Busted

Alice

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    L'ho fatto. Ho spinto lo stantuffo verso il basso, il pollice ha instradato quell'euforia del cazzo dritto nel mio corpo. La distruzione personale che ha la forma di una siringa, menzogne riflesse nelle particelle liquide che ho iniettato nel mio fottuto braccio, un nuovo buco a sommarsi ai precedenti in quel campo di battaglia arido che riporto in vita. La guerra non l'ho vinta, a quanto pare: ci sono ancora dentro fino in fondo. E mi fa schifo. Io mi faccio schifo, eppure non riesco a fare a meno, fuori dal castello, di ricorrere a queste soluzioni di merda. Per stare meglio. O per fingere di farlo. Per sopportare le richieste di mia madre senza farne parola con nessuno. Per riempire i miei silenzi di una compagnia sbagliata. Lo faccio di nuovo, in un sabato pomeriggio lontano dalle mura di una scuola che mi va sempre più stretta. Solito vicolo, solita ora. Le stesse meccaniche che mi intrappolano in un loop di auto-sabotaggio. Mi anniento, sotto la stretta di un elastico ed il pizzicore dell'ago che mi penetra la pelle. Ed il silenzio si fa rumore. Il buio diventa luce. Il grigio si colora. E sono pronto a perdermici, a muovermi come un coglione tra le fronde di questa giungla di veleno, ma ad impedirmelo è un imprevisto di cui non avrei mai tenuto conto. Sono due occhi che si affacciano alla fine del vicolo, quello vicino la mia nuova casa. Il posto ideale per arrendermi, ma anche il più rischioso se chi mi cerca finisce per incappare nella prova plateale del cazzo di casino verso cui sto nuovamente scivolando. "Vane! Che fai qui?" Una domanda allarmata, sebbene gli occhi riflettano già gli effetti dell'ennesimo cedimento a cui mi sono abbandonato. Uno che nessuno ha ancora avvistato fino ad ora. Ironico sia proprio Alice ad esserne spettatrice. "Non dirmi che mi cercavi! Si avverte prima, non lo sai?" Un misto di panico ed ironia, quello che sono solito rivolgerle, mentre tento di mettere da parte - in modo impacciato ed estremamente colpevole - tutto ciò di cui mi sono servito. Mi sarà d'aiuto? Non ne sono sicuro. Mi avvicino a lei placidamente, cercando di capire se si sia accorta di qualcosa. "Cosa... hai visto?" La sua faccia non presagisce nulla di buono.
     
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    Aveva imparato a conoscere i posti in cui poter trovare suo fratello, Marcus. Quando i suoi vizi tornavano prepotenti a fargli visita, ad Alice spettava il compito di cercarlo, trovarlo e riportarlo a casa. Lì, si sarebbe preso cura di lui. Chiuso in una stanza della loro piccola roulotte a lasciare che il veleno abbandonasse il suo corpo lasciando segni indelebili. Era difficile occuparsi di cinque fratelli, lo era ancor di più se ognuno di loro finiva con il precipitare nel vortice di problemi più grandi di Alice. Più grandi di tutti. Marcus, più degli altri Vane, si era lasciato avvolgere dal caldo e finto tepore di sostanze stupefacenti. Si era lasciato ammaliare dal loro potere, finendo con l'esserne vittima. Era finito in riabilitazione per quello, ma poi una volta fuori, era bastato un piccolo trauma per spingerlo a ricadere nel dramma. E loro non avevano la possibilità per un nuovo ricovero. Così, era Alice ad occuparsi di lui come di tutta la famiglia.
    Tra i tanti luoghi raggiunti, aveva immaginato di poterlo trovare a casa Puckett. Asher era un suo amico, l'aveva conosciuto in riabilitazione. Era così che Alice lo aveva conosciuto. Paziente, si era spinto fino al suo vicolo. Una volta lì però, si ritrovò ad essere testimone di una scena che avrebbe voluto evitarsi. Non palesò la sua presenza fino a quando non fu l'altro ad accorgersi di lei. “No. Cercavo quella testa di cazzo di mio fratello.” Commentò, lo sguardo duro e la mascella serrata. “Alla fine una testa di cazzo l'ho trovata.” Aggiunse poco dopo. Gli sarebbe bastato a capire quanto avesse visto.
    “Più di quanto avrei voluto.” Gli rispose poi, raggiungendolo. Avrebbe voluto colpirlo ma non lo fece. Scosse il capo avanzando e guardandosi intorno, quasi speranzosa a quel punto di poter ritrovare suo fratello lì a fare la stessa cazzata di Ash. Quando si accorse non essere così, si voltò, guardando il grifondoro. “Cos'è? Ti manca il rehab?”

     
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    Le parole lapidarie della ragazza mi colpiscono in pieno volto. Non me ne stupisco. Quasi mi ci rassegno anzi, soccombendovi nel medesimo istante in cui le pronuncia. Potevo seriamente aspettarmi diversamente? No. Sfiderei ciascuno dei volti amici che posso contare nella mia cerchia di conoscenze ad essere accomodante o comprensivo davanti ad una scena come quella a cui la Vane ha appena assistito. Anche uno sconosciuto, in fin dei conti, non vedrebbe di buon occhio ciò che ho fatto, pur non conoscendo i miei retroscena, le mie motivazioni, la storia che mi porto alle spalle. Che Alice ne sia particolarmente toccata, è solo una prova del fallimento che sono, incapace di fare affidamento sulle persone giuste, riponendo invece le mie speranze accartocciate su qualcosa di fottutamente sbagliato. "No, non l'ho beccato. Forse è tornato a casa...?" Nell'eventualità Marcus abbia bussato alla mia porta, è l'aspettativa migliore a cui possiamo affidarci. Per certi versi, ho sempre potuto capirlo un pizzico più di quanto persino Alice riuscisse, perché ucciso dal suo stesso veleno. Ed ora che anch'io ci sono caduto, un'altra volta... cazzo, odio ammetterlo, ma posso ragionare come farebbe lui. E dubito fortemente sia davvero tornato a casa. "No, sarà da qualche parte qui intorno. Ti aiuto a cercarlo." Sbuffo rassegnato, le dita pressate sulle palpebre chiuse, poi contro le tempie, come per mettere a fuoco ciò che mi circonda, o questa situazione del cazzo. E dopo essermi preso qualche attimo, col volto vestito di vergogna e le tasche riempite della merda con cui sto mandando a puttane la mia vita, di nuovo, avanzo di qualche passo verso la ragazza, affrontando il suo sguardo severo ed il suo tono vagamente deluso. "E' solo un brutto momento. Risolvo qualche casino e torna tutto come prima, non ti preoccupare." Parte così quella sfilza di menzogne, di frasi fatte che tutti noi fottuti tossici propiniamo a chi ci è intorno: "va tutto bene", "passerà", "ho tutto sotto controllo". Il peggio è che ci crediamo davvero. Ed è difficile accettare che chi ci è vicino non ci creda neanche un po'. "Da... da quanto lo cerchi?" Biascico infine, poco a poco sempre più tramortito dagli effetti dell'euforia piantatami nelle vene. Si affaccia all'orizzonte l'ennesimo casino di cui sono protagonista. Non sembro capace di fare altro.
     
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    “Certo.” Roteò gli occhi, scuotendo poi il capo. Non era nuova a quel tipo di giustificazioni. Le aveva sentite così tante volte che si chiedeva come potesse non risuonare ridicolo anche alle loro orecchie. Si rendeva conto poi di quanto tutto sarebbe stato più semplice se Asher, o suo fratello, avessero avuto realmente coscienza della realtà. Vivevano sempre come in una bolla. Il loro autocontrollo si scontrava di continuo con il loro modo di gestire la vita, e finivano con il ricadere di continuo in terribili vecchie abitudini. Ferivano gli altri e se stessi in modo irrimediabili. A preoccupare Alice era la consapevolezza che un giorno sarebbe stato troppo tardi per trovare una nuova scusa. Un giorno, semplicemente ed in modo terribile, non ne avrebbero più avuto l'opportunità. “Sai quante volte l'ho sentito?” Gli chiese retoricamente, calciando via un bidone lì presente, prima di voltarsi a guardarlo di nuovo. Era come guardare suo fratello, perchè in quel momento era a lui che parlava. “Quello che mi fa rabbia è che non si capisce se ci credete sul serio o mi prendete per culo.” Tirò fuori la propria rabbia, prima di voltarsi di nuovo. Passò le mani sul volto e tra i capelli, cercando di darsi un contegno. Non le riuscì molto. Tornò comunque a respirare in modo normale, e potette di sicuro annoverarsi come un risultato. “Abbastanza.” Era sparito da un po' e questo non la rassicurava. Eppure sapeva che non si sarebbe lasciato trovare fino a quando non avesse voluto. Sospirò ancora, poggiando la schiena contro il muro e lasciandosi andare contro di esso. Si concesse il silenzio per qualche attimo, prima di rivolgere lo sguardo verso Asher. “Di che problemi si tratta?” Se non poteva aiutare suo fratello, avrebbe almeno potuto provare ad aiutare lui. Forse avrebbe smesso di sentirsi così inutile.


     
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    Sono ancora abbastanza lucido da poter dare ragione all'altra. Mi sono promesso di non cascarci più proprio perché di controllo non ne hai più. Lentamente, questa merda te lo divora. Ti fotte il cervello, il fisico, fino a quando non arriva alla vita, disintegrandone ogni particella che la compone. Disintegrando lei, te e le persone che ti amano, forse le vittime peggiori di questo schifo. Non proferisco comunque parola. Lascio che si sfoghi vagamente sulla propria frustrazione, riservando sbuffi ed occhiatacce a me ed all'ambiente che ci circonda con teatrale disappunto. A ben pensarci non c'è niente di finto nella sua preoccupazione. Il mondo però comincia a prendere un aspetto appena più buffo adesso che la roba circola nel mio fottuto corpo. "Sono sicuro che sta bene..." Non lo sono neanche per il cazzo. Ma ehi, perché pensare negativo adesso che tutto è più leggero, bello, intrigante? Sarebbe uno schifo, così come soffermarmi sui problemi di cui la Vane comincia improvvisamente a chiedermi. Negarglieli è una conseguenza tempestiva. "Nah, ma quali problemi? Non ci sono problemi qui." Ma la mia maschera cade l'attimo dopo, dinanzi all'ennesima smorfia infastidita che Alice mi rivolge. Le ho rifilato una balla a metà sino ad ora. Sono nei casini, ma non ho modo di sistemarli. Ecco perché mi rifugio in un casino anche più grande. Ho una giustificazione adesso per sottrarmi dalle responsabilità da cui provo a sgattaiolare... no? "Bah, a parte mia madre che mi ha chiesto dei soldi che doveva restituire alla sua scopata del periodo..." Un tale di cui non ricordo neanche il nome, già diverso da quello che ha affrontato me e Roxy mesi fa. Non c'è da stupirsene. Io non lo faccio. "Ma è un prestito! Me li ridarà, nel frattempo devo solo... sì, provare a reintegrare i miei risparmi." Tiro su col naso, non riuscendo a fingere grande indifferenza dinanzi a quel sacrificio inutile. "I miei fottuti risparmi di sette mesi dietro un bancone del cazzo." Rivelo vagamente affranto, lo sguardo chino sul terreno mentre calcio distrattamente alcuni sassolini sparsi qua e là.
     
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4 replies since 21/4/2021, 17:46   55 views
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