for the wrong reason.

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    Danimarca, distretto del North's Ministry . 13 Novembre 2012.
    Freddo. Cielo grigio e minaccioso. Una notte senza luna che rendeva il buio ancora più oscuro ed era noto che l’oscurità giocasse a favore dei malvagi.
    La quinta unità Auror del dipartimento di Copenaghen si trovava in missione speciale in uno dei sobborghi della città di Esbjerg, a ovest del paese. Un informatore aveva resa nota l’incursione di alcuni maghi oscuri in uno dei magazzini della parte dismessa del porto, da tempo sede della Orlamünde&Sønner, un noto laboratorio di pozioni che collaborava con il Ministero della Magia. Non era ben chiaro quale fosse l’obiettivo dei Mangiamorte, ma c’era il sospetto che si trattasse della nuova pozione sperimentale con la quale si sarebbero dovuti limitare i gli effetti della maledizione imperius.
    Nick faceva parte della 5° divisione. Quella era la sua prima missione ufficiale e per un attimo, negli spogliatoi del Quartier Generale, mentre indossava la divisa pensò a sua madre. Anche lei era alla sua prima missione ufficiale. Anche per lei tutto si sarebbe compiuto una notte. Una notte, condensata in pochi terribili istanti, era bastata a mettere la parole fine ad una parte di lei. Bastata a dare inizio ad un’altra vita, un’altra vita, totalmente diversa. Chiuse gli occhi alzandosi in piedi e stringendosi con uno strappo deciso, il cinturone alla vita. Era ora.

    Arrivati sul posto, un leggero nevischio cominciò a cadere dal cielo. Nemmeno il tempo sembrò volerli risparmiare. Il Capo dell’operazione, Amos Güntelberg, impartì ordini precisi: sarebbero stati divisi in tre subunità da tre, ognuna delle quali avrebbe fatto irruzione in uno dei tre capannoni che ospitavano il laboratorio degli Orlamünde. Nick si ritrovò in squadra con Hanne Fogh e Jens Kaalund; il loro obiettivo era il capannone sul limite destro della proprietà. Bacchette alla mano, i tre auror presero a muoversi cercando di approfittare a loro volta del buio. Entrarono nel capannone. “Mac, Kaal… conviene dividersi.” Suggerì prontamente Hanne e Nick scambiò uno sguardo con Jens. “Okay, ma siate pronti ad intervenire in caso qualcuno dovesse attaccare.” Asserì quest’ultimo guardando i suoi compagni. Nick e Hanne annuirono.
    Fu così che Nick prese le scale metalliche alla sua sinistra, per poter accedere al dedalo di corridoi sopraelevati che affacciavano sul piano terra.
    Stringeva saldamente la bacchetta nel pugno destro, mentre la mano sinistra era pronta ad afferrare l’ An Dro, un cerchio d’acciaio incantato da un potente incantesimo protego per difendersi dagli attacchi, lasciando la possibilità di contrattaccare più velocemente. Avanzò lungo il primo corridoio, velocemente, ma facendo ben attenzione a non fare rumore e a guardarsi le spalle di tanto in tanto. Arrivato più nel fitto del labirinto di corridoi sospesi per aria, sentì un ronzio e qualcosa sfiorargli l’orecchio. Scattò immediatamente, avanzando con una capriola, restando acquattato per terra, la bacchetta tesa in avanti pronta a lanciare uno schiantesimo. Ma davanti a lui non c’era nessuno. Nick si tirò lentamente in piedi guardandosi attorno con circospezione. Di nuovo quel ronzio lo sfiorò dietro la tesa. Questa volta fu più lesto ed ebbe modo di vedere una scia luccicante. Fu proprio allora che una piccola sfera dorata gli fluttuò davanti agli occhi per qualche istante, prima di schizzare velocemente lungo il corridoio nord. Un boccino. Cosa ci faceva un boccino lì dentro? Non poteva essere casuale. In certi momenti, nulla lo era. Prese ad inseguire il boccino d’oro proprio come se fosse un cercatore. Proprio come avrebbe fatto appena sei anni fa a Durmstrang. Era consapevole che quell’impulsività poteva costargli caro, quel non aver avvisato i suoi compagni dei suoi spostamenti. Sapeva benissimo che una delle raccomandazioni, o meglio, degli ordini di Güntelberg era quello di non fare cazzate, così come sapeva che scegliere di seguire quel boccino era decisamente una cazzata. Il boccino girò improvvisamente ed uscì da uno dei finestroni che costeggiavano la parte alta dei capannoni. Nick corse verso il finestrone, e dovette metterci un po’ di forza per riuscire ad aprirlo di più, per via della ruggine. Una volta fuori, il boccino gli girò attorno un paio di volte, prima di sparire oltre il tetto dell’edificio. Nick prese ad arrampicarsi lungo i due metri di muro che lo separavano dalla meta. Rischi di scivolare di sotto, ma riuscì a tenere salda la presa delle mani e a sollevare il proprio peso fin oltre il bordo. Si diede appena il tempo di riprendere fiato con un solo profondo respiro. La neve aveva preso a scendere con più insistenza, anche per questo era stato difficile arrampicarsi fin lassù. Levò la bacchetta davanti a sé, distinguendo nel buio e fra il nevischio insistente una sagoma non lontana da lui. Invocò un lumus per poter vedere chi aveva di fronte, capire perché non avesse sferrato un attacco non appena l’aveva visto tirarsi su. Sarebbe stato estremamente facile liberarsi di lui.
    Quando il fascio di luce investì la figura incappucciata che gli stava di fronte, tutto gli si palesò. “Tu…”





     
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    Qualcuno avrebbe potuto affermare la sua fosse un'ossessione. Magari lo era.
    Da quando le loro scelte li aveva condotti su strade opposte, per Justin era diventato difficile arrendersi. La sua vita era diventata apparentemente più facile da quando aveva accettato il marchio sul proprio braccio, ma era solo quello: apparenza. Commetteva atti feroci nel vano tentativo di rendere fiero suo padre, di poter godere di una libertà fittizia ma la sua esistenza era vuota ed il suo animo colmo di sensi di colpa. C'erano notti in cui chiudere occhio diventava impossibile. Momenti in cui sentiva di dover lavare per ore il sangue incrostato sulle sue mani. Non serviva mai a nulla.
    Illudeva se stesso di poter vivere perseguendo scelte prese da altri per lui, ma lo faceva da tutta la vita e nulla era mai migliorato.
    Darsi la colpa per non aver il coraggio di liberarsi, sarebbe stato giusto ma non la cosa più semplice da fare. Così, riversava su Dominick ogni propria frustrazione. D'improvviso da cardine della propria esistenza era diventato il supremo male da sconfiggere. Voleva patisse ogni sofferenza patita da Justin. Voleva soffrisse lo stesso dolore patito da lui.
    Era per questo che non poteva fare a meno di seguirlo.
    E forse, a posteriori, sarebbe stato più semplice vedere in quell'atteggiamento, un'implicita richiesta d'aiuto.
    Aveva preteso di poter intervenire.
    Era raro si facesse avanti di propria iniziativa, ma quella volta aveva fatto sentire la sua voce. Persino suo padre ne era rimasto sorpreso. Aveva promesso di fare del suo meglio e così sarebbe stato. La squadra di auror di cui Dominick era componente, più volte aveva cercato di mettere loro i bastoni tra le ruote e non era accettabile. Era inaccettabile non si fossero piegato neanche dinanzi all'ingente promessa di denaro loro proposta ed andavano puniti. Sterminati.
    Bachskov poi, aveva chiesto a Justin di punire Dominick in modo esemplare, ed il Dravensen non se l'era lasciato ripetere.
    Avevano organizzato un'imboscata. Molti quella notte avrebbero perso la vita, altri la testa.
    Per Dominick però, sarebbe stato diverso. A lui ci avrebbe pensato Justin.
    Aveva scelto un boccino per richiamare la sua attenzione. Lo aveva attirato in quel modo, forse infantile, e ci era riuscito. Era sempre stato un ottimo duellante, ma così poco perspicace agli occhi del Dravensen.
    Quando lo raggiunse sul tetto, allargò le braccia, concedendogli persino un inchino con fare teatrale.
    “Ne sei sorpreso?” Gli disse, con un sorriso. Sembrava pacato eppure la sua mano tremava, seppur in modo impercettibile. “Sei sempre stato il meno intuitivo tra noi.” Aggiunse poco dopo, chinandosi il cappuccio. Non c'era alcun motivo di nascondersi dinanzi all'altro.
    Avanzò di un passo, affondando il piede nella neve che aveva coperto il tetto di quel capanno. “Ti sono mancato?” E non aspettò l'altro potesse reagire o mettersi in posizione d'attacco. Un primo diffindo, volò verso l'altro.
    Un avvertimento.
     
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    “Ne sei sorpreso?” La voce di Justin gli arrivò alle orecchie come una lama affilata affonda nella carne. Faceva male sentir quella voce irrompere da sotto quel cappuccio nero, nero come la parte dalla quale s’era schierato, nero come il marchio che aveva voluto portare. Nick chiuse gli occhi per un istante, accusando il colpo, stringendo il pugno attorno la bacchetta. Stupido. “Sei sempre stato il meno intuitivo tra noi.” il fruscio del cappuccio che scivolava via. Riaprì gli occhi e il volto di Justin gli si palesò odioso come una certezza, quelle certezze che speri fino alla fine essere una svista, un brutto sogno. Un incubo. Ma non ci sarebbe stato un risveglio improvviso, quella volta. Quella volta era reale, terribilmente reale.
    Si era chiesto più volte come fosse stato possibile, dopo tutto quello che avevano condiviso, le battaglie che avevano combattuto assieme da semplici ragazzini… come era stato possibile trovarsi ora ai lati opposti degli schieramenti? Come siamo arrivati a farci questo? Come hai potuto voltarmi le spalle così… Rabbia e tristezza presero ad intrecciarsi, confondersi, confonderlo. Poi però, ancora una volta, udì la voce beffarda del suo avversario e si riscosse. “Ti sono mancato?” e l’attacco che seguì le parole fu velocissimo. Nick sollevò con la mano sinistra l’an dro, che, colpito, deviò l’incantesimo parandosi appena in tempo per non essere colpito in pieno, ma nella deviazione l’incantesimo gli sfirò lo zigomo lasciando un leggero taglio. “Everte statim!” scagliò l’incantesimo con decisione verso il mangiamorte.
    Mangiamorte. Quella consapevolezza gli fece risalire la bile dallo stomaco alla bocca. Come diavolo è potuto accadere? e di motivi ce n’erano. Li conosceva Nick, così come l’uomo che gli stava davanti. L’estraneo che aveva chiamato amico, quell’amico che avrebbe dato la vita e che adesso invece voleva prendersi la sua… Perché la propria l’aveva svenduta per l’approvazione di bastardi senza scrupoli con lo stesso marchio sul braccio che adesso aveva anche lui. “Sei qui perché il paparino possa dirti che sei stato bravo?” gli chiese guardandolo con disprezzo. “Un po’ penosa come motivazione, non trovi?” chiese , poco prima di chinarsi poggiando con decisione il palmo della mano sul cemento nascosto dalla neve, “Dominusterra!” gridò, e l’edificio tremò come colto da un leggero terremoto, ma abbastanza forte da far perder l’equilibrio.











    Edited by †Crusader. - 21/12/2020, 19:41
     
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    Deviò l'incanto di Dominick lasciando che si infrangesse contro un comignolo che volò via prima di ricadere con un frastuono.
    Temporeggiavano.
    Aspettavano e nessuno dei due avrebbe saputo dire cosa. Forse attendevano una rivelazione. Forse ognuno si aspettava l'altro si liberasse della propria maschera, per poter riavvicinarsi all'altro. Non sarebbe accaduto, non in quella trama. Ognuno dei due, per ragioni varie alcune delle quali esulavano dal loro rapporto, erano troppo attaccati al ruolo che il destino aveva loro affidato.
    Dominick non sarebbe riuscito a liberarsi del mantello dell'eroe, e Justin di quello del cattivo.
    Ora erano destinati ad essere lì, l'uno contro l'altro, sfidandosi per avere l'ultima parola.
    “No. Non per quello.” Scosse il capo, rivolgendo un mezzo sorriso all'altro. Avere come nemico un ex amico, era la cosa peggiore potesse accadere e non solo per la sofferenza che inevitabilmente ne sarebbe conseguita, ma anche per i segreti che l'altro custodiva e che sarebbero diventati automaticamente punti da colpire.
    Dominick l'aveva appena fatto e Justin non sarebbe stato da meno.
    “Sono qui perchè tuo padre possa dirmi di aver fatto un buon lavoro.” Sapeva quanto profondamente lo avrebbe colpito con quelle parole. Justin sapeva sempre quando e come colpire, ed abusava di quel potere per ferire l'altro. “Ah, mi dice di salutarti. Non vede l'ora di rivederti.” Aggiunse poco dopo, approfittando di quella momentanea distrazione per scagliare il proprio attacco.
    “Incendio!” Una palla di fuoco di modeste dimensioni, si formò nel cielo prima di essere scagliata verso l'altro. “Vuoi continuare a parlare o vuoi darci dentro?” Si liberò del mantello, scagliando un nuovo incanto. “Frastuonum.”
     
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    C’erano tante cose sospese nello spazio che si frapponeva fra loro. Vento, gelo e neve erano solo una parte, irrilevante. Correva tanto vissuto in quello spazio. Tanta rabbia che, assieme alla tensione, tagliava l’aria come una lama. E sembrava improvvisamente così stretto, così angusto quello spazio, costretto dalle emozioni che si frapponevano, incastravano, mescolavano, fuori e dentro di loro. Torbide, le si poteva vedere. “Sono qui perchè tuo padre possa dirmi di aver fatto un buon lavoro.” Ecco l’affondo che si aspettava, dopotutto Nick era stato il primo a tirare fuori il loro passato, così distante. Anche quel passato riempiva lo spazio fra di loro, attorno a loro… e forse era proprio quel passato a soffocare tutto, soffocare le ragioni per alimentare i torti. Nick lo guardò con l’odio col quale si poteva guardare soltanto qualcuno per cui si era provato un gran bene. Un fratello. Justin era stato questo durante tutti gli anni a Drumstrang, quasi tutti. E adesso cos’era? L’ennesima cosa che suo padre era stato capace di portargli via, in un modo che era più subdolo è doloroso della morte. “Dovrai deludere anche lui allora.” gli rispose secco, con veemenza, sperando di fargli altrettanto male. Se era approvazione che Justin cercava da quei bastardi, Nick avrebbe fatto di tutto perché ottenesse solo disprezzo. Lo stesso che gli rendeva amara la bocca guardando quello che un tempo era stato suo fratello e che adesso indossava quelle stupide vesti da mangiamorte, sposandone la causa e le ragioni. Se ragioni potevano chiamarsi le loro inumane teorie. “Ah, mi dice di salutarti. Non vede l'ora di rivederti.” Non potè rispondere all’ennesima provocazione, conscio che si trattava soltanto dell’inizio, perché dovette difendersi dalla palla di fuoco che gli venne lancia contro. Nick puntò la bacchetta dritta davanti a sé, “Aguamenti!” evocando un getto d’acqua che andò a scontrarsi con la sfera infuocata. Fermo e concentrato Nick stava tenendo testa all’incantesimo del suo nemico, quando questi subdolamente gli scagliò contro un incantesimo assordante. Nick perse la concentrazione non riuscendo a continuare ad opporsi all’incantesimo. Si gettò a terra e rotolò verso sinistra per non essere colpito. Si tirò, frastornato. Se avesse usato adesso un attacco mirato per colpirlo, avrebbe sicuramente fallito. Bisognava usare una strategia diversa, “Aqua eructo!” . Dal cemento presero a fuoriuscire potenti getti d’acqua, come gaiser, che circondarono Justin. Su una cosa aveva ragione, non c’era da perder tempo in chiacchiere. Era da tempo che non avevano più nulla da dirsi.
    Invero, la verità era esattamente all’opposto.




     
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    Strinse i denti alle sue parole. Ovviamente avrebbe fatto di tutto affinchè non si avverassero. Deludere suo padre, avrebbe comportato dolore. Deludere Soren, morte. Justin era così drammaticamente attaccato alla vita, da adattarsi a scelte che non avrebbe preso mai. Non da solo. Qualcuno avrebbe potuto pensare Justin vivesse per il marchio, visto l'impegno che mostrava nei propri incarichi ed invece era esattamente il contrario.
    Dominick, seppur distante, rappresentava un ostacolo a quel fine. La possibilità, non così irreale, che presto o tardi il suo equilibrio venisse infranto. Non poteva permetterselo. Né la morte, né la prigione.
    Ed era facile, quindi, riversare su di lui le proprie paure, unitamente alle proprie delusioni.
    Dopotutto, era stato lui ad abbandonarlo, lasciarlo indietro. Justin si era solo adeguato ad un destino già scritto. A denti stretti, concentrato, provò a spingere la palla di fuoco verso l'alto, cercando a contrastare il suo incanto. Il proprio secondo incanto gli concesse un vantaggio e fu pronto ad attaccare di nuovo. Lo avrebbe fatto se il MacDuff non l'avesse preceduto.
    Riuscì ad arretrare appena prima i getti d'acqua fuoriuscissero dal cemento, ma si ritrovò esattamente al centro di quella circonferenza bagnata. L'attimo dopo sentì il pavimento cedere.
    Riuscì ad aggrapparsi, restando a penzolare nell'ultimo piano di quell'edificio abbandonato. Prima ancora di issarsi su però, puntò ancora la propria bacchetta verso il suo nemico.
    Dismundo. Voleva vederlo soffrire, e sapeva che quello di giocare con la sua mente era l'unico modo possibile. Fece forza sulle braccia poi, tirandosi in piedi. “Come si vive a credere d'essere nel giusto?” Avanzò verso di lui, un passo alla volta. “Con la convinzione di fare del bene mentre quel che fai uccide?” Perchè era quello che faceva Dominick con l'inutile crociata che ancora portava avanti. Avrebbe dovuto arrendersi ed evitare inutili morti collaterali. Sarebbe stato più facile per tutti. Lui sarebbe rimasto vivo e Justin non si sarebbe trovato lì in quel momento, a vestire il ruolo del suo carnefice. “Ti aiuta a dormire bene l'idea del bene superiore?”
     
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    Questa volta Nick non riuscì ad evitare l’incantesimo che Justin gli lanciò contro. Vene colpito dritto al petto ed il colpo bruciò come un pallottola che colpisce il giubbotto antiproiettile. Poi, un dolore lancinante alla testa, che lo portò inginocchiarsi, piegato dallo spasimo. Alzò gli occhi solo per guardare il suo avversario tirarsi su e avanzare verso di lui lentamente. “Come si vive a credere d'essere nel giusto?” La voce dura di Justin fu come un colpo allo stomaco. Improvvisamente tutto divenne confuso, le ombre del paesaggio si diradarono lasciando il posto all’oscurità più vivida. Unica figura nitida era Dravensen che continuava ad avanzare. A Nick sembrò di precipitare in un baratro e cadde. Si ritrovò riverso a terra e quando fece forza per tirarsi su con le braccia, un cono di luce illuminava una scena dolorosamente familiare. Soren Bachskov in piedi che infliggeva un cruciatus ad Hanne Fogh. La sua collega urlava, chiedendo pietà e giurando di non sapere dove fosse lui, Dominick.
    Nick chiuse gli occhi, cercando di allontanare quelle immagini false dalla mente. Doveva spezzare il potere del sortilegio con il quale Justin gli aveva ingabbiato la mente. “Con la convinzione di fare del bene mentre quel che fai uccide?” sentì la voce di quello che un tempo aveva chiamato amico sempre più vicina. Si fece forza e si tirò su. Cercò fra le tenebre la figura dell’ormai Mangiamorte . “Smettila…” biascicò debolmente, mentre nella sua testa le urla di Hanne si mescolavano e venivano sovrastate dalla risata di Bachskov. La sua voce, quasi un sussurro nelle orecchie… “Anche Ella era terrorizzata… ma non urlò. Troppo orgogliosa per ammettere di avere paura…” e poi ancora Justin: “Ti aiuta a dormire bene l'idea del bene superiore?” “SMETTILA!” questa volta lo gridò con decisione, invocando un non verbale finite incantem ponendo finalmente fine alla manipolazione della sua mente. “Non ci provare, Jus…” lo avvertì minaccioso. Era chiaro ormai, non sarebbero mai più tornati quelli di un tempo. “Sei tu… Tu ad uccidere.” gli ricordò, ribattendo alle sue accuse, ai suoi giochetti psicologici da quattro soldi. “ Stupeficium!” girdò lanciandogli contro l’incantesimo con tutto l’odio che in quel momento sentiva di provare. “Ti fa sentire meglio dare a me la colpa di ciò che sei diventato?!” continuò a gridagli contro, scagliandogli contro ancora uno schiantesimo. Veloce, deciso, per metterlo alle strette, per costringerlo a non reagire, per farlo sentire con le spalle al muro. Impotente. “Beh mi dispiace. Sei grande, è ora che ti assumi la responsabilità delle tue scelte! Exulcero!”









     
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