We have a deal?

Privata

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    Erano giorni che si presentava sul muretto davanti la casa di Ichabod Blackwood.
    Lui sapeva che lei era li e lei sapeva che lui l'aveva vista; era una donna paziente, si era data un tempo, ed era certa che la pressione psicologica che stava esercitando sul mago aveva i suoi vantaggi.
    Entrambi si conoscevano da tempo, avevano un'amica in comune, questo era servito per studiarsi e trarre le dovute conclusioni.
    Non si piacevano, lui era un razzista abbastanza pieno di se da riempire col suo ego un intero continente, lei era .. Uhura, non sempre essere dotati voleva dire essere interessanti, e lui non era interessante agli occhi della mora.
    Ma aveva qualcosa a suo favore.
    Lui sapeva negoziare, e chissà che quella volta non avrebbe messo delle ottime carte sul tavolo.
    Aveva appena finito di creare l'origami a forma di gufo quando questo, con inciso il suo messaggio, aprì le ali e attraversò la strada.
    Lo vide raccoglierlo, aprirlo, leggerlo.
    Si scambiarono un solo sguardo, seguì un cenno di assenso.
    Molto bene, pensò la strega.
    “A questa sera allora”.

    La sera venne e lei si era presentata in largo anticipo.
    Non gli piaceva essere la seconda, non in quella occasione.
    Il Pandemonium offriva ottima compagnia e ottimi drink.
    Lungi da lei volere altre distrazioni fece si che l'uomo che la stava coccolando scivolasse via mentre Ichabod faceva la sua comparsa e la raggiungeva al tavolo.
    -Ichabod, quanto tempo- gli sorrise coi suoi soliti modi affabili e gli indicò di sedersi – mi sei sembrato provato in questi giorni, cosa ti turba?- avrebbe voluto prendersi tutti i meriti ma era quasi totalmente certa che non fosse lei il suo unico disagio.
    Chi altro aveva il potere di destare il suo sonno?
     
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    Il sergente diceva, se la minoranza etnica non l’hai pagata per pulirti casa, per sbatterla a letto da che costa meno di una bianca, allora vuol dire che è un problema. Uhura è un problema e chi la conosce, lo sa perfettamente. Quando ti si presenta fuori la porta non è per proporti un piano di pulizie, né per prendersi quindici sterline per una chiacchera con il mio amico tra le gambe. Uhura è una gran rottura di palle. Di quelle donne che potenzialmente, quando vedi, ti gratti. Uhura è un gatto nero, e come una rappresentante di caparbie sciagure mi si era piazzata fuori casa, al punto che ero vicino al tirarle delle uova, come si fa co quei ragazzi rompicoglioni ad Halloween. L’unica speranza era che fosse venuta a dirmi se volessi fare a metà per il regalo di nozze tra Coco e il matto di turno, ma dal momento che ero più affine ai funerali che ai matrimoni non sarei andato e quindi tentai di ignorarla per i giorni a venire.
    “Lo so che è ancora là, credo che le chiederò di fare da complemento di arredo da interni, come quei posaceneri inutili e rompicoglioni che sfoggi solo quando chi te l’ha regalato viene a trovarti” ammonito per battute razziste da Karen in casa, mi era toccato ripiegare su battute a sfondo scarso sessuale e testando parole come: rompicoglioni, sciagura e probabile annusapiselli, mi accorsi che da Karen erano ancora ben tollerate.

    “Non ci andrei” annuisco “Nemmeno io, le andrò a chiedere se per caso ha voglia di fare una cosa a tre, a quel punto o accetta, o si leva dai coglioni” Karen mi guarda con quel misto di risolutezza e ammonimento che la distingue. Non mi ha chiesto cosa avessimo avuto in comune io e quella donna, e lo dicevo che era una delle donne più intelligenti che avessi mai conosciuto, una donna vera sa perfettamente dove dovrebbe arrivare con le domande, e se ha paura che la risposta possa disturbarla, quella domanda non la fa. Karen non la fece, anche se ero parzialmente convinto che una volta uscito, avrebbe controllato tramite i suoi mezzi da giornalista ogni cosa.

    “Strano che io sia provato da quando sei arrivata davanti casa mia, un po’ scarsa l’immaginazione in quelle zone eh?” sollevo le sopracciglia con un ghignetto strano sulle labbra. “Dunque” e fingo di scorrere il menù del bar buio e condito di tintinnii di bicchieri di vetro. “Secondo l’idea che mi sono fatto, dal momento che rispondi ancora a qualcuno che non conosco, non posso fare altro che pensare che tu sia qui o in nome dell’amicizia leggendaria che ci legava per dividere il regalo di Coco, matrimonio? Funerale? Oppure…” e abbasso leggermente il mento per guardarla negli occhi neri come un pozzo senza fondo. Le indico un punto dietro di lei, vicino la porta, in piedi c’è Igor, che volge a noi lo sguardo “…oppure ho fatto bene a immaginare che su di me ci sia una taglia piuttosto interessante, e che tu sia venuta a ritirarmi. In quel caso non ti offendere se ho portato un piccolo aiuto. E nel caso tu ci stia pensando, si, io e Gabriel Mcadams siamo ancora culo e camicia differentemente da quel figlio di troia dai capelli di dubbia lunghezza. Se mi tocchi, Gabriel prenderà quello che di più hai prezioso…” e abbasso la voce “…e gli romperà il collo come un usignolo stonato” tra di noi sappiamo perfettamente quanto seri possiamo essere, ed è giusto che io metta sul tavolo le mie carte e lei le sue. “Se invece sei qui per rivangare i vecchi tempi, sono tutto orecchie, potrei persino offrire io”.






     
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    -L'alternativa era ripiegare sulla tua donna per convincerti a tirare fuori il tuo regale deretano, ma conosci il mio limite di tolleranza, ci siamo presi il giusto tempo-.

    Lei gliene aveva dato quanto bastava e lui non aveva tirato troppo la corda.
    Un ottimo compromesso per non fare troppo rumore.
    Avrebbe puntualizzato che lo conosceva eccome il nuovo signore oscuro, un pagliaccio a detta di molti, e anche della sua.
    Non era una novità se aveva aderito solo per non avere rogne e per non doversi guardare costantemente le spalle – la tua dipartita mi ha stupita, devo dire la verità- non se l'aspettava, anche lui era sempre stato uno di quelli che non voleva rotture di scatole.
    Allora perchè non fare come lei, fingere di stare al gioco e continuare comunque a farsi i suoi comodi?
    Certo era che avevano sempre da fare, ma quando quello diventa il tuo mestiere da dove che parta l'ordine neanche ti interessava più.
    -Una fortuna io non abbia niente di prezioso da prendere allora, no?- si fece anche lei avanti imitandolo con un ghigno divertito sulle labbra – a differenza tua, ci sono due succulenti bocconcini nella casa che ho sorvegliato per giorni, una ha dei boccoli così dorati che stento a credere sia tua figlia-
    Gli scoccò un occhiolino e tornò a distendere comoda la schiena alla spalliera del suo divanetto.
    -Mettiamola così, sei solo lavoro, ma non vi è retribuzione in denaro, quindi sostanzialmente non ne ricaverei nulla- e chissà se intuiva da solo dove la mora volesse andare a parare – idealmente potrei non aver scoperto dove abiti e se non so dove sei non posso neanche ammazzarti, ne convieni?- il ragionamento non faceva una grinza, con nonchalance Uhura prese il drink e lo portò alle labbra – bisogna vedere cosa sei disposto a mettere sul piatto della bilancia-
     
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    “Minacciare la figlia, quale originalità per un cattivo” come se fossi tremendamente deluso, guardai verso l’alto, negando leggermente l’affermazione con la testa, come se mi fosse stato negato aiuto per qualcosa di estremamente importante. Non me l’aspettavo da Uhura, e in qualche modo, l’idea che secondo la profezia non avesse gli occhi come il ghiaccio, seppur bruna, mi rendeva particolarmente sereno sul fatto che prima di poter toccare mia figlia, avrebbe avuto qualcosa distrutto. Uhura non era una stupida, e sapeva che non avrei ceduto nemmeno all’odore di minaccia.
    “Tutti hanno qualcosa di prezioso” Pensare che solo qualcosa nella propria cerchia di conoscenza vi fosse un diamante, o qualcosa che valeva davvero voleva dire non riconoscere l’essere umano come un essere debole di natura. Figli, ma anche la propria coscienza, la propria casa, l’auto, la bacchetta. Il conto in banca, la moglie, la migliore amica. Ho visto uomini piangere il proprio gatto più del figlio. I soldi. Il proprio aspetto fisico, gli occhi scuri che aveva, la capacità di parlare. Una pozione esplosiva su quel bel viso che usava per ammaliare. Uhura doveva scendere a patti col fatto che tutti noi avevamo qualcosa di prezioso, e prima si scopriva e accetta, meglio si poteva proteggere.
    “Uhura” lo sguardo comprensivo che ne venne fuori fu per assurdo sincero e comprensivo “Sei davvero venuta al nord per minacciarmi di consegnarmi? Andiamo, e solo per amor del lavoro? Sarebbe stato molto più comprensibile se fossi venuta per me direttamente, ne sarei stato onorato” consegnarmi. Come se potesse qualcosa non tanto contro me, ma contro me, e le quattro persone che non avrebbero mai permesso che mi portasse via, se poi si pensava che non sopportava nemmeno lei il nuovo regime, le cose continuavano a non collimare.
    “Ti serve qualcosa di specifico Uhura?” e mi faccio in avanti, sollevando le sopracciglia. “Perché non me lo chiedi e basta? Magari potrei aiutarti, semplicemente per amor dell’amicizia” il ghigno che le rivolgo non è direttamente rivolto a lei, ma direttamente al concetto di amicizia. Negli anni non c’era stato niente che valesse la pena proteggere nel nome dell’amicizia, assolutamente niente. Quello che mi legava ai miei componenti non era amicizia, nemmeno qualcosa di lontanamente vicino. E non avrei combattuto mai più niente in tale nome.

     
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    La cosa più bella dell’essere lei stava nell’imprevedibilità.
    Si prendeva il suo tempo, agiva in sordina, lasciava che l’altro si distraesse parlando d’altro e quando era convinto che fosse in scacco allora gli faceva presente che così, dopo tutto non era.
    Il gorilla che gli aveva indicato poco prima si accasciò su se stesso cadendo a terra in un sordo tonfo che fece accorrere alcuni inservienti del locale.
    Lei si limitò a ghignare scoprendo una linea bellissima di denti perlati.
    -Non ho iniziato io con le minacce, perché non ti rilassi Ichabod, scorgo un po' di tensione proprio qui- gli indicò il collo lì dove la sua magia stava avendo vita.
    Probabilmente ora si sentiva irrigidito, e non riusciva a muoversi.
    Però poteva parlare, questo era l’importante.
    Che lui fosse convinto del contrario a Uhura non interessava, aveva passato la vita a non avere punti deboli che andassero oltre se stessa, non era una feticista della bellezza e tutto sommato da morta era convinta che sarebbe comunque rimasta desiderabile.
    I suoi modi erano comunque avvilenti, e la mora si ritrovò già stanca della discussione.
    -Sono qui per ucciderti, e potrei farlo.
    Lo farò, visto quanto poco sei disposto a contrattare
    - il doholofero non verbale stava solleticando il suo cuore.
    Poteva sentirlo Ichabod, e poteva capire quanto poco stesse scherzando.
    -E’ chiaro che non hai nulla da darmi, quindi ..- la carezza divenne una puntura, piccole e sistematiche pressioni – l’hai sposata almeno?- chiese incurante di McAdams che si avvicinava.
    Solo allora mollò la presa, rivolgendo all’uomo un sorriso condiscendente.
    -Gabriel, che piacere rivederti, vuoi unirti alla rimpatriata?- anche lui come Ichabod era un ricercato, solo più a modo.
    -Non provocatemi ragazzi, sono qui in vesti molto tranquille, perché non insegni al tuo adepto le buone maniere, mh?-
    -Perdonalo cara, non ha ancora capito come ci si comporta con una bella donna-
    Gabriel prese posto ma Uhura non fece scemare via l’immobilus sul mago.
    -Vi do una settimana a voi due per trovare qualcosa da darmi in cambio di qualche mese di respiro.
    E se stai pensando di attaccarmi sappi che dopo di me ne verranno altri, probabilmente meno civili della sottoscritta-
    guardò McAdams rivolgendosi totalmente a lui in questo caso – sei giorni immagino siano sufficienti per una proposta.
    Dopo di che nessuno sconto.
    Per nessuno dei due-

    Scoccò un bacio sulla guancia rugosa del più anziano e guardò Ichabod lasciandogli intendere che con lei gli spiritosi non avevano mai fatto una buona fine.
    Dopo di che sgombrò il campo.



    -Perdonami se non sono intervenuto prima-
    Disse Gabriel al suo compare.
    -Mi stavo divertendo a vedervi confabulare, certo se avessi intuito che ti aveva immobilizzato..- fece scemare via la magia che lo teneva fermo immobile e chiese un incendiario per se.
    -Allora, amico mio. Cosa intendi fare? Uhura è tante cose, carine per la maggior parte delle volte, ma non è questo il caso- e se lui godeva di protezione da parte del ministero del Nord non si poteva dire altrettanto di Ichabod.
    -Perché hai voluto provocarla?-
     
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    Che. Troia.
    Oh si, adesso ve ne uscirete col politically correct, con il linguaggio fair e tutte quello stronzate new age improntate a difendere minoranze, idioti e donne oggettivamente da prendere a schiaffi. Uhura era quel tipo di donne, incarnava tutto ciò che poteva spingere un uomo a detestare una donna, e persino sessualmente, doveva essere una sorta di vedova nera. Non avrei fatto un test ben volentieri, in fondo, il DNA è qualcosa che ti marchia a fuoco, che ti rimane dentro, e lei, per quanto ripulita fosse, aveva nel sangue tessitori di campi di cotone e gente povera, arida. Sporca.
    Quando Gabriel si accomodò, fui disgustato dall'idea che non gliene fregasse niente che una pazza mi avesse cercato per mettere me alle strette e minacciare di toccare la mia famiglia. Lei era una bella donna, io l'idiota che non sapeva comportarsi che così. Mi alzai senza parlare e mi accertai che Igor si fosse ripreso prima di uscire dal locale.
    L'aria fresca mi diede aria nei polmoni, che quasi mi dolsero, il punto sul collo formicolò, lo massaggiai con le mani ruvide, prima di accendermi una sigaretta. Se Uhura si era messa in testa di rompermi le palle, doveva sapere che aveva cominciato dal mago sbagliato, e se già il mio cervello stava elaborando un piano per uscirne sano e salvo sulle mie gambe, era pur vero che sei giorni erano davvero pochi. O abbastanza per trattare. Se c'era una cosa di cui ero certo, al punto da poter essere inserito nel curriculum, era che difficilmente mi inginocchiavo. In qualsivoglia immaginare aspetto della mia vita. E se c'era qualcuno che poteva aiutarmi a trovare un pezzetto del bordo del puzzle da iniziare, il cosiddetto pezzo giusto, era una vecchia conoscenza. Non la vedevo da tempo, chissà che fine avesse fatto.





     
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5 replies since 12/4/2021, 09:11   73 views
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