò qualcuno le stesse squarciando il petto dall'interno.
    Tornò a guardarla, lo sguardo perso. Era così che si sentiva. Persa. E dinanzi alle parole dell'amica, non si sentì supportato ma ancora più sola. Lo sarebbe stata perchè Lorence avrebbe fatto sì di ferirla, annientarla. Helena questo non poteva permetterlo. Non era mai stata una persona eccessivamente generosa, ma teneva ai suoi legami e per loro avrebbe sacrificato se stessa. Era quello che stupidamente si apprestava a fare. «Non lascerò che tu faccia diventare questa storia la tua crociata per la volontà di mostrarti sempre la paladina della giustizia.» La sua voce uscì sottile e graffiante mentre tremante stringeva le braccia al petto nel tentativo di assumere una posizione forte. Sicura. La sua sicurezza era sparita da tempo. «Non esiste giustizia in questo mondo del cazzo.» Biascicò poco dopo, scuotendo il capo. Il tono amaro e gli occhi lucidi. Ne aveva avuto più di un esempio e credere che le cose sarebbero state diverse di lì in avanti, sarebbe stato inutile. Era stanca. Disillusa. «Qualunque cosa mi abbia fatto, non ha importanza ormai. Ho accettato. I miei genitori l'hanno fatto.» La guardò, facendo spallucce. Annunciava la sua resa, il suo ordine a non rianimare.

     
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    La vide scattare in piedi, i denti stretti e lo sguardo fiammeggiante di rabbia. Forse quella rabbia aveva sfumature di frustrazione, ma ciò che più spiccava agli occhi della danese era la profonda disperazione che si celava dietro a tanta furia. Helena era fuori di sé, sembrava scossa da emozioni tanto violente da tremare proprio nel tentativo di sostenerle, di sopportarle senza esserne sopraffatta al punto da crollare. Se l'avesse vista cadere a terra, in quel momento, Daphne non si sarebbe sorpresa. E tuttavia questo non bastò a frenarla, non la spinse ad accondiscendere alle sue richieste.
    Perché non devo usarle? Perché ti fanno male.. o perché hai deciso che preferisci una versione falsata di quello che è successo?
    Anche Daphne era arrabbiata. Non con Helena, ma con chi l'aveva spinta a desiderare di chiudere gli occhi davanti alla realtà e voltarsi dall'altra parte nel tentativo fallace di sentirsi nuovamente al sicuro. Quell'illusione era la ragione per cui la Haugen non voleva sentir pronunciare certe parole. Stupratore. Carceriere. Bugie. Verità. Ognuna di quelle parole, oltre a provocarle dolore, ostacolavano anche il tentativo di Helena di ammansire sé stessa con una radicale rivisitazione di quanto aveva vissuto e di ciò che stava vivendo ancora adesso. Quindi sì.. forse in realtà Daphne era arrabbiata anche con lei. Non riusciva a credere di trovarsi di fronte ad una situazione tanto simile a quella che aveva avuto come protagonista Theresa Morrow, sua madre. Anche Theresa aveva rinunciato a combattere, a difendersi e chiedere giustizia. Anche lei non si era sentita in grado di farlo o forse aveva pensato che la sua salute mentale l'avrebbe resa una vittima poco credibile, una testimone inattendibile. Era ciò su cui Soren aveva potuto puntare per uscirne pulito, ciò su cui ora voleva puntare anche Lorence.
    Quando non vuoi farti aiutare mi dai addosso, credi possa funzionare per la seconda volta?
    Conosceva Helena da molti anni. In passato avevano litigato per ragioni più frivole, ma ricordava bene la situazione in cui si era ritrovata coinvolta alla baita. Ricordava lo sconcerto nel vedere l'amica cambiare idea da un momento all'altro, in modo improvviso e radicale: ricordava di aver avuto, in quell'occasione, il primo vero impatto con la profondità della sua fragilità psicologica. Quell'esperienza l'aveva trovata impreparata e spaesata, ma questa volta aveva più strumenti per comprendere ciò che stava accadendo. Si avvicinò ad Helena, allarmata dal respiro di quest'ultima che si era fatto più irregolare, pesante, gli occhi chiusi che sembravano trattenere a stento un dolore quasi fisico.
    Spesso bisogna combattere per ottenerla ed è faticoso.. anzi, è estenuante. Ma non posso accettare di credere in una realtà in cui la giustizia non esiste e non dovresti farlo nemmeno tu.
    Non aveva potuto aiutare sua madre ad avere giustizia, né a sopravvivere a ciò che Soren le aveva fatto. Non era che una neonata all'epoca, separata dalla donna che l'aveva messa al mondo e dal fratello con cui aveva condiviso il grembo materno, relegata in un'elegante fortezza della Danimarca. Ma ora era un' adulta, una persona che aveva sbattuto la faccia contro verità che per anni erano state inimmaginabili per lei. Una donna che aveva conosciuto l'orrore e la violenza che la vita poteva riservare, la crudeltà che gli esseri umani potevano dispensare ai loro simili. E non poteva accettare di sentirsi di nuovo impotente.
    Come li hai convinti? Non posso credere che si siano davvero bevuti la tua ritrattazione. sbottò bruscamente, incapace di accettare la cecità degli Haugen, di due genitori che pur conoscendo le problematiche della figlia non potevano essere insensibili di fronte alla sincerità del suo dolore Cazzo, Hel! Credi che dargli quello che vuole sistemerà le cose? Quel viscido depravato ti chiederà sempre di più! Ha minacciato anche me: dice che se non sto alla larga da te userà lo schiaffo che gli ho dato per rovinarmi la carriera, il futuro. sputò fuori quella confessione: in parte per dimostrarle quanto fosse paradossale la sua richiesta di starle vicina e sostenerla di fronte ad un matrimonio con un ragazzo che le aveva intimato di tenersi a distanza, ma soprattutto per ribadire quale fosse l'intenzione ultima di Lorence, ora più evidente che mai Minaccerà tutte le persone che ti sono vicine, perché vuole che tu sia sola! Sa che ti sentirai più debole e potrà controllarti meglio.
    Non era quello che facevano tutti coloro che desideravano schiacciare il prossimo? Violentarlo, violarlo in ogni modo possibile, possederlo. Anche Soren cercava di isolarla, farle credere che solo lui avrebbe potuto proteggerla e che il suo destino, la sua unica reale alternativa, era fare ritorno a casa. Lorence faceva lo stesso con Helena e lei doveva essere davvero terrorizzata da quel ragazzo per cercare di convincersi di essere disposta a credere che cedere a lui fosse la scelta migliore.
     
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    «Perchè... cazzo!» Urlò, sfogando in un colpo a palmo aperto contro il muro la sua frustrazione. Il suo animo ribolliva, rendendole impossibile trattenere le sue reazione. Esplodeva in atti di violenza verso gli oggetti di cui si circondava, a volte – troppo spesso - peggio, verso se stessa. La guardò ad occhi lucidi. Furiosa lo era verso lo schifo che la circondava ma l'effetto che quella vita aveva su di sé, era profondo rammarico. Tristezza. «Per favore, basta.» Fu un sospiro. Una supplica sussurrata con voce incrinata. Era sul punto di crollare, come un castello di carte che troppo a lungo aveva resistito a raffiche di gelida realtà. La crudeltà con cui la verità le si riversava contro, le sferzava l'anima. Coprì le orecchie con le mani, chiudendo gli occhi, fuggendo dalle sue parole, dalle sue domande. Non avrebbe voluto saperne più nulla. Non avrebbe più voluto affrontare quel discorso. «Basta!» Non valsero a nulla le sue preghiere. Lo sapeva bene quanto difficile potesse essere bloccare Daphne quando la sua anima si infiammava. Ora era nel pieno di un incendio. Gettare su di lei secchi radi di vane rassicurazioni, non l'avrebbe placata.
    Fu all'ennesima terribile possibilità che Daphne le pose dinanzi che sentì di non poter resistere. Più della costrizione e della solitudine a cui Lorence la costringeva, era l'impossibilità di farsi sentire. Sembrava tutti, anche le persone che dicevano di esserle vicino, avessero smesso di ascoltarla. Persino Daphne. «Mi ha costretto Daphne. Non avevo scelta.» Le sputò in faccia quella realtà. Le mani tremanti ed il volto arrossato. «Si è smaterializzato con me in una stanza da letto spacciandola per nostra. Ha cominciato a dire una serie di cazzate sul rendermi felice, sul fatto che solo lui potesse farlo... credi io abbia potuto realmente farmi imbambolare?» Si chiedeva come tutti potessero credere lei si fosse fatta convincere. Come potevano credere potesse chiudere gli occhi dinanzi ad un atto così vile nei suoi riguardi? Accettare quel compromesso, quella minaccia, era stata una scelta fatta per tutti loro. Per la prima volta, realmente, aveva cercato di salvaguardare le persone che aveva attorno piuttosto che se stesso, e sembrava non aver ottenuto altro che incomprensioni. Sdegno. Solitudine. «Non potevo più scappare così gli ho dato quello che voleva.» Allargò le braccia, scivolando lungo la parete. Era stanca. Terrorizzata. Avrebbe soltanto avere qualcuno dalla sua parte. Qualcuno che, piuttosto che dirle quanto stupida fosse stata ad accettare, le dicesse che in fondo avrebbero potuto ancora trovare una soluzione. «Ma non avrà altro.» Deglutì, stringendo i pugni, ad occhi lucidi. Avrebbe provato a preservare quel che restava. «Devi fidarti di me e non... non fare niente.» La guardò, tremante. «Ti prego. Se vi fa del male, tutto questo sarà inutile.»
     
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    Non poteva smettere. Helena le chiedeva di farlo, le chiedeva di smettere di farle domande, intromettersi e dire la sua su Lorence e su tutta quella situazione.. ma Daphne, semplicemente, non poteva farlo. Non accennò a desistere nemmeno quando la vide sbattere violentemente il palmo contro la parete, nemmeno quando la sentì gridare. Neanche quando la possibilità di un'esplosione di magia involontaria diventò una minaccia concreta ai suoi occhi, conoscendo i problemi di autocontrollo dell'altra. Helena urlava e piangeva, la implorava e nonostante questo Daphne non accennava a tirarsi indietro. A pensarci bene, in quel momento si sentiva lei stessa la carnefice della Haugen. E le faceva male pensare di poter essere percepita dall'altra come un'altra forza avversa, qualcuno che le dava contro e cercava di imporsi su di lei. Ma non poteva lasciare Helena in balia della depravazione sadica di un mostro, doveva riuscire ad aiutare almeno lei.
    Dovevi denunciarlo appena uscita da quella stanza. Perché non l'hai fatto?
    Perché aveva paura. Come tutte le donne che non denunciavano gli abusi domestici, le violenze sessuali, le aggressioni. Paura di ritorsioni, punizioni, paura di non essere credute. Di leggere condanna e scherno negli occhi degli altri. Forse persino paura di leggervi la pietà, in alcuni casi. Anche Theresa non aveva denunciato Soren, perché.. chi le avrebbe creduto? Ormai la figura di sua madre - la donna bipolare e sola spezzata da Soren - e della sua migliore amica - la ragazza fragile e autolesionista prevaricata da Lorence - continuavano a confondersi e sovrastarsi nella sua mente. Il dolore che quella connessione le provocava era lancinante. La fine di Theresa Morrow rappresentava un'orribile presagio agli occhi di Daphne. L'idea che ad Helena potesse accadere qualcosa di simile la angosciava al punto da renderle davvero difficile mantenere il controllo, in quel momento: non solo non intendeva tirarsi indietro, ma faticava persino a non mettersi a sua volta ad urlare.
    Altro? Che altro può esserci? Se lo sposi si prenderà tutto. Si comporterà come se il matrimonio fosse un contratto di compravendita. scelse le parole con consapevole crudezza, gettandole contro Helena senza filtri, affilate come lame Vuole possederti ed è da malati, ti ritroverai sequestrata da un mostro. Ti ha già spinta a mentire su quello che ti ha fatto, te ne rendi conto?
    Voleva metterla di fronte al fatto che, anche se ora era crollata di fronte alla determinazione di Daphne nel non credere a quella nuova versione della realtà, fino ad un attimo prima Helena aveva cercato di convincerla di essersi inventata uno stupro mai avvenuto. L'aveva fatto anche con i suoi genitori che si erano fatti raggirare, probabilmente condizionati dai trascorsi problematici della loro secondogenita. E aveva imbastito tutto quel teatro umiliandosi, dandosi della bugiarda mitomane, perché Volhard aveva esercitato su di lei abbastanza pressione da spingerla a farlo.
    Un anno fa non lo avresti fatto. Non ti sarai fatta incantare, ma lui ha un potere su di te: è la paura, Hel.
    Una sentenza, dura e implacabile. Se ne rendeva conto. Le stava gettando in faccia tutta la verità che dall'esterno riusciva a vedere, ogni aspetto più terrificante, agghiacciante e squallido di quel rapporto che si preparava a sancire legalmente pur detestandone l'idea. In quel preciso momento, Daphne sentiva non avere altre armi oltre alle proprie parole e alla violenza con cui era in grado di usarle.
    Credi che cedere ad un qualche tipo di ricatto sia il modo migliore per assicurarti l'incolumità delle persone che ami?
    Persino quella domanda, retorica e sarcastica, aveva in sé qualcosa di spietato. Spingeva la Haugen a guardare in faccia l'assurdità di quella speranza. A rendersi conto di quanto un simile ricatto la spingesse in un tunnel senza fine, che si faceva più oscuro ad ogni passo. Non soddisfatta, Daphne si chinò su di lei, piegandosi sulle ginocchia per porsi alla stessa altezza dell'amica ora accasciata contro la parete. Le strinse le mani attorno alle spalle sottili e la scosse appena, senza violenza ma con l'intenzione di indurre Helena a guardarla negli occhi.
    Quello che Hel le stava chiedendo non era possibile. La rossa aveva già fatto un passo indietro in precedenza, evitando di insistere quando aveva scoperto che le accuse erano state ritirare e che Lorence non sarebbe stato perseguito legalmente. Era stato un errore e Daphne non era disposta a commetterne un altro.
    Non puoi chiedermi di starne fuori, non lo farò. Non questa volta.
     
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16 replies since 3/9/2021, 16:34   239 views
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