Les porteuses de printemps

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    1891

    Sofiya Makarov è il nome scritto sui documenti del tuo espatrio ma nessuno ti chiama più con quel nome da quando hai iniziato a lavorare al Mulino rosso. Il tuo francese è ancora malamente accentato e porta con se i mille spigoli di San Pietroburgo ma non te ne sei mai fatta un cruccio, dopotutto, i clienti del locale, non vengono di certo lì per sentirti parlare, anzi, molti sono quasi affascinati dal tuo parlare che definiscono esotico.
    Esteticamente potresti tranquillamente passare per francese, i capelli rossi e mossi ti arrivano alle spalle, gli occhi, di un blu slavato, si incastonano perfettamente in un viso ovale e regolare, rifinito poi con un piccolo naso all'insù che, in effetti, non sai bene da chi hai ripreso. L'unica cosa, eccetto il tuo nome, che tradisce la tua provenienza è forse l'altezza, le tue gambe lunghe e sottili ti conferiscono un metro e ottanta di statura, ben oltre la media francese, ed è quello che ti ha conferito il tuo soprannome " Sophie la haute". I francesi non brillano di originalità, ma questo ormai l'hai imparato.
    Sei al Mulino sin dalla sua apertura, sorridi pensando che i tuoi di certo non si aspettavano che una ballerina della compagnia imperiale russa, finisse a ballare in uno squallido localino di cabaret a Pigalle, il quartiere a luci rosse di Parigi; probabilmente a tua madre sarebbe venuto un attacco di cuore ma ti consoli, sapendo che la notizia non arriverà mai alle loro orecchie, dato si che ti hanno lasciata orfana almeno cinque anni prima, che poi è l'esatto motivo per cui hai trovato quel lavoro.
    L'arte non paga, ne ha mai pagato, questo lo sapevi bene ma è facile seguire le proprie velleità artistiche quando i tuoi genitori hanno soldi abbastanza per pagare tutto al tuo posto, un pò meno facile quando quegli stessi genitori vengono accusati di tradimento dall'impero Russo, vengono giustiziati, i loro beni espropriati e tu ti ritrovi senza un soldo a soli diciotto anni. Quindi hai piegato i tuoi sogni, e hai utilizzato quello che, in effetti, trovi essere il tuo unico talento, per guadagnare un discreto gruzzoletto che ti fa avere una vita decente, non agiata, ovvio, ma decente.
    Il locale non ti piaceva, l'idea di per se ti faceva abbastanza ribrezzo, e non puoi neppure annoverare il famosissimo can-can tra i rami del balletto, è semplicemente un concitato alzarsi di gonne e gambe, però hai imparato ad amarne i colori vividi, le guance rosse, i fiati spezzati e i clienti brilli. I vostri clienti, per la maggior parte, sono aristocratici, o meglio borghesi. La borghesia è una classe emergente che si trova a volersi affermare imitando pallidamente lo sperpero di denaro tipico dell'aristocrazia, peccato che i borghesi siano , appunto, unicamente poveri arricchiti e si nota dal modo in cui non riescono a capire la differenza tra i cappelli, come , ancora, non riescono a capire l'importanza di un cognome.
    Hai imparato a riconoscerli, molti di loro hanno titoli altisonanti comprati dai loro bisnonni il secolo prima, quando pareva andare di gran moda, tra le potenze europee, la vendita dei titoli per risanare le casse dello stato, altri hanno cognomi derivanti dal loro mestiere, nulla a che vedere con la delicatezza dei cognomi aristocratici ; in ogni caso a te importa poco, nonostante la tua lingua tagliente, hai imparato a farti gli affari tuoi, chiedere poco e parlare solo se necessario.
    Sei conosciuta, oltre che per la tua altezza , anche per la solerzia delle tue parole, ti trovi spesso, verso l'ora di chiusura, a rimanere a parlare con i clienti più fedeli di politica, difendi le tue idee con forza e la tua lingua sembra una frusta capace di strappare via la pelle anche all'uomo più forzuto ma dicono che perdi di fascino quando parli di argomenti da uomini, almeno così ti ha detto il proprietario e allora, durante tutta la serata eviti proprio di spiccicar parola, se non quando strettamente necessario. Quel lavoro ti serve, inutile fare la paladina, l'eroismo non paga l'affitto e sei certa che la Signora Dubois, la vecchia proprietaria della palazzina dove vivi, non aspetti altro che una minima mancanza per buttarti fuori.
    Le ballerine del Moulin Rouge non hanno una buona reputazione, i più le considerano puttane, altri vi chiamano "Les porteuses de printemps", un modo carino di dire la stessa cosa, e a nulla vale spiegare che la maggior parte di voi neppure tocca i clienti, purtroppo quella è la nomea che vi siete fatte e la Signora Dubois probabilmente non avrebbe mai voluto che una puttana vivesse nella sua palazzina a Montmartre, di certo non un quartiere ricco ma decisamente meno brutto di Pigalle.
    - Sophie tocca a te, avanti ragazza, oggi sembri su un altro pianeta- ti richiama l'annunciatore, fai un cenno con la mano guantata di nero. Fissi per un attimo il tuo riflesso mentre metti l'orecchino destro, un piccolo orecchino a forma di melograno, li hai comprati proprio per la loro forma singolare e per quei finti rubini rosso carminio. Il tuo riflesso non ti piace, non perchè credi di essere brutta, tutt'altro, sei bella e ne sei consapevole, quanto più perchè a volte credi non sia tuo, in ogni caso ti alzi e come sempre lasci che i pensieri scivolino via con l'alzata del sipario.
    [...]
    Lo hai visto spesso nelle ultime settimane, è un ragazzo comune, o almeno tu trovi che lo sia, eppure se ne sta sempre lì a disegnare schizzi sul blocco che si porta dietro, ordina sempre un whiskey e ne lascia sempre almeno un dito nel bicchiere. Ti pare ovvio che sia un'artista ma lo trovi, seppur comune, affascinante, qualcosa richiama continuamente i tuoi occhi sulla sua figura e così, quel giorno, accaldata dallo spettacolo , le guance rosse, e il fiatone, ti avvicini al suo tavolo in fondo alla sala e decidi di parlargli
    << Sa che questo è il miglior whiskey della città? E' un peccato che lei lo lasci sempre, non le piace forse?>> Sophie non aveva idea se quello fosse davvero il migliore della città, in effetti non beveva whiskey, lo trovava troppo forte
    << La vedo sempre qui da solo a disegnare, pare quasi che lo spettacolo non le interessi... Quindi, mi chiedo, cosa disegna con tanta passione se quello che vede non gliene suscita affatto Monsieur...>> e lasciò cadere la frase prendendo posto al tavolo.

     
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    Studia il movimento delle gonne da due mesi, ormai. Le pirouettes delle ballerine lasciano i tessuti vorticare generosamente e li accompagnano con dei gesti più gentili delle mani fino a scoprire ben oltre le ginocchia.
    Oggi Antoine Gendrin ha scelto la mina, è più sottile del carboncino ma comunque meno sfumabile. Lo sa.
    Gli pare persino una scelta inutile, quella di rompere il movimento perfetto di quel vortice con uno stacco netto sul suo foglio di carta giallognolo, ma è necessario partire dalle basi prima di scomporre la realtà in tanti minuscoli frammenti, e la realtà sono le rette geometriche, quindi Antoine tratteggia asimmetrico sul piccolo blocco da disegno una serie di bozzetti, sollevando di tanto in tanto lo sguardo per cogliere un momento l'essenza dello spettacolo che prende vita di volta in volta davanti ai suoi occhi.
    Pigalle è il cuore della dannazione, ormai il conservatorismo vittoriano non ha che da ammettere il tramonto della sua epoca irrigidita e illimitatamente puritana: Parigi è il germe della libertà e il Mulino ne è il suo frutto più acerbo e più puro.
    Ha aperto da due anni, circa, da quando Holler e Ziedler hanno deciso che l'Olympia non era più il teatro giusto per raccontare delle dissolutezze di questa città disordinata e sconcia e viziata, che si lascia accogliere dall'alcol e da un paio di cosce nude e generosamente aperte, dietro lauto compenso. Non è sempre stato così, all'inizio il Mulino era soltanto un bel ristorante con sala da ballo, ma di locali puliti ce ne sono a bizzeffe, non è vero? E' così che è nato dunque il cabaret notturno, ed è per questo che adesso il ristorante è chiuso anche di giorno e di notte il locale non serve che alcol e vino annacquato.
    La cosa che più lo affascina sono i muscoli tesi. Anatomia. Dev'essere un refuso dei suoi anni alla Paris-Dauphine - pochi, in realtà, ma sufficienti ad apprendere quanto basta per disegnare un paio di polpacci di tutto rispetto. Suo padre non è mai stato d'accordo con la sua scelta di vita, ormai i due non si parlano da quasi otto mesi, da quando Antoine ha abbandonato gli studi in medicina in favore di una carriera da squattrinato. Non gli manca neppure troppo, a dirla tutta, e forse tra un anno o due ritornerà all'ovile e conseguirà la licenza. Un medico in famiglia è sempre stato un gran prestigio, ed in casa del generale Gendrin le aspirazioni di certo non mancano. Beve un sorso scarso dal bicchiere di whiskey ma non sembra apprezzare, eppure quel gesto quasi meccanico restituisce alla fronte aggrottata di Antoine la sua espressione naturale, una ruga più distesa e gli occhi meno strizzati del solito. Sarà pure una mera coincidenza che tutto questo combaci con l'annuncio della Haute in effetti, ma quando il pianista si sistema le code della giacca e si accomoda al piano le lunghe gambe della ballerina fanno la loro comparsa sul palcoscenico, e al cabaret iniziano i fischi.
    La Haute è bella, lo sanno tutti. Avanza con l’incedere quasi regale di chi non c’entra assolutamente niente con quel posto velenoso e sudato. Cammina quasi come stesse scartando, con la suola delle scarpe, tutto lo schifo del mondo. Antoine la immagina qualche volta. Si domanda come sarebbe con addosso uno di quei vestitini a fiori leggeri leggeri, che si spostano col vento di maggio. In realtà ci riesce pure, perché la Haute sembra totalmente estraniata da quel contesto. Non la fissa, non fissa nessuna, lui disegna solo le gambe, le cosce tese, le gonne che si sollevano e il turbinio di nastri e tessuti; eppure di tanto in tanto i suoi occhi si posano su di lei con tutta la gentilezza possibile.
    Antoine non fischia, lui scruta, poi ruba l’eleganza del passo di lei e la riporta sotto forma di disegno. E’ quasi sempre concentrato.


    Parigi ha spento i lampioni, e quando il Gendrin se ne rende conto è decisamente troppo tardi. Al Mulino hanno lasciato qualche luce accesa e anche le ultime esibizioni sono sfumate, i clienti famelici se li è portati via la notte, attraverso le piccole viuzze che conducono a qualche bordello.
    Antoine è rimasto al tavolo e disegna, ha quasi finito e la sua gonna pare quasi perfetta. Eppure manca qualcosa.
    La guarda e la riguarda come un dannato, sono più di due ore che ci si consuma le cornee e quella sta ancora lì, inanimata, e non lo convince.
    Sa che questo è il miglior whiskey della città? E' un peccato che lei lo lasci sempre, non le piace forse? la voce gli solletica l’orecchio. E’ diversa, è meno fredda e robotica di quello che si aspettava. La Haute gli parla con un’intonazione che proprio, proprio non ha nulla a che vedere con quella di quando canta La chanson des adieux, prima dei saluti di scena. Antoine solleva lo sguardo, un ciuffo gli cade ribelle sugli occhi mentre la destra posa la mina sul bancone. Deglutisce. Lei parla ancora, poi fa un mezzo giro e prende posto all’altra sedia del suo stesso tavolo.
    Il vero peccato è berlo, in tutta onestà si lascia sfuggire lui, con una smorfia divertita mista a derisione. E mi lasci dire, preferisco sembrarle scortese che offrirgliene un bicchiere, Madame le spiega poi, raccogliendo la destra di lei nella sua prima di sfiorarne il dorso in un baciamano ben calibrato e perfetto.
    Gendrin, Antoine si corregge, liberando poi la mano dalla stretta morbida in cui l’aveva rinchiusa. Lo spettacolo è molto bello, ma per ciò che io disegno occorre molta cura, vede e nel dire ciò le sottopone il blocco. Gambe, su gambe, su gambe. Bozzetti di polpacci, alcuni fasci di muscoli e merletti chiacchierini. Nessun volto ritratto da Antoine, se non fosse per quell’ultima pagina in cui gli occhi della Haute campeggiano vivi e sicuri. Non vi è nient’altro che quello, gli occhi, e un ciuffo leggero che li incornicia. Vi chiederete come distinguerla da ogni altra, il gioco è presto detto: al suo orecchio Antoine ha abbozzato un melograno piuttosto verosimile a quello che la giovane donna ha indosso in questo momento.
    La vede questa gonna, ad esempio? Ci lavoro da due ore senza sosta. Ma più la guardo e più mi sembra del tutto distante dalla realtà inspira, lasciando che lei sfogli il blocco. Che si immerga nella sua anima, in realtà, che è più o meno la stessa cosa.
     
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    Lo vedi spesso e altrettanto spesso ti chiedi perchè, nonostante il suo aspetto ben fuori i tuoi canoni di bellezza, continui a fissarlo, i tuoi occhi continuano a trafiggerlo da quel palco. Ormai, la sua presenza silenziosa e apparentemente disinteressata, è diventata un'abitudine, forse, se un giorno smettesse di venire potresti perfino cedere al cercarlo. Ti avvicini, lo scruti tanto quanto lui pare scrutare te in ogni anfratto del tuo essere ma i suoi non sono affatto occhi indiscreti, no, i suoi sembrano cercare qualcosa che è molto oltre il tuo corsetto e ancor più in fondo della tua pelle diafana.
    Il vero peccato è berlo, in tutta onestà
    Lo vedi sorridere e sorridi anche tu, un sorriso che non somiglia neppure a quelli affilati e artificiali di cui rivesti le tue labbra da quando metti piede in quel locale fino a quando non arrivi nella sicurezza del tuo appartamento.
    E mi lasci dire, preferisco sembrarle scortese che offrirgliene un bicchiere, Madame
    Il gesto che fa è molto comune, parecchi clienti, lì dentro, si fingono principi usciti fuori direttamente da una fiaba, tante ballerine ci credono, per poi scoprire che, con tutta probabilità, si trovano di fronte uomini sposati e adulterini, non principi, ma feccia sputata direttamente dalle fauci dell'inferno. Il gesto è comune come lo è lui ma non è quello a colpirti, è il modo in cui quello sfiorarsi rapido di mani ti fa sentire, come fa vibrare qualcosa dentro di te, come la melodia di uno strumento in fondo al mare che, anche se rovinato dalle intemperie, riesce ancora a suonare di un suono perfetto; ecco, si, c'è perfezione in lui
    << Non sembrerà scortese per questo, non se ne faccia un cruccio. Non amo particolarmente il whiskey >> lo rassicuri con un nuovo sorriso
    Gendrin, Antoine-
    Lui si presenta con nome e cognome e lo fissi per un momento, incastri i tuoi occhi nei suoi coperti appena da un ciuffo ribelle, cerchi sul suo fondo oculare la sensazione di non dover nascondere il proprio essere, una sensazione che hai dimenticato
    << Sophie e basta>> hai lasciato il tuo cognome fuori da quella porta la prima volta che sei entrata al Mulino, è come un rituale di passaggio, un patto, il mulino ti da un posto nel mondo, uno scopo e tu, in cambio, gli dai ciò che sei stato fino a quel momento
    Lo spettacolo è molto bello, ma per ciò che io disegno occorre molta cura, vede
    Gli occhi scattano sul blocco che ti porge, osservi con attenzione ogni linea, ogni punto in cui la matita è passata più di una volta, dove il tratto è più spesso e dove più sottile, sfogli lentamente fino ad arrivare a quello che riconosci essere il tuo viso, o meglio, il tuo viso per come è lui a vederlo. Ti ha sempre affascinato questo tratto degli artisti, credono di ritrarre il mondo per com'è ma in realtà ritraggono molto più se stessi che il vero soggetto della loro opera
    << Vede i miei occhi decisamente più penetranti di quello che sono e sapevo che questi orecchini avrebbero colpito qualcuno, felice sia lei >> sorridi e continui a fissare gli occhi in quelli del tuo ritratto abbozzato. Hai sempre visto il tuo sguardo come slavato e distante, ben diverso da quello sicuro e penetrante che vedi riportato su carta
    << Vorrei essere come lei mi vede Monsieur Gendrin>> volti pagina, e osservi i merletti di quella gonna che pare quasi potersi muovere sotto i tuoi occhi
    La vede questa gonna, ad esempio? Ci lavoro da due ore senza sosta. Ma più la guardo e più mi sembra del tutto distante dalla realtà
    La osservi con attenzione, prendi qualche secondo prima di formulare la tua risposta. Usualmente ti limiteresti ad adulare il poveretto di turno e a spillargli più soldi possibile, questo è quello che fate d'altro canto e sei convinta che anche i clienti lo sappiano bene ogni volta che vi avvicinate a loro dopo lo spettacolo; eppure, per lui, ti interessa davvero trovare una risposta
    << Io non ci capisco molto di disegno ma credo di capirne qualcosa di arte>> affermi ed in effetti credi che sia un pò come per la danza
    << Sa, a volte il mio maestro di danza mi diceva che il passo non andava bene eppure a me pareva tecnicamente perfetto, provavo per ore ed ore solo quel segmento, ma lui continuava a dirmi che non andava bene... Sa cosa mancava? L'emozione>> spieghi rapidamente e poi punti l'indice sulla gonna, tamburellando appena il dito ritmicamente
    << Manca l'emozione, forse dovrebbe pensare meno a riprodurla fedelmente e più a vivere l'emozione del momento in cui la gonna si piega e poi s'alza e s'agita... Sono sicura che verrebbe esattamente come dovrebbe essere , a volte sforzarsi meno è il vero trucco >> confessi alzando appena le spalle
    << Non ci sono altri volti oltre il mio, perchè Monsieur Gendrin? Ho un viso strano forse?>> chiedi


     
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    «Une femme belle est le paradis des yeux, l’enfer de l’âme, et le purgatoire de la bourse» ricorda di aver letto da qualche parte, e quelle parole d’improvviso riemergono dalle stanze della sua memoria mentre nota lo sguardo di lei farsi più interessato.
    La torcia di fuoco gelido che prende vita in quegl’occhi pare davvero il paradiso, Antoine può sentire un qualcosa ardergli dentro e mangiargli l’anima come accade ogni volta che ha a che fare con la bellezza. Non necessariamente quella convenzionale, poi. Un fiore reciso sprigiona molta più poesia e decadenza di un altro tronfio e spudoratamente attaccato allo stelo, e di certo è qualcosa di simile a quello che gli sta accadendo in questo momento in cui il corpo della donna sta presso il suo con orgoglio ma senza sottendere ad alcuna violenza.
    Ogni cosa è armonia, persino gli spigoli degli zigomi e del mento prendono ad essere più smussati sotto la luce fioca della piccola torcia.
    Posa la mina Antoine, l’astuccio di legno che la contiene gli scivola lento fra le dita per poi cozzare con il piano d’appoggio, rotolare appena qualche centimetro e stopparsi nell’incontro col bicchiere semi-vuoto.
    Quella è la prima volta che si parlano, ma delle prime volte non pare avere alcun sapore, gli sembra. E’ una sensazione che non può certo ricostruire, quella strana familiarità che trasuda dal corpo della Haute. Gli pare di aver già saggiato quel tocco morbido di mani sottili in altre vite, ma non ricorda dove né come.
    Si lascia osservare, lui ch’è da sempre osservatore; la Haute accoglie il blocco e prende a sfogliarlo con una bramosia ch’egli non le credeva neppure possibile: se potesse lo berrebbe, ne trangugierebbe ogni disegno, ogni più piccola bozza lentamente ma inesorabilmente finirebbe per scivolarle in bocca attraversando la gola, riscaldandole infine il petto e trovando una dimora accogliente e sicura nello spazio tra i due piccoli seni.
    Sì, Sophie è avida di quella vita che lui le ha ravvivato nello sguardo impresso sulla carta. Studia con dovizia il ritratto con fare solenne e scrutatore, e senza risparmiarsi nella critica.
    Antoine la corregge risoluto ma gentile. Per lei, Sophie, sarò solo Antoine le sorride, sempre rimanendo concentrato sui rapidi e sottili cambiamenti delle tensioni dei nervi sotto le sue dita. Ogni movimento, ogni passaggio risulta veloce ma in armonia con il resto del suo corpo immobile. Sta a pochi passi da lui come una statua di sale eppure ogni più piccolo atomo pare acceso di vita.
    Oh la prego, mi dica. Ho come la sensazione che lei stia per fornirmi un ottimo consiglio si affretta, e sposta il peso sul sedile come per darle più spazio all’interno di quella bolla ideale in cui si rifugia, ogni sera, a Pigalle.
    Quella si appresta allora nella spiegazione, carezzando col polpastrello l’ultimo abbozzo di gonna merlettata. Le pare che sia finta, forse? Ma no, certo.
    E’ una tra le più belle che lui abbia mai ritratto. Eppure manca qualcosa, gli dice. Quel qualcosa che non si può ritrovare nella perfezione ma solamente nell’euforia imperfetta di un’emozione.
    La Haute solleva le spalle e l’uomo per un attimo socchiude gli occhi, cambiando lo scenario dietro le sue palpebre per ricordare il vorticare luminoso ed esagerato delle stoffe sul palco. Nel movimento rapido si può perdere il dettaglio, forse, ma è lì che si può ritrovare la più esatta autenticità.

    Quando Antoine riapre gli occhi, però, il suo blocco da disegno è spalancato su una pagina diversa e il ritratto di lei campeggia nell’angolo in alto a destra. Tratto fine, piuttosto abbozzato per quanto decisamente riconoscibile.
    Gli chiede perché è la sola ad essere stata ospitata in quella raccolta di pizzi e merletti, la voce non le trema ma al contrario la sua curiosità è viva e splendente.
    Tutt’altro che strano, comincia col dirle, lasciando che le iridi scorrano lungo il suo profilo luminoso. Lei è molto bella, Sophie, forse la più bella di tutte inizia, interrompendosi a metà.
    Forse dirle che è la più bella fra tutte le donne che lui abbia mai visto è fin troppo avventato, così si accontenta di restringere il campo al solo Moulin Rouge. Dopo tutto il locale è molto grande e ospita centinaia di donne, fra clienti, cameriere e ballerine. Forse per la cocotterie di Sophie potrebbe essere sufficiente già questo. Eppure la sua bellezza non è il reale motivo per il quale l’ho disegnata, s’interrompe un istante e fa per sorseggiare ancora, ma poi riposa il bicchiere sul tavolo e accenna a una smorfia sottile in sua direzione, come a dirle: meglio di no. Il punto è che il suo viso ha qualcosa… qualcosa che non so ben dire, forse se mi sforzassi sarei persino in grado di descriverle cosa ma ho deciso di seguire il suo consiglio e liberarmi dell’inutile sforzo di rendere tutto in maniera perfetta.
    Le rivolge un ultimo sguardo, poi riprende la mina e tratteggia rapido un accenno d’intensità nell’occhio sinistro, quello del disegno. Qualsiasi cosa sia, però, non l’ha nessun’altra. E’ per questo che ha catturato la mia attenzione.
     
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