S(h)ame

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    Ci sono voci che circolano con crudele prepotenza, che passano di mano in mano e di orecchio in orecchio di persone che non hanno nulla a che fare con chi ne è protagonista. Succede sempre, è inevitabile, e non è solo il giornalino scolastico a mettere sotto gli occhi di tutti notizie talvolta dai retroscena estremamente delicati. Qui tutti hanno qualcosa da dire e sta a chi ascolta decidere cosa fare di ciò che carpisce. Non mi sono mai piaciuti i pettegolezzi, non ne ho mai neanche preso parte. Quello che mi ha raggiunta però stavolta ha come attivato immediatamente il mio interesse, impedendomi di rimanere con le mani in mano, quasi fosse un monito per decidermi finalmente a compiere il primo passo per affrontare il mio problema e provarci con qualcuno che forse può capirmi. Qualcuno che sfortunatamente ci sia passato. Ho individuato la ragazza che cerco: Helena Haugen, di Durmstrang, un caschetto ad incorniciarle il viso spesso annoiato e diffidente. Forse mi sto gettando a capofitto in un errore e questa potrebbe essere una delle idee peggiori mai avute, ma la sua storia, ciò che dicono sul suo conto, è riuscito a darmi coraggio. E' la prima ad esserci riuscita, seppur inconsapevolmente. Potrebbe aiutarmi. Potrei capire finalmente come affrontare ciò che mi è successo. Capire, in definitiva, cosa mi sia successo, perché non riesco ancora ad elaborarlo. "Scusami... Sei Helena, giusto?" Richiamo la sua attenzione incerta, stretta nel largo maglione della divisa, la gonna a cadere sulle ginocchia coperte da spessi calzettoni. Non riesco ancora a sentirmi a mio agio coi vestiti della misura giusta. "Io sono Reese, mi spiace disturbarti, ma..." Tentenno ancora, mordendomi con foga l'interno delle guance mentre provo ad elaborare parole che non le risultino sgradevoli, né sconvenienti. Come si affronta un discorso simile? Nessuno dovrebbe mai trovarsi in queste condizioni. "...ho sentito delle cose su di te. Cose brutte." Prima che lei possa scappare o spazientirsi, tirato un profondo sospiro per acquistare il coraggio di cui ho bisogno ed assicuratami che non ci siano orecchie indiscrete nei paraggi, chiarisco il motivo per cui sono qui a parlarle. "Credo che mi sia successo quello che è successo a te." Credo. Perché forse non ne sono ancora sicura. O magari è troppo brutto dare quel nome a ciò che Hyram mi ha fatto.
     
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    Camminava scocciata lungo i corridoi di quella nuova scuola. Stava cercando di abituarsi a quei nuovi ritmi ma non era così semplice. I fantasmi del suo passato, continuavano ad occuparle la mente rendendole impossibile il semplice godimento di quelle nuove avventure. Finiva così per isolarsi il più delle volte, cercando un posto dove poter fumare una canna in pace, lontano da sguardi indiscreti e magari da punizioni che non avrebbe voluto prendersi. Non così velocemente.
    Sarebbe stato quello il suo intento in quel momento se una voce sconosciuta non l'avesse bloccata. Si voltò a guardare la ragazza, una tassorosso sconosciuta. Si chiese come potesse conoscere il proprio nome mentre la guardava con il suo solito cipiglio annoiato. «Dipende.» Le rispose, cercando di non dare alla sua domanda così una risposta certa. Non si sarebbe esposta fino a quando non avrebbe saputo cosa l'altro avesse voglia di chiederle.
    Quando però lo fece, quando si espose ed espose anche lei tirando fuori in quel corridoio allusioni che la ferirono, fu difficile trattenersi. La reazione di Helena fu spropositata ma, per i suoi canoni, anche giustificata.
    Tirò fuori la bacchetta, puntandola contro la gola della ragazza che spinse così verso il muro. In quel momento avrebbe potuto cruciarla. Avrebbe voluto farlo. «Mi prendi per culo? Vuoi un pugno?» L'idea che anche lì persone conoscessero i suoi trascorsi, le faceva venire il voltastomaco. L'idea che lo spettro di Lorence fosse presente anche tra quelle mura, la terrorizzava. Le parole di quella ragazza non le fecero bene: soffiarono solo su un fuoco mai spento, alimentandolo. «Vaffanculo. Che cazzo sai? Chi cazzo te l'ha detto?»
     
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    Avrei dovuto aspettarmi una reazione tanto avventata, eppure resto impietrita dinanzi ai gesti dell'altra ed alle sue parole. Stretta contro il muro con la bacchetta alla gola, il fiato corto, l'espressione preoccupata, gli occhi lucidi di dispiacere e di un leggero velo di paura per ciò che potrebbe farmi, palesano il mio stupore. Ed accompagnano inoltre il dispiacere provato per quella ragazza, che sembra esprimere il dolore che le mie parole hanno provocato in maniera totalmente differente da me, eppure per certi versi... quasi simile. Ricordo ancora del modo in cui l'esasperazione mi ha spinta a reagire avventatamente contro Dexter, lanciato dritto contro la parete della serra. Mi chiedo se Helena sia solo infastidita dalle mie insinuazioni o se ci sia un fondo di verità nelle crudeli voci che girano sul suo conto. "Scusa, scusa, scusa! Non farmi del male, non volevo offenderti, l'ho... l'ho sentito dire..." Mortificata, cerco di offrirle le risposte che cerca, anche se probabilmente non la soddisferanno. "A-alcuni studenti..." Resto vaga, perché incapace di formulare certezze su quel particolare. Ciò che so è che c'è una ferita profonda a bruciare nella mia anima, che ha le fattezze di ciò che i pettegolezzi al castello hanno posato su di lei. Ed è la prima volta che ne faccio parola. Tirarmi indietro, a questo punto, significherebbe soccombere di nuovo alla paura. Farlo fino ad ora non mi ha condotta ad alcun miglioramento. Non ho dimenticato quel dolore, non è andata rimpicciolendosi la voragine di angoscia ed ansia che mi annulla giorno dopo giorno. Affrontarla, per una volta, o almeno provarci, è un tentativo che non ho intenzione di escludere ancora. Non adesso che ci sono così vicina. "Un ragazzo mi ha fatto... molto male. Ma non ho mai detto niente perché... non ne sono sicura, intendo dire che forse... forse sto esagerando." Incespico nei miei stessi dubbi, prima di sussurrarle la sincerità che fatico ad ammettere davanti alle persone che amo. "Anche se ho sofferto tantissimo... e ho avuto paura." Deglutisco, cercando nello sguardo altrui la comprensione di cui ho bisogno. "E ne ho ancora." Ammettere finalmente il mio dolore mi aiuterà ad affrontarlo o sarà solo un terribile buco nell'acqua? "Così quando ho sentito questa storia, ho creduto di potermi sentire un po' meno sola... e magari capita." Confesso a capo basso, in un misto di imbarazzo e senso di colpa. "Ma se è solo una menzogna di cattivo gusto, ti-ti chiedo scusa, di nuovo." Dico infine, appigliandomi all'ultimo rivolo di speranza che mi resta. "Non dirlo a nessuno, ti prego."
     
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    «CHI?» Avrebbe dovuto zittirla senza remore. Eppure non lo fece. Puntò per qualche altro istante la propria bacchetta contro il collo dell'altra prima di rilasciarla. Sbuffò, portandosi una ciocca dietro l'orecchio con fare nervosa. Lo era e le parole della ragazza non l'avrebbero certo aiutata a calmarsi. Odiava tutto quello. Odiava l'etichetta che le era stata appiccicata addosso. Si chiedeva se se ne sarebbe mai liberata, o avrebbe finito con l'essere, per sempre, la ragazza che era stata stuprata. L'idea le fece montar su una rabbia tramortente ed il desiderio di scappare via, ma non lo fece. Un innato senso di compassione ed empatia però le evitarono di andar via. Passò una mano sul volto, prima di tornare verso di lei.
    «Come si chiama?» Una domanda schietta. Non voleva conoscere il suo nome per gossip. Per un attimo le aveva attraversato la mente l'idea che le loro storie potessero essere collegate più di quanto potessero immaginare.
    «Il nome del ragazzo di cui parli.» Aggiunse poco dopo, invitandola a rispondere al suo quesito, se ne avesse avuto modo e coraggio.
    «L'hai denunciato?» Le chiese poi, cercando di capire fino a che punto le loro storie fossero similari.
     
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    Il panico mi mozza la voce, il respiro. Incapace di rispondere alle sue domande o reagire alle sue giustificate urla, resto appiattita contro il muro fino a quando non è Helena stessa a calmarsi, ad abbassare la bacchetta e mollare la presa. Torno a respirare, ma non in modo regolare. Sono agitata dalla sua reazione, ma mentirei se giurassi si tratti solo di quello. Sono anche le parole che le ho rivolto a spaventarmi, la realtà che le ho sussurrato, che per la prima volta è venuta fuori dalle mie labbra, rendendosi evidente, concreta. Credevo mi avrebbe aiutata a stare meglio, ma forse ci ho sperato con fin troppa ingenuità. Le domande della ragazza poi mi pietrificano sul posto. Mi sento come se la lingua si fosse appiccicata al palato e le labbra sigillate tra loro. Non riesco a risponderle, nessun nome viene fuori. Mi comporto da codarda. E' solo all'ultimo dei suoi interrogativi che, a capo scosso, riesco a riprendere la parola, suggerendole un diniego per cui continuo inevitabilmente a provare vergogna. "No." Deglutisco, puntando lo sguardo lucido nel suo. "Non l'ho detto a nessuno. Neanche ai miei genitori o a mio fratello... o ad un amico." Sola. Ho scelto di affrontarlo nel silenzio, nella negazione di qualcosa che mi ha ferita nel profondo. Perché me ne sono accorta solo quando quel dolore mi ha consumata allo stremo. "E' che non ne sono sicura, cioè..." Sospiro, ancora, impegnandomi per rimettere insieme i brandelli dei pensieri che mi hanno turbata sino ad ora. "Io ero davvero... davvero innamorata di quel ragazzo, da quando andavamo a scuola insieme, a Durmstrang, prima che mi trasferissi qui." Per anni ho idealizzato la sua figura, cercando forse il buono in un ammasso di melma marcia che non possiede un briciolo di luce. E' stato devastante sbattere contro la realtà. Lo è stato ancora di più perché tutti mi avevano avvertita, ma la mia caparbietà mi ha imposto di non dargli mai ascolto. Me la sono cercata. "Quella sera ci siamo baciati ed io ero al settimo cielo. Lo volevo tantissimo, ma... non il resto." Confesso, mordendomi un labbro e stropicciando gli occhi con le nocche, nel tentativo di ricacciarvi dentro le lacrime salite a galla dal mio racconto. "Però io non gli ho detto di no." Abbasso lo sguardo lucido, incapace di sostenere quello dell'altra. "Non ho fatto nulla per fermarlo." Nell'ultima confessione che le rivelo, spezzata da un singhiozzo che non riesco a trattenere, segno la mia sconfitta. "Continuo a pensare che sia... colpa mia."
     
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    Forse fu la tensione accumulata, forse la reazione della ragazza ma l'atto che ne conseguì fu per Helena troppo naturale ed impossibile da fermare. La mano si mosse velocemente contro il volto della tassorosso, in un sonoro schiaffo, salvo poi ritrarsi come scottata.
    «Scusami.» Le disse guardandola mentre si mordeva il labbro inferiore. Sbuffò. Parlare di quell'argomento non la rendeva tranquilla ed ascoltare la confessione dell'altra non la fece sentir meglio. Percepì il suo disagio, il suo dolore e si accumulò al proprio. Le sembrò di rivivere quei momenti, la sofferenza provata quella notte e quelle a seguire. «Se non lo volevi e lui ha continuato...» Fece spallucce. «Ci sono tanti modi di dire no.» Aggiunse poco dopo, sospirando mentre portava una mano a grattarsi la fronte. «Non è colpa tua.» La rimbeccò, scrutando lei e le sue lacrime. Si sentì a disagio. Non avrebbe saputo come porre rimedio a quel genere di tristezza. Restò inerme dinanzi a lei a puntare lo sguardo altrove, quasi volesse darle modo di mantenere un minimo di riservatezza. «Dovresti denunciare tutto agli auror inglesi. Magari tu avrai più fortuna di quanta ne abbia avuta io.»
     
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    Lo schiaffo di Helena mi ridesta dallo stato d'angoscia in cui sono piombata. Non mi aiuta ad aprire gli occhi e non elimina il mio imbarazzo - anzi, lo intensifica notevolmente - ma mi costringe ad una reazione, di qualunque tipo sia, con cui farmi forza per mettere fine a questo dannato piagnisteo. Massaggio quindi la guancia, sollevando le spalle alle sue scuse mentre la manica della divisa si fionda sulle mie lacrime per portarle via. Magari fosse altrettanto facile farlo con la tristezza provata. Non riesco pertanto ad obbiettare alle sue parole, sebbene non possa fare a meno di tormentarmi interiormente per non aver reagito con la fermezza necessaria. Non l'ho mai fatto ed immagino che ciò che è accaduto sia soltanto la giusta punizione meritata per non essermi mai rispettata abbastanza. Helena probabilmente mi tirerebbe altri schiaffi se pronunciassi parole simili. Mi dedico quindi ad un silenzio quasi rigoroso, spezzato appena da qualche sospiro e dal volto chino, nonostante lei stessa adesso non mi stia più guardando in faccia, concedendomi una privacy che mi dà un po' di respiro e coraggio. "Una parte di me non vuole farlo. Mi vergogno e ne ho paura." Tiro su col naso, tentando inutilmente di rimettere insieme i pezzi infranti della mia dignità. Mi chiedo se ne abbia mai avuta una. "E se poi non mi credessero? Lui potrebbe dire qualsiasi cosa, gli sono corsa dietro per... anni." A farmi vergogna è però tutt'altra cosa. Qualcosa che timidamente, in un ultimo slancio di coraggio, riesco a sussurrare alla volta della Haugen, sebbene mi tenga a distanza per evitare una nuova esplosione aggressiva. Non la sopporterei. Sono stanca, spaesata, e non mi sento ancora pronta ad affrontare tutto questo. "E sai, mi ha spezzato il cuore ma... continuo a cercare del buono in lui." Stupida. Ingenua. La solita sciocca incapace di affrontare il mondo. "Anche se mi fa paura, credo di... volergli ancora bene." So che mi piaccia ancora, molto. Questa è forse la più grande sconfitta mai provata.
     
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    Avrebbe voluto tirarle un altro schiaffo, e stavolta non solo per il nervosismo provato nell'essere stata individuata come la bugiarda degli articoli di giornali. L'avrebbe colpita per il vittimismo di cui si vestita. Per la paura che si portava addosso. Si chiedeva se anche lei doveva sembrare così agli occhi degli altri. Se anche lei si lasciava soggiogare dalla debolezza al cospetto del più forte, colui che sembrava inattaccabile. E la risposta che si diede, era che sì, doveva essere esattamente così. L'idea la innervosì. «Reese, giusto?» Le chiese avvicinandosi di un passo, cercando il suo sguardo. Si concesse qualche attimo, sospirando. Si sentiva ipocrita a vestire il ruolo di colei che avrebbe dovuto aiutarla. Non se ne sentiva in grado. La sua vita era ancora un casino e quella parentesi della sua esistenza restava spalancata a ricordarle quanto si sentisse costantemente terrorizzata ed inappropriata. A disagio ed in pericolo in qualsiasi ruolo. Forse però per lei le cose sarebbero potute essere diverse. «Ti ha usata e poi ti ha buttata come fossi spazzatura. Ha ignorato la tua volontà e ti ha umiliata. E da come dici lo ha fatto volontariamente. Una persona così non può essere buona.» Scosse il capo sperando lei potesse credere alle sue parole. Lorence non le aveva dato modo di credere le sue fossero buone intenzioni. Aveva agito in modo terribile quasi volesse punirla. Voleva toglierle di dosso la sicurezza in se stessa e ci era riuscito. Per Reese la situazione era appena diversa. La persona dietro quell'atto però restava un mostro ed andava punito. «E comunque buono o no, si è comportato da stronzo ed è giusto che paghi.» Aggiunse poco dopo, sospirando. «Ho un'amica, studia magisprudenza. È in gamba. Lei potrebbe aiutarti. Si chiama Daphne Mikkelsen. Dì che ti ci ho mandata io.» Daphne avrebbe potuto aiutarla più di quanto sarebbe stata capace di fare lei. Avrebbe preso in mano la situazione e l'avrebbe guidata verso una risoluzione. Ci aveva provato anche con lei e se non fosse stato tutto dannatamente complicato, forse sarebbero anche riuscite ad ottenere qualcosa. «Ma prima di tutto, devi aiutarti da sola. Butta nel cesso quella cazzo di maschera da vittima e deciditi a fargli il culo. Non ti merita. Nessuno merita il tuo dolore.» Era seria. Non l'aveva mai vista prima di allora ma le parlava come se parlasse ad un'amica, o come se parlasse allo specchio. «Se parli a qualcuno di me però, ti assicuro che ne sentirai tanto di dolore. Intesi?» Ritenne però giusto aggiungere. Certe battaglie non avevano motivo di diventare pubbliche. La sua non voleva che lo fosse.
     
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    Vorrei credere alle parole di Helena. Dovrei farlo. Forse è solo un processo molto lungo d'accettazione. Oppure lei è troppo estranea ai fatti per potersi rendere conto di cosa sia successo, di cosa io intenda, di come tutto si sia evoluto e volga ora a mio sfavore. Non so se sia la realtà o solo una distorta immagine della mia mente, ma distaccarmi da questa prospettiva mi è inutile. Ascolto comunque ciascuna delle sue parole, tentando di memorizzarle, di tenerle da parte per un futuro in cui sarà più facile crederci o renderle mie. Vere. "Oh, ma non... credo sia necessario." Ribatto debolmente, sempre più incerta di ciò che dico. Le parole dell'altra, per quanto dure, godono di una fermezza che mi attira. Diventano accattivanti, troppo allettanti per non cedervi almeno in parte. Ecco perché un pochino comincio a lasciarmene investire, a permettere loro di entrare un po' più a fondo nella mia anima e servirmi da monito. Per stare meglio, prima o poi. "V-va bene, io..." Biascico a mezza bocca, torturandomi le dita delle mani in una frenesia di pura agitazione. Caccio via del tutto ogni lacrima che mi ha segnato il volto, tentando di darmi un contegno. Difficile, ma faccio del mio meglio, soffocando la maggior parte delle pessime condizioni in cui riverso. Lo devo ad Helena, all'aiuto che mi ha porto. Ed in fondo credo di doverlo a me stessa. "Grazie. Grazie davvero." Concludo infine, esprimendole dal profondo del cuore la gratitudine genuinamente provata. Ed alla sua ultima presunta minaccia, non posso che accondiscendere, speranzosa lei stessa custodirà anche il mio segreto. "Non lo farò."
     
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