When you hid under my black wings

pvt.

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    Łódź- Polonia- 1939
    Non sei certa che andrà tutto bene, tua madre continua a ripeteterlo, dice che i titoli di giornale sono fuorvianti, che di certo, per voi, voi che non siete gente come gli altri, non ci sarà alcun problema.
    Dice che la vostra posizione sociale vi proteggerà, che nonostante l'invasione tedesca , voi, potrete continuare a vivere tranquillamente. La tua famiglia è già sfuggita una volta, lo ricordi bene nonostante sia stato tutto fatto così di fretta che non sei riuscita neppure a portare con te i tuoi libri preferiti. Siete fuggiti da Parigi dopo che, Grindelwald, ha cominciato a divenire una minaccia per tutti i mezzosangue come te, siete andati in una città della Polonia, fino ad allora non avevi idea di come fosse fatto il mondo fuori dai confiniti della Francia. Non parlavi una parola di polacco e il mondo babbano non ti era così gradito ma vi siete nascosti, tua madre ti ha confiscato la bacchetta, ti ha impedito di produrre incanti di qualsiasi genere pur di essere certa che non vi trovino mai. Hai vissuto, in questi due anni, in una vita non tua, come la figlia qualunque di una famiglia che aveva fatto la sua fortuna dai campi, esatto, avete preso un casale sperduto nelle campagne appena fuori Łódź, e quell'appezzamento di terra è divenuto presto la fonte dei vostri maggiori guadagni : proprietari terrieri, così ti sembra vi chiamino.
    Ora però una nuova minaccia ti punge lo stomaco, si, anche se tua madre sostiene che voi non sarete minimamente toccati da quello che sta accadendo, tu hai la netta sensazione che invece, i tedeschi non si accontenteranno di governare lo stato, vorranno di più e lo sai perchè una convinzione dentro di te continua a ripeterti, come in un antico eco, che tu gli uomini li conosci bene e che non si accontentano mai, che sono naturalmente proni a volersi avvicinare agli dei, a voler incarnare delle divinità in terra.
    1942

    - Shoshanna devi andartene-
    la voce spezzata di tuo padre, ti ha fatto gelare il sangue nelle vene.
    Il ricordo è nitido nella tua mente, nonostante sia passato un mese ormai da quando delle guardie che riconosci immediatamente come Schutzstaffel, neppure lo sai pronunciare quel nome orribile, così distante dalla dolcezza dell'ebraico e del francese.
    Era il giorno del Kippur, la brezza settembrina entrava dalle finestre aperte, accarezzava delicatamente le spighe nel campo, emanando una melodia quasi surreale, eravate tutti e tre a tavola, recitando il Talmud
    << Arriva qualcuno>> avevi sussurrato prendendo automaticamente il libro sacro tra le mani e nascondendolo rapidamente sotto un'asse di legno, insieme a tutto ciò che poteva far riconoscere l'appartenenza ad una categoria che era divenuta ormai sgradita nei territori tedeschi.
    Avevi fatto appena in tempo a richiudere l'asse, la melodia delle spighe era cessata d'improvviso, sostituita da un bussare concitato, rumori metallici che erano così estranei alla natura incontaminata intorno alla vostra casa.
    I due gendarme avevano cominciato ad urlare in tedesco, tu non capivi nulla, i tuoi occhi verdi sgranati, passavano rapidamente dal volto i tua madre contratto a quello di tuo padre che , invece, ne masticava qualche parola , i soldati avevano ascoltato in silenzio ma, poi, lo avevano preso sotto braccio e scortato all'esterno, ed era lì che ti aveva guardata con la stessa disperazione di chi sembra dire addio a qualcosa che ama, ed era lì che ti aveva detto di andartene.
    I giorni , da quel giorno, si sono susseguiti e hai capito cosa stava accadendo intorno a te, hai capito perchè tua madre ti ha restituito la bacchetta, hai capito perchè continua a vietarti di andare in città e perchè ha smesso di parlare di tuo padre.
    Li chiamano campi di lavoro ma nessuno di quelli che hai visto portare via in quei mesi è mai tornato, vengono portate via intere famiglie, l'unico motivo per cui voi siete ancora libere è per la vostra posizione sociale e per la poca certezza delle informazioni che hanno su di voi .
    E' una mattinata di un Novembre rigido che tua madre ti dice di una lista, una lista dove ti ha fatta miracolosamente inserire, puoi andare solo tu ma pare sia l'unica ipotesi di salvezza per almeno una delle due
    << Noi abbiamo la magia >>
    Tua madre scuote la testa, la sua bacchetta non produce più alcun incantesimo e la tua sputacchia si e no un patronus, lei la chiama astenia magica ma non sa da cosa sia causata, tanto meno lo sai tu
    << Non possiamo affidarci ad un babbano per essere salvati >> e ti sembra quasi di esserti dimenticata che tu sei il frutto dei lombi di uno di loro, sei fragilmente mortale, umana ed è come se il tuo essere non si volesse arrendere a questa consapevolezza.
    Tua madre insiste, ti comunica che potrai portare solo una piccola sacca con te, di scegliere bene cosa portare, che non sa quanto sarà lungo il viaggio da affrontare ma che un giovane ti verrà a prendere di lì a poco e ti guiderà fin dove necessario.
    Hai paura, e gli occhi cielo diventano nubi cariche di pioggia, non vuoi andartene, non vuoi essere di nuovo strappata via da casa tua, ma non sai neppure tu davvero dove sia casa tua, forse è a Łódź, forse a Parigi, i tedeschi dicono che voi ebrei una casa non la avete, che nessun luogo vi appartiene . Le braccia si serrano intorno a tua madre, anche lei sta tremando, trema come quando si è ammalata di spagnola ma, quella volta, c'era tuo padre a prendersi cura di entrambe, stavolta ci siete solo voi due e le vostre braccia esili.
    I tuoi capelli color ebano ti solleticano i gomiti ed il braccio si scioglie con un bussare gentile, ben diverso da quello che ricordi di quel giorno nel Kippur, tua madre annuisce con la testa e tu capisci che puoi aprire
    << Sei tu che mi porterai con te?>> chiedi fissando gli occhi chiari sulla figura altrui ed improvvisamente ti sembra di nuovo di sentire il canto del vento tra le spighe, ma non c'è vento, e la neve ricopre i campi.


    Edited by Persephone° - 3/4/2021, 18:33
     
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    L'aria novembrina non gli piace, gli mette addosso una strana malinconia che rende tutto ancora più accentuato su quel viso così giovane e già così stanco.
    Sono passate appena due settimane dalla consegna, lo ricorda perfettamente perché quello è stato l'ultimo giorno che lo ha visto.
    Lui, l'uomo della lista.
    È ricco e Rémy non comprende pienamente quale sia il suo piano, è difficile che un ricco imprenditore tedesco che distribuisce il miglior pentolame sul panorama mitteleuropeo decida all'improvviso di assumere operai ebrei. Con quale pretesa, poi. Salvarli tutti?
    I pensieri sfumano come le volute grigiastre che partono dall'estremità del mozzicone di sigaretta. Se li porta il vento, mentre la Käfer ha un picco di accelerazione in curva, prima di continuare la sua corsa, e a lui non resta che fare il passeggero.
    C'è qualcosa di vagamente ironico nel destino: i rastrellamenti nella parte periferica di Lodz sono cominciati l'ultimo giorno di festa di Yom Kippur. È una parola antica che vuol dire Espiazione, glielo ha detto Schindler quel giorno, dopo aver chiuso la fabbrica e averlo fatto entrare dalla porta sul retro.
    E Rémy non capisce bene, non fraintendete, il senso della parola è chiaro; ciò che invece non comprende è cosa ci sia da perdonare.
    Schindler dice che il perdono è tutto, mentre scrive un ultimo nome e poi piega in quattro il foglietto con la lista.
    Lui non è credente, a dirla tutta Rémy non crede che in se stesso, ma in ogni caso si domanda spesso quale male così grande qualcuno possa aver fatto a tal punto da dover chiedere scusa, pregare e digiunare.
    Quel giorno a Schindler non dice niente, anche l'altro non è un uomo che fa tante domande e anche per questo va bene così. Si limita ad accogliere la lista sul suo palmo teso per poi serrare la stretta delle nocche e lasciar cadere il prezioso contenuto dentro la tasca interna della sua giacca.
    Adesso tocca a te.
    Non se n'è neppure accorto che l'altro abbia fermato il veicolo e sia sceso. È così assorto quando pensa da non vedere nient'altro.
    Gli fa un cenno col capo come per dirgli grazie, poi lascia il sedile del passeggero e si mette alla guida. Ormai manca poco, e se le istruzioni che ha ricevuto sono giuste la casa da raggiungere dev'essere l'ultima abitazione in fondo al viale. Rémy procede senza troppi problemi, quello di oggi è un compito semplice in fin dei conti: deve recuperare la ragazza e portarla al nascondiglio.
    Lo ha già fatto, non è la prima volta, eppure questa volta non sa perché ma una sorta di scarica adrenalinica gli percorre la schiena, diramandosi fino alle braccia e poi alle dita, che tamburellano semi-nervose contro la pelle scura del volante.
    È come se avesse prima caldo e poi freddo, quindi caldo e freddo insieme, ma non è il vento e nemmeno la neve che congela la strada sterrata e infanga le ruote.

    Il tragitto dalla Käfer all'abitazione è breve, nonostante gli stivali facciano una certa fatica a venire fuori dall'impronta del passo, soffocati da una morsa di ghiaccio e neve. Quando Rémy si ritrova sullo stipite, la mano accompagna le nocche con un gesto talmente spontaneo che appare inconsapevole. Bussa una, due e tre volte, e dall'interno un rumore di cardini metallici dà il segnale ad una porta che si spalanca.
    Sei tu che mi porterai con te?
    Non l'ha mai vista prima, lei, lui ne è sicuro così come è sicuro di avere un naso fin troppo appuntito, ma sarebbe pronto a giurare che qualcosa di lei non gli sia nuovo.
    Dev'essere il miele della sua voce, o forse il luccichio un po' nascosto dei suoi occhi, o ancora quel modo leggero di scostarsi dalla maniglia per pararglisi di fronte con un'espressione che è più speranzosa che incuriosita. Rémy la guarda appena un istante, ma deve in fretta fissare oltre o è certo che sembrerà uno sprovveduto.
    Shos... Shoshan... non è sicuro di pronunciarlo bene, gli ebrei aspirano troppo su certe lettere che dovrebbero rimanere mute, lui crede, ma in effetti non può farci molto a tal riguardo, così tira fuori la lista e stavolta legge un nome ed un cognome che al suo orecchio suonano quantomeno corretti. Accartoccia tutto infine, e con un fiammifero dà fuoco al pezzetto di carta che si disperde in tanti piccoli frammenti di fumo e cenere.
    Starai bene le dice, poi ritorna con lo sguardo sulla madre di lei, Starà bene, conferma. Mi prenderò cura di lei
     
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    Lui ti guarda, ti scruta e percepisci il suo sguardo anche quando gli occhi di lui puntano oltre di te e frugano dentro casa, eppure non senti la stessa paura di quando erano gli occhi glaciali dei soldati a rovistare ogni angolo di quelle quattro mura che credevi fossero sicurezza, che hai creduto fossero salvezza. Ora sai che, per voi, quelle due parole non esistono più. Nessun luogo è sicuro, nessun luogo vi salverà. Una maledizione, quella che affligge il vostro popolo, sapete bene la vostra storia, sai che è da secoli che venite scacciati, che venite schiacciati eppure, quando lui inciampa sul tuo nome, le tue mani smettono di tremare, e le tue labbra sottili si piegano in un sorriso che rivela tutta l'innocenza dei tuoi quindici anni.
    << Shoshanna >> gli ripeti e i tuoi occhi scrutano il suo viso, come se vi cercassero una somiglianza a qualcosa che è sepolto nei tuoi ricordi ma che non riesci a rievocare di fronte a te in nessun modo
    Starai bene, starà bene, mi prenderò cura di lei-
    E ti sembra crederlo davvero, non ti pare affatto come quei gentiluomini francesi che sputavano quella frase ai tuoi cercando di ottenere la tua mano, no, lui sembra sincero o almeno tu gli credi anche se non c'è ragione affinchè tu lo faccia
    << So che dobbiamo andare, posso salutare?>> chiedi, ma non attendi una risposta, ti allontani rapidamente dalla porta e, di nuovo, ti pieghi ad abbracciare tua madre che rimane immobile sulla sedia. E' fredda come la neve che ricopre i campi e la senti , per la prima volta, fragile come una scultura di vetro, hai quasi paura di spezzarla, senti il suo naso inspirare l'odore dei tuoi capelli
    - Sarà meglio che tu sfili quella- ti dice lei compassata, aprendo il palmo di fronte a te, aspettando che tu tolga la collanina d'oro dove pende una piccola stella di David, ce l'hai da sempre, l'hai esibita con orgoglio per tutta la tua giovane vita ma sai che ha ragione, ti limiti quini ad ubbidire lasciandola sul suo palmo
    << Tornerò con la primavera, te lo prometto >> dici e vorresti essere certa di quella promessa ma non lo sei affatto. Fai qualche passo, afferri il cappotto scuro, e il la piccola sacca in cui hai messo solo lo stretto necessario e punti di nuovo gli occhi sul ragazzo
    << Andiamo>> dici e richiudi la porta dietro di te. In quell'istante e , solo in quello, ti rendi conto di come la natura intorno a te sembri spenta in quell'inverno a cui non avevi mai dato peso prima d'allora, giureresti che sia spenta esattamente come ti senti tu ora. Strappata via dalle braccia di tua madre, aggrappata, ora, al braccio del giovane di cui non sai neppure il nome
    << P-Puoi dirmi il tuo nome? >> sussurri in un soffio. Non sai se lui possa effettivamente dirtelo, non sai neppure se lui rimarrà con te per tutto il tempo oppure se farà solamente da scorta a te fin quando non giungerai nel luogo dove l'uomo della lista sembra tenere tutti voi al sicuro. Sai che viaggerete di notte, e tu hai paura del buio sin da bambina, stringi più forte il suo braccio
    << Ho paura>> e non è solo il buio a fartene stanotte.


     
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    Quando butta l'occhio per scorrere le mura dell'abitazione si rende subito conto di avere interrotto qualcosa. Probabilmente stavano mangiando, pensa, oppure pregando.
    Chissà se gli ebrei pregano in orari specifici, si chiede mentre lo sguardo attento scivola sul tavolo dove l'ultimo melograno spaccato dal freddo troneggia sul canovaccio di lino bianco.
    La leggenda narra che abbia 613 chicchi, uno per ogni indicazione del rabbì. Sul tavolo ne sono scivolati una manciata, l'occhio ne conta dieci.
    Quando Rémy ritorna sulla ragazza, per un attimo, immagina che il succo rosaceo le sporchi appena la peluria agli angoli della bocca. Sembra così giovane e innocente, così bella.
    Shoshanna lo imbocca, e copre quella ripresa col taglio limpido e chiaro di un sorriso. Rémy pensa che se fosse vestita di bianco assomiglierebbe esattamente a quello che si immagina quando si figura un angelo.
    Non c'è un modo più gentile per dirle che deve lasciare sua madre, ci pensa un poco, lo cerca, ma dalla sua bocca viene fuori solamente una traballante rassicurazione. La donna non sembra entusiasta, ma lui spera che in un certo modo gli creda.
    Osserva da lontano il piccolo scambio tra le due, poi, l'abbraccio della figlia ad una madre rigida come una tegola di legno. Rémy ne è certo: qualcosa dentro di lei si è appena spezzato, ma non può permettersi di darlo troppo a vedere ed è forse per questo che l'ultimo saluto che consegna alla giovane è un consiglio duro quanto uno schiocco di frusta.
    Eppure Shoshanna annuisce, e con un movimento pacato si libera di quell'ultimo tratto di identità per poi assicurarle il suo ritorno.
    C'è qualcosa di incredibilmente forte, Rémy pensa, come quando un fiore reciso dallo stelo non perde l'attimo per ritornare sottoforma di un nuovo bocciolo. Ci sarebbe molto da essere tristi, forse, eppure Shoshanna serba la leggerezza e l'incoscienza dei suoi pochi anni ed è per questo che si affida completamente al ragazzo, appendendosi al suo braccio come fosse un'ancora salvifica.
    La macchina non è tanto lontana, ma sotto il calore delle dita di lei, la pelle di Rémy sembra quasi bruciare. Ne può sentire il tocco leggero, mentre la sua pelle rilascia un sottile odore di fiori. Non gli è mai capitato, con gli altri della lista. Per distrarsi dal pensiero la alleggerisce del peso del piccolo fagotto. Tenere le mani impegnate crede che lo aiuti, dopotutto. Eppure il suo cervello inizia una conta rapida del numero di giovani donne che ha scortato: sono ventitré e nemmeno una gli ha sortito quello stesso effetto.
    P-Puoi dirmi il tuo nome? gli chiede delicata, e la sua voce si disperde come un soffio che raggiunge il suo orecchio. Anche questo non gli era mai successo, riflette. Per tutti gli altri lui non è che un Innominato Caronte ma per lei, inaspettatamente, quello scambio reciproco di identità sembra essere davvero importante. Eppure non le risponde subito, prima la accompagna fino allo sportello del veicolo e si assicura che lei salga a bordo, richiudendolo l'attimo dopo che anche il piede destro si è poggiato sul tappetino di gomma.
    Quindi fa il giro, si mette alla guida e dopo circa duecento metri di distanza, quando la polvere della terra si solleva sotto il peso delle ruote e il fumo della marmitta inizia ad offuscare l'ultima visione della casa, decide di dare fondo al dubbio.
    Mi chiamo Rémy Morharam Fouad si annuncia col nome completo, dopotutto trova sia un'ingiustizia nei suoi riguardi nasconderle il suo cognome. Lui di lei potrebbe facilmente sapere perfino la data di nascita. Ma puoi chiamarmi Momo si affretta a concludere senza scollare la vista dalla strada che ha davanti. Non sa bene perché lo abbia voluto precisare, forse il nome completo è davvero troppo, pensa.
    Ho paura gli confessa e all'improvviso non è più una giovane donna, ma solo una bambina impaurita. Così Rémy ferma l'automobile d'inchiodo, nel bel mezzo del nulla, e potrebbe essere Lodz così come Danzica, ma sente che non può fare a meno di proteggere quell'essere umano di cui si sente così responsabile. Shoshanna le dice, e forse tra le sue labbra quel nome non suona così dolce come dovrebbe essere, ma lui si volta a guardarla ugualmente perché vuole che lo ascolti per bene. Ti prometto che torneremo quando la neve si sarà sciolta, quindi non avere paura.Fidati di me e non sa perché lo sente, ma scorge quella mano tremolante e d'istinto la raccoglie dentro la sua.
    È così piccola e morbida dentro il suo palmo, che ha quasi il terrore di essere duro. Infine lascia la presa come dopo la rottura di un incanto, rimette l'auto in moto e riprende a guidare.

    Edited by huntress. - 2/4/2021, 21:12
     
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    Lui non risponde alla tua domanda, forse non può rispondere, immagini che anche lui, come un soldato qualunque, abbia degli ordini da rispettare. E ti viene in mente quando tuo padre portò a casa un cagnolino randagio, l'insistenza con cui si ostinava a cercargli un nome che suonasse bene e, a domanda sul motivo di quell'insistenza, aveva risposto che non si da un nome solo alle cose poco importanti, a quelle che vuoi dimenticare. Forse è così per il ragazzo, vuole dimenticarti, non provare il minimo attaccamento per te per paura del distacco. Forse gli è stato ordinato di trattarti , semplicemente, come un pacco dal contenuto fragile, con attenzione ma non di certo con simpatia. Entra in macchina, e tu fai altrettanto, il rumore metallico del motore che tossicchia per accendersi, ti fa arricciare il naso, così come l'odore di tabacco che impregna il veicolo. Deve essere un fumatore, all'aria aperta non te ne sei accorta e, di norma, il puzzo ti infastidisce parecchio, eppure quasi trovi che, mischiato alla sua pelle, sia gradevole.
    Punti gli occhi fuori dal finestrino, guardi, attraverso lo specchietto posto sul lato del passeggero, casa tua allontanarsi e farsi piccola, sempre più piccola, fino a sparire del tutto. Avresti voluto salutare tua madre con meno fretta ma sei stata informata di quella partenza solo pochi minuti prima, probabilmente neppure lei ne aveva la conferma, oppure , semplicemente, sapeva che ti saresti opposta così tanto da fiaccare la sua risolutezza e allora ha preferito metterti di fronte a fatto compiuto, vorresti poter proteggere anche lei ma non puoi e questa consapevolezza ti mangiucchia la scatola cranica.
    Mi chiamo Rémy Morharam Fouad
    Lui parla ed interrompe il flusso ciclico dei tuoi pensieri nefasti, parla nel momento giusto, come se ti avesse vista sprofondare in quei ragionamenti e quelle parole ti sembrano un braccio a cui aggrapparti per uscire da quelle sabbie mobili. Sorridi.
    << Sei islamico >> dici e ti sembra così strano che tu e lui siate esattamente nelle barricate opposte ma che, in quella macchina, siate unicamente due persone, al di là del vostro credo, al di là delle vostre origini e ti viene confermato dal modo amichevole in cui snocciola il suo soprannome
    << Momo, è così corto! Io ti chiamerò Morharam, è talmente bello >> dici, non conosci l'arabo ma l'ebraico, in parte, ci somiglia, lingue esotiche e sconosciute a chiunque altro non faccia parte di quel circolo di provenienza. Una nuova fitta di paura ti stringe lo stomaco, così tanto che pensi di poter vomitare da un momento all'altro, continui a dirti di essere coraggiosa, ma la verità è che hai solo quindici anni, tuo padre, con molta probabilità è morto e tua madre, forse, non riuscirai ad abbracciarla mai più, sei rimasta sola al mondo ed è una sensazione d'abbandono che trovi stranamente familiare
    . Shoshanna, Ti prometto che torneremo quando la neve si sarà sciolta, quindi non avere paura.Fidati di me -
    La sua mano stringe la tua per un momento che sembra moltiplicarsi , in un tocco che sembra trascendere il tempo ed è un secondo solo ma ciò che vi trovate intorno non esiste più. Lui ti tiene e smetti di avere paura, smetti di tremare, di pensare al peggio. Sai solo che sei certa lui farà il possibile per tenerti al sicuro.
    << I-io mi fido di te, Morharam>> dici e punti gli occhi dritti nei suoi, c'è un riflesso, un bagliore sepolto che catturi e che ti fa stringere appena le palpebre, come qualcuno che si sforza di guardare un punto lontano, tenti di mettere a fuoco ma sei certa di non averlo mai visto in precedenza. Sei solo stanca, o forse ti sforzi di trovare familiarità in qualcuno che, almeno per il momento, è l'unica versione di famiglia che hai, perchè è questo la famiglia per te: qualcuno che ti terrà al sicuro e lui lo farà. Lo sai.
    << E' da tanto che lavori per l'uomo della lista?>> chiedi, surreale pensare di conversare quando si sta letteralmente fuggendo da una persecuzione in piena regola ma forse hai bisogno di una finta normalità che non ti faccia impazzire totalmente
    << Sei un soldato o... ?>>

     
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    Shoshanna è fatta di aria, è una chiara brezza di mezza estate che accarezza la pelle delle guance senza sferzare. È a questo che Rémy pensa quando la vede camminare, con quell'incedere che è lento e veloce allo stesso tempo. Non pesa, lei, non affonda - o così pare -. Il suo passaggio sembra quasi effimero da non lasciare alcuna traccia sulla coltre bianca. Non deve neppure amare il silenzio, Rémy crede che abbia l'aria di una che sta un po' sulle spine in attesa che le arrivi la sua risposta. Shoshanna in fondo sembra essere immersa nello stesso monologo interiore di lui, in un torrente di pensieri così rapidi da non lasciare alcun appiglio. E nel frattempo se ne sta seduta nel sedile al suo fianco con le mani riposte in grembo e la sagoma delle piccole ginocchia sotto ai vestiti. Non può guardarla mentre azzarda la sua supposizione, Sei islamico dice e certamente non le sarà sfuggito il suono mediterraneo di quell'altro nome o il taglio degli occhi o le sopracciglia folte e spesse. Non può guardarla ma può quasi scommettere che stia sorridendo ancora, tanto che gli dispiace appena contrariarla. Mio padre lo era si appresta a farle notare, per poi rituffarsi in un abisso senza fondo in cui un milione di domande girano vorticose.
    Rémy non lo sa cos'è, non si sente francese come sua madre ma neppure egiziano come suo padre; la sua pelle non è né chiara né scura, la sua religione né islamica né cristiana. A pensarci bene Rémy non sa più neanche dire perché ha deciso di mettersi al servizio di Schindler; forse ha anche lui qualcosa da farsi perdonare, magari va a finire si riscopre ebreo come Shoshanna, magari ha anche lui bisogno della sua personale espiazione.
    Momo, è così corto! Io ti chiamerò Morharam, è talmente bello esclama l'altra, e Rémy pensa che all'improvviso potrebbe smettere di usare quel suo nome così francese e vuoto per piegarsi al docile giogo dell'altro, più personale, che ha qualcosa da raccontare. Sarà che Morharam fra le labbra di Shoshanna sa di seta e profumi orientali, sarà che detto da lei suona quasi come muharram, che per l'islam è il mese della gioia e della festa. Tiene le mani salde al volante, lui, sta attento alla strada, eppure adesso è nel suo petto il più grande muharram, è in quel battito tonfo che si nasconde una parvenza di gioia che non prova da tanto tempo.

    Rémy ha nemmeno vent'anni, eppure tante cose da dire. A volte ha quasi l'impressione di aver vissuto altre vite, di portarsi quel grosso macigno irregolare da cicli infiniti. Non parla spesso e non ama che lo si guardi negli occhi, eppure osservando i capelli di Shoshanna avrebbe tanta voglia di regalarle uno di quei fiori che a luglio spuntano nei campi di grano. Non la conosce ma sa che se lo appunterebbe appena sopra l'orecchio, poi riderebbe di una risata cristallina, e di riflesso lo farebbe anche lui.
    Magari un giorno succederà pensa nel preciso momento in cui le iridi di lei si fanno grandi e più definite mentre gli spiega che si fida. Sì, lei di lui si fida, e quel rapido contatto sembra produrre una piccola scintilla che si perde sul fondo oculare. Niente di che, soltanto una scheggia di luce, eppure è sufficiente a illuminare tutto.
    Soltanto qualche mese adesso il suo pensiero torna al percorso che li aspetta: in men che non si dica sarà buio pesto, bisogna arrivare al checkpoint prima che faccia notte. Non è fretta di separarsi da lei, la sua, fosse per questo anzi Rémy rallenterebbe e prenderebbe nuove deviazioni fino ad arrivare al fiume Ner, si siederebbero sulla capote dell'auto e mangerebbero un pezzo di cioccolato per uno guardando il riflesso della notte di campagna dentro l'acqua. Insieme a Shoshanna conterebbero almeno il doppio delle stelle, distesi sopra quella coperta di lana grigia e spessa che il giovane tiene piegata sotto il sedile. Poi lei si addormenterebbe, e lui riporrebbe quel corpo piccolo e stanco dentro la macchina, rimanendo fuori a controllarlo, e a fumare, e a ripensare al suo odore fino alle prime luci dell'alba.

    Si schiarisce la voce quando ritorna in sé: stavolta Rémy sa di non avere molto scampo. Spera di arrivare presto al rifugio per lasciarla dormire al riparo, in un giaciglio di fortuna che le ha preparato due giorni prima. Lui resterà in macchina ed è meglio così, avrà più tempo per provare a dimenticarsi tutto di lei.
    Ah no, no, un soldato, no... Sono solo... fortunato, pensa, il buon nome di suo padre ed i soldi di sua madre suonano come una certezza all'orecchio tedesco. ...un civile, ecco tutto. Ma posso attraversare i confini, è per questo che Schindler mi ha contattato. Schindler è il nome dell'uomo della lista precisa troppo in fretta, ma poi conclude: Dimentica che io te l'abbia detto. Dimentica anche la lista, non c'è nessuna lista. si assicura, ma sa che lei lo può capire. Infine accende il transfer dell'autoradio e con orecchio teso gira e rigira la manopola per captare i segnali. Tutto quello che non si aspetta è che ne venga fuori un inequivocabile fruscio che significa che non sono troppo lontani da un'altra trasmittente.
     
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    A volte ti sei chiesta se la tua vita fosse davvero la tua. Sai che è una domanda stupida, è chiaro che, l'incubo in cui sei chiusa, che abbraccia il tuo corpo esile, in cui sei ammantata, non può che essere il tuo, eppure, ti sei ritrovata spesso a sentirti quasi distaccata dalla realtà intorno a te. Per un momento vorresti confessare quel tuo quesito all'altro, ti aspetti quasi che lui abbia tutte le risposte alle tue domande e sei, quasi certa, che non ti afferrerebbe per pazza, ma preferisci tacere rendendoti conto che quelle confidenze sono qualcosa che non ti appartiene, che non appartengono a due sconosciuti come voi.
    E' una spirale di momenti confusi quella che ti vortica nella testa, non sai dire quando sia l'ultima volta che hai abbracciato tuo padre, non lo facevi spesso e te ne sei pentita a più riprese. Fatichi a ricordare quando sia l'ultima volta che hai detto a tua madre che le volevi bene e sei certa che avrai tempo di pentirti anche di questo. Puoi giurare di non ricordare , se non in maniera sbiadita, neppure i volti delle persone che hai incontrato o dei tuoi vicini di casa in Francia, sei stata strappata così tante volte dalla terra di casa tua che hai imparato a non portare niente con te, neppure i ricordi, perchè quelli non sono altro che illusioni, stralci di sogno a cui ci si aggrappa e , a cui tu, non puoi permetterti di restare aggrappata.
    La tua è un'identità che non è mai divenuta reale, non sei più niente, tutto ciò che eri ti è stato portato via pezzetto dopo pezzetto, e anche il tuo tremare non è un vero tremare ma solo un altro frammento di te che se ne va, che vola via trasportato dalla brezza gelida, fuori dal finestrini del veicolo che sfreccia nella notte.
    Solo tu e lui in quella notte che sembra interminabile, che nemmeno l'alba di un nuovo giorno potrà spogliare della sua oscurità, i vostri pensieri vi trascinano lontani l'una dall'altro, eppure continuate a essere nello stesso posto.
    Mio padre lo era
    Quando lo dice i tuoi occhi scattano di nuovo sulla sua figura, sulle sue mani che ora sono strette al volante, le braccia tese in cui vorresti quasi accoccolarti, perchè sei certa che li troverai la pace che non trovi da nessun'altra parte. In quella frase rivedi un pò te stessa, quell'incapacità di identificarsi in qualcosa che sia solamente tuo e di nessun altro.
    Il tuo sguardo accarezza gentile il suo profilo e la sua pelle che risulta nettamente più scura della tua, bianca quasi come la neve che ricopre il paesaggio intorno a voi, una calma surreale che ti permette di indugiare qualche secondo in più sul taglio della sua mandibola che, seppur netto, continua a sembrarti gentile. E' giovane, ha qualche anno in più di te, ma riconosci il guizzo della gioventù nel suo sorriso appena accennato.
    Pensi a cosa faresti se non fossi costretta a fuggire, se foste da un'altra parte, in un'altra vita, molto lontana da lì. Ti chiedi come sarebbe stare con qualcuno, stare con lui, nessuno ha colto il virgulto dei tuoi anni, ma vorresti chiedere a lui di farlo, ed è un pensiero che ti fa arrossare le guance, le fa divenire dello stesso colore delle rose pallide; se morissi oggi vorresti almeno aver provato il tocco di un ragazzo sulla pelle, il respiro dell'altro sul viso, la sensazione di trovare un posto nel mondo. Vorresti quasi chiedergli di accostare ma stringi i denti sul labbro inferiore, tirandolo appena. E' un pensiero stupido e inopportuno. Lo tieni per te, ci sarà tempo per condividerlo con lui, perchè di questo sei certa, vi rincontrerete, dopo che tutto sarà finito e tu sarai finalmente libera. Ti piacerebbe passeggiare con lui tra le spighe sotto al sole di Agosto, o rimanere a guardare il suo profilo, illuminato solo dalla luce del camino di casa tua, negli inverni rigidi come quelli di oggi.
    Soltanto qualche mese
    La lista.
    Torni bruscamente alla realtà dei tuoi giorni, lasciando che il resto dei pensieri scivoli via, e quasi ne provi nostalgia di quel futuro che non vivrai mai
    << Perchè lo fai?>> ed è spontaneo chiederglielo, non capisci perchè qualcuno dovrebbe mettere in pericolo la propria vita per aiutare dei perfetti sconosciuti. Un traghettatore anonimo di cui nessuno ricorderà. Ricorderanno l'uomo della lista, di certo, Schindler si chiama, te lo svela, ma di certo nessuno si premurerà di ricordare il giovane che ti siede vicino
    << Ti ricorderò io>> sussurri ed è un soffio impercettibile e sconnesso da tutto quello che vi state dicendo ma è una promessa che fai a te stessa e che sputi fuori dai tuoi denti per rendere più reale
    Dimentica che io te l'abbia detto. Dimentica anche la lista, non c'è nessuna lista.
    Annuisci.
    << Quale lista?>> chiedi, e uno degli angoli delle tue labbra si alza in un guizzo ironico. Un'ombra che scompare quasi subito non appena lo vedi irrigidirsi mentre cambia le stazioni della radio. Non sei esperta di segnali radio, a dire la verità non sai nulla ma sei esperta dei guizzi del suo corpo, o almeno ti senti di esserlo, perchè riconosci la tensione da un leggero fremito delle sue dita sulla manopola. E' bravo a dissimulare ma tu lo hai catturato.
    << Che succede?>> chiedi ma non sei certa che lui ti risponderà. La neve ha smesso di cadere, io fiocchi leggeri non cadono più dal cielo e sei certa che sia un pessimo segnale
    << Arriva qualcuno, non è così?>> e le tue dita piccole e sottili vanno a stringere le sue. Forse gli avresti davvero dovuto chiedere di fermare l'auto qualche metro fa.


     
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    Perché lo fa?
    Rémy non sa esattamente cosa dire, quando le domande di Shoshanna si fanno fitte e più precise. Per risponderle dovrebbe prima spiegarle com'è essere nero in una città di bianchi, così come anche lei lo è. Bianca, tutta bianca, a momenti riesce a vederle le mille venuzze nell'incavo degli occhi, o quelle più verdine nell'interno dei polsi. E già che c'è dovrebbe pure dirle di com'è leggere il disappunto sulle bocche degli altri, portarsi a casa le loro espressioni cariche di meraviglia e all'improvviso cucirsele addosso per farsene un vestito scomodo e un po' brutto. La verità è che se Rémy fosse nato in un'altra famiglia quasi sicuramente sarebbe morto, invece lui è qui e vivo, ed esiste senza persino che sia un suo merito.In virtù solamente di essere un figlio di suo padre.
    Abbozza un movimento delle spalle come a volersi scrollare il peso della questione, e magari il succo sta tutto lì, nel fatto di provare disagio vero per essere stato fortunato e basta, per non essere nient'altro nella vita che soltanto questo: fortunato.
    Vedi le inizia a dire e la voce è appena più bassa del suo solito, quasi come se lui stesso avvertisse la necessità e l'urgenza di quella confessione. Fino a qualche tempo fa, quando la sera andavo a dormire e poggiavo la testa sul cuscino, dentro di me sapevo di non aver contribuito a niente. Questo mi faceva sentire quasi vittima della mia vita, un po' come se tutte le giornate fossero uguali a se stesse: la sveglia, il giornale, i pasti, il rientro. Fa una piccola pausa di un momento, il tempo giusto ad assicurarsi di non stare annoiando la ragazza. Vivo in una casa grande ma che non mi appartiene, e scrivo per un quotidiano che mi ha assunto dopo aver letto una lettera di raccomandazione. Invece quando faccio questo mi sembra finalmente di... esistere. Di avere uno scopo, di riempirmi la giornata. Non so se puoi capirmi conclude poi quasi frettoloso, Shoshanna è giovane, davvero troppo giovane per questo tipo di discorsi anche se una parte di Rémy è certa che lei abbia capito perfettamente.
    Quando soffia leggera che sarà lei a ricordarsi di lui gli occhi del ragazzo si fanno ancora più tristi perché all'improvviso si rende conto di quanto assurda sia quella conversazione. Dovrebbe solamente portarla al rifugio, dovrebbe guidare con attenzione e monitorare la radio. E lei, Shoshanna, non dovrebbe sorridergli così e nemmeno avere nello sguardo la dolcezza delle carrube. Invece incredibilmente, dentro quella Käfer nera e un po' ammaccata sembra che la guerra non esista più. Sembra che non ci sia alcuna differenza fra i loro due colori, fra le loro storie; di colpo le loro solitudini sembrano aver trovato un punto di rottura da cui lasciare entrare una piccola luce, e per quanto il mondo fuori continui ad essere freddo e grigio, dentro quell'auto c'è un calore e una morbidezza che Rémy sente di non aver mai provato prima.
    Sarebbe bello durasse ancora un poco, come quando sua mamma gli raccontava l'ultima favola prima di andare a dormire e lui, capriccioso, ne voleva ancora; ma il tempo delle favole è ormai finito per entrambi e adesso è un suono gracchiante a riportarli alla realtà.
    Shoshanna chiede, non è certo stupida. Quelli che fuggono sanno sempre quando sta per succedere qualcosa, e lui è quasi sicuro che anche lei lo sappia già.
    Ancora non lo so recide netto, e continua ad armeggiare per sintonizzarsi sulla frequenza giusta. Potrebbe essere un traliccio, o forse una torretta delle stazioni meteo, una di quelle nuove di zecca che il governo ha fatto montare appena un anno prima. Eppure, mentre molte altre spiegazioni sembrano venirgli in mente, Rémy realizza che quello a cui sembra appendersi sono solamente delle scuse: lì, fra gli alberi e nel bel mezzo del nulla, di certo nessun segnale di ricezione radio sarebbe reso disponibile ed è molto più semplice - per quanto anche spaventoso - rassegnarsi all'idea che qualcuno li stia seguendo.
    Inspira, e le dita sottili di lei intrecciano quelle sue appena sopra la leva arrugginita del cambio. Quanto veloce puoi correre? le chiede eludendo la sua domanda e, per la prima volta da quando la macchina è in moto, si volta per riguardarla. Potrebbe darsi che non la rivedrà mai più, pensa, così si affretta a fissare in quella che potrebbe essere l'ultima volta l'immagine del suo viso dolce e curioso. Poi apre il palmo e lo richiude in una stretta saldissima,
    che nessun dito esca senza il mio permesso sembra quasi dire, e conclude: Adesso andrò più veloce, tu dovrai contare fino al dieci e sul dieci aprire lo sportello e rotolare fuori dall'auto
    Si rende conto che tutto sembra quasi surreale, ma non c'è tempo, non c'è più tempo per le spiegazioni quindi si affretta con foga mentre continua a guidare, spostando lo sguardo dal suo viso alla strada, poi di nuovo sul suo viso, voltandosi indietro di tanto in tanto per notare altra polvere più distante che sale. Stanno arrivando.
    Dovrai fare esattamente come ti dico, mi segui? Conta fino a dieci, apri lo sportello e rotoli giù. Poi inizi a correre, devi correre più veloce che puoi Shoshanna, mi stai ascoltando? e la macchina ruggisce e l'acceleratore parte, e la polvere si leva e Rémy può percepirla quasi tremare, la ragazza che ha di fianco. Corri finché non vedi la staccionata azzurra, poi conti sette alberi e troverai un pozzo. Devi saltarci dentro, non è molto alto ma è importante che tu lo faccia. Saltaci dentro e aspettami, io ti raggiungerò lì .
    L'ultima cosa che i suoi occhi vedono è la mano di Shoshanna dentro la sua, poi arriva il dieci.
     
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    Continui a spostare lo sguardo dalle tue mani, lasciate sul grembo, le dita a tamburellare una melodia invisibile che esiste solo nella tua testa, e che è uno di quei canti che tua madre cantava sempre quando eri bambina, al paesaggio all'esterno del veicolo. Sembra tutto così quieto, lì, nelle vie della campagna che avete preso, per dare meno nell'occhio, sembra che la guerra non sia mai arrivata, che l'uomo, nonostante tutto, non sia riuscito a piegare la natura. La neve candida ricopre tutto e ti chiedi quanti corpi ormai siano sepolti e dimenticati sotto quella neve. Vorresti tornare a guardare Remy ma non lo fai, nel pudico rispetto che ti hanno insegnato, abbassi appena il capo nell'ascoltare la sua spiegazione. Non è difficile per te capirlo, nonostante sia una vita molto diversa dalla tua che neppure ti sei affacciata all'età adulta
    Vivo in una casa grande ma che non mi appartiene, e scrivo per un quotidiano che mi ha assunto dopo aver letto una lettera di raccomandazione. Invece quando faccio questo mi sembra finalmente di... esistere. Di avere uno scopo, di riempirmi la giornata. Non so se puoi capirmi
    Niente gli appartiene, come niente appartiene a te. Non siete di nessuno ma niente è vostro ed è in quell'assenza di possesso che vi ritrovate ad appartenere l'una all'altra, lui la tua salvezza, tu l'infanzia dimenticata.
    << Sei parte di qualcosa ... Si, lo capisco, io ancora devo trovare un modo per sentirmi così >> nonostante la tua religione sia estremamente inclusiva e i suoi seguaci estremamente legati tra loro, nonostante quella fitta trama, tu ti senti comunque avulsa da quel contesto. Preghi, hai fatto il tuo bat mitzwah, sai a memoria ogni festa, ogni tradizione e regola ma non per questo ti senti parte di quello schema. Tutt'altro. Lo fai come lo farebbe un'automa, senza slancio. Automaticamente chiedi mentalmente perdono di ciò che hai pensato, se il rabbino ti sentisse probabilmente gli verrebbero istantaneamente i capelli bianchi. Sorridi appena, prima che lui ti guardi di nuovo, sento il suo sguardo anche se il tuo è fisso sulle tue dita e non osi incrociare il suo. C'è qualcosa che senti nell'aria, qualcosa che ti riempie i polmoni dell'odore dolciastro del tabacco mischiato alla sua colonia, che vi rende simili anche se così dissimili e che ti spinge l'aria nei polmoni, che preme il diaframma pur di uscire ma non apri bocca, con la paura che ciò che diresti non potrebbe essere capito, che venisse giudicato sconveniente e fuori luogo.
    Ma tu fuori luogo ti ci senti sempre, come ci si sente lui. Lui è lo specchio dei tuoi dubbi, di quelli che hai sempre portato con te, ecco, in effetti c'è qualcosa che ti appartiene: il dubbio. Non progetti il futuro, non l'hai mai fatto neppure quando sarebbe stato ritenuto normale tu lo facessi, hai sempre rifiutato ogni pretendente che i tuoi genitori ti hanno proposto, non importava quanto fossero belli, o quanto fossero intelligenti o quanto la loro fosse una famiglia per bene, non avevi alcun interesse e i tuoi occhi su di loro si poggiavano sprezzanti, con l'indelicatezza del disinteresse. Eppure ora, nel momento più sbagliato, tu ci pensi a quel futuro e immagini come sarebbe poter conoscere meglio il mondo insieme al ragazzo che siede di fianco a te, in silenzio. E' un tipo taciturno, e il silenzio usualmente ti spaventa, ma non il suo, perchè è come se tu potessi sentire esattamente tutto quello che pensa anche se le sue labbra non si schiudono su alcun che. Il tuo sguardo su di lui si poggia delicato come un carezza, con lo stesso timido riserbo che dedichiamo solo alle cose che vogliamo tenere al sicuro da sguardi indiscreti, persino dal nostro sguardo indiscreto.
    Quei pensieri vengono interrotti bruscamente e il ritorno alla realtà ha il sapore ferroso del sangue che ora ti invade la bocca dopo che hai , involontariamente, morsicato l'interno della tua guancia.
    Lo guardi, lui ti guarda e potresti giurare che nessuno ti abbia guardata con tanto sentimento prima d'allora e lo trovi assurdo visto che neppure sapevate dell'esistenza l'uno dell'altra fino ad un'ora prima
    Ancora non lo so
    Ma tu hai la netta sensazione che lui lo sappia ma che non voglia dirtelo, non voglia dartene l'amara certezza. Stringi le sue dita e vorresti solo poter sparire in un punto lontano del mondo insieme a lui, vorresti avere braccia abbastanza forti da rinchiuderlo, vorresti avere abbastanza potere da andar via di lì, non importa dove, sei convinta che ogni posto andrebbe bene, che anche l'inferno diventerebbe casa se lui fosse lì a guardarti come fa in quel momento
    Quanto veloce puoi correre?
    E ora è certezza. Una certezza che pesa come un macigno, e da cui lui ti salva stringendo le tue dita gelide per la paura in una stretta che non lascia scampo, ma è una prigione decisamente diversa da quella in cui ti senti intrappolata
    << Abbastanza veloce >> almeno credi, non hai fratelli, ne sorelle, non hai mai corso con loro a perdifiato solo per la curiosità di vedere chi sarebbe arrivato primo, non hai nessuno tu, a parte lui e anche lui forse ti sarà strappato via molto prima di quanto avresti voluto, di quanto avresti immaginato.
    Adesso andrò più veloce, tu dovrai contare fino al dieci e sul dieci aprire lo sportello e rotolare fuori dall'auto
    << No, tu devi venire con me, loro ti troveranno, devi venire con me >> protesti con la voce che è diventata un lamento, uno di quelli che le donne cantano durante i funerali, lo stesso è il fiato che ti esce dalle labbra che tremano e si sono fatte pallide. Ti fidi di lui ma non vuoi che lui si divida da te, qualcosa ti dice che se vi dividerete le cose non andranno bene, vorresti avere il tempo di spiegargli tutto in quei secondi ma non lo hai e lui continua, quasi supplicandoti
    Dovrai fare esattamente come ti dico, mi segui? Conta fino a dieci, apri lo sportello e rotoli giù. Poi inizi a correre, devi correre più veloce che puoi Shoshanna, mi stai ascoltando?
    Annuisci ma le lacrime già ti rigano il viso, sei solo una bambina e desideri non essere mai nata, perchè non hai colpe ma c'è qualcuno che ti insegue come se ne avessi, perchè alla tua età dovresti preoccuparti di vestiti, di libri nuovi da comprare, di come acconciarti i capelli e non di come fuggire, di come tentare di non morire. Tremi e lui continua a stringerti la mano. Vorresti che il tempo si fermasse in quell'istante, un momento infinito ma il tempo è vostro nemico, non si ferma ma , anzi, sembra quasi acellerare come il veicolo di cui le gomme stridono sulla strada ghiacciata
    Corri finché non vedi la staccionata azzurra, poi conti sette alberi e troverai un pozzo. Devi saltarci dentro, non è molto alto ma è importante che tu lo faccia. Saltaci dentro e aspettami, io ti raggiungerò lì .
    << Sette alberi, un pozzo>> te lo ripeti perchè hai quasi paura di dimenticarlo, stringi ancora la sua mano mentre lui comincia a contare, mentre la mano libera va sulla leva dello sportello e preghi le tue gambe di non tradirti
    << Mi raggiungerai, lo hai promesso >> dici, lui ha promesso di proteggerti, è bene che porti la sua promessa a termine, non perchè tu abbia bisogno di essere protetta, più perchè vuoi che sia lui a farlo, perchè non credi di poter vivere un altro solo giorno felice se non rivedrai i suoi occhi scuri fissarti. Vorresti dire altro, in quell'ultimo secondo che manca , vorresti dirgli tutta la tua vita e vorresti che lui ti dicesse la sua ma lascia la tua stretta e l'ultima cosa che vedi prima di lanciarti dalla macchina ancora in corsa, sono le sue dita aprirsi e l'odore della sua colonia invaderti i polmoni.
    Ruzzoli per un metro almeno, senti la neve entrarti tra i capelli e l'umido appesantirti il vestito, senti freddo sin nelle ossa ma non è la neve quella, ne il freddo pungente, è il gelo della morte che ti insegue, che ti è alle calcagna. Le lacrime scivolano via dal viso mentre corri a perdifiato, un fiato che si spezza, i polmoni che bruciano investiti dal freddo di Novembre.
    Corri tra i campi, è buio pesto e senti gli steli ghiacciati delle erbaccia frustarti le ginocchia, le spine dei rovi tra cui sei costretta a passare senza poter rallentare la tua corsa, ficcarsi nella carne morbida dei polpacci ma continui , hai promesso a lui di farcela, di correre più veloce che puoi.
    Senti dei cani in lontananza, e delle urla arrivare alle tue orecchie. Vorresti quasi strappartele via pur di non sentire quella lingua spigolosa entrare nella tua testa e ti sembra di essere in uno di quei terribili incubi che avevi da piccola, dove correvi ma rimanevi sempre nello stesso punto, continui a correre e le radici degli alberi che dovresti contare diventano tue nemiche, nascoste sotto la coltre di neve ti fanno inciampare, ti rialzi frettolosamente strappando il cappotto, i rami ti tirano via una ciuffo di capelli e per il dolore vorresti urlare ma hai ancora la flebile speranza che non ti abbiano individuata, che stiano battendo i campi alla cieca.
    Senti le grida più vicine, le senti ovunque, dietro di te, davanti a te e il fiato si accorcia, vorresti solo fermarti e riposarti ma non c'è riposo per te, e ti chiedi se lui sia in salvo, lo speri, speri che almeno lui sia riuscito ad arrivare a quel pozzo.
    Una torcia ti si punta in faccia, la luce è così forte da costringerti a ripararti con le mani di fronte al viso, le torce diventano due, poi tre, poi quattro e nel giro di pochi secondi sei circondata e le tue mani vengono strette dietro la schiena. Il soldato, senza grazia, ti da un calcio dietro alle ginocchia per farti piegare.
    Continua a parlarti in tedesco e tu rispondi in francese, dici che non capisci, che non sai cosa stiano dicendo, ed è a quel punto che uno di loro comincia a risponderti nella stessa lingua masticata male, tanto che devi sforzarti per capire. Ti sta chiedendo sei sei Shoshanna Raimbauds. Hanno trovato il tuo cognome. Sanno chi sei. Pensi te lo stiano chiedendo solo per averne la certezza schiacciante
    << No >> rispondi tremando, dici che sei una mendicante ma che ti sei spaventata per i loro cani che ti inseguivano e che , istintivamente hai cominciato a correre. Dici che non hai genitori. Ma il soldato non sembra dar molto credito alle tue parole
    << Abbiamo il ragazzo che viaggiava con te, se vuoi vederlo vivo sarà meglio che tu ci dica la verità>>
    Scuoti la testa, ma non versi lacrime, non regalerai a loro niente, neppure un centesimo di quelle lacrime e potresti salvarti forse, sacrificando il giovane , potresti ma non lo fai quella è la tua colpa da espiare non la sua
    << Sono Shoshanna Raimbauds>> ammetti. Ti alzano con poca grazia e ti trascinano via dai campi. Il soldato che ti ha ammanettato stringe una mano nei tuoi capelli e tira così tanto che temi possa farti lo scalpo, continua a gridare in tedesco, deduci che ti stia dicendo di muoverti ma sei dolorante e lui tira i tuoi capelli così tanto che ciocche intere cominciano volare via dal suo guanto e si disperdono sulla neve bianca. Li maledici, in un sussurro impercettibile, in ebraico, li maledici tutti.
    Ed è solamente dopo cinque minuti di quel martirio che, di nuovo, in mezzo alla strada sterrata, ti obbligano ad inginocchiarti, e le ginocchia si feriscono a contatto con i sassi ed il ghiaccio e i tuoi occhi guizzano da una parte all'altra, impazziti, fermandosi solo quando la figura di lui ti accoglie di nuovo.

     
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    I minuti che seguono paiono interminabili ore che si dimenticano di scorrere, e per Rémy è come venire fuori da un improvviso risveglio in una tiepida domenica mattina. Se le mani sono salde al volante, se i suoi occhi sono fermi sulla linea più lontana dell'orizzonte, la mente invece sta già viaggiando più veloce alla ricerca di una qualche soluzione. Si maledice in silenzio, si sente colpevole di quella piccola distrazione. Si maledice per essersi lasciato coinvolgere troppo e per non avere, adesso, il distacco necessario a ponderare una buona soluzione. La verità è che è difficile concentrarsi mentre le piccole mani di Shoshanna tremano disperate nell'abitacolo della macchina.
    Rémy vorrebbe tornare indietro, cambiare strada, vorrebbe non averla mai liberata del peso di quel piccolo fagotto nè averla guardata tanto bene in quegli occhi specchiati di cielo, perchè adesso è convinto di non potersene più liberare.
    Le chiede se sa correre ed è certo che lei menta per coprire la mancanza dal modo prontissimo in cui gli risponde.
    Abbastanza veloce non è mica abbastanza. Abbastanza non è totalmente, e nonostante il gioco di parole lui già sa che non basta. Inspira secco mentre la polvere alle sue spalle si leva sempre più velocemente, mentre Shoshanna d'improvviso è più bambina di prima, mentre s'incapriccia per non lasciarlo andare. Rémy la interrompe con fare brusco e ancora le stringe la mano mentre parte la conta. Con la coda dell'occhio la vede piangere e vorrebbe raccogliere quella lacrima con la punta delle dita perchè in parte riesce a sentirsene colpevole, colpevole di averle regalato l'aspettativa di una speranza che adesso sembra sempre più impossibile da rispettare, e gli pneumatici non smettono di stridere sulla terra coperta da una poltiglia di fango e ghiaccio.
    Il secondo numero dieci dura tutta l'eternità, Shoshanna fa in tempo a strappargli una promessa prima di fare leva sulla maniglia della portiera, e Rémy abbozza un sì con la testa, per poi accompagnare il salto di lei con una forte spinta contro la sua schiena. Chissà se le ha fatto male, chissà se l'impatto è stato brusco.
    Non ha più risposte a questa ed altre domande quando al chilometro 586 l'ebrea spicca il suo breve volo, rotolando giù dalla cunetta.
    Le loro strade si dividono.



    Li sente, i cani.
    La macchina prende un fosso e fa presto inversione e non è semplice correggere il tiro e andare avanti, la strada è sdrucciolevole. Liscia, troppo liscia per quelle gomme piatte. La Kaefer ruota su se stessa e poi ha quattro sbandate ma Rémy tiene forte la mancina sul volante e con la destra gioca di cambio. Lo ha già fatto altre volte, può ancora recuperare terreno.
    Adesso, col latrato di sottofondo e in mezzo a quella foresta buia si domanda perchè lo abbia fatto, perchè separarsi gli sia sembrata la scelta più saggia. Chissà da quanto tempo li seguivano, inizia a pensare, chissà se l'hanno già trovata.
    Guida testardo da quindici minuti esatti e già nessuno più lo segue e tutto gli sembra assurdo, così assurdo che vorrebbe sbattere la testa sul cruscotto a più riprese e inveire contro un cielo che stanotte non restituisce alcuna stella.
    Volevano solo Shoshanna? L'avranno vista?
    Perchè c'è silenzio, adesso?
    Il piede si fa pesante sul pedale dell'accelarazione, è quasi arrivato al nascondiglio ormai e spera di fare prima che il serbatoio sia completamente vuoto, eppure si chiede come sia possibile aver terminato il rifornimento di benzina che ha fatto così decelera e guarda appena dietro alle sue spalle ma scopre di perdere combustibile da almeno un chilometro, forse qualcosa in più. Si sente stanco, completamente, mentre continua a percorrere quelli che sembrano gli ultimi metri del tragitto: forse questa volta era così che doveva finire, forse in quelle precedenti era stato fin troppo assistito dal fato. Suo padre una volta gliene aveva parlato nel fiore dei suoi pochi anni, gli aveva detto di quel suo dio che aveva appeso un grande libro al suo collo, e su questo libro ci aveva scritto le sue sorti. Forse davvero quella sorte era stata già scritta, ma allora a cosa erano valsi i suoi sforzi per apparire migliore? Magari Allah lo aveva persino predetto e così un giorno lui si sarebbe ritrovato a prendere in mano quel tomo e, sfogliandolo in avanti, ci avrebbe ritrovato scritto tutto esattamente così come era già accaduto.
    Sta pensando a questo quando uno sparo si libra nell'aria e dall'autoradio parte una piccola scintilla. Così Rémy ferma la macchina perchè adesso sa che a nulla serve tentare di fuggire, soprattutto quando è notte, hai il serbatoio vacante e l'animo in pezzi. Inshallah.

    Gli riempiono la faccia di schiaffi mentre gli gridano contro. Qualcuno lo riconosce perfino - no, riconosce suo padre, il suo cognome è scritto sul libretto di circolazione della macchina. Qualcuno lo deride, qualcuno gli chiede come gli sia saltato in mente.
    Qualcuno gli ricorda che è uno sporco straniero, e che stavolta il suo tradimento difficilmente verrà perdonato dal Reich; che gli occhi da chiudere sono finiti da un pezzo. I suoi di occhi adesso sono lividi e gonfi, il sinistro quasi non si apre e dall'iride destra sgorga sangue a dismisura. Lo hanno percosso uno alla volta, poi tutti insieme, ma Rémy non ha aperto bocca nemmeno quando hanno avanzato minacce.
    Inshallah, adesso pensa. Ogni cosa accada perchè il dio di mio padre lo vuole.
    Inshallah.
    E con un calcio netto lo rigettano nel ghiaccio mentre la voce di Shoshanna fa presto a manifestarsi al suo orecchio ancora attento. Si alza in piedi di scatto e un ufficiale gli ha appena sputato addosso, ma non è importante.
    Soshanna è viva. E' lì. L'hanno trovata.
    Sotto il velo rossastro di sangue riesce a distinguere la sua sottile sagoma minuta e ora è troppo tardi persino per chiederle scusa, sotto lo schiaffo del nemico, eppure ritrovarsela lì per un istante è di nuovo come avere l'ultima opportunità per adempiere a quella promessa.
    Promesso. riesce solo a dirle. Poi le sorride di un sorriso che graffia.
     
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    La paura ti fa tremare fin dentro le ossa e se non fossi così arrabbiata forse riusciresti perfino a piangere, a pregarli di lasciarti andare ma non lo fai, perchè trovi tutto quello che ti sta accadendo troppo ingiusto. Non riesci a credere ora a quello che ti hanno sempre detto, non riesci a credere che il tuo Dio abbia un progetto più grande per te, se ci fosse qui il rabbino ora gli grideresti in faccia con tutta l'aria che i tuoi polmoni riuscirebbero a prendere, gli chiederesti dov'è Dio adesso e perchè fa questo al suo popolo? Sai che rinnegare quel piano è al pari della bestemmia ma non vedi la mano salvifica di quell'entità che dovrebbe proteggere te, che dovrebbe proteggere tutti voi, non vedi nulla se non l'asfalto che continua a ferirti le ginocchia e sul quale punti gli occhi.
    Un vociare, un rumore, lo spostamento dell'aria che porta con sè il profumo del tabacco e della colonia che hai imparato a riconoscere in quelle poche ore passate insieme, mischiato all'odore del sangue, ti fa alzare gli occhi e ti fa incrociare i suoi. Tutti i tuoi muscoli, seppur affaticati, si contraggono, vorresti alzarti e raggiungerlo, tentare di medicare le ferite che gli vedi addosso e quelle più invisibili che non puoi vedere ma che puoi sentire, perchè, in un momento, ti sembra di poter sentire tutto quello che prova e vorresti poter essere la sua ancora salvifica, esattamente come lui lo è stato per te, anche solo se per poco. Ti ha dato una possibilità che non c'era prima, ha aperto una porta che era chiusa, ti ha fatto vedere che avresti potuto avere di più, una vita tranquilla ma è stata strappata via dalle tue mani troppo in fretta.
    Promesso
    Senti la sua voce ovattata, ed il sorriso che tenta di dedicarti riesce a scuoterti le viscere, cerca il coraggio nel fondo dello stomaco, lo trova e ti fa parlare
    << Lasciatelo, vi prego, lui non c'entra niente, è stata colpa mia, vi prego >> e mai avresti pensato di supplicare tu, supplicare altri al di fuori di Dio ma sembra che tu sia destinata a non essere ascoltata nel dal cielo, ne tantomeno, dalla terra. Ti guardano, sbottano a ridere così sguaiatamente che capisci la presa in giro anche se non capisci una parola di quello che si dicono tra loro
    << Vi prego >> e ti pieghi in avanti, la fronte batte sul ghiaccio, le labbra lo sfiorano << vi prego, lasciatelo, vi prego, avete me, cercavate me >> dici ed è un soffio così flebile che dubiti quasi che ti possano sentire ma di nuovo, il soldato che strazia la tua lingua natia, ti risponde, ti dice che lo lasceranno andare se tu prometti di non tentare di scappare
    << Je promets, je promets,>> singhiozzi ed un altro ti prende nuovamente per i capelli tirandoti su, trascinandoti di fronte al ragazzo e solo ora ti accorgi che le ferite sono molte di più di quante ne potevi contare dalla distanza.
    E' così vicino che ti basterebbe tendere una mano per toccarlo e, inspiegabilmente, uno dei soldati ti leva le manette. Tendi le dita verso di lui ed è mentre sfiori le sue che di nuovo un calcio di fa cadere a terra
    - Una vita per una vita -
    Questo ti dicono in tedesco, capisci poco ma ti sembra suonare come una condanna, un patto da cui sarebbe inutile tentare di sottrarsi, la tua vita sarebbe segnata ugualmente, speri almeno di salvare la sua, alzi gli occhi li punti verso di lui che è così vicino
    Adieu Shossanna Raimbauds -
    < Viens me voir>> dici mentre la neve comincia di nuovo a cadere, prima che lo sparo parta e tutto diventi buio.
    Finiranno anche le fiamme ma il dolore no
    E non puoi uccidere l'amore ma l'amore può

     
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