As it was.

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    Essere confusa ormai stava diventando uno stato mentale perenne, specie per quanto riguardava la sfera sentimentale che tanto faticavo a considerare. Sembrava che le cose mi piombassero addosso sempre di colpo, sempre inaspettate, come se avessero atteso il momento giusto per sorprendermi. La verità, però, era anche che io le cose le ignoravo finché non ero costretta a fare altrimenti. Un atteggiamento un po' vigliacco, che non mi faceva onore né di cui andavo fiera. Erano settimana che ripensavo a quanto stupida ero stata ad andarmene così all'improvviso, quella sera di luglio, con Kol. Settimane in cui quel pensiero si era fatto più forte e più debole a fasi alterne, ma che poi aveva iniziato ad essere un tarlo insopportabile, a mano a mano che l'inizio della scuola si faceva più vicino.
    Luglio e agosto erano passati così, tra mille cose che mi avevano distratto e alcune che mi avevano ricordato che non potevo sfuggire per sempre e che, a Hogwarts, avrei dovuto fare i conti con una situazione che stavo deliberatamente lasciando in sospeso. Ma settembre infine era arrivato e io, impotente, dovetti accettarne le conseguenze, che non si limitavano certamente solo a nuovi compiti e nuove interrogazioni.

    Ero riuscita a evitare Kol per ben due giorni, facendo i salti mortali per non trovarmi nei paraggi dell'infermeria o da sola in Sala Grande o nei corridoi. Non era però il massimo della vita: mi sentivo una ladra oltre che una codarda e il tutto non faceva che ingigantire un problema inesistente che forse era solo nella mia testa. Insomma, magari in due mesi lui si era persino dimenticato di avermi vista e si era fatto una ragione del mio comportamento quasi maleducato di quell'estate. In ogni caso, io avevo bisogno di mettere in chiaro la cosa, se non altro per la mia salute mentale. Che poi in realtà mi interessasse vederlo e parlargli era solo un motivo insensato che non aveva alcun fondamento, questo era ovvio. Ovvio. La scusa utile me la diede involontariamente Alexis, che quel pomeriggio aveva trovato pace solo sotto le coperte per un mal di testa poco piacevole e una voglia di vivere sotto le scarpe.
    "Lexi?" bisbigliai, per non darle fastidio. Posai una tisana rilassante sul suo comodino, facendole cenno di berla. Lei mi guardava con gli occhi ridotti a due fessure, con il lenzuolo fin sopra il naso.
    "Vado in infermeria a chiedere se hanno qualcosa di più forte, ma intanto bevila, okay?" Sapevo che in quei casi preferiva stare sola e non con qualcuno che le facesse da balia, visto quanto era orgogliosa. Perciò quello poteva essere un buon compromesso tra l'andarmene impunemente e il restare lì a far nulla. E poi sì, avevo comunque un bel punto di domanda da risolvere.
    Uscii dalla stanza quasi in punta di piedi e poi proseguii spedita, facendomi tanti discorsi in testa che sicuramente non sarei riuscita a rendere concreti. Giunta vicino all'infermeria rallentai, per poi sporgermi leggermente sull'uscio, a vedere cosa succedeva all'interno. La maggior parte dei letti erano fortunatamente vuoti. Solo uno era occupato da uno studente del primo anno, un piccoletto di Tassorosso che aveva avuto una spiacevole prima lezione di Volo. Normale amministrazione. Dormiva profondamente, mentre Kol sembrava riordinare boccette e altri oggetti che da quella distanza non riuscivo bene a identificare. Quando lo vidi allontanarsi dal paziente per andare verso la stanza in cui venivano tenute pozioni e medicinali, decisi di entrare, seguendo praticamente i suoi passi. Era tra gli scaffali quando bussai sull'uscio della piccola porticina.
    "Posso?" Ero stata tante volte in infermeria, specie dopo le partite di Quidditch, ma mai lì dentro. Rimaneva una zona accessibile solo agli infermieri e ben controllata per evitare furti o intrusioni.
    "Ciao." dissi, senza muovermi di lì. Nei sei secondi successivi avrei capito come comportarmi e se usare o meno la scusa che avevo abilmente trovato per giustificare quella specie di agguato. Intanto però il mio cervello aveva pensato bene di andare in palla e abbandonarmi a me stessa e alla mia impulsività.
    "Sì... ehm, Alexis non sta bene quindi... ecco, avrei bisogno di qualcosa per il mal di testa." Quello che verrà anche a me se non mi calmo. Quanto fossi credibile era difficile a dirsi, benché fosse la verità. Non l'unica, non la principale, ma pur sempre la verità.
    "Come stai?" Feci qualche passo in avanti, entrando nella stanza quel tanto che bastava a farmi sentire più al sicuro, più lontano da orecchie e occhi indiscreti. Avrei voluto subito parlargli di quella sera, spiegargli qualcosa, ma non sapevo ancora se fosse il caso di farlo e dunque attesi, come se fosse l'ennesima partita a scacchi.
    Ambientata a Settembre 2019.
     
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    La scuola era riniziata da poco e, come ogni inizio settembre, accadevano ancora ben pochi eventi che portassero studenti feriti a dover ricevere le cure di chi lavorava in infermeria. Gli unici che potevi aspettarti arrivare i primi giorni erano dei primini ancora poco capaci di usare la magia; da studenti che magari avevano avuto a che fare con la prima lezione di Volo - come l'undicenne di Tassorosso che ora riposava nel letto accanto al quale si trovava in quel preciso momento - a tipi come quel Corvonero a cui ore prima era esplosa letteralmente una posizione in faccia e che lo aveva tartassato con tutte quelle scuse per difendere le proprie capacità incolpando il suo compagno di banco per la non riuscita della pozione. Un insopportabile ragazzino poco credibile che il Petrović aveva cercato di mandare via dall'infermeria il più velocemente possibile, pur di non sentirlo più.
    Riordinò alcune delle boccette medicinali che aveva usato per la vittima della lezione di volo, mettendo da parte quelle che non sarebbero servite più e lasciandoci quelle che ancora sarebbero tornate utili. Buttò poi la fasciatura usata per la gamba del ragazzo - da poco sostituita con una nuova da un buon vecchio ferula - e prese poi le boccette da rimettere a posto. Allontanatosi dallo studente dormiente, si fece strada nel magazzino dell'infermeria e iniziò a risistemarle nei rispettivi scompartimenti degli scaffali, prima di sobbalzare leggermente quando un suono di nocche sull'uscio della porticina arrivò improvvisamente alle sue orecchie. Sapeva che era il suo turno e che per le prossime due ore sarebbe stato il solo infermiere attivo in infermeria, per questo motivo, oltre alla concentrazione nel mettere ogni medicinale al posto giusto, si era sorpreso un po'. Ovviamente, riconobbe molto facilmente la fonte della voce femminile che gli si rivolse senza nemmeno ancora guardarla, anche se questo fu ovviamente la prima cosa che fece dopo quella richiesta. A differenza di come sarebbe potuto accadere mesi prima, tentennò leggermente. Lane.” Rispose a quel saluto tornando indietro nel tempo, cancellando quel passo avanti che aveva fatto chiamandola per nome, e pronunciando il cognome con un tono palesemente voluto a farle rendere conto della cosa. “Certo, vieni pure.” La invitò infine, con tono freddo. A quel punto prestò la sua totale attenzione a lei, più serio che mai e lasciando da parte anche quel sarcasmo che era solito usare in certe situazioni. L'infermiere si era ritrovato a pensare a lei molto spesso in quegli ultimi due mesi, più di quanto lui stesso avrebbe voluto. Due giorni prima, quando la scuola era riniziata, non fu il suo lavoro a cui venne dedicato il suo primo pensiero, ma la studentessa di Grifondoro. Comunque sia, il suo orgoglio ferito - oltretutto, ancora una volta dalla stessa ragazza - non lo portò a cercarla. Poteva capire un tempo, anni addietro, ma quando due mesi prima si erano incontrati a Londra credeva davvero di essere riuscito a farle cambiare un po' l'opinione che si era fatta di lui. Aveva ammesso di essersi ingelosito quando l'aveva vista a quella festa con un altro, di fregarsene persino del fatto che non era permesso loro avere un rapporto che andava oltre quello di dipendente scolastico e studentessa, si era persino aperto a una conoscenza maggiore, poi, iniziando a parlare un po' di sé quando finalmente Eleanor sembrava avergli dato l'opportunità di farlo. Tutto ciò prima che lei, semplicemente, se ne andasse all'improvviso, rovinando quell'atmosfera tranquilla che si era creata attorno a loro quella sera di luglio. Da che era sembrato che Eleanor avesse iniziato ad avere l'intenzione di dargli una possibilità, Kol si ritrovò poi solo con l'unica compagnia del suo Pimm's N°1.
    Ecco perché ora si ritrovava ad essere così freddo, nonostante le fosse effettivamente mancato vederla. Mille erano le domande che si faceva sul perché se ne era andata in quel modo e cosa potesse aver fatto per far si che accadesse. Eleanor le disse il problema della sua amica, e prima ancora che Kol rispondesse a quella richiesta, la ragazza gli chiese come stesse, facendo qualche passo in avanti all'interno della stanzetta. “Solo mal di testa o ha avuto altri sintomi?” Le chiese poi, senza ancora, però, rispondere all'altra domanda. Iniziò così ad avvicinarsi a lei, andando a diminuire sempre di più la distanza tra i loro corpi fino quasi ad annullarla del tutto. Le si parò così davanti, guardandola negli occhi dall'alto dei suoi centimetri di altezza in più per qualche secondo di troppo, prima di chiederle semplicemente: “Posso?” Un invito con lo sguardo a scansarsi per fargli prendere qualcosa dallo scaffale davanti al quale lei si trovava e da cui, subito dopo, Kol allungò un braccio per prendere una piccola boccetta con delle foglie all'interno. La consegnò poi in mano alla Lane. “Ad acqua bollita ci metti un paio di queste foglioline e le lasci in infusione per una decina di minuti. Una ventina di minuti dopo aver preso l'infuso starà già meglio. Credimi, sono miracolose per il mal di testa.” Foglie di una pianta magica che non aiutavano solamente a far calmare il mal di testa, ma a farlo passare completamente. Venti minuti e si sarebbe già placato, altri venti ancora e sarebbe tornata come nuova. E dopo quel momento di professionalità, rispose all'altra domanda. “Sto bene, direi. E tu, Lane?” E prima che lei potesse anche solo accennare una risposta.. “Ora che succede, fuggirai prima di rispondere?” Ed eccolo finalmente, quel sarcasmo intinto di orgoglio ferito.

     
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    Non era facile mantenere la lucidità di fronte a Kol, con tutte le cose non dette che si erano accumulate, principalmente a causa mia. Mi sentivo in colpa, in torto, quasi non in diritto di stare lì a parlargli. La sua freddezza mi fece più male di quanto pensassi, anche se non potevo biasimarlo. Nemmeno una battuta, nemmeno un sorrisetto provocatorio, nulla. Solo una serietà che mi faceva quasi paura, che mi faceva pensare di aver rotto quel filo sottile con cui eravamo riusciti a legarci, in un certo modo. Perché me n'ero andata? A ripensarci a mente fredda, non mi capivo nemmeno io. Ero a disagio, ero spaventata, non sapevo come comportarmi, sì. Certo. Ma forse sarebbe valsa la pena fermarsi un attimo e controllare quelle emozioni, invece di farsi sopraffare e fuggire via. I quei mesi ero riuscita a convincermi che non era poi un problema così grave: insomma, potevo fare come volevo, no? Ma ora che vedevo la sua espressione e il modo in cui mi parlava, così distaccato e formale, non riuscivo a non pensare di avere semplicemente fatto un grosso, grossissimo, errore.
    "Uhm... Solo... Solo mal di testa mi pare." risposi incerta, non volendo davvero continuare quella farsa della richiesta di informazioni mediche. Ero scesa lì con quella scusa, ma ero certa che Alexis non stesse aspettando me e la mia cura miracolosa. Anzi, probabilmente aveva già trovato conforto in un sonno ristoratore. Lo guardai con una faccia colpevole, mentre lui si avvicinava lentamente verso di me. Non arretrai di un centimetro, da una parte bloccata dalla sorpresa e dall'altra curiosa di quella vicinanza. Guardai nei suoi occhi così come lui guardava nei miei, indugiandovi forse troppo. Non mi ero nemmeno resa conto di essere d'intralcio.
    "Sì, certo, scusa." dissi facendomi da parte, non senza un certo imbarazzo. Prese una boccetta dallo scaffale e me la consegnò. Ascoltai distrattamente la spiegazione su come avrei dovuto utilizzare le foglie contenute in quella boccetta, troppo impegnata a chiedermi quanto ci sarebbe voluto, ancora, prima di abbandonare le maschere. Annuii, in una sorta di automatismo.
    "Capito. Grazie." risposi, continuando la mia comunicazione telegrafica. Pensai che avrei fatto meglio ad andarmene, arrendendomi al fatto che ormai il danno fosse fatto. Invece, proprio quando non ci speravo più, la risposta che mi interessava arrivò, presto seguita da una frecciata che mi colpì in pieno. Era arrabbiato. O perlomeno, lo era stato. Feci un respiro profondo, guardandolo seria. Me lo meritavo quel trattamento, ne ero consapevole.
    "No, stavolta no. Anzi, sono venuta qui per scusarmi. Spiegarti anche, ma scusarmi soprattutto." Ammettere di essere in errore non era una cosa che mi riusciva semplice, ma mi sembrava la cosa giusta da fare e quindi - nonostante facessi fatica - non volevo più fuggire al mio dovere. Prima che potesse dire qualcosa che mi avrebbe distolto dal mio intento, continuai a parlare.
    "Sono stata una vigliacca, persino maleducata se vogliamo. Mi dispiace." Forse il fatto di essere stata "maleducata" mi dava più fastidio di tutto. Ero arrabbiata con me stessa per non essere riuscita a gestirmi in quella situazione, per non aver saputo stare al mondo, per essere stata una totale inetta. E questo era l'aspetto che mi toglieva il sonno più di ogni altra cosa. Gli avevo mostrato qualcosa che non ero o forse ero davvero così?
    "Diciamo che..." La verità era dura da ammettere, ma dovevo pur sputare il rospo. "Diciamo che non volevo cascarci di nuovo." Una verità estremamente vaga, ma pur sempre verità. Non sapevo che parole usare senza sembrare totalmente ridicola o senza dargli l'idea di addossargli la colpa delle mie paranoie. Le cose si fanno in due, ma a mettere problemi, in quel momento, ero solo io.
    "So che non mi sono spiegata per niente e non ha senso nemmeno giustificarsi, ormai." Odiavo anche piagnucolarmi addosso ma ero effettivamente triste, specie perché non riuscivo a leggere la sua espressione per capire se avessi modo di rimediare o meno. E fu proprio la paura di non avere più possibilità a spingermi in uno slancio di intraprendenza. Lui era ancora abbastanza vicino.
    "Avrei voluto fare una cosa, quella sera." Mi avvicinai di un passo anche io, quello che serviva per azzerare nuovamente le distanze. Si trattava di rischiare il tutto per tutto, ma in fondo non avevo nulla da perdere. A parte la faccia, forse. Ma speravo non avrebbe fatto troppo l'infame, anche nel peggiore dei casi.
    Fui rapida, per non rischiare di ripensarci: presi il suo viso tra le mani e mi sollevai sulle punte, per toccare le sue labbra con le mie.



    Edited by fiendfyre‚ - 25/9/2021, 23:41
     
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2 replies since 11/4/2021, 17:19   68 views
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