Le Isole Fær Øer

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    Da quando frequentavo l’accademia avevo notato che anche spostarsi tra i vari paesi era più semplice, per esempio il mio prof di magizoologia avanzata mi aveva chiesto di fare delle ricerche che richiedevano la mia presenza fisica nelle terre del patto scandinavo, e precisamente nelle Isole Fær Øer.
    Non ci ero mai stata per questo ero rimasta affascinata dal posto.
    C’erano case colorate ovunque, e strapiombi così belli che veniva voglia di affacciarsi continuamente di sotto, e magari anche buttarcisi.
    No dai, nessun istinto suicida, solo cose belle da vedere e anche da provare.
    Le creature da monitorare erano degli Jaralda ma erano diversi da quelli Irlandesi, avevano per lo più il becco diverso, e si pensava anche il processo di fecondazione.
    Stavo li da due giorni e per quanto tutto fosse molto bello, come stare a guardare quei piccoli pinguini, quel pomeriggio sentivo proprio il bisogno di fare quattro passi.
    Ne avrei approfittato per guardare un po' le vetrine e magari avrei assaggiato la famosa e bizzarra cucina del posto.
    Stavo osservando per l’appunto un quarto di pecora appeso in vetrina, e mi stavo dispiacendo per quella povera creatura quando intravidi nel riflesso l’immagine del mio ex professore di difesa.
    Così pensai bene di salutarlo.
    Mi voltai, gli sorrisi anche e lo raggiunsi – professore, buongiorno, è appena passato un semestre e già non si ricorda più di me?- non mi era sfuggito lo sguardo stranito con cui mi stava guardando quindi preferii toglierlo dall’imbarazzo presentandomi – Genneya Walton, mi sono diplomata l’anno scorso, cosa ci fa alle isole Faer?-

    Edited by __Grace__ - 8/2/2021, 12:35
     
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    Oh si, chiamatemi sentimentale ma sono uno di quelli che crede fermamente nel fatto che le strade nuove fanno schifo. Nella foresta nera c'è un detto che recita più o meno -Preferisco prendere in faccia sempre la stessa porta-. E parliamone, scegliere una divinatrice in erba era stato un errore colossale, era molto meglio sceglierne che si avvicinassero ai centodue anni, perchè quelle si che non avevano mai torto.
    "E semplicemente, non vedrai mai più tua figlia".
    Avevano ragione anche quando volevi che non ne avessero. Le vecchie divinatrici avevano nomi fantasiosi e rispettosi della loro natura, e la donna che avevo trovato, Vyndra delle Øer, non era da meno. Le regole per una ottima divinazione sono almeno tre: anzianetà, una piccola baracca e un odore di un qualche merda di incenso acceso. Quando avevo varcato la soglia, mi ero accorto che la donna li aveva tutti. Vedendomi odorandomi, aveva avuto un conato. Mi dice, mi succede spesso con chi è come te, con chi si porta dietro così tanto. Dico che lo so.
    Il centro delle Isolette è talmente piccolo da ricordarmi quel piccolo convoglio di case in Siberia, dove ero stato per liberarmi di quella strega. Piccole insignificanti casette dal colore ben visibile al di là della neve.
    Si dice che chi moriva di morte violenta o suicidandosi, si trasformava in foca. Una volta all’anno però questi esseri potevano ritornare nella loro forma umana per festeggiare gioiosamente fino al sorgere del sole, quando avrebbero dovuto reindossare la loro pelle di animale.
    Che stronzate.
    Si narra che una notte un giovane contadino del villaggio di Mikladalur scorse un gruppo di foche nuotare fino alla spiaggia e trasformarsi in esseri umani. Tra questi notò una donna bellissima e, per evitare di perderla, le rubò la pelle di foca nascondendola in un baule.
    La donna, scoperto il furto, grazie all’olfatto giunse al contadino che, nonostante le suppliche, obbligò la fanciulla a sposarlo. Ebbero dei figli, ma il contadino teneva la chiave del baule sempre con sè, legata saldamente alla cintura fino al giorno in cui, in barca, si accorse di averla dimenticata a casa. A nulla valse la corsa verso casa: la donna era ormai sparita e tornò dal suo primo marito, anch’egli tramutato in foca, partorendo altri cuccioli.

    Il gelo mi era entrato nelle ossa, e il fumo della sigaretta era talmente denso a contatto col freddo che colpiva con forza la vetrinetta davanti a me. Ossa e carni appese come maestosi bottini di guerra.
    La donna-foca però, in occasione del successivo periodo di mattanza delle foche, apparve in sogno al contadino supplicandolo di risparmiare la sua famiglia “marina”, descrivendola nei minimi particolari. L’uomo però non diede peso alla visione ed il marito ed i cuccioli di Kópakonan perirono; la loro carne arrivò proprio sulla tavola del contadino ma in quel momento la donna-foca, nelle sembianze terribili di un troll, sopraggiunse in casa e lanciò una maledizione: tutti gli uomini di Kalsoy sarebbero morti, giù dalla scogliera o in mare.
    L'anatema lanciato non servì a niente, tutti vivi e vegeti. Perchè le maledizioni non sono come le letture.
    Una ragazzina mi si affianca e mi parla, ma capisco fin troppo velocemente dove vuole arrivare.
    La verità è che non c'è gran che da fare, se è una lettura, dvi solo trovare il modo per organizzarti perchè non accada.
    Mi prendo tanto di quel tempo per rispondere, mentre una espressione di disgusto misto odio e repulsione mi cavalca il viso, rendendosi palese nonostante il cappello e il colletto ben alzato. "Sparisci spiona".




    Edited by .Ichabod. - 9/2/2021, 22:11
     
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    Fu abbastanza chiaro che l’uomo che avevo davanti non fosse Cristobal Alvarez.
    Eppure era così simile, ma solo nell’aspetto eh, nei modi per niente.
    Il professore aveva un sorriso che illuminava tutto quanto ogni volta, e mai avrebbe detto così a una persona, neanche se no la conosceva.
    -Sa che non si dice così? – cercai comunque di essere gentile con lui, magari non stava bene, era stanco e voleva solo stare da solo, quindi gli avrei detto solo una cosa, perché potesse non sbagliare nel futuro, e poi sarei andata via.
    -Potrebbe ferire qualcuno e non sarebbe carino
    Ma io non me l'ero presa, e per farglielo capire canticchiai una canzone
    -“Pittore, ti voglio parlare
    Mentre dipingi un altare
    Io sono un povero *****
    E d'una cosa ti prego
    Pur se la Vergine è bianca
    Fammi un angelo *****
    Tutti i bimbi vanno in cielo
    Anche se son solo *****”-

    Lo guardai e gli sorrisi – questa canzone mi fa sempre venire in mente una storia, che me l’ha raccontata una bambina che conosco, ormai una ragazza- si sapeva quanto gli adolescenti potevano prendersela per certe cose – parlava di un bambino, si chiamava Silas, e diceva che anche se tutti i bimbi vanno in cielo lui non ci voleva andare, se prima non rivedeva suo padre- una storia davvero triste ce mi aveva fatto piangere – la mamma era scappata dal papà di questo bambino, perché forse aveva paura di lui, e quindi credo lo stia ancora aspettando-
    mi voltai verso l'uomo che ora aveva un'espressione molto diversa da quella di prima così mi ritrovai a chiedergli - si sente bene?-
     
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    Porca di quella sfiga maledetta. Io persino su un'isola dovevo essere rotto le palle dalla Matrioska dalla faccetta colorata, persino qui, lontano da tutto e tutti. "Tipico delle minoranze etniche volere che gli altri siano politicamente corretti".Io odiavo tutti indiscriminatamente, non celavo razzismo etnico io. Lo sguardo di disgusto che mi si dipinge sul volto, facendomi arricciare labbro e naso è così evidente alla fine della sua litania che non servono parole perché capisca che sto per andarmene.
    parlava di un bambino, si chiamava Silas.
    Non passa molto perchè mi volti verso di lei, e a falcate così ampie e veloci al punto che non può scansarsi, viene sollevata da terra una volta afferrata per il colletto aperto del giubbino. La schiena rivestita di un soffice e morbido strato del piumino si sgonfia contro il muro adiacente alla vetrina della macelleria. E ci vuole ancora meno perché i denti scoperti come un cane rabbioso si mostrassero, accompagnando la punta della bacchetta nera come la pece contro la sua guancia. La punta si adagia contro la guancia colorita, ma quasi come se dovesse preoccuparsi più del mio viso che della mia bacchetta, non ci leviamo gli occhi di dosso.
    "Chi ti ha mandato" oh, nel nostro circolo è molto più facile pensare che qualcuno ti abbia mandato una ragazzina a farti secco, o che abbia trangugiato polisucco e vodka per ingannarti. Molto più facile che pensare non so, che sia un caso o che sia semplicemente destino. Il venditore, imprudente, spalanca la porta di ingresso, chiedendo presumibilmente se fosse tutto in ordine, gli ringhio di tornare nel negozio e torno alla ragazzina con gli occhi.
    Quella stanza vuota al mio ritorno aveva aperto una voragine talmente grande da valutare l'idea di togliermi la vita senza margine di errore alcuno. Sembrava che nessuno volesse avere a che fare con me o con lei, ma alla fine mi era stato chiaro il perchè, differentemente da quanto auspicato, mio fratello e il mio fraterno amico Michael la stavano proteggendo dall'inizio. Ed ecco che la sua sfortuna sfacciata, e la mia idiozia nel scegliere dei segugi inutili e completamente idioti, si era trasformata in una perfetta scena di burattini comandata all'epoca da chi aveva più soldi e più potere.
    Mi avevano levato ogni cosa, perchè non avevo deciso di piegarmi, di far fare loro bella figura, di tagliare i miei fili. Mi avevano levato me, e tutto quello che avrei potuto avere, come si leva la razione di cibo e di acqua al cane cattivo.
    No no oggi non si corre al parco.
    No no oggi non si ha l'osso. Sei stato un cane cattivo.
    "Che cosa vuoi da me" e sibilando "Dammi un buon motivo per non ucciderti".


     
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    Non era il primo e non sarebbe stato l’ultimo a reagire in un modo così poco appropriato con me.
    Ricordavo ancora quando un serpeverde di qualche anno più piccolo di me aveva insistito col volermi far vedere come uccideva un coniglietto.
    Mi aveva messo la faccia su quella carcassa, e me l’ero sognato per giorni interi.
    Lui non era diverso, approfittava della sua forza fisica per mettermi in difficoltà.
    Ma io ero sicura che non sarebbe successo niente, perché probabilmente era solo arrabbiato, avevo forse detto qualcosa che non dovevo dire, senza volerlo.
    Perché quello che leggevo nel suo sguardo, era puro terrore.
    -Il mio professore di Magizoologia, dovevo monitorare degli Jaralda- gli risposi senza problemi, in fondo non era mica un segreto di stato quello.
    Né ero convinta stessi facendo niente di male.
    -Cosa le ha dato fastidio, precisamente?-
    Lui continuava a guardarmi e io facevo altrettanto pensando quanto fosse davvero simile al professore.
    Eppure al contempo così diverso.
    A cominciare dalle occhiaie che aveva sotto gli occhi, alla follia nel suo sguardo.
    -Io non voglio niente da lei, non credo che avrebbe mai niente da darmi- gli misi allora la mano sulla sua, quella che stringeva particolarmente il colletto – io non ne ho di motivi, e immagino che non potrei fare niente se volesse uccidermi, quindi forse le chiederei solo il favore di essere veloce, ho un po' paura del dolore-
     
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    Ero uno di quelli che si doveva guardare le spalle persino nella stessa famiglia, figurarsi da una ragazzina colorata che incontri in isole del nord popolate solo per 9%. Non mi lasciai nemmeno impietosire da quegli occhi grandi come un pugno, da quei capelli croccanti che si lasciavano muovere malvolentieri dal vento gelido.
    Paura del dolore. Che cosa banalmente naturale. Serro così forse la mascella che sento scricchiolare l'osso sotto la stessa, e lentamente, talmente tanto da pesarmi su ogni muscolo, la rimisi a terra. Eppure, la bacchetta, puntata ancora sul suo viso, compì un piccolo semicerchio, passando a radar il suo petto, fino alla cintola. Quanto meno, apparentemente, era davvero una ragazzina di probabilmente nemmeno venti anni.
    L'accento era marcatamente inglese, come se fosse arrivato dopo molto tempo, non era del Nord, e non era nemmeno inglese. Il negoziante si affaccia timidamente, riesco a scorgerne la condensa fuori le labbra, oltre l'angolo. Si sentirebbe terribilmente in colpa se avesse per caso rischiato di assistere ad un uomo che faceva del male ad una ragazzina, davanti il suo negozio, e gli fossero semplicemente mancate le palle per fare qualcosa. Dice qualcosa di incomprensibile, poi ripete in un inglese arrangiato police, police.
    In un altro momento, mondo, l'avrei aspettato a casa quella notte e probabilmente ucciso davanti sua moglie, il suo cane e i suoi figli. Ma ora, mi avvicino a quella palla di lardo, lentamente, sentendo perfettamente le suole scrocchiare sopra la neve con quel caratteristico suono. Lo guardo, fermo immobile, io avanzo e lui non indietreggia, coraggioso. Almeno apparentemente.
    E qualcosa accade.
    Accade che mi accorgo che la mia vita era scandita da un ne vale la pena.
    Ora lo guardo talmente da vicino che fa un passo indietro cercando coraggiosamente di continuare a guardarmi.
    E non ne vale la pena.
    "Buh"
    Quello rientra trafelato dentro, avrà una nuova storia da raccontare alla moglie stasera. Corre all'interno, lasciandoci soli.
    Mi avvicino a grosse falcate e l'afferro per un braccio, sparendo con lei, con un rumore di mare che si infrange con forza sulla scogliera.

    null
    "Chi ti ha parlato di questo bambino" e come dandolo per scontato, chiedo "Dove si trova" e se fosse stata la profezia e Silas collegati?

     
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    Quando le cose si mettevano male l’unica cosa da fare era pregare.
    Oppure ricordare tutte le cose belle che ti erano successe nella vita, per non rischiare di chiudere per sempre gli occhi avendo impresso il terrore.
    Io invece pensavo al professore, lo sapeva che esisteva una copia cattiva di se stesso?
    Che non si curava del male che poteva fare agli altri, lui pensava di essere nella ragione e come tale agiva.
    Non avevo la forza di ribattere, mi vennero in mente le parole di Damien, quelle che mi aveva sussurrato durante l’esame, quelle in cui mi ero ritrovata pietrificata senza avere la possibilità di replicare.
    Se non ci fossi rimasta così male forse gli avrei chiesto di accompagnarmi.
    Gli avrei chiesto se aveva un po' di tempo per me.
    E forse non mi sarei mai trovata in questa situazione.
    O forse si, e magari ora gli stavo evitando un brutto momento anche a lui.
    Ecco si, era una soluzione che preferivo.
    Feci un respiro e alla fine parve desistere.
    -Va tutto bene- dissi rivolta al commerciante che in quel momento aveva deciso di uscire per forse darmi soccorso.
    Eppure il mio timore era che se solo lo avesse irritato ancora un po' di più non tanto io ma lui stesso ci sarebbe andato di mezzo.
    Neanche ebbi il tempo di riprendermi che mi sentii smaterializzare altrove.
    La scogliera era a pochi passi da me, ma questa volta, quando lui mollò la presa io ero pronta con la bacchetta, aveva appena finito di fare il bello e il cattivo tempo.
    -Lei ha perso il diritto di farmi delle domande nel momento in cui mi ha minacciata di morte- mi allontanai dalla scogliera mentre ancora la bacchetta era fissa verso di lui – non mi costringa a usarla-
     
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    Mi avvicino così lentamente, guardandola negli occhi come un pazzo rabbioso, al punto da lasciarle capire che se avessi voluto, l’avrei uccisa. Non era lei la pedina essenziale del gioco, in fondo, era solo una adolescente con la testa fra le nuvole. Eppure per qualcosa mi poteva essere utile.
    “Sai cosa” le afferro il polso con la bacchetta e porto la sommità proprio dove sotto i vestiti, la cicatrice provocata da Makenzie mi cavalca la pelle. “Uccidimi” dico, guardandola come un cane rabbioso che va più che dignitosamente dal veterinario, pronto a lottare per non farsi ficcare la siringa della morte sotto lo strato di grasso. Con un disinteresse per la morte che ha contraddistinto anni e anni, forse tutta la mia vita, la guardo negli occhi e le dico “Ti costringo ad usarla” alta molto meno di Igor, ebbi difficoltà a raggiungerla con gli occhi. Quindi mi inchinai al suo cospetto, come in una proposta di romantica morte, nell’attesa che accettasse il mio anello d’oro laccato e morte. Se avessi dovuto di nuovo passare tutto quello che avevo passato con Silas, non avrei mai voluto farlo da vivo. Avrei preferito morire per mano di una ragazzina di minoranza etnica. “Ho ucciso bambini, donne, e uomini” striscio con le ginocchia verso la scogliera, rimanendo in ginocchio, ma scambiandoci i posti “Tutto il mondo magico sarebbe con te. Ammazzami e gettami giù come un sassolino” e concludo ringhiando “O levami quella bacchetta dalla faccia”.




     
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    Non mi era mai capitato di avere davanti una persona così, da una parte sembrava volermi uccidere, dall'altra mi diceva di ucciderlo io stessa.
    Improvvisamente capii che era solo tanto sopraffatto dagli eventi da non scindere più tra bene e male, tra lecito e illecito.
    Con me le provocazioni non funzionavano, e più mi raccontava di se più provavo pietà per lui.
    E fu con uno sguardo al limite del dispiaciuto che castai il mio incanto.
    Le corde si avvolsero attorno al corpo del mago, lo spostai in modo tale che fosse lontano dal ciglio della scogliera e gli feci perdere i sensi.
    Non so quanto tempo stetti a guardarlo lì disteso, ma nessun tempo sarebbe mai servito a dargli la serenità.
    Mi aveva confessato di aver ucciso un sacco di persone, eppure qualcosa mi diceva che se fosse stato tutto vero allora avrebbe dovuto uccidere anche me, invece mi aveva chiesto di porre fine alle sue sofferenze.
    -Dolcisonium- dissi allora continuando a guardarlo.
    -Nel mondo che vorresti hai una famiglia, qualcuno che ti ama, che ti vuole al suo fianco, nonostante tutto quello di cui ti accusi.
    Vivi la vita che ti resta circondandoti da questo amore e lascia da parte l'odio, il risentimento e il rancore.
    Immagina la pace che stai provando, immagina se potessi provarla per sempre..-
    ero accucciata ma mi sollevai in piedi.
    Indugiai solo un attimo prima di smaterializzarmi via.
    In fondo mi era solo sembrato un uomo molto tormentato.

    Dulcisonium lanciato su un mago dormiente, ne stimola un sogno che avrà come trama alcune parole sussurrate dal mago
     
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