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    Sfidare la sorte – e le autorità del castello – era diventato un iter a cadenza quasi giornaliera. Le riusciva sempre più difficile addormentarsi la notte, cosa che nelle ultime settimane specialmente non accadeva mai prima delle cinque del mattino, lasciandole quindi un margine di un paio d’ore prima di vedersi costretta a rialzarsi per dare il via ad una nuova giornata scolastica. I pensieri erano troppi come anche le sensazioni negative che si appiccicavano alle pareti del suo stomaco e le toglievano spesso il respiro. L’insofferenza psichica era diventata anche insofferenza fisica, l’emicrania era una costante come anche il fiato corto. Quanto avrebbe necessitato di un po’ di coca per rinvigorirsi, Dio solo lo sapeva. Era difficile trovare qualcosa di positivo a cui aggrapparsi, le sarebbe bastata qualsiasi cosa, anche un pensiero stupido. Ma Maggio era quel particolare mese dell’anno in cui Corinne con un’abilità degna di una vera strega riusciva a canalizzare tutte le energie negative della terra, senza però espellerle in alcun modo ma semplicemente assorbendole, aspettando il momento meno opportuno per implodere. Ad ogni modo quella sera decise di anticipare la sua passeggiata serale ad un orario che non violasse il coprifuoco, e non perché avesse deciso di non trasgredire più il codice scolastico e migliorare quindi la propria condotta, ma perché preferì saltare direttamente la cena per evitare le occhiatacce preoccupate di Ellie nel non vederla toccare cibo. Era così difficile mantenere dei segreti e celare il proprio malumore quando si avevano persone come lei nella propria vita, buone e premurose. Corinne si trovò a ragionare sul fatto che l’amicizia fosse a tutti gli effetti un’arma a doppio taglio. Si immischiò nella folla diretta in sala grande, per poi deviare verso l’esterno del castello e addentrarsi quindi nella tenuta. Nel costeggiare in solitudine i contorni del lago trovava la stessa pace di quando passeggiava a piedi nudi sul bagnasciuga della spiaggia di Brighton. Estrasse il pacchetto di Marlboro dalla tasca, fermandosi a fissarlo per qualche istante prima di tirar fuori una sigaretta. «Mi dispiace ma ho perso la scommessa» ormai pensava a Cris e alla promessa che si erano fatti ogni volta che ne accendeva una. Ci stava provando a fumare di meno, e in un certo senso era anche riuscita a ridurre il quantitativo di sigarette consumate in un giorno, ma smettere non sarebbe potuto essere tanto immediato. Chissà se lui invece se la stesse cavando meglio. Appoggiata con la schiena contro una quercia, in quel momento era totalmente estraniata dal resto del mondo. Furono dei passi in lontananza a svegliarla dallo stato di trance, che nel silenzio della tenuta sembrarono rumorosissimi. Corinne girò leggermente il capo per osservare chi fosse, e si stupì nel vedere che la persona in questione fosse Derek Thompson, che con passo svelto e nervoso si stava avvicinando al limitare della Foresta. La decisione tra il “me ne resto qui e mi faccio gli affari miei” e “lo seguo per vedere cosa sta architettando quel piccolo stronzetto” fu immediata. Facendo molta attenzione a non essere scoperta iniziò a seguirlo, mantenendo sempre una distanza tale da non destare sospetti. Da come si muoveva Derek sembrava davvero agitato e frettoloso di raggiungere qualcosa, e Corinne più che sentirsi preoccupata del fatto che si stesse addentrando sempre di più in un posto notoriamente pericoloso, era curiosa di scoprire le intenzioni del concasato. Camminarono entrambi per svariati minuti, la mora non aveva mai varcato i confini della foresta così a fondo, per cui non possedeva il minimo senso dell’orientamento e quegli alberi le sembravano tutti uguali. Iniziò a porsi seriamente il problema quando vide il sole calare quasi del tutto, rendendo quel posto più inquietante del normale. Derek si era d’un tratto fermato, e dopo aver atteso qualche minuto nascosta tra i cespugli degli stupidi insetti alati la tradirono, iniziandole a sfrecciare davanti al viso nel tentativo di pungerla. «Repello insecto» fu costretta a proncunciare l’incanto ad alta voce, facendo quindi subito drizzare le orecchie del Corvonero che prese a guardare verso di lei. Il danno era fatto, tanto valeva uscire allo scoperto. «Che piacevole sorpresa concasato, anche tu qui?» gli chiese ironica palesandosi davanti ai suoi occhi. Il suo sguardo sorpreso ed agitato non sfuggì alla Miller, per cui la domanda – indiretta – successiva fu inevitabile. «E’ questa la sede del TLTT, oppure hai qualche altro hobby strano?» gli chiese avvicinandosi ancora di qualche passo, trovandosi distante da lui di solo un metro. Lo scrutò attentamente, e non riuscì a non pensare che fosse più strano del solito, per cui a quel punto sperò di scoprire qualche altra informazione su di lui che potesse esserle utile ai fini di quella guerra che da mesi si stavano facendo, anche se a dirla tutta era da tempo che aveva perso completamente l'interesse in quella faccenda. «Onestamente non mi stupirei se mi dicessi che ti diverti a squarciare gli ippogrifi, da te mi aspetterei di tutto» la frecciatina ai volantini in cui l’aveva definita come “ladra e meretrice” non fu velata, a parer suo era già tanto se non l’avesse sbattuto con la testa contro il muro per quello che aveva fatto.
     
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    Continuava a ripetersi che sarebbe andata bene, che non sarebbe stato come l'ultima volta. Prima o poi, avrebbe dovuto smettere di fare male e forse la trasformazione non avrebbe fatto così paura. Immaginava però di starsi illudendo. Ricordava suo padre i giorni post luna piena. Ricordava le sue ferite e l'espressione stanca del suo viso. La luna piena sembrava consumarlo mese dopo mese, e non poteva fare a meno di chiedersi se non gli sarebbe spettato la stessa fine. Se lo chiedeva di continuo. Quanto il suo destino potesse ancora esser simile a quello di suo padre? Avrebbe rischiato anche lui di uccidere tutte le persone che aveva intorno? Strinse spasmodicamente la mano sudata sulla boccetta di antilupo che aveva nella tasca dei pantaloni. Sperava di no.
    Aveva preso le sue precauzioni. Avrebbe raggiunto un punto abbastanza lontano della foresta. Si sarebbe legato ad un albero con più catene. Avrebbe preso la sua antilupo ed avrebbe aspettato che la sua luna raggiungesse il suo picco. Cominciava a sentire gli effetti di quella luna piena che si faceva man mano più viva. Il suo corpo tremava quasi come febbricitante ed effettivamente la sua temperatura era aumentata. Chiunque l'avesse visto in quel momento, avrebbe notato la pessima cera del suo volto. Pallido e sudato. Sembrava malato, ed in effetti lo era. Peccato però che non ci fosse alcuna cura al suo malessere. Sentiva di somigliare a suo padre più di quanto avrebbe voluto.
    Camminava spedito tra gli alberi, bacchetta alla mano, quando una voce lo fece sobbalzare più del previsto.
    Si voltò di scatto, puntando la bacchetta contro chiunque lo avesse interpellato. “Che cazzo.” Quando il suo sguardo intercettò il volto della Miller, sentì il suo corpo vibrare. La sua mente probabilmente lo ingannò, ma gli sembrò quasi di lasciarsi andare ad un suono gutturale, simile ad un ringhio. Durò solo un attimo. La paranoia occupò totalmente la sua mente. Indugiare era un atto che non poteva permettersi. “Mi hai seguito?” Acido, gli rivolse quell'accusa, seppur senza prove. Era abituato ad agire a quel modo dopotutto. Il punto era che in quel momento non poteva proprio lasciare che il loro stupido conflitto si frapponesse fra loro. La corvonero doveva andare via e per la prima volta per il suo bene. “Vattene. Lasciami in pace Miller.” Le disse, le braccia tremanti mentre si allontanava. “Seguimi e giuro che ti schianto.” Lo avrebbe fatto, se necessario.

     
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    Era evidente che Derek fosse talmente sovrappensiero da non aver minimamente notato la presenza alle sue spalle che l’aveva seguito lungo tutto il tragitto. Alla sua imprecazione Corinne rispose semplicemente con un ghigno beffardo, senza nascondere quindi il compiacimento nel vederlo tanto nervoso per via di quella compagnia indesiderata. A giudicare dall’espressione allarmata e dall’aspetto malaticcio del Corvonero, il motivo di quella passeggiata nella foresta non doveva avere niente a che fare né con il TLTT e né con niente di quel genere. «Hai le manie di persecuzione per caso?» rispose alla domanda con un’altra domanda, incrociando le braccia al petto e avanzando di qualche passo verso di lui per poterlo osservare meglio. Non lo aveva mai visto in quello stato, era sudaticcio ed il tono della sua pelle lasciava trasparire che non stesse troppo bene. «E poi anche se fosse? Hai altri segreti che mi nascondi? E pensare che credevo di sapere tutto di te» emise un finto sospiro rammaricato. Effettivamente la loro inimicizia li aveva in qualche modo portati a conoscersi vicendevolmente, Derek aveva sicuramente imparato che Corinne fosse un tipo di persona estremamente rancorosa e vendicativa, e Corinne aveva a suo modo raccolto una serie di informazioni su di lui anche di notevole di rilevanza. Una cosa era certa, la mora conosceva più cose sulla vita privata dell’altro di qualsiasi suo amico, ammesso che Derek ne avesse di amici. «Dai Didi, pensavo che ormai fossimo diventati amiconi» adorava prenderlo in giro in quella maniera, la loro conoscenza si era avviata proprio in quel modo: lui che andava su tutte le furie e lei che utilizzava il sarcasmo per farlo maggiormente infervorare. Fu quando notò che stesse tremando, grondando letteralmente di sudore, che si insospettì e prese ad accorciare ancora di più le distanze. «Sei sicuro di sentirti bene?» gli chiese esaminandolo dalla testa ai piedi, con un velo di preoccupazione sul viso. Lo scorrere dei minuti sembrava solo contribuire a peggiorare la condizione del Thompson, e per quanto tra di loro ci fossero dei dissapori di certo Corinne non lo avrebbe lasciato lì a morire, in balia delle creature che di notte animavano la foresta. «E allora schiantami, hai un aspetto di merda e non mi va di lasciarti qui e averti sulla coscienza» si faceva nel frattempo strada dietro di lui, che aveva preso a camminare in avanti con l’obiettivo di seminarla. A quel punto non si trattava neanche di curiosità per quello che lui dovesse fare, semplicemente non avrebbe girato i tacchi con il pensiero di lasciarlo mezzo malato lì di notte, avvertiva che oltre a non sentirsi bene il ragazzo era anche agitato, ma Corinne non riusciva a trovare un filo conduttore che potesse spiegare quell’atteggiamento. «Derek, cazzo, fermati. Torniamo indietro. Che diavolo devi fare a quest’ora qui dentro?» gli chiese con voce sprezzante, afferrandolo quindi per un braccio ed obbligandolo a voltarsi verso di lei. Il punto è che loro due si detestavano, si erano fatti innumerevoli torti a vicenda ed erano mesi che andava avanti in quel modo. Perché mai lui avrebbe dovuto ascoltarla? L'unica cosa che avrebbe potuto far sì che lui le desse retta sarebbe stata ricorrere alle minacce. «Guarda che non ci penso due volte ad andare dalla Rei e dirle tutto» mentì. Fare la spia non faceva proprio parte del suo modus operandi, Corinne preferiva risolvere i propri problemi personalmente, per questo si era tanto infastidita nei confronti del Corvonero quando quello aveva coinvolto Felix all'interno della loro faida, spingendola a sua volta a cercare un'alleata in Ellie.
     
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    “Non sono cazzi tuoi.” Non potette fare a meno di risponderle a quel modo, nella speranza di vederla allontanarsi. Dopo mesi passati a conoscersi, nonostante tutto, avrebbe dovuto capire però essere quello il modo sbagliato di ottenere quel risultato. Infatti, la Miller, sembrò essere ancora più motivata a rompergli le scatole, seguendolo nel suo percorso tra gli arbusti di quella foresta scura.
    Ansante, si voltò a guardarla mentre ancora camminava, facendole un gesto con la mano come a dirle di allontanarsi. Doveva farlo e stavolta per il suo bene. “Sto benissimo. Smettila di seguirmi.” Aggiunse ancora più acido. Fu inutile anche solo sperare in un responso positivo. Di fatti, quando la corvonero lo sfiorò, afferrandogli il braccio, il Thompson percepì il peggio arrivare.
    Fu un sinistro crac a spezzare il silenzio di quell'ambiente. Se ci fosse stato uno spettatore, avrebbe quasi potuto pensare fosse stata la presa di Corinne a spezzare l'osso di Derek.
    “Cazzo.” Guaì di dolore, piegandosi in avanti mentre si reggeva il braccio leso. Il dolore fu atroce e a farlo sentire peggio era la consapevolezza che di lì a poco tutto il suo corpo si sarebbe rotto e poi ricomposto in una forma mostruosa.
    “Miller. Per favore.” Lo disse ansante, il volto appena tirato su e solo per ricercare il suo sguardo. “E' l'unico favore che ti chiedo.” Sperava solo di poterla convincere a quel punto, mentre la sua bocca perdeva bava ed i suoi denti diventavano stranamente appuntiti. “Scappa.” Le sussurrò. “Torna al castello e chiuditi dentro nella tua cazzo di camera.” Riuscì a dirgli mentre un nuovo rumore lo costrinse a cedere sulle ginocchia.

     
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    La risposta del concasato fu quanto di più prevedibile potesse aspettarsi. Naturale che non erano affari che le riguardavano, ma questo non le impediva comunque di voler sapere cosa dovesse combinare lì dentro in uno stato fisico visibilmente alterato. La domanda che le sorse spontanea fu “ma chi diavolo me lo fa fare?”. Derek la stava scacciando via in malo modo, dopo averla anche minacciata di schiantarla, ma lei imperterrita desiderava che lui venisse via con lei all’esterno di quella foresta sempre più cupa ed inquietante. Per qualche inspiegabile motivo quella che provava nei confronti di Derek era apprensione. Si stupì da sola per quel sentimento, che mai avrebbe creduto di poter provare per la persona che l’aveva additata come puttana e che aveva fatto sì – anche se in maniera indiretta – che il suo legame con Karen si rovinasse. «Non stai benissimo, sembra che ti stia per venire una sincope» sfiatò prima di afferrarlo per il braccio. Sgranò gli occhi spaventata, il suono che ci fu nell’istante in cui la sua mano andò a stringergli l’arto le ghiacciò il sangue. Possibile che fosse stata colpa sua? La sua presa era stata tanto potente da causargli una frattura dell’osso o chissà cos’altro? Nel panico totale prese a guardarlo mentre si contorceva, sentendosi terribilmente in colpa per il danno che credeva avergli arrecato. «Derek, porca troia, io non volevo…» tentò di giustificarsi nel frattempo che lui imprecava e gemeva dal dolore. Non sapeva cosa fare e come poterlo aiutare, non capiva cosa stesse succedendo. Fu solo con l’avanzare dei secondi che realizzò che non poteva in alcun modo essere stata lei. Il corpo di Derek continuava a scricchiolare, come se ogni singolo osso del suo corpo si stesse spezzando. Quando quello la implorò di fuggire via Corinne si sentì totalmente bloccata, quasi come se non fosse stata padrona del proprio corpo. «Cosa posso fare? Dimmi come posso aiutarti!» Lo fissava impaurita cercando di pensare ad una soluzione valida che potesse porre fine a quell’immensa sofferenza che sembrava stesse provando. Poi fu tutto chiaro, quando finalmente capì che quella di Derek fosse a tutti gli effetti una trasformazione decise di seguire il suo consiglio, iniziando a correre più veloce che poteva. Lo scricchiolio del fogliame sotto le suole delle sue scarpe rendeva perfettamente udibile la direzione che avesse intrapreso. Il buio era ormai calato e Corinne non riusciva in alcun modo a distinguere gli alberi ed il sentiero da cui era arrivata. Sentiva il cuore batterle all’impazzata, il corpo era pervaso da una forte scarica di adrenalina che aveva reso le sue gambe più rapide e scattanti del normale. Nonostante le sembrasse di correre da ore continuò a non scorgere il limitare della foresta, al contrario ebbe l’impressione di essersi addentrata ancora più in profondità. D’un tratto la sua frenetica corsa fu interrotta dalla vista in lontananza di un gruppo di centauri muniti di arco e frecce che la fissava. Corinne si fermò quindi a scrutarli a sua volta, prendendo per qualche secondo fiato senza però avere la minima idea di cosa fare. Il fruscio di dei passi in avvicinamento la spinse però a riprendere a correre in una direzione diversa. «Periculum» si decise infine a scagliare l’incantesimo verso l’alto, in modo tale che qualcuno potesse venirle in qualche modo in aiuto. Non avrebbe mai voluto farlo, castare quell’incanto significava mettersi seriamente nei guai, ma arrivati a quel punto non aveva altra scelta se non avesse voluto farsi sbranare dal licantropo, o da qualsiasi altra creatura oscura che la foresta ospitava.
     
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    Si piegò su se stesso con uno scricchiolio inquietante. L'urlo che tirò fuori all'ennesimo crack delle sue ossa, riecheggiò tra i grossi fusti della foresta. Urlò il proprio dolore mentre la bestia prendeva il posto del ragazzo. Si sentì spodestato dalla sua mente, relegato in un angolo e messo a dormire mentre il lupo prendeva forma. Le scintille rosse castate dalla ragazza, ebbero il potere di innervosirlo di più. Ringhiò così forte da farsi male la gola, sputando fuori dalle fauci appuntite bava e ferocia. L'attimo dopo con uno scatto, si fiondò all'inseguimento della ragazza. Provò a colpirla con gli artigli, ad afferrarla per condurla a sé. Non gli sarebbe stato difficile farlo se un nuovo odore non attirasse la sua attenzione. Lasciò quindi andare per un attimo la sua prende per mettersi dritto a sentire l'odore che aleggiava fino al suo naso. Ringhiò spaventosamente, correndo verso la figura che si stava avvicinando a loro.

     
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    -Precedimi pure in ufficio, faccio un ultimo giro e ti raggiungo-, fu con queste parole che congedai James, per quella sera mio partner per la ronda nei confini della foresta proibita. Era raro che la mia squadra venisse assegnata di pattuglia in quella zona, normalmente ci occupavamo di Nocturn Alley e dei bassifondi di Londra; dalla scuola non ci erano giunte segnalazioni di movimenti tra le creature dei territori intorno al castello e giunti sul posto non riscontrammo anomalie se non una calma insolita per una serata di luna piena. Mi addentrai nel cuore della foresta, intenzionata a raggiungere il confine presso cui potermi smaterializzare, e lasciai che i suoi odori mi riempissero i polmoni e i ricordi la mente. Da studentessa avevo ceduto spesso al fascino del suo richiamo, attratta dal brivido della trasgressione e dalla sua oscurità: non ne temevo le creature pericolose in agguato tra le ombre né il risveglio delle piante velenose che la abitavano, l’unica cosa che contava era mettermi costantemente alla prova per superare i miei limiti. Era grazie all’adrenalina se riuscivo a superare il costante stato di apatia che permeava le mie giornate, a mettere a tacere il fuoco che mi corrodeva lo stomaco insieme alla rabbia per essere stata gettata in balia delle onde da Thomas, l’unica persona che mi restava della mia famiglia. Era in uno spiazzo simile a quello che stavo attraversando che avevamo allestito l’altare per il rito di creazione dell’infero: potevo vedere Mystica che riesumava il cadavere di David, Hydra che accarezzava la gatta di Franco con la stessa disinvoltura con cui subito dopo l’aveva fatta levitare dal suolo per sbatterla con il cranio contro il tronco di una quercia, tramortendola a morte. Due inferi, uno umano, l’altro animale, una vendetta che non sussisteva. A ripensarci, a ricordare come ero, come eravamo noi tutte… mi venivano i brividi. Thompson poteva considerarsi fortunato: se lo scoiattolo era finito davvero nelle mani della Miller come sospettava sarebbe stato trattato con i guanti di velluto.
    Mi sarei smaterializzata se alla quiete apparente della foresta non fossero subentri suoni di agitazione, soprattutto tra le creature; mi fermai, stringendo saldamente la bacchetta tra le dita, tesa e pronta a reagire in caso di attacco. Non avvenne nulla di tutto questo: furono una serie di scintille rosse sparate in alto ad attirare la mia attenzione.
    Un periculum?, volsi lo sguardo al cielo stellato, contraendo il volto in un’espressione preoccupata. Ero più vicina alla zona in questione di quanto non lo sarebbe stato lo staff scolastico, trasfigurandomi avrei abbreviato i tempi. La reazione fu istintiva: infilai la bacchetta nella fodera e assunsi le sembianze di una tigre dal manto candido come la neve e iniziai a correre finché, giunta sul posto, ruggii per attirare l’attenzione del mannaro che era in procinto di attaccare la sua preda. Lo stratagemma parve funzionare: la creatura si voltò, e spostandosi mi diede modo di vedere che la persona che aveva evocato l’incantesimo era una studentessa. Riconobbi la Miller, ma non fu a lei che volsi la mia attenzione; tornata umana approfittai di quei secondi di temporeggiamento del mannaro per puntargli la bacchetta al volto, nella speranza di accecarlo.
    -Conjunctivitis!-, pronunciai, e senza perdere altro tempo puntai l’arma alle zampe posteriori, sulle quali si stava reggendo muovendosi come fosse un umanoide.
    -Incarceramus!- corde fitte si materializzarono dalla bacchetta, se l’incantesimo avesse avuto effetto la creatura si sarebbe sbilanciata in avanti cadendo rovinosamente per terra. L’ultimo incantesimo fu per la Miller.
    -Desillibus-, celandola agli occhi della creatura, il mannaro avrebbe dovuto compire uno sforzo maggiore per individuarla.
    -Fatti da parte, Miller!-, la richiamai, non essendo certa che fosse presente a sé stessa. Non volevo coinvolgerla nello scontro, sia per non mettere in pericolo lei sia per non ferire il mannaro di cui intendevo scoprire l’identità. D’altro canto non volevo nemmeno chiederle di tornare al castello: non conosceva bene quei confini, le probabilità che si perdesse nella foresta erano troppo alte per correre il rischio.

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    Inaspettatamente il mannaro la raggiunse, determinato a fare di lei la sua preda le si avvicinò imbestialito. Mai aveva temuto così tanto per la propria incolumità come in quella circostanza, l’adrenalina che aveva in circolo non bastava a spazzare via il forte sgomento che stava provando. Per fortuna non si fece prendere dal panico, al contrario lo stato di agitazione in cui albergava la rendeva più vigile e pronta di riflessi. In un modo o nell’altro riuscì a schivare i tentativi della bestia di agguantarla, ma più lei indietreggiava e più quella si innervosiva, ringhiando e mostrandole i denti aguzzi pronti a fare in brandelli le sue carni. Nell’arretrare inciampò tra le robuste radici di una quercia, cadendo lateralmente. La bestia che era in Derek non ci pensò un secondo ad approfittarne e subito si scaraventò su di lei. Non ebbe neanche il tempo di rialzarsi o di poter puntare la bacchetta, Corinne pensò che ormai non aveva più alcuna possibilità, sentiva il respiro caldo ed affannato dell’animale starle ad una spanna dal viso. Avrebbe voluto chiudere gli occhi e sperare che il tutto finisse nel modo più veloce ed indolore possibile, ma l’istinto la obbligò a guardare negli occhi il licantropo e a sfidare il destino. D’improvviso la creatura fu distratta da qualcosa alle sue spalle, e senza rifletterci neanche un secondo in più la Corvonero ne approfittò per sottrarsi dalle grinfie del concasato, scivolando su un lato e mettendosi in piedi. Quella che dapprima era una maestosa tigre dal manto latteo si rivelò essere l’auror, nonché suo datore di lavoro, Sarah Matthews. A bocca semi aperta per lo stupore e per la confusione, la guardò colpirlo agli occhi per ammansirlo, e poi legarlo rendendolo quindi inoffensivo. Senza rendersene conto si era avvicinata alla Matthews per poter osservare meglio, trovandosi ad essere quasi dispiaciuta per Derek. Non riusciva a credere che il Corvonero fosse un lupo mannaro, con tutte le rogne che comportava una maledizione del genere aveva davvero il tempo e la voglia di stare dietro a quello stupido giornaletto scandalistico? In quel momento però la loro faida passò in secondo piano, tutto quello che riusciva a vedere era un ragazzo poco più grande di lei completamente fuori di sé, a cui era capitato qualcosa di orribile che probabilmente non aveva mai desiderato. Come diavolo era successo? E soprattutto da quanto tempo il Thompson nascondeva quell’enorme segreto? Totalmente smarrita in quei pensieri, fu richiamata all’ordine dalla voce dell’auror che la intimò di allontanarsi. Soltanto diversi secondi dopo si accorse che le aveva scagliato un incantesimo di disillusione per proteggerla. «Sarah io lo conosco! Ti prego non fargli del male, è solo uno studente!» la supplicò, non sapendo quali potessero essere le sue intenzioni. Considerando che Derek non poteva definirsi propriamente uno dei suoi migliori amici, e che fino a pochi minuti prima quell’essere aveva tentato di ucciderla, fu strano che la sua principale preoccupazione fu quella di sincerarsi che non gli venisse fatto del male. Ad osservare ciò che stesse accadendo in quell’ala della foresta si aggiunse il gruppo di centauri che Corinne aveva precedentemente incontrato. La loro presenza le incuteva un certo timore, il loro starsene lì fermi a guardare con aria di giudizio, armati dei loro archi, la agitava più di quanto avesse fatto il licantropo. «Dimmi che devo fare, non posso stare qui impalata!» disse in direzione della Matthews, dimenticando che grazie al suo incanto neanche i centauri potessero vederla. Evidentemente la voce incorporea di Corinne li insospettì, per cui uno di loro scagliò una freccia nel vuoto che le sfiorò la spalla, colpendo in fine un albero alle sue spalle. Terrorizzata si voltò lentamente per cercare lo sguardo dell’auror, facendo attenzione a non muoversi con il corpo per non fare alcun tipo di rumore.
     
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    Ringhiò spaventosamente quando corde si strinsero contro le sue zampe. Provò a liberarsi. Feroce, rabbioso. Si dimenava a fauci aperte, desideroso di raggiungere la sua preda, la ragazza pregna di un odore che gli era rimasto sul manto. Sulla pelle.
    Non riuscire nell'impresa di raggiungerla, alimentò soltanto la sua frustrazione. Fu per quello che, nel tentativo di mandar via quel che lo limitava, presa a mordersi la zampa. Mostrò poi i canini insaguinati, ringhiando ancora contro i suoi nemici. Provò poi ad attaccare l'auror, provando a muoversi verso di lei. Avrebbe voluto i suoi artigli potessero raggiungerla.


     
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    Merda, se non fossi riuscita a risolvere la faccenda in fretta non sarebbe stato il licantropo ad ammazzarci ma i centauri per aver sconfinato nel loro territorio… e sapere che Corinne era lì non mi rendeva più tranquilla.
    -Ti ho detto di stare indietro!-, ringhiai, furente. -Rallentalo con una pastoia. Incarceramus!-, era l’unica cosa che poteva fare per agevolarmi, bloccandogli i movimenti con una pastoia per aiutarmi a intrappolarlo: chiederle di legarlo con me era fuori discussione, quella creatura si muoveva di continuo e se disgraziatamente lo avesse colpito al collo sarebbe stato un problema da aggiungere alla lista visto che le corde avrebbero stretto rischiando di soffocarlo. Il licantropo si comportava in modo anomalo, era particolarmente aggressivo e il gesto che fece poco dopo, ferendosi da solo, mi diede motivo di credere che non avesse ingerito l’antilupo. Per natura i lupi mannari davano la caccia agli umani, se non ne trovavano uno nei paraggi tendevano all’autolesionismo, cosa che non accadeva quando erano sotto pozione che li rendeva più mansueti.
    -Ascendio-, riuscii a sottrarmi da una zampata appena prima che mi conficcasse gli artigli in una gamba, di cui aveva strappato solo il tessuto. Quando riatterrai sul terreno l’ultimo incarceramus fu per le sue fauci, non avrebbe più nuociuto né a me né alla sua compagna.
    -Stupeficium!-, lo colpii in pieno muso, tramortendolo con lo schiantesimo. Il lupo si accasciò con il muso tra le zampe e chiuse gli occhi, privo di conoscenza.
    -Riponete le frecce nelle faretre! Non siamo vostri nemici, chiedo di poter parlare-, due centauri tenevano i loro archi tesi puntati contro le nostre teste, la mia e quella del mannaro alle mie spalle; sembravano sul punto di scoccare le frecce da un momento all’altro, probabilmente lo avrebbero fatto se un terzo, più anziano, non si fosse fatto avanti. Sollevai le mani mostrando i palmi sapendo cosa mi toccava fare: se avessi voluto dimostrare di avere buone intenzioni avrei dovuto privarmi della bacchetta. Feci un respiro profondo e la riposi nella fodera attaccata alla coscia sinistra e attesi il loro permesso per potermi spiegare. Il centauro ci squadrò con i suoi occhi di zaffiro, il volto contrito in un’espressione ostile.
    «Che cosa ci fate nella nostra foresta? Perché siete venuti?»
    «Sono venuti senza essere invitati!» urlò uno dei centauri al suo fianco.
    «Devono pagare le conseguenze!», sbuffò dalle narici, furente, mentre le loro code sferzavano l’aria irrequiete.
    -È stato solo uno spiacevole incidente: il ragazzo è solo un cucciolo, non conosce le vostre leggi, non intendeva sconfinare né mancarvi di rispetto. Lasciate che lo riporti al castello e giuro sulle antiche leggi che non riaccadrà di nuovo-, pronunciai, sforzandomi di guardare soltanto lui.
    «Non riconosco la tua persona», riprese il capobranco, squadrandomi da capo a piedi.
    -Perché sono estranea al castello, centauro: sono Sarah Matthews, forse il mio nome non ti dirà nulla ma sono una degli Auror della vecchia guardia che otto anni vi aiutò a riconquistare ciò che vi era stato strappato con la forza e con l’inganno-, come dimenticare l’invasione di quelle creature nel campo di quidditch, perché la foresta era diventata territorio indiscusso dei draghi? Durante la guerra ci avevano creato non pochi grattacapi, come se non fosse bastato avere che a fare con Moon e i suoi tirapiedi del cazzo.
    -In nome della nostra passata alleanza io ti imploro, per questa volta soltanto, di chiudere un occhio e lasciarci andare.- seguirono dei mormorii concitati tra i suoi, a cui lui pose fine dopo una manciata di secondi che parvero interminabili. Alla fine il centauro fece cenno agli altri due di abbassare gli archi.
    «E in nome di ciò che fu hai la mia parola: potete lasciare questi confini incolumi. Adesso andate»
    -Ti sono riconoscente per la tua clemenza. Non avrai di che pentirti-, gli rivolsi rispettosamente un cenno del capo, dopo di che impugnai nuovamente la bacchetta per castare un mobili corpus sul licantropo, sollevandolo dal terreno quel tanto che bastava per portarlo via con me, e mi allontanai da loro. Fu quando ritenni di essere abbastanza distante che mi rivolsi a Corinne, ancora nascosta dall’incantesimo di disillusione.
    -Sarà meglio per voi che abbiate una valida spiegazione per tutto questo-, ero incazzata come una biscia per più di un motivo, primo tra tutti che quei due irresponsabili avevano appena corso un pericolo mortale dietro l’altro e probabilmente neanche se ne rendevano conto. Prima di andare in infermeria avrei atteso le prime luci dell’alba, sputtanare la privacy di quel ragazzo era l’ultima cosa di cui aveva bisogno considerato in quanti guai si era ficcato in una notte sole, per questo quando arrivammo al limitare della foresta lo adagiai sul prato.
    -Sei ferita?-, annullai l’incantesimo di disillusione per poterla guardare. Ero così incazzata che quasi faticavo a sostenerne lo sguardo. Ad ogni modo Derek era quello messo peggio, quindi fu di lui che mi occupai per prima, lavando abbondantemente i tagli e disinfettandoli prima di richiuderli con il dittamo. Avevo sempre una sacca con pozioni ed erbe curative, mai mi sarei aspettata tornassero utili per uno studente.


    Edited by 'hotaru' - 25/8/2021, 14:21
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