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Zoe

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    L'incremento del lavoro per il Chesterfield non è la distrazione ideale a cui aggrapparsi per risollevare le sorti di quel periodo atroce. Si consumano dietro banchi da lavoro le sue giornate; cartine di sigaretta a bruciarsi sotto la veemenza di aspirazioni pesanti, profonde, accompagnano le ore spese a trafficare marchingegni loschi, a progettare oggetti oscuri e dedicarsi alla vendita dei manufatti presenti in negozio. I pomeriggi dalla scarsa affluenza, un po' come questo, incrementano il suo nervosismo. Si stagliano nella sua contraffatta psiche dettagli fastidiosi, la ridondante consapevolezza di essere costretto, di nuovo, a quelle scomode imposizioni, ad impieghi ormai privi dei pochi attimi di tregua che la vita gli ha incredibilmente concesso appena un anno prima. Nessuna scappatoia, che sia illusoria o tangibile, rende tutto questo più sopportabile. Perché di vie d'uscita sul suo cammino non se ne avvistano più. Fingere che gli stia bene, non concretizza la volontà di adattarvisi; alimenta, piuttosto, il desiderio di scappare e l'angoscia insita nella resa che non gli permette di farlo. Il malessere provato non va via, in alcun modo. Ed il silenzio della bottega dai tetri risvolti non fa che sottolinearlo. Un'occhiata rapida all'orologio, col suo insistente ticchettare, si accompagna all'ennesimo sbuffo, mentre la mente si arrovella in pensieri incartati, incerti, dai più ai meno definiti. Pensieri che volgono al futuro, altri al passato. Alcuni alla solitudine che lo circonda ed infine quelli che ricordano chi, quella solitudine, sia riuscito a scacciarla per un po'. Un loop insistente e ripetitivo che trova conclusione nell'attimo in cui la porta d'ingresso si apre, il cigolio del legno rimescolato al campanello cupo ed invecchiato che avverta della presenza di un potenziale acquirente. Solleva gli occhi dalla propria monotonia, mettendosi in piedi, pronto per ricevere il cliente che ha appena varcato la soglia. E' una ragazza a raggiungerlo, presumibilmente della sua età, bionda, dall'espressione enigmatica. Un viso pulito, apparentemente inusuale ad un ambiente come quello di Nocturn Alley, del negozio di Hubert Chesterfield nello specifico. Ma si sa, sono i volti più improbabili a celare i più mistici ed oscuri dei segreti. 'Benvenuta.' Interviene così, un saluto calmo esalato da labbra stanche. Gli occhi attenti seguono il profilo dell'altra, il suo muoversi immersa in quell'ambiente. 'Come posso esserti utile?' Pronuncia altrettanto placido, l'aria accesa di un interesse circostanziale, puramente mirato all'eventuale affare da concludere.


     
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    È già la seconda volta che mi smaterializzo nel vicolo polveroso al limitare di Diagon Alley attraverso cui si accede alla sua umida e cupa controparte, Nocturn Alley. Il negozio, se così si può definire, indicatomi da Mors in cui avrei potuto trovare ciò di cui avevo bisogno si è rivelato un putrido e inutile buco. Il commesso dai tratti est europei non è stato in grado di soddisfare la mia richiesta molto specifica, adducendo motivazioni senza capo né coda. Riuscivo a leggere nel suo sguardo tutto il suo disappunto per avere di fronte una cliente come me, dai tratti quasi fanciulleschi, diversa dal genere di acquirenti a cui sicuramente è abituato. Gli ho risparmiato di scoprire ciò di cui sono capace, o meglio, ciò che non ho alcuna remora a fare con una bacchetta. Così eccomi qui, questa volta diretta verso una meta differente, che spero valga il mio pomeriggio. Nocturn Alley mi somiglia, è la rappresentazione fisica di ciò che alberga nel mio animo, la traduzione in mattoni e pietra delle mie più intime sensazioni. Passeggio per le vie odorose di muffa e polvere, posando lo sguardo ora su una porta sprangata ora su un mendicante macilento sul ciglio della strada. Potrei porre fine alle sue sofferenze in un battito di ciglia ma decido di essere clemente, castandogli sottovoce una fattura che lo lascia riverso al suolo privo di sensi. Il profumo di desolazione che quei vicoli emanano mi inebria come una droga particolarmente euforizzante, rilasciando un’abbondante dose di dopamina nel mio cervello. Raggiungo la bottega che avevo avvistato in occasione della mia precedente visita ma che avevo trovato inspiegabilmente chiusa. L’insegna reca il nome del proprietario, presumibilmente, e la vetrina espone diversi manufatti che catturano la mia attenzione. Mi soffermo ad osservarne la mercanzia senza riuscire a trattenere uno sghembo sorriso. L’occhio mi cade sul cranio umano che già adocchiai in precedenza e che farebbe da padrone nella mia collezione di ossa e scheletri, al momento sapientemente celata nel dormitorio di Corvonero in cui alloggio. Ma non è questa la ragione per cui sono qui, oggi. Verrà il giorno in cui mi muoverò per queste stradine con il solo obiettivo di acquistare per il puro piacere di possedere, ma non è questo il momento. Ho affari più importanti a cui dedicare tutte le mie energie. Anita deve aver sicuramente percepito la mia presenza tra le mura della scuola, ma non mi sono mai mostrata nella mia vera forma, bensì sapientemente mascherata al fine di non permetterle di specchiarsi nella mia figura, del tutto identica a lei. Varco la soglia, facendomi scivolare il pesante cappuccio nero della mantella sulle spalle. Un ragazzo all’incirca della mia età mi restituisce lo sguardo da dietro il bancone. Due occhi vacui percorrono il mio viso e studiano i miei lineamenti, probabilmente domandandosi cosa ci faccia una ragazza come me in quella bottega. Esibisco un sorriso che, tuttavia, non riesce a contagiare i miei occhi, che rimangano glaciali ad osservare il giovane commesso. Rispondo al suo benvenuta con un cenno del capo, senza distogliere lo sguardo dal suo viso. Mi assale il dubbio che, data la sua giovane età, possa essere uno studente del castello che si presta a fare un lavoretto pomeridiano per raggranellare qualche galeone. Non voglio rischiare che la conosca e che, in quell’eventualità, riveli ad Anita la mia presenza e l’oggetto del mio acquisto. Mi muovo fluida tra le teche allineate alla parete e mi avvicino ad una di esse, contenente penne stilografiche. Mi fingo semplicemente incuriosita mentre mi accingo ad avviare una conversazione con lui. Sto solo dando un’occhiata, voglio fare un regalo a mio zio, che so essere appassionato di questo genere di manufatti. Passo in rassegna il contenuto di una piccola vetrinetta. Sei tu il proprietario? Alzo un braccio ad indicare sommariamente l’interno del negozio. Voglio capire chi è.

     
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    Segue i contorni esili della potenziale acquirente, un'occhiata più intensa al bagliore curioso che emerge dai suoi occhi glaciali, imperturbabili, mentre passa in rassegna la merce esposta sugli scaffali, prototipi di progetti più pericolosi, come manichini che diano un'idea del traffico che ha luogo in negozio, celando le più pretenziose delle oscurità agli occhi di chi non ne fa richiesta. 'Dipende da cosa lo intriga maggiormente.' Maledizioni, veleni, fatture quasi mortali... E' un mondo vasto, una gamma di scelta piuttosto estesa. Che il ragazzo ne conosca ogni singolo dettaglio resta il particolare più raccapricciante e triste della sua storia stretta nell'oppressione. 'Come se lo fossi.' Interviene al quesito dell'altra, non un'informazione in più, non una in meno. I rapporti personali vanno tenuti al di fuori degli affari. Rivelare di sé troppi dettagli, metterebbe a rischio lui stesso quanto il business di famiglia. E' una regola su cui non si transige in alcun modo, costringendo il ragazzo - non di malavoglia, in ogni caso - a non rilasciare che briciole della propria persona. In un ambito come quello, è un sollievo poterselo permettere. 'Faccio le sue veci.' Afferma poco dopo con sicurezza nel tono di voce quanto nel volto, braccato in una rigidità di circostanza, sparsa in ogni sua occhiata o movenza, mentre oltrepassa il bancone per affiancare la ragazza sospesa dinanzi ad una vetrina dai più disparati articoli. Accessori maledetti, pozioni avvelenate, indumenti incantati da magia oscura, libri dalla natura tetra e sospetta. Solo una fetta di ciò che alberga tra le mura cupe della bottega, che parrebbe aver attirato il suo interesse almeno inizialmente. Tra le ombre del suo sguardo si celano però interdizione e scetticismo. Sembra tastare il terreno, per capire come muovervisi, se lanciarsi; sarà Mason a mostrarle il sentiero più soddisfacente per compiacere i suoi voleri. 'E' un collezionista?' La interroga dunque, velando della necessaria riservatezza i propri quesiti. 'O pensavi a qualcosa di cui potesse fare uso?'


     
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